That's the beginning.
La
sabbia dorata si stendeva fino quasi a dove gli occhi potessero andare,
per poi immergersi nel blu del Pacifico. Forse gli ombrelloni colorati
che
percorrevano la costa erano pari, come numero, ai granelli di quella
distesa
morbida e calda.
Era il primo vero giorno di vacanza quello, l’Huntington
Beach High School
aveva finalmente deciso di chiudere i battenti e per un ragazzo che era
seduto
sulla riva con i piedi immersi nella fresca acqua salata era per
sempre. Si
godeva quel sole che gli picchiava sulle spalle con gli occhi socchiusi
e i
pensieri che andavano lontano, molto lontano.
Non sapeva bene cosa dovesse pensare, cosa fosse più adatto
che gli vorticasse
in testa, ma di certo l’euforia ci stava bene e lui ne aveva
tanta in quel
momento.
Ultimo giorno di scuola per sempre, ultimo giorno ad Huntington
Beach… per
sempre?
"Ehi."
Il ragazzo alzò lo sguardo al suono di quella voce dolce e
decisa, ma fu
costretto a socchiudere gli occhi per colpa dei raggi di sole che gli
folgorava
le retine.
"Ehi." rispose lui, a dir la verità poco convinto.
"Si dice che stai per partire." continuò l'esile ragazzina
bionda,
sedendosi sulla sabbia umida senza il permesso del suo interlocutore.
"Mi
sarebbe piaciuto saperlo."
Denti bianchi e luminosi si dipinsero oltre le labbra dischiuse di lui,
lo
sguardo ormai perso sulle piccolissime onde che gli bagnavano i piedi.
"Mi dispiace non averlo fatto."
"Dici davvero?"
No, questo avrebbe voluto rispondere ma convenne con se stesso che non
era la
mossa giusta.
Probabilmente non l'avrebbe vista mai più, che senso aveva
farle male
ulteriormente?
Mosse la testa, e la biondina lo prese per un sì.
"Mi chiamerai?"
"Ashley io..." Iniziò, leggermente indeciso. "Non ho nessuna
intenzione di chiamarti."
Continuava a guardare in basso, non aveva nessuna voglia di lasciarsi
impietosire.
"P-Perchè?"
Ashley aveva incrociato le braccia intorno al petto, la pelle dorata
stretta al
piccolo bikini blu notte.
"Devo proprio farti male, non ci arrivi da sola?"
La ragazza singhiozzò sommessamente.
"Dai su non fare così, siamo stati bene e ci siamo divertiti
ma non può funzionare.
Starò via non so per quanto tempo e le relazioni a distanza
non sono il mio
forte."
Tentò di metterle un braccio sulle spalle, intorno al collo,
ma lei si scostò e
fece per alzarsi.
"Sei uno stronzo."
Il ragazzo accusò il colpo senza replicare - infondo in quel
momento lo era - e
aspettò che la biondina tutto pepe si allontanasse del
tutto, perdendosi tra la
folla dei bagnanti.
Si alzò e, dopo aver pulito i pantaloncini dai fastidiosi
residui di sabbia,
raggiunse il limitare della spiaggia dove aveva lasciato lo zaino con
dentro
anche la t-shirt che aveva pensato bene di togliere.
La tirò finalmente fuori e la infilò, decidendo
così di coprire alla vista di
ragazzine bionde e longilinee il suo magro ma ben delineato fisico da
quasi
diciottenne.
La sua pelle era ancora una tela vuota, vuota ma che col tempo aveva
già deciso
di riempire con tutto ciò che aveva dentro. Voleva scriverci
la sua vita, su
quell’epidermide bronzea a causa dei suoi lunghi pomeriggi
passati a correre in
riva all’oceano.
Issò lo zaino in spalla e, scavalcata la recinzione, si
trovò finalmente a
camminare sull’asfalto vicino alla sua fedele bicicletta.
Dopo averla liberata dalla catena ci montò su e si immise
quasi immediatamente
sull’Huntington Beach Bike Trail, il lungo viale che
fiancheggiava la costa
procedendo in direzione Sud-Est.
Dopo poco vide apparire alla sua destra il Ruby’s Diner, la
tavola calda più
famosa –ed anche costosa- della zona situata sul pontile.
Ogni turista giunto
in città voleva andare a mangiare lì, affascinato
dai depliant delle agenzie di
viaggio che lo proponevano sempre come meta paradisiaca.
Arrivato lì svoltò a sinistra imboccando la Main
e a quel punto rallentò,
godendosi la strada più trafficata, cuore pulsante di tutto
ciò che fino a quel
momento aveva vissuto. Voleva godersela fino
all’ultimo, quell’atmosfera prettamente californian.
Dopo una decina di minuti abbondanti arrivò sulla Sesta
Strada, passò sfrecciando
davanti alla Main Street Branch Library ritrovandosi finalmente su
Pecan
Avenue. La prima casa sull’Ottava, giungendo da Sud-Ovest,
era la sua.
Scese attraversando il vialetto a piedi ansimando –le
sigarette avevano fatto
la loro parte- e finalmente potè lasciare la sua bici
all’interno del garage.
E nel garage potè ammirare la decappottabile d'epoca rosso
fiammante che
il padre aveva destinato a quel suo progetto folle per la sua
età. Ma, si sa,
quando i genitori sono più folli dei figli è
difficile scamparla. Salì per la
stretta scalinata in legno scuro, tendente al rossiccio e coperta da un
tappeto
verde bottiglia, che portava al piano superiore e, quindi, alla parte
abitata
della casa.
La sua camera era a piano terra, proprio dietro l'enorme sala da
pranzo, una
camera del tutto normale, piena di carta appesa ovunque e, dove non vi
erano
posters e foto varie, le superfici della stanza erano coperte di
scritte di
tutti i colori e di tutte le grafie. La sua preferita era quella sopra
il
letto, l'aveva scritta lui quando aveva si e no dodici anni:
"Cosa vuoi fare da grande?"
"Cambiare il mondo."
E non voleva coprirla! Aveva costretto sua madre a non pitturare quel
quadrato
qualche mese prima, quando avevano deciso di pitturare casa ancora una
volta,
lasciando così un buco bianco sporco nelle pareti diventate
ormai blu acceso...
per quel che si riusciva ad intravedere.
La valigia nera in tessuto sintetico era sul letto, aperta, mostrando
alle foto
il suo alquanto prevedibile contenuto; vestiti, scarpe, il rasoio e la
schiuma
e il dopobarba, accendini vari ed una stecca di sigarette.. tutte cose
troppo
importanti per Matt, tutte cose che non potevano mancare durante il
può
viaggio. Un brivido gli percorse la schiena al pensiero che sarebbe
partito di
lì a poche ore, portandosi come sole compagne le sue
sigarette e qualche
vecchio CD di buona musica.
Quello sarebbe stato l'inizio della sua vera vita.
Quello sarebbe stato divertimento puro.
"Sta' attento, soprattutto quando viaggi di sera. E non bere!"
"Mamma... finiscila."
Il ragazzo le sorrise amorevolmente prima di stringere la signora
Sanders in un
abbraccio, la madre ciò quasi scomparse nascosta dalla mole
del figlio. Papà
Sanders osservava la scena in disparte, ammettendo che suo figlio gli
sarebbe
mancato, ma consapevole anche del fatto che Matt
doveva
affrontare quel viaggio, doveva farlo per lui, perché lui
-quando voleva- non
aveva potuto. Inevitabilmente il signor Sanders rivedeva la sua
adolescenza in
suo figlio e proiettava in lui tutti i suoi sogni mancati.
Un viaggio senza meta era fra quelli.
"Papà, grazie" disse il figlio avvicinandosi al padre e
guardandolo
negli occhi. Con lui niente abbracci, non era decisamente il tipo,
piuttosto
riuscivano a comunicare molto meglio con quegli sguardi complici di un
adolescente e dell'adulto ormai cresciuto ma con l'animo ancora fermo a
diciotto anni.
"Vedi di non fare cazzate... e non portarti erba in macchina, se ti
beccano io non ti tiro fuori."
Matt rise prima di stringere la mano al padre come se fossero due amici
e,
quando quel breve contatto terminò, raggiunse l'auto
scarlatta già caricata con
le valigie e qualcosa da mangiare durante il viaggio. Il suo cuore
aveva
iniziato ad accelerare senza controllo quando si rese conto che stava
davvero
partendo, lasciandosi Huntington Beach alle spalle e trovandosi davanti
a sé
solo una landa sconfinata ed infinita tutta da esplorare.
"Allora ci si vede!" esclamò lui entrando in macchina, i
coniugi
Sanders fermi sulla porta osservavano il figlio che metteva in moto e,
senza
pensarci due volte, usciva dal cancello di casa per immettersi
sull'Ottava, in
direzione dell'oceano. Passò l'incrocio con l'Orange prima,
con la Olive e la
Walnut prima di inboccare la E Pacific Coast che lo avrebbe
accompagnato verso
la sua prima tappa: San Francisco, California.
Intanto dall'altra parte del paese un altro ragazzo era partito per
un'avventura simile a quella del nostro amico. Forse il tempo li
avrebbe fatti
incontrare per un caso fortuito.
Ma adesso è ancora troppo presto per parlare di questa
storia.
Dom's and Shizue's Corner:
Here we are again :3
Ovviamente la colpa per il ritardo nel postare questo prologo è di Dom e sappiate che le dispiace molto ma non ci può far nulla se l'ispirazione fa la stronza con lei.
Anyways, ci dispiace un po' per la brevità di questo prologo, ma volevamo proprio dare l'idea di un assaggio, anche per creare suggestione nei lettori e spingerli magari -speriamo- a continuare.
Ringraziamo per eventuali recensioni/whatelse e niente, alla prossima!
Dom & Shizue.
[LOVEISLIKESUICIDE ti vogliamo bene <3]