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Autore: bibi8890    06/02/2012    0 recensioni
"Era emozionata come mai prima e ancora era sicura di farcela davvero a dirgli tutto. A confessare quello che per troppo anni aveva celato"
questa one-shot parla di me, dei miei sentimenti e delle mie emozioni.... momenti vissuti e anche sognati che volevo condividere anche con voi...
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Ce la faccio, ce la devo assolutamente fare!»
Era in ansia, fin troppo in ansia, ma aveva aspettato quel momento da tanto, troppo tempo ed era finalmente ora di agire. Aveva atteso quel momento, senza saperlo lo aveva sognato troppe, innumerevoli volte. Lo aveva sognato di notte, cercando di sminuire quei sogni, pensando che erano solo sogni, sogni che svanivano in una frazione di secondo. Era finita a convivere ogni notte con quei sogni, che al mattino lasciavano l’amaro in bocca un po’ perché il sogno era finito, un po’ perché sembrava di tradire il suo fidanzato. Perché sapeva che era tutta una questione di inconscio e non si deve scherzare col proprio animo, perché è proprio lui che detta legge ai nostri sentimenti.
Era arrivata alla stazione in modo automatico, col cuore che batteva sempre più forte ogni minuto che passava , ogni minuto che la avvicinava a lui. Il viaggio fino a li sembrava esser durato un’eternità e allo stesso tempo sembrava esser passato troppo velocemente.
Aveva fatto per tre anni e mezzo quella strada, innumerevoli volte, passate nella spasmodica attesa di vedere lui, quello che era il suo ragazzo, quello a cui aveva donato tutta se stessa, senza pretese. Aveva fatto quella strada sognando di andare incontro all’uomo della sua vita, lo aveva salutato, abbracciato, baciato, con la straziante convinzione che lui era quello giusto. Ma il suo inconscio aveva visto più lontano di lei. Aveva cercato di farle capire che non era normale il sognare un altro ogni notte. Aveva cercato di farle notare che quell’amore era destinato a concludersi e che un altro poteva nascere, nascere la dove era prima nata un’amicizia. Si, era stata una bella amicizia. Anche se per lei forse era sempre andata un po’ oltre. Il periodo passato insieme a studiare, insieme vicini di banco, era forse stato uno dei periodi più belli della sua vita. Anzi, erano stati i momenti più belli. Momenti liberi, spensierati, pieni di sorrisi, di scoperte, di discussioni, ma discussioni accese, passionali, dove si crede in qualcosa e lo si porta avanti, dove non si finisce per litigare ma per stimare di più, laddove fosse possibile, l’altro. Mattine, pomeriggi interi passati a scambiarsi opinioni e compiti in classe. Giornate passate a scuola e trovarsi l’altro che cercava di rubare il posto vicino al muro, conteso da entrambi. Solo poche, rarissime volte lui gliel’aveva data vinta, ma era sempre stato un motivo in più per stuzzicarsi. E passare l’esame di stato vicini, pronti a ridere anche in quel momento, pronti a passarsi la terza prova, a cercare in tutti i modi di cavarsela e alla fine riuscire a cavarsela davvero.
Sorrise, mentre varcava le soglie della stazione. Aveva odiato e amato quella stazione. Quando tornava il suo ragazzo era il posto più bello del mondo. Quando se ne doveva andare diventava un posto orribile, scuro e freddo, bagnato dalle sue lacrime che scorrevano ogni volta che lo lasciava andare via. Ogni centimetro di quella stazione le ricordava un momento preciso: la prima volta che si erano visti, quando era partita per conoscere i suoi, quando lei si era allisciata i capelli e lui non l’aveva riconosciuta… piccoli momenti di quotidianità, una quotidianità che non c’era più.
Eppure lei si era rialzata. E nel rialzarsi aveva riscoperto un’amicizia sepolta dall’accumularsi di tanti impegni. O forse inconsciamente era stata lei stessa ad evitare di incontrarlo, per non ricordarsi quanto tutto di quel ragazzo facesse risvegliare in lei una ragazza che le convenzioni, il buon costume e il fidanzamento avevano celato, sotto strati e strati di una maschera che non le apparteneva più.
Non si erano visti per quasi un anno, forse anche più. C’erano stati messaggi, promesse di rivedersi un giorno, ma promesse che portava via il vento. Lui era rimasto deluso da una storia bella e maledetta. Si era chiuso a riccio, si era creato intorno una corazza invalicabile e si erano allontanati. Non si incontravano mai, avevano perso i contatti, eppure ogni parola detta contro di lui, ogni affermazione negativa, ogni infamia, erano una coltellata al suo cuore. Le dava fastidio il sentir parlare male di lui. La mandava in bestia come poche cose. Finiva per litigare con i suoi amici per difenderlo. Perché sentiva di doverlo difendere. Perché non erano giuste le cose che dicevano gli altri. Lui era ferito, non era cattivo. E nessuno lo capiva. Eppure lei non lo incontrava.
Solo una volta lo aveva rivisto, ad una serata di beneficenza. Il suo ragazzo non era potuto andare. Lei si era vestita di rosso solo perché il rosso era il suo colore preferito. Non lo aveva detto mai a nessuno. Era stata una cosa di cui si era vergognata quando, tornata a casa, le era sembrato quasi di aver scordato il suo ragazzo per il tempo di un’ora. Anche ora, nel ricordare, si sentiva in colpa. Aveva amato il suo ragazzo, di un amore incondizionato. Aveva sperato di avere trovato l’Amore, si era aggrappata a lui con tutte le sue forze. Aveva cercato di farlo diventare un uomo, un uomo che sarebbe potuto essere il padre dei suoi figli. Ma alla fine aveva dovuto perdere le speranze. Aveva vinto lui, lui che l’aveva lasciata sola a piangere, che l’aveva abbandonata con due scuse, lui che le aveva promesso il mondo e contemporaneamente pensava ad un’altra. E lei aveva creduto di morire di mal di cuore, un male che strazia, che ti fa vedere tutto nero, che ti fa maledire tutto e tutti. Si, lo aveva amato. Ma non era bastato il suo amore a farli andare avanti. Era tornata però a vedere il sole sulla sua vita, grazie ad amici che si erano rivelati davvero Amici. Grazie a persone che le avevano fatto capire che non aveva bisogno di lui per vivere, che lei era tanto forte da essere superiore a tutti. Aveva trovato una persona amica, l’aveva riscoperta e aveva capito quanto i pettegolezzi e i giudizi fossero infondati, quanto le parole della gente possono coprirti gli occhi e farti vedere una persona sotto una luce cattiva che non le rende giustizia. L’aveva trovata, le aveva scritto lettere lunghissime e lei, con l’affetto d’amica l’aveva salvata. Le aveva detto parole di conforto e le aveva dato la gioia di rinascere migliore. E non l’avrebbe mai potuta ringraziare abbastanza.
E in tutto questo scenario era anche riapparso lui. In punta di piedi, con un messaggio si erano risentiti. E dopo un anno e più passato a farsi false promesse, quelle promesse erano state mantenute e si erano rivisti. Si erano incontrati e quando si erano abbracciati. Erano rimasti un po’ così, avevano camminato per un tratto come se stessero insieme, fino a che lei non si era staccata. Avevano parlato. Di tutto. Avevano parlato di lei, del suo dolore. E chi meglio di lui poteva capirla? Lui che ci era passato e che era rimasto irrimediabilmente ferito. Avevano parlato per ore sul lungo mare, avevano percorso chilometri senza stancarsi. E si erano lasciati con la promessa di rivedersi. E questa volta sapevano che sarebbe stata mantenuta.
E infatti erano seguiti altri incontri. Altre mattine passate a parlare, mattine in cui, incontrando i suoi genitori, loro li fissavano ridendo, perché erano carini insieme, perché era come se la loro domanda “dove andate ora?” fatta con un sorrisino malizioso, custodisse una speranza. Speranza in qualcosa di nuovo.
Ed erano seguite anche serate passate a sentirlo suonare col gruppo, quando con non-chalance lei lo salutava e credeva che il cuore le potesse scoppiare, con il timore che i battiti frenetici potessero essere percepiti da lui che, ignaro, le sorrideva e le parlava di mille argomenti diversi. Serate passate a fissarlo suonare e provare un brivido lungo la schiena ogni volta che suonava una nota, note che venivano dal suo cuore. Un brivido profondo ogni volta che lui sfiorava la chitarra e lei arrossiva sognando di essere sfiorata nello stesso modo, in un vortice di amore e passione.
Sorrise ricordando un pomeriggio che le era rimasto nel cuore, quando le aveva detto che non avrebbe più studiato fuori ma nella sua stessa università. E tutto per lei era diventato più felice, più luminoso. Erano rimasti a parlare per ore, vicini, in giro per il paese, incontrando un amico che li aveva liquidati velocemente dicendo “vi lascio parlare in pace”. Forse era lei a percepire cose che non esistevano, ma tutti parevano volerli lasciare soli, a parlare. E poi avevano incontrato lei, la causa del dolore di lui. Lei che gli aveva spezzato il cuore. Eppure lui era tranquillo e quando arrivava lei, interrompeva il discorso che stavano facendo insieme, come a preservare qualcosa che era loro soltanto, lontano da orecchie indiscrete che non avrebbero capito i loro discorsi.
Perché era questo il bello di lui. Il fatto che parlavano per ore di tutto. Di filosofia, di vita, di concetti astratti, di spazio e tempo, di cose serie e cose sciocche. Di tutto. Ed era esaltante, era intrigante. E lei, con lui, era finalmente sé stessa. In quei momenti ritrovava la ragazza diciassettenne che aveva perso, quella spensierata, allegra, pazza, quella filosofica, sempre con tanti pensieri senza risposta in mente. Lei.
Erano le tre. Il treno sarebbe partito alle tre e mezza. Avrebbe ripreso il treno che prima la conduceva dal suo fidanzato. Lo avrebbe fatto per chiudere quella porta una volta per tutte. Per voltargli le spalle, per dar la prova a se stessa che ce l’aveva fatta: era rinata, senza di lui. Lui non le serviva. Lei ce l’aveva fatta e stava meglio di prima. Era sé stessa. Prima non lo era mai stata. Ma andare non bastava. Aveva bisogno di rischiare. Aveva bisogno di far capire a lui quanto in quegli anni inconsciamente lo aveva pensato, sognato. Aveva bisogni di fargli capire quanto con lui stava bene, quanto si completavano, quanto per lei tutto era più chiaro stando con lui. Quanto prima di vederlo il suo cuore perdesse un battito, quanto era difficile stargli vicino ora, stare tranquilla e mantenere il controllo.
Salì le scale che portava ai binari. Era in anticipo. Il vento freddo le graffiava il volto, ma le dava conforto. Come lui, anche lei amava il freddo. Era una delle tante cose che li univa, una delle innumerevoli cose.
Il cielo era sereno e in lontananza si sentivano i gabbiani. Era nervosa, sia per il viaggio che per quello che voleva fare, ma sentiva che era la cosa giusta da fare e anche se ansiosa, si sentiva bene, si sentiva viva.
«Ciao!»
Non lo vide, ma riconobbe la sua voce. Sorrise. E il suo cuore perse un colpo, come sempre. Si voltò.
Eccolo. Il solito giubbino di pelle anche se faceva freddo. I capelli lunghi e scuri legati in una coda di cavallo dietro le spalle. Le mani nelle tasche e le Converse di pelle nera ai piedi. Non era cambiato mai. Ma lei non avrebbe mai cambiato nulla di lui. Non era bello, non era il classico ragazzo che passa per strada e ti giri, ma aveva qualcosa, qualcosa che la faceva arrossire quando lo guardava. Portava la barba che ricadeva scura e gli incorniciava il volto. Sorrideva. E aspettava.
«Sei in anticipo» le disse. La sua voce era calda e lei ci si cullava.
«Diciamo che avevo bisogno di pensare prima di vederci»
Lui non capì. Avrebbe capito presto.
«Perché mi hai fatto venire proprio qui alla stazione? Parti?»
«Si. Vado… da lui»
Rimase colpito. Non se lo aspettava.
«Come mai?»
«Devo farlo per me stessa. Vado a salutare un’amica, ma devo anche chiudere definitivamente. Il passato lo devo lasciare alle spalle una volta per tutte. Ma...»
«Ma?»
«Ma non potevo farlo senza prima parlare con te...»
Il cuore pareva volesse uscirle fuori dal petto. Era emozionata come mai prima e ancora era sicura di farcela davvero a dirgli tutto. A confessare quello che per troppo anni aveva celato.
Lui si avvicinò piano e si appoggiò al muretto vicino a lei. Ma no, erano troppo vicini e lei credette di non farcela. Lei si alzò e gli si mise davanti. Doveva parlare, ora, altrimenti sarebbe arrivato il treno.
«Io… Dovrei parlarti da  tanto, ma non ho mai avuto modo. O meglio non ho mai avuto il coraggio…»
«Sembra una cosa grave!» scherzò lui. Lei sorrise.
«Mi piaci… non so se è grave per te! Spero di no!»
L’aveva detto. Velocemente, tra una risata e una battuta. L’aveva gettata lì. L’aveva detto. E il cuore non batteva più forte. Si era direttamente fermato.
Lui dal canto suo era rimasto pietrificato.
«Io… mi piaci da sempre! Mi piaci da quando ci siamo messi per la prima  volta vicini di banco. Mi piaci da quando hai suonato per la prima volta la canzone che adoravo. Non hai mai smesso di piacermi. Anche se cercavo di non pensarci non ci sono riuscita… Io non so spiegare. So solo che più cerco di lascar perdere e più sono sommersa dalle emozioni. Cerco di starti vicina, cerco di vederti, di sentirti suonare e tutto il tempo insieme mi sembra sempre troppo poco, perché vorrei stare ore e ore con te…»
Lui rimaneva in silenzio. La fissava, senza parlare. Ma lei non poteva fermare il flusso delle sue parole. Sapeva che fermandosi, non avrebbe mai più potuto dire nulla.
«Dovevo dirtelo.. dovevo farlo perché è giusto che tu sappia. Che tu sappia quanto mi riempie di gioia passare anche un’ora a parlare con te. Magari penserai male di me. Penserai che sono stata falsa a stare con lui mentre mi piacevi tu… Forse hai ragione. Ma so anche che quello che provo per te è qualcosa di incomprensibile che va oltre. Penso che potrei trovare e innamorarmi davvero di cento ragazzi, potrei amarli con tutta me stessa e in modo vero come ho già fatto, ma sono sicura che vedendoti e stando con te, solo allora mi sentirei completa. Perché è così che mi sento. Completa. Perché non è solo un fatto fisico. È anche e soprattutto spirituale. E penso che una cosa migliore e più forte di questa non ci sia»
Era quasi ora. Il treno sarebbe arrivato a minuti. E lui non ancora diceva una parola.
«Probabilmente mi prenderai per pazza! Sto parlando di una cosa quasi assurda, in attesa di un treno che mi collega al mio passato. Io non so se tu provi anche un briciolo di tutto questo, se mi corrispondi anche in minima parte. Se così non fosse ti chiedo solo, ti prego, di non allontanarmi. Questo non deve rovinare la nostra amicizia. Si, mi piaci, tanto, ma non voglio perderti. E preferirei soffocare tutte queste emozioni se questo significa averti ancora almeno come amico...»
Una voce metallica annunciò l’arrivo del treno al binario numero 8.
«Ti prego di qualcosa…»
Lui si alzò. Era serio. Le andò incontro, fissandola con i suoi occhi neri. Le mise una mano intorno alla vita. Con le mani grandi e calde la circondò. Vicino, sempre più vicino. Si fissarono, per un minuto che parve un’eternità. Il tempo pare fermarsi. E il mondo esplose di mille colori quando i centimetri che li divideva sparirono e le loro bocche si toccarono.
Si baciarono. E lei si aggrappò alle sue spalle. Si baciarono. E lui le passò una mano tra i capelli e la strinse a se. Si baciarono. E il treno passò, scompigliando i loro capelli, creando un vento che loro non percepirono. Si baciarono. E il suo mondo parve finalmente completo. Quel posto vuoto nel suo cuore si colmò. Aveva trovato la sua metà. Ci sarebbero stati momenti belli e brutti, ne avrebbero passate tante, ma sapeva che quello era il suo posto. Sapeva che nulla sarebbe stato più perfetto di quando stava con lui. Si baciarono, con un bacio che parve durare anni. Si baciarono con passione, alla ricerca l’uno dell’altra. Come un uomo che cerca l’ossigeno inspirando a pieni polmoni dopo esser rimasto troppo a lungo sott’acqua. Si baciarono, ed era il bacio più bello del  mondo.
Il treno stava per partire. Lei lo guardò, incredula. Lui le sorrise, col suo sorriso dolce la fece sciogliere in un turbinio di emozioni.
«Vai ora!» le disse «Io ti aspetterò. Ti ho aspettato per tutto questo tempo e ti aspetterei altri cinque anni se volesse dire che dopo potrò stare con te! Hai ragione, ci completiamo… e non vorrei altro che stare con te! Vai e quando tornerai mi troverai qui, ad aspettarti. Non me ne andrò. Non ti lascerò. Abbiamo perso troppo tempo dietro gente sbagliata! Ora finalmente so qual è il mio posto! Ed è con te»
Lei salì sul treno, ma prima che le porte si chiudessero lo tirò ancora verso di se e lo baciò di nuovo. Non sapeva cosa avrebbe riservato loro il futuro. Ma sapeva che qualsiasi cosa fosse successa, per un solo bacio così, ne sarebbe valsa la pena.




Ciao a tutti! Ho scritto questa “one-shot” per scherzare con una mia amica eppure sono stata sommersa in un vortice di emozioni. Le mie.
L’epilogo è l’unico fatto inventato. Tutto il resto è vero. Sono episodi reali e strani della mia vita. Le emozioni, i sentimenti descritti sono tutti veri, e spero col cuore di riuscire veramente a pronunciare quelle parole… intanto sogno, perché sognare non ha mai fatto male a nessuno e io adoro farlo.
Spero che vi sia piaciuta e di avervi trasmesso un po’ delle mie emozioni, quelle che giorno dopo giorno mi stanno facendo riscoprire lati di me che avevo celato in questi anni e sentimenti che avevo soffocato.
Aspetto di ricevere un vostro parere se possibile.
Bibi
  
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