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Autore: iusip    16/09/2006    16 recensioni
Ciao a tutti! è da un pò che stavo pensando a questa ff...l'idea mi è venuta quando per caso ho trovato un libro che ho letto da piccola, che su chiama "Diario di Susi, diario di Paul", se non mi sbaglio. Così ho deciso di fare una cosa simile per Ryo e Kaori, anche se non si tratta di un vero e proprio diario, ma di pensieri liberi. Vi propongo il primo capitolo, i pensieri di Ryo. Non so quando aggiornerò questa ff, perchè "La normanna e lo scozzese" avrà comunque priorità. Ho deciso di proporvi questo primo capitolo, così mi dite se l'idea vi piace e magari mi date suggerimenti o critiche. Aspetto i vostri commenti!! Un bacione

Iusip o Fly 87

PS: Nelle parti che riguardano i pensieri di Ryo, ci saranno molte parolacce e molto slang. Scusatemi per questo, ma il mio intento è quello di riprodurre il linguaggio di un Ryo diciannovenne, e non credo che il linguaggio di un ragazzo di 19 anni sia poi così raffinato...
Genere: Romantico, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kaori/Greta, Ryo Saeba/Hunter, Umibozu/Falco
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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RYO



È mattina.

Lo capisco dal chiarore che penetra dalle tapparelle abbassate a metà, ma anche e soprattutto dal suono prolungato e insistente di un oggetto infernale chiamato sveglia. La musichetta idiota del mio cellulare poggiato sul comodino dà man forte alla sveglia e mi penetra nel cervello direttamente dalle orecchie, dissolvendo gli ultimi residui di sonno e di pazienza. Odio essere svegliato.

Allungo la mano e con un gesto brusco spengo la sveglia. Poi afferro il cellulare e lo lancio contro la porta. Finalmente smette di produrre quella fastidiosissima melodia.

Tra l’altro ho sentito dire che organizzano tornei di lancio del cellulare, potrei partecipare qualche volta…
Mi sento un coglione a fare questi pensieri, ma il mio cervello ci mette un po’ per connettersi, la mattina.

Guardo l’orologio di Lupo Alberto attaccato alla parete. Segna le 7.30.
Che cazzo ci faccio sveglio alle 7.30, io che generalmente non mi alzo prima di mezzogiorno? Ci rifletto un attimo, poi mi ricordo che oggi è l’odiato “Primo giorno di scuola”.
Solo il nome farebbe paura. E per di più, essendo stato rimandato, dovrò cambiare classe, ritrovarmi in mezzo a bambocci più piccoli di me.

Speriamo solo che le ragazze siano fighe… mi potrebbero interessare anche le professoresse, ma visto che saranno presumibilmente le stesse dell’anno scorso, e visto che le professoresse dell’anno scorso erano, per usare un eufemismo, cesse…

Mi imbambolo a fissare le lancette che si muovono, tic-tac, tic-tac, ed è un rumore che odio perché mi dà la spiacevole sensazione che il tempo stia passando tra le mie dita, che inutilmente cercano di trattenerlo.
Mi alzo, mi tolgo i boxer e mi infilo nel box doccia. L’acqua ghiacciata mi strappa definitivamente dal torpore del sonno.

Poi mi vesto, un paio di jeans, una maglietta nera con le maniche corte, scarpe da ginnastica, giubbotto di pelle nero e i miei inseparabili Ray Ban. Mi guardo allo specchio. I capelli hanno bisogno di una sistematina. Mi riempio le mani di gel e me le passo tra i capelli, cercando di dar loro una forma. Dovrò tagliarli, sono troppo lunghi e folti, ma alle ragazze piacciono così, perché ci possono intrecciare le dita quando ci baciamo…

L’immagine che lo specchio mi rimanda è quella di un vero figone. Bene bene, il grande Ryo Saeba è pronto per la prima giornata di caccia, pardon, volevo dire di scuola.

La mia Yamaha R1 nuova di zecca mi aspetta nel garage. Il solo guardarla mi dà sempre un senso di potere. Adoro la sensazione del sibilo del vento che mi scompiglia i capelli, del paesaggio che mi scorre accanto velocissimo quasi come in un quadro futurista, della velocità che gradualmente aumenta, del contachilometri che sale vertiginosamente.

Scendo nel garage, monto in sella e metto in moto. Un rombo familiare ed eccitante accompagna questa operazione. Poi, con il telecomando, aziono la saracinesca e, senza nemmeno aspettare che si richiuda alle mie spalle, comincio ad accelerare, e via, filando veloce su questo asfalto grigio, sfrecciando tra macchine e biciclette, tra passanti che mi lanciano dietro bestemmie, e il mio medio alzato è l’unica risposta che si meritano.

Eccola, la scuola. È un edificio marrone, color merda, e io mi chiedo perché tra tutti i colori che ci sono l’abbiano dipinta proprio in marrone. Già gli studenti non hanno voglia di andare a scuola la mattina, se poi la scuola è color merda è davvero la fine…

Per un attimo l’idea di marinare mi passa per la mente… d’altronde l’ho fatto un migliaio di volte, ed è anche per questo che mi hanno bocciato. Ho stabilito un nuovo record: 200 assenze in un solo anno scolastico, e ancora ricordo i miei amici che, quando non avevano un cazzo da fare, sfogliavano il registro contando le mie assenze, che erano prontamente registrate e spesso aggiornate anche sulla bacheca della mia aula…

C’è davvero di che essere orgogliosi.

Ma oggi non ho voglia di fare filone.

Parcheggio la moto nel cortile, assicurandola ad un palo con una catena doppia quanto la mia mano. Poi entro nel tetro edificio, che odora di ospedale, e dopo cinque anni non ho ancora capito perché.

I poster delle università appesi alle pareti, foto sbiadite degli eroi nazionali, avvisi della segreteria, la lista dei nuovi libri che sono stati acquistati dalla biblioteca, tutto è uguale all’anno scorso.

Incontro il professore di filosofia, che non mi saluta nemmeno, e mi guarda con superiorità e con un sorrisetto che mi fa venire voglia di spaccargli la faccia. Mi trattengo, ma ho come la sensazione che all’uscita troverà una bella sorpresina alla sua Porche nuova parcheggiata proprio qui fuori…

La mia nuova classe è la 5^ A.
Non so dov’è, quindi lo chiedo ad una ragazza che passa nel corridoio. Lei balbetta, mi indica con il ditino tremante un’aula in fondo a destra, e capisco che ho fatto colpo ancora una volta. Sono davvero troppo figo, lo so.

Mi dirigo verso l’aula che la ragazza mi ha indicato, e la porta è chiusa. Per forza, sono quasi le nove e le lezioni cominciano alle 8.15.

Senza nemmeno bussare, apro la porta celeste, l’unico tocco di colore in tutto l’istituto, ed entro con strafottenza in classe.
La professoressa di inglese, una cicciona frustrata e frigida, mi guarda con cipiglio, ma io la ignoro.
Quei bastardi dei miei nuovi compagni hanno già scelto i posti, sono tutti seduti nelle ultime file, e a me rimane un posticino in prima fila, proprio davanti alla cattedra dei professori. Che stronzi.

Osservo la mia nuova classe. È uguale a tutte le altre, lavagna nera a muro, armadio, finestra senza tapparelle né tendine che a maggio si muore di caldo, banchi risalenti al dopoguerra con gomme da masticare appiccicate sotto, sedie piene di scritte che ti ritrovi stampate sul culo quando ti siedi, dato che chi le scrive non usa Uniposca indelebili come faccio io, ma comuni pennarelli a spirito.

Quindici paia di occhi sono puntati su di me. Osservo i miei nuovi compagni, squadrandoli uno ad uno. Sono quasi tutte ragazza. Bene così.

C’è una mora con i capelli lunghi che mi sta mangiando con gli occhi da quando ho fatto il mio teatrale ingresso. Non preoccuparti, baby, avremo tempo per conoscerci a fondo…

Un ragazzo biondo con gli occhi azzurri mi osserva con sfida. Accanto a lui è seduto un altro ragazzo, con i capelli color mogano. Lo osservo meglio, e mi accorgo che in realtà si tratta di una ragazza. Certo che è proprio insignificante rispetto alle altre, che indossano gonnelline e maglie scollate come piacciono a me.

Nella mia mente, affibbio un soprannome alla rossa: “Sugar Boy”. Indossa dei pantaloni larghi e un maglione sformato, e con quei capelli tagliati così corti assomiglia davvero ad un maschio.

Un gigante seduto sulla destra attira la mia attenzione. Indossa una tuta militare e porta gli occhiali da sole. È altissimo, e molto muscoloso. Certo che non è giusto, dopo tutte le paranoie che mi hanno fatto gli anni scorsi i professori perché portavo gli occhiali da sole a scuola, ora a questo gli permettono di tenerli perfino in classe…

Accanto al gigante siede una ragazza con i capelli scuri e lunghi. È davvero molto carina. Le faccio l’occhiolino, ma il suo sguardo rimane freddo. Forse è una tirona, o forse è già impegnata.

Altre due ragazze attirano la mia attenzione. Una è bionda con gli occhi verdi, ha un fisico statuario e sembra una modella. Non sarà difficile conquistarla…

L’altra ha i capelli castani e mi guarda anche lei con interesse. Ha un libro sul banco, e riesco a leggere il suo nome sull’etichetta in copertina: Reika Nogami. Questa me la faccio in un baleno…

Tutto sommato, a parte Sugar Boy, le ragazze della mia nuova classe sono tutte molto graziose. Ci sarà da divertirsi.

Non c’è che dire, quest’anno scolastico è iniziato proprio per il verso giusto…




PS: “Fare filone” dalle mie parti vuol dire marinare la scuola. Non so come si dice al Nord, sorry! Fly
  
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