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Autore: Hotaru_Tomoe    16/09/2006    10 recensioni
Inuyasha ha scelto Kikyo. Sango è morta. Miroku si interroga sul perchè. Kagome torna nella sua epoca, ma si sente solo un guscio vuoto. Tristezza e dolore si intrecciano in questa storia... riuscirà la speranza a portare sollievo a queste anime tormentate?
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inuyasha, Kagome, Kikyo, Miroku
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimers: Inuyasha e i suoi personaggi non appartengono a me, ma a Rumiko Takahashi. Questa è solo una storia scritta da un’umile fan della serie.
Note: anche questa è una ripubblicazione di una mia vecchia fic che stava su Inuyasha no Uchi. Ho deciso di tenere anche la premessa che feci all’epoca (quando ancora non sapevo gli ultimi sviluppi della storia). E’ una cosa di cui ero convinta all’epoca e di cui resto convinta tutt’ora. L’unica cosa è che ho cambiato la terza e ultima parte della fic: all’epoca feci un finale semi-consolatorio del quale non fui mai del tutto soddisfatta, quindi se possibile, ora l’ho resa ancora più triste e malinconica.

Premessa: credo proprio che questa ff necessiti di una piccola introduzione. Di una giustificazione, se volete. Infatti sono sicura che a molti di voi non piacerà. Perché Inuyasha e Kikyo si mettono insieme. E ci restano. Intendiamoci: a me Kikyo non piace molto come personaggio; però nella mia ff la faccio mettere con Inuyasha, a pensarci bene è un controsenso. Vedete, recentemente mi è successa una cosa che mi ha fatto riflettere. La maggior parte di noi sperano con tutto il cuore che alla fine Kagome e Inuyasha si mettano insieme, lo desideriamo davvero e se alla fine non accadesse, sono certa che ci rimarremmo tutti molto male, me compresa. Urleremmo che non è giusto e ne discuteremmo per mesi. Ma non sempre le cose vanno come noi vogliamo. Anzi, la maggior parte delle volte questo non avviene. Per quanto ci impegniamo, costruiamo, progettiamo, spesso le cose vanno in un modo molto diverso da come ci aspettiamo e non possiamo farci più niente. Possiamo solo prendere atto di ciò che è avvenuto e agire di conseguenza, andare avanti, o perlomeno provarci. E’ di questo che parla questa ff, tutta incentrata sulla figura di Kagome. L’ho chiamata “Death and Rebirth” come uno dei film di Evangelion, perché parla dei vari stati d’animo che attraverserà Kagome, a partire da un iperconcentrato di angst. Altra avvertenza: molti resteranno delusi anche perché questa ff può sembrare poco concreta. In effetti non succede molto, non ci sono colpi di scena ed è molto lenta, è soprattutto mentale. Ho preso ispirazione da Hideaki Anno, di cui ammiro molto le lunghe riflessioni, i vuoti corridoi delle scuole, le strade silenziose, i semafori lampeggianti, da Hiroyuki Asada, l’autore di Generation Basket, anch’egli bravissimo nelle riflessioni interiori, da Banana Yoshimoto, che è la mia autrice preferita.

Ok, credo di avervi annoiato a sufficienza. Normalmente non chiedo mai espressamente delle recensioni, lascio che siate voi a decidere se lasciarmi detto qualcosa, ma in questo caso ci terrei davvero a sapere cosa ne pensate, perché penso che questa sia la fic più intensa che sia mai uscita dalla mia testa e anche volete semplicemente mandarmi a Quel Paese per aver fatto mettere insieme Inu e Kikyo, fatelo senza timore, leggerò tutti i vostri messaggi molto volentieri ^^



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MEMORIE DI KAEDE
Kaede ripose con cura l’ultimo mazzetto di erbe medicinali nel canestro di vimini e si raddrizzò con una smorfia, massaggiandosi le reni doloranti. Si diede dei piccoli colpetti sulla spalla destra col pugno e si alzò cautamente, scrollando via la terra dal suo kimono rosso e bianco da miko. Stava proprio invecchiando, si disse. Anche restare inginocchiata una ventina di minuti nell’orto a raccogliere erbe medicinali le causava dolori reumatici un po’ dappertutto. Di solito qualche bambina del villaggio le dava una mano, ma in quel momento nessuno poteva aiutarla. Erano tutti troppo occupati. E anche lei, non poteva cero perdere tempo a riflettere sul tempo che passava e sugli anni che si andavano accumulando pesanti sulle sue spalle. Bisognava pensare ai feriti. E dopo l’ultima battaglia, la battaglia decisiva contro Naraku di feriti ce n’erano parecchi. Avvicinandosi al villaggio semidistrutto, poteva udire i gemiti e i lamenti di chi era rimasto ferito, i pianti dei bambini, i colpi di martello e accetta di chi cercava di rimettere in piedi la propria casa, le imprecazioni di chi cercava di recuperare i propri averi dalle rovine bruciate. Kaede si ritirò nella sua capanna, miracolosamente intatta “Chissà, forse qualche Kami mi ha protetta.” si disse, sedendosi di fronte al fuoco. In un piccolo mortaio mise erbe e semi dai colori sgargianti in proporzioni diverse, poi iniziò a pestarle con un piccolo pestello di legno consunto e verde all’estremità che aveva pestato erbe medicinali per più di 50 anni. Se quel pestello avesse posseduto un’anima, sarebbe stato un ottimo curatore, più esperto di molti dottori. Dopo qualche istante, Kaede si fermò e sospirò tristemente: com’era vuota e silenziosa la sua capanna, ora. Eppure, fino a qualche giorno prima era piena di sole, di gioia, di allegria. Improvvisamente, diafane e trasparenti, apparvero le sagome dei compagni di avventura che spesso si erano riuniti lì a discutere o a rilassarsi. L’hanyou Inuyasha, il monaco buddista Miroku, Sango la sterminatrice, Shippo, il piccolo demone volpe e la dolce Kagome, dal sorriso lieve e gentile. Incredibile come quello stato di cose, che ai suoi stanchi occhi sembrava immutabile, fosse stata sconvolto, distrutto, annichilito nel giro di poche ore. Era stato sconvolgente, come una antica montagna che sparisce in un istante, il tempo di abbassare le palpebre, rialzarle e la montagna si è dissolta nel nulla senza lasciare traccia. Kaede scosse la testa e si rimise a rimestare con energia le erbe nel mortaio. Con scarsi risultati, però. Volente o meno, i suoi pensieri non potevano fare a meno di tornare sui fatti appena accaduti, come una mosca che, seppur scacciata di continuo con fastidio, torna dove sente odore di cibo. La vecchia miko posò il mortaio: con quel ritmo non avrebbe mai fatto un unguento decente. Rabbrividì leggermente (il vento autunnale freddo e insinuante penetrava attraverso la leggera tenda di carta di riso) e ravvivò il fuoco, appoggiando la schiena al muro di legno.

Chiuse gli occhi e si concentrò meglio sugli ultimi avvenimenti: la battaglia decisiva con Naraku era giunta improvvisa, inaspettata e aveva colto tutti alla sprovvista. Due giorni prima Inuyasha aveva sconfitto Renkotsu, l’ultimo degli Shichinin-tai e gli aveva sottratto il suo frammento di sfera degli Shikon. Erano al villaggio, proprio in quella stessa capanna a bere brodo di miso bollente e a discutere il da farsi: quello era l’unico frammento in loro possesso e questa volta avrebbero dovuto fare di tutto per conservarlo. Poi, fuori dalla capanna, qualcuno aveva urlato. Inuyasha era uscito immediatamente ed era stato travolto dal nero miasma di Naraku. Egli mostrò loro, con sorriso di sfida, la sfera: era quasi completa, mancava solo il frammento che Kagome stringeva tra le mani; restò lì, sospeso a mezz’aria, mentre i suoi orrendi demoni seminavano il panico fra gli uomini del villaggio. Dopo un momento di iniziale smarrimento, Miroku e Inuyasha accorsero in aiuto dei contadini, Sango, invece, restò a fissare Naraku, come pietrificata. Kaede non capì subito questo suo comportamento, non comprendeva perché la sterminatrice non muovesse un dito. Kagome invece, capì subito Cara, dolce Kagome, sempre così attenta e premurosa nei confronti degli altri e posò una mano sulla spalla dell’amica: “Sango_chan, mi dispiace, dal più profondo del cuore.” Già, se la sfera era completa, questo significava solo una cosa: Naraku aveva posto fine alla vita di Kohaku, privandolo del frammento. “Non importa, Kagome_chan” rispose Sango, continuando a fissare il vuoto davanti a sé, con una voce che pareva ancora più vuota. “Kohaku… lui era già morto, è morto in quel castello.”
“Ma come puoi dire una cosa del genere?” Kagome, con gli occhi pieni di lacrime, scosse l’amica, ma Sango non reagì, continuando a mormorare che, ormai, non aveva più importanza.
“Alla fine, utilizzare quel moccioso è stata solo una perdita di tempo. Non ha mai obbedito ciecamente ai miei ordini e non è mai servito davvero per farvi cadere in trappola. Avrei dovuto disfarmi di lui parecchio tempo fa.” Disse il demone con tranquillità e poi osservò che effetto avevano avuto le sue parole sulle due ragazze.
Kagome esplose di rabbia e dolore: “QUESTA VOLTA NON LA PASSERAI LISCIA!” e corse dentro la capanna a prendere arco e frecce. In quel momento, Sango prese la sua decisione. Sapeva bene che contro Naraku non aveva speranza ma giunta a quel punto, probabilmente, la cosa non aveva davvero più alcuna importanza per lei. Impugnò hiraikotsu e si lanciò contro il nemico, agile e veloce come sempre. Leggera come una cerbiatta che salta con disinvoltura in un intricato sottobosco. Kaede non ebbe il tempo di capire cosa stesse facendo la ragazza e quindi non riuscì a trattenerla. Miroku le gridò disperatamente di fermarsi, ma lei non si voltò nemmeno. Sango scomparve nella nuvola di miasma di Naraku. Kagome, uscita dalla capanna in quel momento, per l’orrore si sentì mancare e lasciò cadere a terra il frammento di sfera. Alle sua spalle, impalpabile e silenziosa, si materializzò Kanna, che raccolse con disinvoltura il frammento di sfera e si avvicinò tranquilla a Naraku per consegnarglielo. Non c’era ombra di gioia o trionfo nei suoi occhi senza vita: completare la sfera degli Shikon era una cosa del tutto normale, per quel piccolo, bianco demone. A Kaede ricordò una donna che raccoglieva da terra un fazzoletto sporco caduto per caso e, con fare distratto, se lo rimetteva in tasca.
D’improvviso la vecchia miko si scosse dal torpore: cosa diavolo stava facendo Inuyasha? Lo cercò con lo sguardo e lo vide accerchiato da orde di demoni: per quando usasse il kaze no kizu, i demoni continuavano a piombargli addosso da tutte le direzioni; Miroku, per via degli shaiymiosho non poteva usare il kazahana, inoltre, dopo aver visto scomparire Sango, era molto distratto e i demoni stavano prendendo il sopravvento sul monaco. Kagome era ancora svenuta e Kanna stava per posare il frammento nella mano di Naraku. “Inuyasha, fa qualcosa, la sfera non deve essere riunita!” Con uno sforzo immane, Inuyasha si lanciò contro Naraku, Tessaiga rosseggiò e aprì con facilità la barriera del suo avversario, ma era troppo tardi. Non appena Naraku ebbe posato il frammento al suo posto, la sfera emanò una potente luce violetta, mille volte più intensa di quando era andata in mille pezzi. Quel colore assurdo e innaturale invase ogni angolo del villaggio e della foresta, disegnò sul terreno ombre talmente nere e nette che sembravano disegnate da un pittore di scarso talento. Una colonna di luce si levò in cielo, trafiggendo e fugando le nubi. Inuyasha ingaggiò una lotta corpo a corpo con Naraku, per impedirgli di utilizzare la sfera e diventare un demone completo, ma gli altri demoni non restarono a guardare e gli piombarono alle spalle. Nel frattempo, Shippo era riuscito a rianimare Kagome e la ragazza iniziò a scoccare le sue frecce: Kanna fu la sua prima vittima, poi toccò ai demoni che avevano immobilizzato Miroku e poi a quelli attorno a Naraku e Inuyasha. La forza purificatrice dei suoi dardi dissolse rapidamente tutto il miasma circostante: sembrava che una bocca gigantesca avesse soffiato via dei granelli di polvere, tanta fu la facilità e la rapidità con cui quella nuvola maligna sparì. Ma Naraku e Inuyasha erano troppo vicini, la ragazza non si azzardava a scoccare la freccia,aveva troppa paura di colpire il mezzo demone.
“Che sciocca sei.” Aveva detto una voce calma ma annoiata alla sue spalle. Kaede si voltò: era sua sorella Kikyo, attorno a lei ronzavano i suoi demoni leggeri e malinconici. Probabilmente era stata richiamata dal completamento della sfera e ora avanzava a passo sicuro verso il cuore della battaglia. “Sta indietro, Kikyo – esclamò Kagome, evidentemente a disagio – se ti avvicini troppo, Inuyasha si distrarrà e rischierà la vita.”
“Sta già rischiando la vita: da solo non può farcela, ma tu non ti decidi a scagliare la freccia. Hai forse paura di fallire?” chiese Kikyo in tono arrogante.
Kagome appariva sempre più insicura: “Certo che ho paura: se accadesse qualcosa a Inuyasha non me lo perdonerei mai!”
“Perché ti comporti così, sorella mia? In questo momento c’è bisogno dell’aiuto di tutti. Perché stai mettendo Kagome in difficoltà?” Davvero Kaede non capiva. Non capiva più la sorella, da quando si era ridestata sottoforma di fantoccio di cenere e terra.
“Bè, in ogni caso non potresti fare niente – disse Kikyo – Mi sembra di avertelo già detto una volta: l’unica persona al mondo che può sconfiggere Naraku sono io.” E riprese ad avanzare verso Inuyasha e Naraku. Entrambi erano esausti e ricoperti di ferite. Con un cenno lieve della mano esile e minuta, Kikyo arrestò i suoi demoni, poi chiamò “Onigumo.”
Inuyasha e Naraku si bloccarono all’unisono. “Kikyo, cosa stai facendo? Scappa o Naraku ti ucciderà!” gridò il mezzo demone. Kikyo non mostrava di aver udito le sue parole e restava ferma ad osservare l’uomo che indossava la pelliccia di babbuino. “Sei stanca di vivere, sacerdotessa? – chiese Naraku in tono sprezzante – allora ti accontento subito.” In un attimo era di fronte a lei e le afferrò saldamente la gola. Kikyo si limitò a ripetere “Onigumo”. Per una frazione di secondo, solo per un attimo, Naraku esitò: i demoni che componevano il suo corpo tacquero e la coscienza del brigante Onigumo emerse. Per un attimo soltanto. E Kikyo ne approfittò. Toccò la sfera che Naraku stringeva fra le mani e sul suo viso apparve un piccolo sorriso crudele: “Questa sfera fu affidata a me 50 anni fa: nessuno al mondo la conosce quanto la conosco io. Nessuno, neppure tu, sei in grado di usarla bene come me.” Una bianca luce abbagliante, come il sole di mezzogiorno che si riflette sulla neve immacolata della montagna più alta, avvolse e disintegrò Naraku fra urla strazianti. Alla fine c’era solo Kikyo in piedi al centro di un grosso cerchio di terra annerita e bruciata. Inuyasha si avvicinò piano a lei, per sincerarsi delle sue condizioni. “Sto bene.” Disse, prima che il mezzo demone potesse aprire bocca. Poi Kikyo si voltò solennemente verso di lui e gli posò la sfera nel palmo della mano aperta.
“Che significa?” chiese Inuyasha, aggrottando la fronte. Intanto anche Kagome, Miroku e Kaede si avvicinarono ai due. Kagome, molto premurosamente, strinse il suo foulard rosso attorno ad una profonda ferita che Inuyasha aveva sull’avambraccio. Lui le aveva ripetuto tante volte, fino alla nausea che non ce n’era alcun bisogno, che le sue ferite guarivano subito, ma lei non aveva mai potuto fare a meno di preoccuparsi e di medicarlo ed era così anche questa volta. Fino a quell’istante sembrava che nulla fosse mutato. Ma non era così. Nessuno dei presenti riusciva ad afferrare ancora chiaramente cosa fosse avvenuto, ma Naraku era stato sconfitto, di conseguenza molte cose erano destinate a cambiare.
“Cosa significa? – ripeté Kikyo – Ad essere sinceri non lo nemmeno io. La sfera avrebbe dovuto perdere tutti i suoi poteri e scomparire con Naraku. Invece ha ancora del potere, e parecchio. In effetti sembra molto più potente di quando la custodivo io. Non so spiegartene la ragione. Forse perché i vari frammenti hanno assorbito potere da molti demoni, forse perché è stata nel corpo di questa ragazza – rivolse a Kagome un breve cenno con la testa – non lo so davvero. Fatto sta che la sfera è ancora attiva. Per te è una fortuna, Inuyasha , perché puoi realizzare il tuo desiderio.”
Il mezzo demone restò a fissare a lungo la piccola sfera iridescente. Kaede si chiese a cosa stesse pensando, ma il suo sguardo era imperturbabile. Poi, senza nessun preavviso, aveva preso la mano di Kikyo e l’aveva posata con delicatezza sulla propria: “Allora, desidero che tu torni alla vita.” Così aveva detto.

“Kaede, è pronto l’unguento?” Kikyo si affacciò sulla porta, scostando la tenda.
“Ah, sei tu, sorella.” Kaede riemerse dai suoi pensieri.
Kikyo le sorrise con dolcezza: “Sei molto stanca, vero? Avrei dovuto pensarci, scusami. Finisco io di preparare.”
“Ma no, che dici! Anche tu sarai stanca, è tutto il giorno che curi i feriti.” Kaede non riusciva ancora a crederci, ma ora Kikyo aveva nuovamente un corpo umano. Non più cenere e fango, ma ossa, carne e sangue. Respirava e si muoveva senza più l’ausilio delle anime delle donne morte. Era tornata alla vita: tale era la forza prodigiosa della sfera degli Shikon. Kaede la osservò in silenzio, mentre pestava con energia le erbe: era esattamente come la ricordava, ma stavolta sarebbe vissuta e invecchiata come tutti. Già, ma cosa avrebbe fatto? Sarebbe rimasta in quel villaggio con Inuyasha? Oppure se ne sarebbero andati via, per ricominciare una nuova vita? Però lui era ancora e sarebbe restato per sempre un mezzo demone: dopo aver ridato la vita a Kikyo, la sfera degli Shikon si era polverizzata e mentre i suoi granelli venivano sparsi dal vento, luccicavano come le stelle della via lattea. Troppe domande erano ancora senza risposta. Era molto strano riavere sua sorella maggiore… in quel modo poi! Chissà se si sarebbe mai abituata. “Dimmi sorella, posso fare qualcosa?”
Kikyo inclinò impercettibilmente la testa da un lato: “Sì: servono delle bende pulite.”
Kaede si alzò e uscì all’aria aperta: novembre avanzava rapido e bisognava affrettarsi a ricostruire il villaggio, prima che cadesse la prima neve. Si avviò verso il fiume, dove le ragazze più giovani stavano lavando e facendo asciugare le bende. Se ci fosse stato Miroku_sama, le avrebbe sicuramente importunate. Ma Miroku non era lì in quel momento.
Dopo aver preso una grande quantità di bende pulite, si girò per tornare al villaggio, quando dalla cima della collina comparve Kagome col suo gigantesco zaino giallo. A Kaede si strinse il cuore: povera ragazza, non poteva neanche immaginare come si sentisse. Era pallida, quasi cadaverica, con occhiaie profonde, i capelli in disordine, i vestiti trasandati, lei che di solito era ordinata e pulita in maniera impeccabile. Sembrava anche molto dimagrita. “Ho portato delle medicine per i feriti.” Disse semplicemente.
Per quanto potesse essere freddo il vento di novembre, non era nulla in confronto al gelo che attanagliava il cuore della giovane.

PENSIERI DI KAGOME
Kagome si issò sul bordo del pozzo con grande fatica. E non per il peso del suo zaino: alcool, garze e cotone emostatico erano molto più leggeri della enorme quantità di libri e provviste che si trascinava dietro di solito. Eppure le ci volle un bel po’ per uscire da quel pozzo. Di solito, a quel punto, dal nulla compariva Inuyasha che la sollevava con la maniglia dello zaino e borbottava: “Ma quanta roba hai messo lì dentro?” Ma Inuyasha non l’avrebbe più aiutata a portare il suo pesantissimo fardello, non l’avrebbe più stuzzicata con le sue battutine velenose, non l’avrebbe più difesa con Tessaiga, non avrebbe più pronunciato il suo nome. Un tempo, queste riflessioni l’avrebbero fatta scoppiare in un pianto dirotto, ma ora sentiva solo una grande amarezza in fondo al cuore, ma un’amarezza arida, asciutta, senza lacrime e senza speranza. “Desidero che tu torni alla vita” le parole pronunciate da Inuyasha guardando Kikyo dritto negli occhi continuavano a rimbombarle nella testa, a Kagome sembrava quasi di udirle sul serio attorno a sé: era come se una band di heavy metal avesse rivolto potenti altoparlanti in tutte le direzione che diffondevano in continuazione quelle parole crudeli.
Inuyasha aveva fatto infine la sua scelta. Dopotutto quel triangolo non sarebbe mai potuto durare in eterno, era destino che prima o poi quel fragile equilibrio si spezzasse e qualcuno ne soffrisse. Ma lei era stata sciocca, molto sciocca a sperare. Inuyasha aveva già fatto la sua scelta da tanto tempo: da quando aveva urlato a Kikyo, in quella notte di luna piena, che non l’avrebbe mai lasciata a Naraku e che sarebbe morto con lei. O forse, l’aveva deciso già da prima, da quando la sacerdotessa aveva posato le sue fredde labbra morte su quelle del mezzo demone. O forse da prima ancora. Forse Inuyasha non aveva mai avuto dubbi e quindi la sua non poteva dirsi una scelta vera e propria: dall’inizio egli sapeva cosa fare. L’unica che si era illusa di essere in ballottaggio era lei, Kagome. Non provava alcun risentimento nei confronti di Inuyasha, né poteva dire che si fosse comportato male con lei: le aveva mandato numerosi segnali e lei non aveva voluto cogliergli. Sì, in fondo era stato onesto.
Si avvicinò al villaggio con passo lento, di malavoglia: quando Inuyasha aveva rinunciato a usare la sfera per sé e l’aveva usata per ridare la vita a Kikyo ˜ Desidero che tu torni alla vita ˜ lei si era semplicemente voltata e se n’era andata, aveva attraversato il pozzo e aveva passato la notte nel tempietto di casa sua. Curiosamente non aveva pianto: era stata tutta la notte sveglia in attesa delle lacrime che non erano arrivate. Eppure, lei aveva amato Inuyasha, allora perché ora non riusciva a piangere, né di dolore, né di rabbia? Quel fatto strano la tormentava più di aver perso Inuyasha. L’unica cosa che provava nei confronti del mezzo demone, ora come ora, era una sensazione vaga di distacco, ma tutto le sembrava così irreale, come un sogno o un incubo generato da una potente droga sintetica. Da quel “punto di rottura” non aveva più messo piede nell’epoca Sengoku, fino a quel momento. Giunta al margine del villaggio si imbattè in Kikyo che stava medicando una donna ferita ad una spalla. Non la guardò in viso, arrivò a guardare le punte dei lunghi capelli neri della sacerdotessa, ma non riuscì ad alzare lo sguardo più di così. Però si sentì confusa, imbarazzata, quasi colpevole, anche se non sapeva assolutamente di cosa, e cambiò strada. In realtà vagò per il villaggio senza meta, senza quasi udire i lamenti dei feriti. Una nuova, bizzarra sensazione si era impadronita di lei e Kagome la stava analizzando scrupolosamente: Io qui sono un’intrusa era ciò che si ripeteva in continuazione da quando aveva incontrato Kikyo Io non appartengo più a questo luogo, a questo tempo. Può darsi che un tempo lontano io gli sia appartenuta, ma ora non più. Io qui sono un’intrusa. Come un seguace dell’hip hop che entra per sbaglio in un teatro dov’è in corso un balletto classico o un’opera lirica: Kagome provava lo stesso senso di disagio e di non-appartenenza.
“Tu” Kikyo l’aveva raggiunta.
Kagome si voltò lentamente e questa volta la guardò dritta negli occhi. Che strano, appariva nervosa: lei, di una calma quasi innaturale, era apertamente inquieta. Ma certo, ora non era più un vacuo simulacro, l’imitazione di una persona, era tornata ad essere una persona vera, un essere umano con tutto il suo carico di angosce e paure. Kagome si sorprese ancora una volta: un tempo le avrebbe augurato di poter patire ogni sorta di dolore e orrore, ma in quel momento non la odiava, era solo un po’ irritata perché Kikyo l’aveva chiamata come si chiama un cane: “Ho un nome, sai? Mi chiamo Kagome. Tu però non mi chiami mai per nome.”
Kikyo si morse le labbra: “Cosa sei venuta a fare? Se cerchi Inuyasha, non c’è. E’ andato da Jinenji a prendere delle erbe medicinali.”
“Ho portato qualcosa per i feriti.” L’orto di Jinenji… quanti ricordi! In quel luogo Kagome aveva forse condiviso il momento più bello con Inuyasha. Lui le aveva rivelato il suo passato infelice e la sua tristezza. Un ago acuminato e bruciante le trafisse il cuore. Ma anche questo apparteneva a un passato remoto. La stessa epoca Sengoku era un passato lontano che con lei non aveva nulla a che spartire.
“Ecco… ti ringrazio per le medicine, ma riguardo a Inuyasha è inutile che tu continui a cercarlo. Hai visto con i tuoi occhi e udito con le tue orecchie: lui ormai ha scelto me.” Kikyo era sulla difensiva.
“Lo so bene. L’unica che non ne sembra esserne convinta sei tu.” Kagome sentiva la sua voce lontana, come se la sua anima fosse dissociata dal suo corpo e galleggiasse lì vicino, senza curarsi troppo della conversazione fra le due ragazze.
Kikyo sussultò, colpita nel vivo. Kagome abbandonò lo zaino per terra, si voltò e se ne andò “Addio.” A quanto pare, le restava almeno una piccola consolazione: Kikyo non era sicura dei sentimenti che Inuyasha nutriva per lei, altrimenti non le avrebbe rivolto quella assurda minaccia. Avrebbe vissuto per sempre tormentata da quel piccolo tarlo: ogni volta che Inuyasha le avesse sorriso, parlato , guardato negli occhi, Kikyo non avrebbe potuto fare a meno di chiedersi se, nel profondo del cuore del mezzo demone, non aleggiasse ancora l’ombra di Kagome. Buffo, si disse, le parti sembrano essersi invertite. Improvvisamente le scappò una timida risata: non che si sentisse felice o gioiosa, no, no, per carità. Solo si mise a ridere in modo quasi isterico, senza alcun motivo. Questo Kagome non lo avrebbe mai fatto. Ma che sto dicendo? Sono io Kagome.
Smise subito di ridere Chi sono io? Io ero la reincarnazione di Kikyo, ma adesso che Kikyo è tornata in vita, chi sono io? Sono mai stata qualcosa? Potrò essere qualcosa in futuro? si guardò la punta delle scarpe, le gambe snelle avvolte nei pesanti calzettoni di lana, le braccia e le mani: era convinta che da un momento all’altro si sarebbe dissolta in una miriade di particelle luccicanti, come la sfera degli Shikon.
Cosa resta di Kagome se le togliamo Kikyo? Sembra uno di quegli esempi che faceva la sua maestra delle elementari: “Se in una cassa ci sono 5 mele e ne togliamo 3, quante mele restano?” Già, cosa resta del mio animo, della mia persona? Sento che qualcosa è finito, è perso irrimediabilmente: una volta che un frana si distacca dalla montagna, è per sempre, non si può pensare di rimettere la terra dove stava prima, ripiantare gli alberi e spargere le pietre sul terreno. Però… io… cosa sono io adesso?
Il freddo vento di novembre spazzò con forza la collina, dall’erba ormai secca, ingiallita, morta. Me ne vado davvero così? Senza aspettare Inuyasha? Voglio parlargli… o forse no… devo farlo? Niente e nessuno aveva una risposta per lei e Kagome era troppo, troppo stanca per riflettere e restò così, in piedi nel prato, lasciando che il vento gelido le arrossasse le guance.

   
 
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