Quando era piccola, molto piccola, sua madre l'aveva portata al Garment District.
Era rimasta molto stupita di fronte a quel tripudio di colori. Non riusciva a
capacitarsi che esistessero al mondo così tanti vestiti diversi.
A che serviva? Lei e la mamma avevano solo un paio di maglioni e camicie ciascuna, ed erano a posto così.
Chi sapeva che ci fosse una tale varietà di stoffe e modelli?, aveva
pensato affascinata.
Un altro bizzarro particolare aveva poi subito catturato la sua attenzione:
tutto, in quel negozio, ogni pantalone, camicia e gonna, aveva un rettangolino
di carta o di cuoio appuntato con uno spillo sull'orlo. Inspiegabile.
Aveva tirato sua madre per la manica, chiedendole perché i suoi abiti non
avessero quella cosa. La mamma aveva riso - all'epoca rideva ancora - e aveva
detto che i suoi non avevano l'etichetta perché quei vestiti appartenevano a
lei, Celia, mentre quelli del negozio erano nuovi e non appartenevano ancora a
nessuno. Sull'etichetta erano riportati il prezzo, la provenienza e altre
informazioni rivolte alle persone intenzionate ad acquistare quel prodotto, le
aveva spiegato con un sorriso tenero.
Era un episodio all' apparenza alquanto banale, eppure Celia non l'aveva mai
dimenticato.
Non molto tempo dopo, infatti, era avvenuto ciò che avrebbe irrimediabilmente
cambiato la sua vita.
Era iniziata come una sera come tante altre: avevano finito di
cenare prima del solito, e Celia non aveva alcuna voglia di andare a dormire. Così la mamma aveva pensato
di leggerle ad alta voce un racconto pubblicato sul giornale, che però, purtroppo, si era rivelato fin troppo dettagliato ed emozionante. Quando il cattivo si era
avventato sulla protagonista, Celia aveva urlato e i piatti impilati sulla tavola avevano dato un botto spaventoso, volando in aria e ricadendo a terra in un gran frastuono di cocci rotti.
Dopo quell' episodio, sua madre aveva smesso sia di sorridere sia di portarla
con sé quando usciva.
Passato un po' di tempo, aveva smesso di uscire lei stessa. Aveva barricato la
porta di casa come se si aspettasse l'arrivo di un tifone da un momento
all'altro, e a malapena le permetteva di sbirciare fuori dalle finestre.
Fino alla fine, Celia non era riuscita a capire se sua madre avesse paura di lei
o per lei.
Però... era evidente come i suoi occhi avessero preso a passarle attraverso...
come se non vedessero lei, sua figlia, ma un'altra persona.
Un' altra persona che, finalmente, Celia stava per incontrare.
L' aveva capito nell' istante in cui la mamma aveva iniziato a prepararla per uscire, per la
prima volta dopo tanto tempo, facendole indossare il suo cappotto migliore, quello estivo - anche se ormai le andava un po' stretto, ed erano in febbraio - e tentando persino di spazzolare quell'intrico inestricabile di riccioli che erano i suoi capelli. Lei era invece
rimasta in vestaglia e pantofole, l' abbigliamento consueto da mesi ormai, e come ultima cosa aveva
appuntato sul secondo bottone del suo cappotto la lettera che Celia le aveva visto scrivere e
riscrivere molte volte, la sera prima, tra i sussulti e i singhiozzi.
Nel consegnarla all' uomo che l'attendeva fuori dalla porta, la mamma aveva
fatto il gesto di sistemarle il cappello e le aveva sorriso. Era il primo
sorriso che le faceva da quando i poteri di Celia si erano manifestati, ma la
piccola non si sentì rasserenata.
Capì che era un addio. Anzi, l' aveva capito nell' istante in cui le era stato
appuntato quel rettangolo bianco sul cappotto.
Era come un reset. Da adesso, lei non apparteneva più a sua madre. Non era di
nessuno.
Sopprimendo un senso di angoscia, Celia si chiese cosa la sua "etichetta" raccontasse di lei, e se le informazioni in essa contenute sarebbero bastate a convincere quell' altra persona a prenderla con sé.