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Autore: bacinaru    08/02/2012    3 recensioni
"Era odio e passione e fame che trasudavano dalle note violente che accendevano la notte bagnata e priva di stelle. Era odio che bruciava come le fiamme dell'inferno che Sherlock imprimeva in ogni movimento deciso dell'archetto, quasi sembrava voler spezzare le corde, amando ed odiando il gemito della pioggia, il gemito di una battaglia non ancora conclusa."
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jim Moriarty , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Sherlock Fest Italia'
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Autore: bacinaru
Fandom: Sherlock BBC
Titolo: Set Fire to the Rain
Personaggi: Sherlock Holmes/James Moriarty
Riassunto: "Era odio e passione e fame che trasudavano dalle note violente che accendevano la notte bagnata e priva di stelle. Era odio che bruciava come le fiamme dell'inferno che Sherlock imprimeva in ogni movimento deciso dell'archetto, quasi sembrava voler spezzare le corde, amando ed odiando il gemito della pioggia, il gemito di una battaglia non ancora conclusa."
Rating: Giallo
Avvisi: Post "The Reichenbach Fall"
Note: Scritta per il terzo giorno dellla Sherlock Week @ sherlockfest_it




Set Fire to the Rain






“You want me to shake hands with you in hell? I shall not disappoint you“

{Sherlock, The Reichenbach Fall}




Il suono dei suoi passi si amalgamava alla perfezione con il ritmico picchiettare della pioggia, mentre l'ombrello che portava alto sopra la sua testa, intendo a creare attorno a sé una bolla d'acqua che non poteva toccarlo, nascondeva al mondo il volto di un uomo morto da tempo.
Jim Moriarty rideva solo in mezzo alla strada, la gioia del sopravvissuto che sgorgava con vigore da ogni scossa del suo corpo.
Era un gioco che amava giocare, un gioco a cui non avrebbe voluto mettere la parola fine, pur avendo tentato più volte di farlo, spinto dalla ragione più nascosta,  ma era pazzo dopotutto, un pazzo consapevole a cui piaceva guardare gli altri ballare una danza senza fine, una danza di cui solo lui conosceva le note.
Continuò a camminare con passo lento, sotto la pioggia, ridendo di tanto in tanto, ma con un sorriso maniacale che non voleva saperne di abbandonare le sue labbra.
La strada era piuttosto deserta per essere un quartiere poco raccomandato alle due del mattino. Ogni tanto si poteva vedere un barbone correre al riparo in un vicolo, nascondersi tra vecchi cenci abbandonati, oppure un gruppo di giovani dagli occhi stanchi e le braccia bucate, avrebbe giurato che qualcuno di loro era anche in possesso di una pistola o due.
Eppure nessuno si avvicinava a lui, pur essendo, dal punto di vista logico, l'individuo perfetto da prendere sotto tiro: ben vestito, elegante, evidentemente ricco.
Alla constatazione che nessuno osasse avvicinarsi alla sua figura, il sorriso di Moriarty si allargò maggiormente, per quanto questo fosse possibile.
Nessuno gli si avvicinava perché, pur non conoscendolo, lo temevano e ciò lo inorgogliva oltre ogni limite.
Forse era l'ombrello fin troppo grande per un uomo così piccolo, nero come la morte più oscura che si cela negli angoli bui della città, forse i suoi occhi fissi sulla strada, l'assenza di paura e il divertimento che brillava in essi, o forse, molto più probabilmente, il sorriso inquietante che gli dava un aspetto quasi demoniaco.
Un demone che cammina tra angeli caduti.
Il sorriso scomparve all'improvviso al formularsi di questo pensiero. Questi angeli caduti, dalle ali bianche sporche di cenere, che lo guardavano timorosi e un po' curiosi da dietro i bidoni della spazzatura, nascosti nel buio dei vicoli senza via di uscita.
Sarebbe così facile spazzarli via, uno per uno, per il puro gusto di distrarsi.
Noioso, era tutto così noioso.
Jim si accorse solo dopo qualche minuto di essersi fermato in mezzo alla strada, quasi immemore del motivo per cui si era diretto lì, in primo luogo.
Fu allora che il suono dolce di un violino che si propagava nell'oscurità lo riscosse dai suoi pensieri: un sorriso un po' più delicato, ma ancora intriso di pazzia, fece di nuovo capolino tra le sue labbra.
Moriarty si lasciò guidare da quella melodia, per giungerne alla fonte.
Poteva riconoscerne lo stile, le particolarità che giocavano nascoste tra le note conosciute, particolarità che solo un attento ascoltatore può captare, così come un amante che tra mille sospiri riesce a scorgerne quell'unico che lo fa gemere di piacere.
Era una melodia dolce, intrisa di dolorosa nostalgia, del tiepido calore di una casa che arde tra i pensieri del compositore, dei battiti di un cuore nascosto e a lungo negato.
Moriarty si fermò davanti ad un vecchio edificio semi carbonizzato, ma ancora ben fermo sulle sue fondamenta. Una vecchia fabbrica abbandonata, un luogo lugubre e poco adatto per quel suono dolce che ne scuoteva le membra.
Il piccolo uomo si appoggiò alla fredda pietra bruciata, le spalle a contatto con l'umidità della pioggia, le gambe leggermente accavallate l'una sull'altra, la testa rivolta verso l'alto e lo sguardo che attraversava la tela scura dell'ombrello, verso la finestra che non vedeva, ma che aveva già inciso dentro di sé.
E Jim gemette insoddisfatto per quella melodia che non gli donava: un richiamo a casa, un richiamo a chi non stava ascoltando, a chi si trovava lontano da lì, perso nella propria solitudine, aspettando il ritorno di un amico morto da tempo.
Un sospiro sfuggì dalle labbra di Jim e all'improvviso, come se quel piccolo alito di vento fosse riuscito a raggiungere il suo destinatario, la musica sfumò verso colori più accesi e prima che potesse anche accorgersene Moriarty gemette di piacere.
Era odio e passione e fame che trasudavano dalle note violente che accendevano la notte bagnata e priva di stelle. Era odio che bruciava come le fiamme dell'inferno che Sherlock imprimeva in ogni movimento deciso dell'archetto, quasi sembrava voler spezzare le corde, amando ed odiando il gemito della pioggia, il gemito di una battaglia non ancora conclusa.
Moriarty inarcò la schiena e fremette, come se quelle dita si stessero muovendo sul suo corpo svelte e fameliche. Poteva quasi immaginarne ogni singolo movimento, la leggera flessione dell'indice, una mano che gli si stringeva addosso, così come stringeva il legno levigato di quel maledetto violino. Si lasciò travolgere dalle note infuocate, morsi di passione che si incidono nella pelle senza lasciare segni.
E Sherlock accompagnava quella danza, diviso tra il piacere e l'odio, senza lasciare spazio all'amore, perché non era un sentimento che i loro corpi potevano concepire.
Era passione che ardeva nel petto, il desiderio di scontrarsi ancora una volta, per sempre.
Percepivano a vicenda la propria presenza, consapevoli delle fragili mura che non osavano oltrepassare, perché quel gioco di vita e morte, di odio e passione, non era ancora giunto al suo termine.
Jim inclinò leggermente la testa all'indietro, contro la parete umida e fredda, e chiuse gli occhi, le labbra dischiuse in un sorriso lascivo che sapeva di desiderio, mentre il respiro era un po' più veloce. E quando la melodia giunse al termine, lasciando dietro di sé un calore che scotta, James Moriarty si liberò da lenzuola intrise di sudore e piacere e lasciò alla pioggia infuocata il compito di coprire le proprie tracce, mentre si allontanava con la muta promessa di tornare ancora per un ultimo ballo.
Sherlock posò il violino e l'archetto lungo la parete, non ha bisogno di guardare fuori dalla finestra e vedere quella piccola figura che si allontanava nell'oscurità, per sentir fremere forte dentro di sé il desiderio di stringere quella mano ancora una volta.
Un suono diverso interruppe poi il silenzio della stanza e il display del suo cellulare si illuminò di una fioca luce, azzurra e fredda. E Sherlock non aveva bisogno di leggere il nuovo messaggio ricevuto, poiché le stesse parole ardevano involontariamente sulle sue labbra:



“Ci vediamo all'inferno"
  
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