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Autore: Hotaru_Tomoe    07/02/2012    14 recensioni
Strani pensieri inseguono John fin dal primo mattino. Il colpevole? Ovviamente il suo sociopatico coinquilino. Cosa succederà ora di sera?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Due storie allo specchio'
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Disclaimer: Sherlock appartiene ad Arthur Conan Doyle, alla BBC e al magico duo Moffat/Gatiss. Nulla mi appartiene, nemmeno Benedict Cumberbatch.
Per ora.
Spoiler
: nessuno.
Ispirazione
: L'arte classica e "Cos'hai messo nel caffè" di Riccardo del Turco.
Prendetemi così come sono senza porvi ulteriori domande: ne va della vostra salute mentale.

 

  
LA DIVINITA'

Indubbiamente addormentarsi durante un concerto di musica classica era vergognoso.
Nel bel mezzo dell'assolo del primo violino era addirittura riprovevole.
Per non parlare poi dell'assistere alla rappresentazione musicale in pigiama.
Fu solo a quel punto che il cervello di John Watson iniziò a realizzare che tale cumulo di stranezze poteva appartenere solo al mondo onirico e si svegliò, tirando un sospiro di sollievo nel constatare che era effettivamente nel suo letto, si era solo sognato di essere a teatro per un concerto, in pigiama.
Ma allora perchè il violino non smetteva di suonare?
"Sherlock... certo, è Sherlock..." farfugliò. Chi altri poteva essere a suonare alle... sette meno venti di mattina? John aveva sperato che dopo aver risolto un caso alle due di notte, anche Sherlock sentisse i sintomi della stanchezza e dormisse fino a un orario cristiano.
Che pia illusione. Sherlock non era un comune mortale.

No, lui è come un dio dell'antica Grecia.
John si bloccò sui gradini. E quel pensiero da dove cavolo era sbucato?
"Mancanza di sonno, mancanza di sonno..." si disse, lo stesso tono rassicurante che usava con i suoi pazienti in vista di un esame clinico che avrebbe potuto avere in realtà qualsiasi esito.
E poi non era certo colpa sua se il suo coinquilino aveva preso l'abitudine di andarsene in giro per casa con addosso solo un lenzuolo a mo' di peplo.
Ciabattò fino in soggiorno "Buongiorno Sherlock. Dormito bene?"
"Fin troppo." commentò brevemente il detective.
Ma sentitelo. John scosse la testa divertito e si diresse in cucina per preparare un caffè.
Nel frattempo il dio greco tornò a dedicarsi alla sua melodia.
"Un caffè forte e nero, ecco cosa ci vuole." si disse un John ora decisamente turbato. Dopo i primi sorsi, tentò un'auto-psicoanalisi dei suoi pensieri, che solo a pronunciarlo era un delirio.
L'unica spiegazione logica, razionale (e rassicurante) era che avesse pensato a Sherlock in quel modo per la sua intelligenza smisurata, la capacità di dedurre la vita di una persona solo guardandogli le unghie delle mani e quel genio sregolato e un po' folle che lo faceva apparire davvero come un essere ultraterreno.
Ecco sì, sicuramente il motivo era questo.
Era questo.
Non c'entravano nulla le mani affusolate, gli occhi di diamante, le labbra dal contorno perfetto e il corpo longilineo dalla pelle nivea, i muscoli modellati proprio come una di quelle antiche statue esposte al British Museum. Solo che a differenza di una statua di marmo inanimata, Sherlock sarebbe stato vivo, caldo e pulsante sotto le sue mani.
Ma che c....
"Sh-Sherlock - biascicò il dottore - hai messo qualcosa di strano nel caffè, vero?"
"Perchè?" gli chiese il detective con molta tranquillità, senza tradire alcun stupore per la domanda quanto meno bizzarra.
"E' che... no, nulla, nulla." Voleva davvero cercare di spiegare una cosa del genere?
Raccolse il cappotto abbandonato la sera prima sullo schienale della poltrona, balbettò qualcosa su degli appuntamenti all'ambulatorio ed uscì.
Il suono del violino lo inseguì fino in strada. 

Tutto ciò era grottesco e ridicolo, si disse un paio d'ore dopo, nella pausa tra un appuntamento e l'altro.
Freud ne sarebbe stato oltremodo compiaciuto.
Ed anche sua sorella Harry, ne era certo.
Solo lui era nella confusione più totale.
Cercava di convincersi che la sua era stata un'osservazione puramente oggettiva. Nulla più.
Sherlock era bello. Obiettivamente era così. A furia di convivere con un'altra persona si arriva a notare tutto di quella: i difetti, le abitudini, le manie, la bellezza. Era perfettamente normale e non c'era nulla di male nel riconoscerlo.
Freud provò a suggerirgli sommessamente che sia quando aveva  frequentato l'università che la caserma aveva avuto altri coinquilini, ma su nessuno di loro aveva mai avuto pensieri di questo tipo. Neanche lontanamente.
John si affrettò a cacciar fuori a calci Freud dalla sua testa. Era come diceva lui. Punto. E poi nessuno dei suoi compagni di stanza aveva il corpo come quello del Discobolo di Mirone.
Diamine, un corpo così avrebbe fatto crepare d'invidia un discreto numero di modelli d'alta moda.
Un corpo così era un'isola misteriosa di zone erogene tutte da scoprire.
No, non di nuovo.
Si prese la testa tra le mani. Una risatina spettrale gli sfuggì dalle labbra pensando che l'oggetto dei suoi deliri in quel momento era a casa, del tutto ignaro dello scombussolamento che gli stava provocando. Oddio, con Sherlock non si poteva mai essere certi di niente, ma finchè non avesse imparato a spiarlo con gli occhi della mente a diversi isolati di distanza da casa, poteva dirsi al sicuro.
Chissà se stava ancora suonando il violino per combattere la noia.
No, fermi tutti. Qualcosa non quadrava.
Sherlock non suonava il violino quando era annoiato. Sparava contro il muro, si aggirava per il salotto come un leone in gabbia, elemosinava casi da Lestrade, metteva a soqquadro l'intero stabile alla ricerca della scorta segreta di sigarette. Ma non suonava.
Quello lo faceva quando era pensieroso, quando qualcosa sfuggiva al suo bellissimo cervello dentro la sua altrettanto bellissima testa.
Oh, per l'amor del cielo!
Si chiese cosa potesse tormentarlo: avevano appena risolto un caso e non ce n'erano altri all'orizzonte. Altrimenti Sherlock l'avrebbe avvisato.
Controllò il cellulare per sicurezza: nessun messaggio, nessuna chiamata persa. Comunque si accertò che nell'ambulatorio ci fosse abbastanza campo e poi lasciò il telefono sulla scrivania, sbirciandolo di continuo, col risultato che uscì da lì col torcicollo. 

Tornò a casa e trovò il suo coinquilino più o meno nella stessa posizione in cui l'aveva lasciato, circondato da una musica che John giudicò malinconica, gli occhi ad inseguire un inesistente punto lontano fuori dalla finestra. Mrs. Hudson gli aveva riferito che aveva suonato quasi tutto il giorno.
"Abbiamo un caso?" domandò John. Non che si aspettasse una risposta. Quando Sherlock entrava in quello stato mentale era capace di non rivolgere a nessuno la parola per giorni. Iniziò a preparare la cena.
"Penso di sì." disse il detective dopo parecchio tempo.
"Hai mangiato qualcosa, oggi?" chiese il dottore preoccupato, non vedendo alcun piatto sporco nel lavandino.
"No."
"No? Quindi non mangi da stamattina."
"Da ieri sera. Stamattina non ricordo di aver fatto colazione."
Pazzesco: tanto era preoccupato di tenere sempre in allenamento la mente, tanto trascurava il suo corpo. E questo lui da dottore, da amico, da sailsignorecosa, non poteva permetterlo "Sherlock, so che pensi che le normali funzioni biologiche siano ordinarie e noiose, ma ti garantisco che hai bisogno di nutrirti come chiunque altro. Perciò ora vieni a tavola. Accidenti a te, finirai per romperti."
Finirà in pezzi come una statua, bellissima ma fragile, se nessuno si prende cura di lui.
"Intendevi 'ammalarti' ." lo corresse Sherlock.
Oh, grandioso. Ora iniziava anche a blaterare idiozie ad alta voce "Certo. Quello. Precisamente volevo dire che se non assumi abbastanza calcio, le ossa diventano fragili e possono rompersi. Ecco."
Neanche una matricola universitaria si sarebbe espressa in modo così patetico.
Gli occhi inquisitori di Sherlock lo fissarono a lungo.
Poi finalmente posò lo strumento e si sedette a tavola. Finita la cena il detective si alzò e tornò in salotto.
Non gli venivano in mente nemmeno per sbaglio incombenze ordinarie quali sparecchiare o lavare i piatti. John sospirò e provvide lui.
"Niente più violino?" domandò.
Sherlock si era seduto su un angolo della scrivania e lo osservava a mani giunte. Ma non c'era nulla di supplichevole nel suo sguardo. Sembrava intento a scrutare una colonia di batteri in una goccia di sangue.
John provò un repentino senso di disagio e occhieggiò la porta d'ingresso: andare subito a dormire sembrava la miglior idea degli ultimi anni.
"John - disse Sherlock lentamente - ho bisogno di te."
Il medico si schiarì la voce "Per cosa?"
"Per un esperimento." gli occhi chiari di Sherlock non lo abbandonavano un istante.
"Oh." c'era della delusione nella sua voce? Sì. "Andiamo, colossale idiota! Cosa ti aspettavi? No, non dirmelo, non voglio saperlo." John litigò con il suo subconscio prima di riuscire ad articolare un'altra frase di senso compiuto "D'accordo. Cosa devo fare?"
"Baciami." la voce di Sherlock, profonda e chiara, non aveva la minima traccia di esitazione.
"P-prego?" nello specchio sopra al caminetto John intravide la sua immagine: mai aveva avuto un'espressione tanto stranita. Aveva capito male, vero?
"Hai capito benissimo." disse Sherlock e, dannazione, un giorno John gli avrebbe fatto confessare come riuscisse a leggergli nel pensiero. "Baciami." ripetè Sherlock.
"Perchè?" pigolò l'altro.
"Per l'esperimento e la risoluzione del caso. Ho bisogno che tu mi baci."
Il dottore si premette una mano sulla fronte, come se stesse per scoppiargli un forte mal di testa. Cosa che in realtà stava avvenendo.
Avanzò piano verso il suo coinquilino, attraverso l'aria fattasi d'improvviso densa come latte, non sapeva se più sconvolto da ciò che stava per fare o dalla consapevolezza che non aveva pensato di rifiutarsi, cosa che sarebbe stata un suo legittimo diritto. Nemmeno per un istante.

"Baciare una divinità. Un'occasione del genere quando ti ricapita?"
Certo, sarebbe stato decisamente più a suo agio senza quegli occhi chiarissimi che lo radiografavano... a pochi centimetri dal suo viso biascicò "Sherlock, potresti chiudere gli occhi?"
"No, devo guardare."
"Già. L'esperimento." espirò John con acrimonia. Per Sherlock era solo un accidente di test, scemo lui che voleva leggerci a tutti i costi qualcosa di più, scemo lui che si sentiva impacciato come un ragazzino alla prima cotta.
Maledizione.
Ma quello passava il convento e doveva farselo bastare.
Appoggiò timoroso i polpastrelli sulle sue guance, sempre sotto lo sguardo vigile del detective. Il suo viso era morbido, liscio, privo di imperfezioni. Era davvero come baciare una divinità.
Non poteva resistere oltre. Chiuse gli occhi e appoggiò le labbra su quelle di Sherlock. Un brivido percorse il suo corpo e tutti i suoi organi interni parvero vaporizzarsi in una vampata di calore. Aumentò leggermente la pressione, forzò le labbra di Sherlock a schiudersi e inclinò la testa per meglio farle aderire alle proprie. Mossa da volontà autonoma, la sua mano desta si fece strada nella foresta scura dei suoi ricci e gli artigliò la nuca.
Sherlock sussultò e per John su come una frustata: lasciò la presa e si allontanò precipitosamente di qualche passo.
Quanto tempo era passato? Tre, cinque secondi massimo. Aveva il fiatone come dopo una maratona.
"Soddisfatto?" riuscì a dire, in un tono tutto sommato dignitoso.
"Sì. L'esperimento ha avuto esito positivo. E il caso è risolto." rispose lui con calma adamantina.
Si era sbagliato. Sherlock Holmes era una statua. Una statua di freddo marmo. Perchè un essere umano non poteva mostrare un tale distacco dopo un bacio. John si sentì piombare addosso all'improvviso una stanchezza indicibile "Beh, buon per te. Io ora me ne vado a dormire." e fece per uscire.
"Tu mi ami." sentenziò il detective.
John si voltò, interdetto "Ora... ma... come... si può sapere che accidenti ti è preso questa sera?"
"Mi hai baciato sulle labbra."
"Me l'hai chiesto tu e ora me lo rinfacci? Al diavolo tu e i tuoi dannati esperimenti!" urlò il medico, al colmo dell'esasperazione.
"No. - puntualizzò il moro, per nulla impressionato dalla sfuriata dell'altro - Io ti ho semplicemente chiesto di baciarmi. Avresti potuto darmi un bacio sulla guancia, o sulla fronte. Ma tu mi hai baciato sulla bocca. Quindi mi ami."
"Sulla guancia? Ma dove siamo, all'asilo? - il dottore cercò di esibirsi in una risatina di scherno, che risultò debole e poco credibile - Insomma, tu mi hai chiesto un bacio e quello per me è un bacio."
"Quindi se Molly o Lestrade od un qualsiasi estraneo te lo chiedesse, tu lo baceresti sulle labbra?"
"Certo che no! Ma tu non sei un estraneo qualsiasi, tu sei..." John si sentì braccato, in trappola, con le spalle al muro, metaforicamente e letteralmente, visto che ora era schiacciato contro la porta d'ingresso dallo sguardo trionfante di Sherlock, che era riuscito a fargli ammettere una cosa che nemmeno lui si era reso conto di sapere.
Sì, lo amava. Amava quel sociopatico, la sua vita disordinata, senza orari nè regole, amava seguirlo nelle sue corse per la città e perdersi nell'ascoltare le sue deduzioni inappuntabili. Amava tutto di lui, anche i disgustosi esperimenti seminati ovunque per casa. E amava quel corpo da divinità classica.
Perfetto.
E irraggiungibile, come ogni divinità che si rispetti.
Fu quell'ultimo pensiero a farlo montare su tutte le furie. Perchè John era certo che il suo fosse, senza alcun dubbio, un amore a senso unico.
E faceva male.
Più male di una pallottola nella spalla.
"Complimenti. E' così. - disse freddamente - Immagino sia molto divertente dimostrare che sono talmente idiota da non rendermi conto dei mie stessi sentimenti."
"John..." iniziò l'altro, con il tono di voce che si usa normalmente nei confronti di un bambino capriccioso e testardo.
"Lasciami in pace."
Sherlock lo raggiunse e gli impedì di abbassare la maniglia, chiudendogli il polso nella sua mano "John..." ripetè, con lo stesso tono.
"Si può sapere che altro vuoi ancora? Ti ho detto che hai ragione, bravo! In fondo, a te non interessa nient'altro." Era consapevole che, in effetti, si stava comportando come un bambino capriccioso e testardo, ma era troppo stanco, ferito e arrabbiato per badarci. "Un bacio dovrebbe essere... dovrebbe essere un gesto di... beh, di certo non dovrebbe mai essere uno stramaledetto esperimento scientifico."
Cercò di divincolarsi dalla presa dell'altro, ma senza successo. Il detective gli inchiodò entrambi i polsi sopra la testa e alzò gli occhi al cielo "John, l'esperimento non era solo per te."
"Cosa vuoi che me ne importi?"
"Era anche per me - proseguì Sherlock - dovevo assolutamente capire una cosa." un sorriso si fece largo sulle sue labbra. Quelle stesse labbra che, nonostante la rabbia e la vergogna, John sentiva ancora di voler baciare.
"C-cosa... cosa dovevi capire?" chiese in un sussurro.
Il sorriso del moro si allargò a dismisura "Questo." e fu di nuovo bocca su bocca, in un bacio di fuoco che nulla aveva del timore reverenziale di quello di John di poco prima. I suoi organi interni si materializzarono di nuovo, solo per liquefarsi e precipitare nelle viscere. Non appena Sherlock gli lasciò le mani per cingergli la vita, John le affondò nuovamente, con gusto, in quei ricci infiniti e meravigliosi. Fu lui, a malincuore, a staccarsi per primo, in debito di ossigeno anche per via della sfuriata di prima. Doveva assolutamente imparare a mantenere la calma. "Hai chiuso gli occhi." sussurrò dolcemente.
Sherlock appoggiò la fronte alla sua "Stavolta non era un esperimento."
La divinità era scesa sulla terra. 

FINE

 E dire che volevo semplicemente descrivere la scena di un bacio. Ci ho messo più di 12.000 parole.
Decisamente non ho il dono della sintesi.

   
 
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