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Autore: Gemini_no_Aki    08/02/2012    3 recensioni
Lanciò uno sguardo al nome evidenziato sul display, l’unico che non aveva ancora chiamato e decise di finire quella tortura una volta per tutte.
Avvicinò il telefono e avviò la chiamato posando la fronte sulle ginocchia.
Squillava, oh, magari era un errore e aveva sbagliato persona, magari aveva visto male e stava chiamando Desmond, erano vicini nella rubrica. Il suo telefono era impossibile che suonasse, non aveva mai suonato. Era sicuramente un errore.

[Shaun x OC/Dorian]
Genere: Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altro personaggio, Desmond Miles , Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie '...Home is where your heart is...'
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I’ll be your home


Avevano appena raggiunto un nascondiglio di Assassini, guidati dal padre di Desmond, per quanto Shaun nutrisse una scarsa fiducia in lui. E la cosa sembrava reciproca visto che non perdeva occasione di sottolineare l’inutilità dello storico in quel momento. E più lo diceva più lui se ne convinceva, e la rabbia verso quell’uomo che pensava di essere migliore in tutto cresceva.
“Voi americani siete tutti maledettamente uguali!” Sputò di colpo, al limite della sopportazione, fermandosi davanti a lui dopo essere sceso dal furgoncino bianco.
“Tutti così dannatamente stupidi ed egocentrici!” Fece voltare diversi Assassini che stavano passando li vicino in quel momento, ma non gli importava.
“Pensate di essere i migliori in tutto. E che tutti gli altri siano inferiori a voi. Non sapete nemmeno metà di quello che i Templari stanno veramente facendo!” Continuò alzando la voce e puntandogli un dito contro. A vedere l’espressione sul volte dell’uomo si ritrovò a sorridere, così confuso.
“Vedi? Non sai niente!”
“Non mi provocare ragazzino!” Disse irritato, con rabbia, pur cercando di mantenere un contegno davanti agli altri.
“Esempio banalissimo, New York. Cosa sta succedendo la? Lo sai?” La sua espressione fu la risposta che si aspettava. “Un infezione, chiamiamola così, si è diffuso un virus letale, trasforma le persone in zombie. Oh, non mi guardare così, puoi non crederci ma non puoi ignorare la cosa. Secondo esempio, Raccoon City.” Si fermò a riprendere fiato ignorando le risatine di quelli intorno, lo stavano prendendo per pazzo, come molti.
“Quella città non esiste più.” fu l’unico commento, sprezzante.
“E perché? Lascia che ti spieghi. Distrutta dai militari perché un incidente nei laboratori segreti della Umbrella Corp. Si era diffuso un altro virus, creato sulla base di quello che sta devastando Manhattan ora.” Altre risate seguirono quella nuova informazione, nessuno lo prendeva sul serio, logico.
“Ma forse è meglio se ne rimanete all’oscuro e lasciate la cosa in mano agli esperti!” Concluse con un cenno vago della mano voltandosi e mantenendo la sua solita compostezza anche di fronte a quegli sghignazzi.
“E tu saresti un esperto? Siete voi inglesi ad essere stupidi. E anche fantasiosi.” Shaun si voltò con uno scatto, il volto nero di rabbia lo fissava ma non parlava, non ancora.
“L’Inghilterra non ha mai avuto Assassini.” E aveva fatto bene ad aspettare, nonostante ora il volto si fosse fatto paonazzo.
“Come osi?! Non sai assolutamente niente di noi! Non sai niente di me! E non osare mai più..” Scandì avvicinandosi con rabbia e puntandogli il dito contro.
“Non osare mai più parlare così della mia famiglia!” Frenò l’impulso di dargli un pugno e si allontanò con passi veloce e ampi. Aveva bisogno di stare da solo. Sicuramente Desmond gli avrebbe chiesto di chiedere scusa, ma stavolta il limite era stato superato, e di molto.
Si sedette a terra contro un muretto e prese il cellulare in mano lasciando scorrere la rubrica. Non aveva cancellato nessuno, aveva solo inserito una X davanti al nome. A molti dei nomi.
Inoltrò la chiamata ad un numero e si accostò il cellulare all’orecchio.
“Il numero da lei chiamato non è attivo.”
Soffocò una risata triste e scorse qualche altro nome prima di avvicinare nuovamente il cellulare. Ancora una volta la voce metallica parlò, e un’altra volta, e altre ancora facendo calare le ombre su di lui che finì con l’appoggiare la testa sulle ginocchia reprimendo un singhiozzo.
Sperava che non decidessero di cercarlo ora, sperava quasi che non lo cercassero nemmeno. Pensava di aver superato quel momento, pensava di aver dimenticato; invece ogni volta che qualcuno diceva qualcosa riguardo la sua terra, o gli Assassini che loro pensavano non esistessero, il suo mondo crollava. Dopotutto loro avevano ancora qualcuno a cui aggrapparsi, una famiglia, degli amici, qualcuno che potevano chiamare se si sentivano soli.
Tutti i numeri di quella rubrica erano preceduti da una triste X. Aggiungerla era stato doloroso ma per quanto ci avesse provato non riusciva a cancellare quei numeri dalla rubrica. Voleva illudersi che prima o poi qualcuno avrebbe risposto alle sue chiamate, toglierli avrebbe dato un senso di vuoto, sarebbe stato come cancellare il passato, dimenticarsi lentamente di loro, di ognuno di loro.
Dimenticarsi di casa. Della sua famiglia. Quella famiglia che sicuramente da qualche parte lo aspettava. Da qualche parte.
Un singhiozzo sfuggì dalle sue labbra mentre le lacrime presero a rigargli il volto. Con la mano con cui non stringeva il telefono cercò di asciugarsi il viso ma finì solo col coprirlo con la mano continuando a piangere.
Lanciò uno sguardo al nome evidenziato sul display, l’unico che non aveva ancora chiamato e decise di finire quella tortura una volta per tutte.
Avvicinò il telefono e avviò la chiamato posando la fronte sulle ginocchia.
Squillava, oh, magari era un errore e aveva sbagliato persona, magari aveva visto male e stava chiamando Desmond, erano vicini nella rubrica. Il suo telefono era impossibile che suonasse, non aveva mai suonato. Era sicuramente un errore.
“Potrei fare il bastardo, risponderti e farti spendere soldi, lo sai questo, vero Shaun?”
La voce arrivò da dietro di lui, un giovane uomo era appoggiato di spalle al muretto e guardava lo storico con la coda dell’occhio tenendo in mano un cellulare nero che squillava con insistenza. Shaun sembrò non sentirlo ma aveva smesso di singhiozzare. L’altro attese ancora qualche secondo prima di rispondere al telefono.
“Desmond... Scusa, ho sbagliato a chia...”
“Don't call me with the wrong name, Shaun. You forgot who I am? My name is Dorian.”
Shaun alzò la testa e la voltò così in fretta che per un attimo il collo lanciò un dolore lancinante lungo tutta la spina dorsale. Fissava l’uomo dietro di se con gli occhi sgranati e la bocca aperta. Stava sognando?
Lentamente chiuse la chiamata e si alzò alzando ancora la testa per guardarlo in volto, lui abbassò il cellulare infilandolo nella tasca dei pantaloni.
“Non ci credo, non sei cresciuto nemmeno di un centimetro, piccoletto.”
Disse con un sorriso mentre gli posava una mano sui capelli, una cosa che solitamente Shaun avrebbe odiato ma che in quel momento si lasciava fare.
“Sto... Sognando?” Domandò con gli occhi ancora lucidi e arrossati dalle lacrime.
“Non penso di essere un sogno, sarei bello lo stesso anche se lo fossi comunque.” Commentò con una falsa modestia senza smettere di spettinarlo. Shaun posò le mani sul muretto e si alzò in punta di piedi, odiava ammetterlo ma quello che si era alzato era lui, ora gli arrivava solamente alla spalla.
“Cerchi di arrivare al mio livello? Faresti prima a salire, sai?” Lo provocò guardandolo con una sfumatura maliziosa negli occhi verdi. Lo stesso verde dei loro prati.
“Pensavo... Avevi detto ...” Iniziò a balbettare senza togliere lo sguardo dagli occhi, lo avevano stregato. Ancora una volta!
“Pensavo che sarei morto, si. Mi dispiace.” Disse abbassando il capo, per tutta risposta, come se fosse un bambino Shaun tornò a livello della terra coi piedi e chinò la testa per poter incontrare di nuovo il suo sguardo.
“Ma sei qui... E sei vivo. Quindi... In definitiva ora siamo a casa.”
 Affermò con la stessa semplicità con cui appunto un bambino direbbe “Ciao mamma.”
Dorian alzò lo sguardo e lo puntò su di lui che si ritrovò quasi ad arrossire, come una ragazzina. Se l’avessero visto ora l’avrebbero preso in giro a vita almeno.
“Si, direi di si. Siamo a casa. E li saremo finchè stiamo assieme.”
Shaun si alzò di nuovo in punta di piedi alzando le braccia per andarle ad avvolgere attorno al suo collo, a quel punto Dorian avrebbe potuto facilmente prenderlo in braccio, si limitò invece a sfruttare quel muretto per chinarsi su di lui circondandolo in un abbraccio e posando le labbra sulle sue con un dolce bacio.
“Finchè saremo insieme allora saremo a casa. Shaun, sarò sempre con te. Ovunque sarai.”


Shaun si svegliò di colpo quando il furgoncino sobbalzò per una buca presa ad una velocità troppo elevata.
Il furgoncino bianco. Stava dormendo, era un sogno dunque?
Senza pensare afferrò il cellulare e cercò un solo nome.
X Dorian
“Il numero da lei chiamato non è attivo.”
Senza che riuscisse a frenarle le lacrime corsero lungo il suo viso, senza curarsi di Desmond che a quel singhiozzo strozzato si era voltato verso di lui.
No, non c’era più una casa ormai. Più nessuno che lo aspettava.
Non in quella vita almeno.



Spazio Autrice: Rieccomi, erano entrambe pronte così le ho caricate assieme le prime due. Che dire... Dunque, l'altezza di Shaun non la so di preciso. Dorian è la bellezza di 1.89, 1.91 sulla carta d'identità. Spiegazione? "Signori, se mi misurate con le scarpe da trekking per forza sono più alto." Ecco tutto. Shaun gli arriva più o meno alle spalle.
Altro? Il muretto ha un significato simbolico, indica la separazione tra passato e presente. Per questa ragione ognuno sta dal suo lato e non lo scavalcano.
E per ultimo, sarebbe consigliata la lettura col sottofondo di "I'll be your home", la musica che ha fatto da ending all'anime di Devil May Cry... per me ora è la loro canzone.
Come al solito, se è piaciuta un commentino sarà gradito. Altrimenti... mi spiace non sia piaciuta.
In caso di errori di ortografia, chiedo perdono.
Bye Bye~

Aki
   
 
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