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Autore: fede15498    07/02/2012    5 recensioni
Questa è la mia prima fic in assoluto, quindi siate buoni con me!
La storia parla di un ragazzino del liceo che si è appena trasferito in una nuova città. Tutto sembra andare bene,ma un giorno gli arriva una "strana" telefonata...
Genere: Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ANGOLO DELL'AUTORE: Questa storia è nata come un compito che mi ha dato il mio prof per le vacanze di natale, quindi se avete potuto leggere questa fic dovete ringraziare (o picchiare, dipende dai punti di vista) il mio prof di italiano xD Ringrazio in anticipo tutti quelli che commenteranno, anche se per dire qualcosa di negativo (ma non siate troppo cattivi perchè mi sono impegnata davvero tanto per scrivere questa fic). Infine vorrei dire un grazie speciale a lisacandypop, che è la mia compagna di banco, spero che leggerai questa storia! XP un'ora

UN’ORA

Quella mattina, quando aprii gli occhi, sapevo già che sarebbe stata una giornata orribile: quel giorno sarebbe stato il primo nella nuova scuola dopo il trasferimento. 

Io e la mia famiglia eravamo venuti a vivere a Duncan, un paesino nella contea di Greenlee in Arizona, al confine col New Mexico. Prima vivevamo in Inghilterra, ma poi mia madre è morta e noi c’eravamo trasferiti in questa cittadina microscopica. 

Popolazione, 1690 abitanti: stupendo!

Mi alzai e andai ad aprire la finestra; il caldo era tremendo nonostante fossero soltanto le sette di mattina e il paesaggio era deprimente: il deserto si estendeva ovunque intervallato ogni tanto da qualche casetta o da un cactus. 

L’unica vegetazione presente erano piante grasse e di animali non ce n’era l’ombra fatta eccezione per un avvoltoio appollaiato su un palo della luce, cosa che esprimeva alla perfezione il mio stato d’animo. 

Infastidito dal caldo, chiusi la finestra e scesi in cucina per fare colazione; qui trovai la mia sorellina intenta a spalmare la nutella sul pane. 

"Dov’è papà?" le chiesi. 

"È già uscito, e ha detto che mi devi portare tu a scuola" rispose, poi mi mostrò la lingua sporca di cioccolato. 

Dopo esserci preparati, uscimmo di casa e ci dirigemmo verso la mia macchina. 

La scuola elementare era un grosso edificio molto vecchio, una scalinata conduceva al portone d’ingresso e la facciata era piena di finestre che si affacciavano nelle varie aule. 

Davanti c’era una piccola pizza piena di bambini e genitori che aspettavano l’inizio delle lezioni. Ad un certo punto un bimbo di circa nove anni venne a sbattere contro il mio zaino e cadde a terra 

"Lucas, stai attento!" gli urlò un ragazzo dietro di lui, poi si rivolse a me: 

"Scusalo, è una piccola peste!" 

"Oh, non c’è problema" dissi aiutando il bambino ad alzarsi. 

"Io sono Nicolas Ross e lui è mio fratello Lucas, voi siete Peter e Cameron Hale, giusto?" rimasi a bocca aperta e lui scoppiò a ridere. 

"È una piccola città; dei nuovi arrivati fanno scalpore: di solito la gente non viene qui, se ne va." 

Nei dieci minuti seguenti Nick ed io continuammo a parlare: era davvero simpatico; scoprii che veniva nel mio stesso liceo, che poi era l’unico in paese, così quando Cammie e Lucas entrarono, ci dirigemmo insieme verso la scuola. 

La “Duncan High School” era formata da un insieme di palazzine che, complessivamente, erano grandi circa un quarto della mia vecchia scuola. 

La prima cosa che notai era che tutti continuavano a fissarci, forse perché ero nuovo, e la cosa mi dava un fastidio tremendo: non sopportavo di stare al centro dell’attenzione. 

La giornata passò tranquillamente, sicuramente meglio di quanto avessi immaginato, così come i mesi successivi. 

In fondo quella cittadina non era poi tanto male: non pioveva mai, le giornate erano lunghe e l’aria era pulita; inoltre avevo conosciuto moltissime persone, è proprio vero che in un piccolo paese tutti conoscono tutti! 

La tranquillità però, non durò a lungo: un giorno, mentre ero in macchina con Nick, mi arrivò una telefonata. 

"Pronto?" risposi e misi il vivavoce, così da non dover tenere in mano il telefono mentre guidavo

"Ciao, James" disse la persona al telefono. Sgranai gli occhi e inchiodai di colpo, Nick stava per dire qualcosa, ma io gli tappai la bocca.

"Che c’è James, sei sorpreso? Eppure ti avevo detto che vi avrei trovato!" il terrore s’impossessò di me: avrei riconosciuto quella voce roca e fredda anche a chilometri di distanza; un brivido mi percorse la schiena. 

"C..c..cosa vuoi da me?" l’uomo dall’altra parte iniziò a ridere sguaiatamente, poi disse:

"Gioca con me: ti do un’ora per trovarmi. Se non lo farai, Annie morirà; vai a casa tua, lì troverai un indizio. Non osare chiamare la polizia, tengo sotto controllo il tuo telefono e anche quelli dei tuoi amici, quindi non provare a fare il furbo" dopo aver detto questo, riattaccò. 

Terrorizzato, provai a chiamare mia sorella, ma il telefono era spento, così ripartii e mi diressi a tutta velocità verso casa; 

"P..Peter, che succede? Chi è Annie e perché quell’uomo ti chiamava James?" Nick sembrava davvero sconvolto, così decisi di raccontargli tutto, tanto ormai il danno era fatto. 

Gli spiegai che mia madre era stata uccisa da un uomo che era riuscito a scappare e che io avevo assistito all’omicidio, per questo la mia famiglia ed io eravamo stati inseriti nel “programma protezione testimoni” e avevamo dovuto cambiare nome e casa, e distruggere tutto quello che ci legava alla nostra vecchia vita. Purtroppo non aveva funzionato, infatti l’uomo che poco prima aveva chiamato era l’assassino. 

"Perciò Annie è tua sorella ed è stata rapita" la voce gli si spezzò sull’ultima parola. Finalmente arrivammo a casa mia e trovammo la porta aperta, ma senza segni di effrazione: quell’uomo era bravo. 

Ci mettemmo subito a cercare l’indizio e lo trovammo dopo pochi minuti, era un foglietto che era stato lasciato sulla scrivania insieme ad una chiave che non avevo mai visto in vita mia. 

Sopra c’erano scritti dei numeri romani: XV, XXVI, XLV, LXI, LXXXVII, XC, CX, CXLII, CLVII, CLXXXIII. 

"Sono numeri romani, e corrispondono a 15, 26, 45, 61, 87, 90, 110, 142, 157, 183" dissi, ma non riuscivo a capire cosa significassero e considerando la sua faccia confusa, neanche Nick; ma c’erano altre cose che non riuscivo a capire: perché scrivere in numeri romani, infondo mi ci erano voluti solo pochi minuti per decifrarli, e a cosa serviva la chiave? 

Poi finalmente capii: "Chiave in latino si dice “clavis”!" esclamai. 

Nick mi guardò come se fossi impazzito, così continuai: 

"Avevo un libro che si intitola così, lui lo sa: me lo aveva rubato dopo aver ucciso mia madre! Scommetto che è qui da qualche parte." Lo trovò Nick poco dopo: era nella libreria. 

"Vai a pagina quindici, qual è la prima parola?" gli chiesi. 

"Mappa" rispose. 

"E a pagina ventisei?"

"Idea" andammo avanti così per tutti i numeri, poi prendemmo la prima lettera di ogni parola e le unimmo 

"Mike Gorrap. È il nome di una via, vero?" Nick annuì. 

Mancavano solamente dieci minuti allo scadere del tempo, così ci mettemmo a correre verso la macchina. 

Mike Gorrap Street era una via isolata, in fondo c’era un grande cancello che lo rendeva un vicolo cieco e ai lati c’erano delle case diroccate, probabilmente era un quartiere malfamato. 

Lui era lì e c’era anche Annie; l’aveva legata e imbavagliata, in modo da non farla scappare o chiamare aiuto; appena mi vide iniziò a ridere 

"Ce l’hai fatta James! Per un pelo, sei stato proprio bravo! Peccato che tu ora debba morire" un sorriso minaccioso gli si dipinse sulle labbra. 

"Pensi davvero che io sia così sciocco da venire impreparato? Mi hai davvero deluso!" esclamai, poi tirai fuori una pistola dalla tasca posteriore dei pantaloni e gliela puntai contro, l’avevo trovata in un cassetto in camera di mio padre. 

Ne fu sorpreso, ma poi ricominciò a sorridere. 

"Vuoi uccidere un uomo, ragazzo? Non ne avrai mai il coraggio!" probabilmente fino a un po’ di tempo prima sarebbe stato così, ma in quel momento riuscivo a pensare solamente a mia madre sdraiata inerme sul pavimento e a Annie legata e imbavagliata in un vicolo scuro; senza pensarci due volte chiusi gli occhi e premetti il grilletto, poi tutto diventò nero. 

Quando mi risvegliai, ero in un letto d’ospedale e davanti a me c’erano Nick, Annie e mio padre; cercai di alzarmi, ma ebbi una fitta alla spalla destra. 

A quanto pare prima di morire l’uomo era riuscito a sparare un colpo, ma mi aveva colpito solamente di striscio, così il danno non era stato grave; restai in ospedale per pochi giorni, poi fui dimesso e potei tornare a casa. 

Alla fine decidemmo di non tornare in Inghilterra, ma di restare a vivere a Duncan, in fondo tutti ci eravamo ambientati bene; così potemmo ritornare a vivere felicemente, finalmente liberi dalla paura.

 

 

 

 

 

 

  
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