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Autore: Lady Selvaggia    08/02/2012    3 recensioni
Un giovane pittore affascinato dal circo incontra il suo destino negli occhi blu della piccola Poppet. Cosa sarebbe successo se il Circo dei Sogni fosse arrivato a Parigi agli inizi del 1891, pochi mesi prima della prematura scomparsa del grande Georges Seurat, l'artista che ha dato avvio al Pointillisme?
Genere: Drammatico, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un pittore al Circo dei Sogni







Era l’inizio del 1901 quando a Parigi arrivò il Circo dei Sogni. Io e Georges, anche se eravamo ormai grandi, avevamo deciso di andare a vedere questo strano circo di cui, già da alcuni anni, si faceva un gran parlare. Tutti ripetevano che apriva al crepuscolo per chiudere all’alba e che i suoi artisti e le sue attrazioni erano tra i più spettacolari e incredibili che si fossero mai visti. Pareva ci fosse addirittura chi sapeva leggere il futuro con grande precisione e chi, quando ne sentii parlare confesso mi venne da ridere, il passato. Oh, questa è buona, mi dissi, cosa ci sarà di tanto straordinario nel leggere il passato! Invece il mio amico Georges, guardandomi seriamente, mi ammonì: “Il passato resta dentro di noi, anzi, sulla nostra pelle. Noi siamo ciò che siamo stati, caro Edmond e non mi stupirei più di tanto se qualcuno, guardandoci nella delicata trasparenza di una fiamma divina, potesse giudicare la nostra anima dalle nostre antiche azioni come si fa con una perla per deciderne il valore”.

No, nonostante la poesia un po’ malinconica che sapeva mettere nelle parole, Georges non era un poeta né, tanto meno, un mercante di gioielli. Era un pittore, come me. Ed amava il circo. Anzi, a dire la verità, proprio in quel periodo aveva iniziato ad interessarsi alla rappresentazione del movimento e delle luci artificiali e aveva deciso di studiarli sotto il magico tendone di un circo. E quale magia era più grande di quella che si respirava entrando da quel cancello di ferro battuto che magicamente si apriva sul far della notte? Così eravamo anche noi là fra la moltitudine di gente che aspettava, con un misto di desiderio e diffidenza, l’accendersi delle luci all’interno dei tendoni bianchi e neri (una meraviglia a dirsi) e la comparsa sfavillante dell’insegna le Cirque des Reves. Gli occhi di Georges brillarono come quelli di un bambino quando anche l’ultima lampadina che componeva la scritta si fu illuminata. Eppure aveva da poco compiuto trentun anni.

Entrammo sospinti dalla folla impaziente. Notammo subito che c’erano molti tendoni e, negli spazi fra le tende, figure abbigliate con sofisticati e complessi costumi. Le avrei dette statue se non avessi già saputo che in realtà erano artisti del circo anche loro, insuperabile nello restare immobili per ore ed ore. Ricordo che mi colpì soprattutto l’Imperatrice della notte, con il suo abito fastoso e sobrio ad un tempo, ricco di criptiche simbologie notturne, ricolmo di rose nere e profumate come non ne avevo mai sentite in vita mia. Il mio caro amico Georges, invece, era impaziente d’entrare: non aveva in mente altro che le luci sfavillanti, il volo degli acrobati e la corsa dei cavalli.

- Non ho tempo per passare di tenda in tenda! - sbottò infatti quando vide la folla dirigersi, ordinata alla bene e meglio, verso il primo grande tendone, per poter gustare lo spettacolo dal principio alla fine, senza salti o sbavature. - Voglio andare a vedere gli acrobati. Vieni Edmond: chiediamo alla Regina della neve qual è esattamente il tendone che ci interessa.

Io sospirai. A me interessavano anche le altre attrazioni, in special modo ero curioso di vedere l’Albero dei desideri. Avevo sentito dire che la tenda in cui si trovava riuscivi a vederla solo se ne avevi bisogno. Fantastico! Ovviamente non credevo a queste sciocchezze per bambini, però ero davvero curioso di vederlo, questo “albero dei desideri”. C’era, infatti, un desiderio che portavo nel cuore da tanto tempo... ma mi rassegnai a tornare al circo da solo, in un secondo tempo. Finché ero insieme a Georges non contavano altro che la luce, il movimento e il colore. Già, il colore: da un po’ mi domandavo dove il mio caro amico pittore avrebbe trovato il colore che cercava: tutt’attorno non c’era altro che bianco e nero! Persino le strisce di terreno tra i tendoni erano stati dipinti in bicromia e credo che anche Georges si stesse ponendo qualche interrogativo perché la sua schiena si era fatta più rigida, le mani erano chiuse a pugno e le labbra serrate in un’espressione di inequivocabile disappunto.

- Spero proprio che questo circo non mi deluda. - mormorò, quasi parlando a se stesso.

- Non essere pessimista: non abbiamo ancora visto nulla! - esclamai con un tono forse un po’ troppo allegro. - Ora chiediamo alla Regina e andremo dritti dai tuoi acrobati.

Avrei dovuto capirlo subito che le statue non possono rispondere! Chiesi in tutte le lingue che mi venivano in mente, ma la glaciale signora non proferì verbo. Così ci dovemmo accontentare di girare tra i tendoni, in quella fredda notte di gennaio, alla ricerca di quello giusto. Quando ormai iniziavamo a dubitare della sua esistenza ci trovammo davanti ad un’ampia tenda circolare, alta fin quasi a nascondere le stelle, sulla quale svettavano decine e decine di bandierine rigorosamente bianche e nere. Sopra l’entrata un cartello, che dondolava alla brezza invernale, recitava “sfida alla gravità”. Mai titolo fu più appropriato, pensai tra me. Dall’interno provenivano già grida di stupore e applausi scroscianti.

- Presto! Speriamo di trovare ancora un posto libero. - gridò Georges, catapultandosi all’interno come avrebbe fatto un segugio dietro alla lepre.

Io lo seguii di buon grado perché, se da un lato ero curioso come lui di vedere lo spettacolo, dall’altro iniziavo pure a sentire un freddo pinguino, passatemi l’espressione.

Di posti liberi ce n’erano ancora diversi e, fortunatamente, lo spettacolo vero e proprio non era iniziato. C’erano alcune decine di artisti seduti attorno alla pista, immobili anch’essi come le statue che avevamo appena lasciato, mentre sospesa a mezz’aria, all’interno di una gabbia dorata, una minuta figura di ragazza stava mimando un uccello che apre le ali. Lentamente alzava la testa, come distendendo il collo intorpidito, poi, sempre con calcolata lentezza, spiegava le ali immaginarie fino a far uscire le mani dalle sbarre. Infine, alzando una gamba, imitava l’uccello invisibile che spiccava il volo, sbattendo le lunghe ali con ritmica regolarità. E, oh prodigio che ancora oggi non riesco a spiegare, improvvisamente la gabbia divenne vuota: la ragazza era scomparsa, mentre tutt’attorno piume candide ondeggiavano nell’aria. L’applauso si levò spontaneo e scrosciante. Anche Georges applaudì con trasporto ma la sua gioia durò poco.

- Devo subito farne uno schizzo: non voglio dimenticare la magia di questo numero! - disse frugandosi le tasche interne del cappotto alla ricerca del suo taccuino. - Ma... dov’è... Edmond, Edmond... hai visto il mio taccuino? Non c’è. Non c’è...

La ricerca si era fatta frenetica: Georges stava ormai frugando ovunque, persino tra i piedi degli spettatori e sotto le gonne delle signore indignate.

- Georges, ti prego! - lo implorai, mentre cercavo di aiutarlo. - Forse l’hai dimenticato.

- Dimenticato? Ma no! Dove posso averlo dimenticato? Oh, cielo! - si batté una mano sulla fronte, mentre sulla pista iniziavano a correre splendenti cavalli bianchi. - Al caffè! L’ho lasciato sul tavolino del caffè dove siamo passati prima di venire qui!

- Non vorrai andare a prenderlo? Goditi lo spettacolo e appena è finito torneremo al caffè a recuperarlo e potrai fare tutti gli schizzi che vuoi.

- Il mio taccuino...

- Georges lascia perdere il taccuino adesso! Guarda! Guarda sulla pista che magnifici destrieri.

Riuscii alla fine a distrarlo dallo smarrimento del prezioso oggetto. Gli occhi del mio caro amico tornarono a scintillare di emozione alla vista dell’abilità di cui stavano dando prova una giovane acrobata e il suo compagno: lei, in piedi sulla groppa del cavallo, disegnava ampi cerchi sulla pista mentre lui la aspettava ad ogni passaggio per saltare con precisione cavallo e cavallerizza utilizzando la sola spinta dei propri muscoli, disegnando in tal modo spettacolari piroette in aria.

- Meraviglioso! - Georges applaudiva radioso. - Ah, che materia per il mio pennello!

Anch’io ero rapito dalla maestria di questi giovani acrobati e, ancor più, dai loro costumi sfavillanti sotto le luci: pareva che brillassero di luce propria, rivelandosi di un colore diverso per ogni spettatore.

- Non vedi che sono rossi! - sentii infatti dire ad una donna che sedeva di fianco a me, mentre il marito affinava lo sguardo quanto poteva per ribadire:

- A me paiono verdi, cara... Verde foglia.

Colpito da quella stranezza (sono ancora oggi convinto che i costumi fossero bianchi e splendenti come diamanti) tesi l’orecchio per udire altri commenti.

- La ragazza è vestita di lilla e lui è in porpora! - due fidanzatini stavano litigando proprio sotto di me. - Come fai a dire il contrario? Non distingui più un uomo da una donna, Pierre?

- Mamma, perché la ragazza è in bianco e il ragazzo in nero? - chiedeva invece una bimba che stringeva il filo di un un palloncino, strattonando la manica della madre.

Ero ogni secondo più stupito quando Georges gridò:

- Hai mai visto ori più splendenti di questi, Edmond? Non riuscirò mai a rendere lo sfavillio di quei costumi sotto la luce!

Restai a fissarlo a bocca aperta.

Intanto i due acrobati erano passati alla parte più difficile del loro già magnifico numero: la giovane doveva infatti lasciarsi cadere dal trapezio, effettuare una spaventosa piroetta in aria e cadere dritta in piedi sulla groppa del cavallo: richiedeva una precisione matematica e il minimo errore significava la morte!

Trattenemmo tutti il fiato quando si slanciò nel vuoto. Ma atterrò come una piuma sulla groppa, allargando le braccia per mantenere l’equilibrio: il numero era riuscito e fu accolto da uno scroscio di applausi.

- Davvero impressionante! - commentò Georges, voltandosi verso di me. - Mi piacerebbe riprodurlo in un quadro, ma sono indeciso... Forse la prima parte del numero, con lui che salta il cavallo e la ragazza, è più adatta ad un dipinto.

- Sì, lo credo anch’io. - confermai, senza smettere d’applaudire.

Alla fine, infatti, Georges decise di concentrarsi su quell’aspetto dello spettacolo e nei giorni successivi fece molti schizzi. Nonostante avesse dimenticato il suo prezioso taccuino e non fosse riuscito a prendere immediatamente qualche appunto visivo, il ricordo della serata era rimasto così vivido nella sua mente da permettergli di tradurlo agevolmente in pittura anche più tardi. Lavorò al dipinto del circo per tutti i mesi successivi e oggi è senza dubbio tra le sue opere più famose.

Quando uscimmo di lì, ancora pieni di entusiasmo, accadde un fatto molto strano. Anzi, occorre parlare più esattamente di un incontro, forse voluto dal Cielo, forse solo dal caso. Ad ogni modo, più di tutte le cose magnifiche che vedemmo quella sera, più dell’abilità degli artisti e della magia dei costumi, ciò che non ho più dimenticato in tutti questi lunghi anni, è stato proprio quel fortuito incontro e le conseguenze che portò con sé.

Eravamo appena usciti dal tendone e, immersi nelle nostre chiacchiere, non prestavamo molta attenzione alla direzione da prendere. Non facemmo comunque molti passi quando quella che sembrava una palla bianca piombò fra le gambe di Georges, che si fermò di botto. Subito dopo arrivarono delle grida infantili che chiamavano ripetutamente un nome: “Pillow”. Pillow era il gattino bianco che il mio amico raccolse da terra, un po’ impolverato, per consegnarlo alla sua piccola padroncina. Era minuta ma molto carina e non doveva avere più di cinque o sei anni. Ciò che mi colpì di più fu la gran massa di capelli rossi che incorniciavano un visino stranamente serio per l’età e due grandi occhi blu che fissarono con straordinaria intensità Georges mentre le restituiva il gattino.

- Grazie, signor Seurat. - mormorò appena lo ebbe tra le mani. Ma non se ne andò.

Georges rimase impietrito: come poteva una bambina così piccola, che non lo conosceva, sapere il suo nome? Certo lui era un pittore, iniziava ad avere anche un po’ di notorietà ma non ancora così tanta da far sì che anche i bambini piccoli lo riconoscessero a vista, nel buio della notte.

- Chi sei, piccolina e come sai il mio nome? - le chiese, chinandosi per guardarla in viso.

- Lo so perché l’ho visto mentre mi porgeva Pillow.

- Cosa significa “l’ho viso”? - Georges era molto serio. Segno che la faccenda lo turbava.

- Quello che ho detto: ho visto il suo nome davanti a un grande quadro con un’acrobata sul cavallo mentre mi passava Pillow...

- Un grande quadro?

La piccola annuì soltanto, stringendosi al petto il gattino che voleva scappare di nuovo.

- Con il circo?

Annuì di nuovo. Poi aggiunse, come se si trattasse di una cosa di nessuna importanza – Sì, ma non è finito... cioè non farà in tempo a finirlo.

Vidi che Georges si irrigidiva.

- Perché dici che non farò in tempo?

- Non lo so di preciso. Non vedo mai bene le cose... è come quando si guarda in una pozza d’acqua dopo che vi si è appena gettato un sasso: le immagini sono confuse.

- Vuoi dire che... vedi il futuro?

Mi stupii nel sentire Georges continuare quell’assurdo dialogo. Non era mai stato il tipo di persona che crede ai poteri paranormali, ai fantasmi o alle predizioni, eppure sembrava prendere molto sul serio le parole di quella piccola sconosciuta. Ammetto che anch’io ne fui molto colpito: possedeva un misto di dolcezza infantile e sicurezza della maturità e parlava di cose importanti con grande tranquillità, come se le avessimo chiesto dove abitava o se quella sera faceva freddo. Non aveva per niente l’aria di chi si sta inventando una bugia molto grossa.

- E quindi hai visto che non finirò il mio quadro con il circo? Ma sei sicura che ne farò uno...

Lei annuì di nuovo. Poi aggiunse: - Fra poco, anzi in un certo senso mi sembra ci stia già lavorando... non so...

- Poppet! - un’altra voce infantile giunse ad interrompere il dialogo. - Poppet, eccoti qui finalmente! Ti sto cercando da un bel po’.

- Pillow era scappato, Widget. - rispose la piccola voltandosi verso quella che pareva la sua copia maschile: un bambino dai grandi occhi blu e dalla massa di capelli rossi che incorniciavano un bel visino appena un po’ paffutello.

- Con chi stai parlando, Poppet?

- Oh lui è il pittore Georges Seurat e quello è il suo amico Edmond Aman-Jean, anch’egli pittore. - a quelle parole io e Georges ci guardammo negli occhi. - E questo è mio fratello Winston... cioè Widget.

- Anche tu vedi il futuro? - gli chiese Georges.

- No, io vedo il passato.

- Per carità, Georges! Andiamocene subito! Uno vede il futuro, l’altro il passato: sono semplicemente dei gemelli un po’ sciocchini che vivono nelle loro fantasie. - gridai esasperato, attirando l’attenzione di tutti. I bambini mi guardarono come se fossi stato una cosa disgustosa appiccicata alla suola delle loro scarpe. I loro occhi erano fiammeggianti: probabilmente non li avrei feriti di più se li avessi schiaffeggiati. Georges invece aveva uno sguardo carico di commiserazione. Anche se avevo sentito dire che al Circo dei Sogni c’era qualcuno in grado di vedere il futuro e qualcuno che leggeva il passato non ero disposto a credere che proprio in quel momento fossero lì davanti ai miei occhi e, soprattutto, che fossero solo due bambini. - Non crederai...

- Questa bambina è sincera, Edmond. E non dimenticare che ha saputo dire anche il tuo nome e quello che fai.

- Ma Georges... - ero combattuto, lo ammetto. Anch’io ero convinto che la bambina fosse sincera e non riuscivo a dare una spiegazione razionale alle sue capacità se non che effettivamente poteva vedere il futuro. Però la cosa mi spaventava. Sì, ero spaventato. Proprio la noncurante sicurezza con cui parlava la piccola Poppet mi metteva in soggezione: ero sicuro dicesse la verità e temevo le sue visioni offuscate del futuro. Le temevo soprattutto perché avevo capito perfettamente a cosa alludesse dicendo “non farà in tempo a finirlo”.

- C’è altro che vedi? - le chiese Georges.

- Andiamo via, Poppet! - borbottò il fratello, prendendola per un braccio.

- No, signore.

- Andiamo, non ci credono! - Widget iniziò a strattonarla finché la convinse a seguirlo, anche se recalcitrante. Mentre spariva nel buio si voltò un’ultima volta verso di noi e poi scomparve.

Restammo in silenzio per alcuni minuti, immobili, a fissare il vuoto. Non so cosa stesse pensando Georges e non osai chiamarlo, né dirgli alcunché. Attesi finché non fu lui a parlare per primo e quando lo fece, con mia grande sorpresa, aveva la voce allegra:

- Beh, caro Edmond, sembra che dovrò sbrigarmi a ultimare il progetto che ho in mente, tu cosa ne dici?

- Ah Georges... - feci un gesto in aria con la mano, come per scacciare una mosca fastidiosa.

- Sì, sì, non ti preoccupare! - si affrettò ad aggiungere lui. - Sto solo scherzando, ma ho davvero fretta di mettermi al lavoro! Se tu sei d’accordo tornerei al caffè a riprendere il taccuino.

- Sì, andiamo via di qui. Per questa notte ne ho avute abbastanza!

Ci incamminammo in silenzio, passando accanto ad artisti che si esibivano fra i tendoni e agli spettatori che andavano e venivano in ogni direzione. Guardandolo di spalle Georges mi sembrava sereno, non so perché. Non parlammo neppure mentre attraversavamo i cancelli lasciandoci alle spalle il magico Circo dei Sogni ma, fatti alcuni passi, Georges si voltò e, fissando il tendone più alto con le sue bandierine che ondeggiavano nell’oscurità, mormorò:

- Il futuro è un’immagine confusa come quella che vediamo in una pozzanghera dopo avervi gettato un sasso... Per me, che vedo solo il presente scorrermi davanti agli occhi, è semplicemente una fanghiglia indistinta. Però mi chiedo se questa notte un angelo pietoso non abbia voluto darmi la possibilità di intravvederne un frammento.

Nelle settimane seguenti Georges si dedicò con grande ardore al dipinto del circo: eseguì moltissimi bozzetti e lo studio preparatorio. La versione finale raffigurava una curva all’interno di un tendone e le gradinate sulle quali sedevano piccoli gruppi di spettatori che, ammirati, seguivano il numero sulla pista: una giovane acrobata, avvolta in un meraviglioso costume dorato, si reggeva in equilibrio sulla groppa di uno stupendo cavallo bianco, mentre alle sue spalle un altro acrobata (anche’esso in oro) atterrava sulle mani dopo un salto mortale. Tutto era luce, colore e gioia.

Quando in marzo si aprì il Salon des Indépendents, Georges decise di esporlo ugualmente, anche se non era ancora del tutto ultimato. Poco dopo si mise a letto per un brutto raffreddore e nel giro di pochi giorni morì, lasciando Il Circo per sempre incompiuto. La piccola Poppet dai grandi occhi blu aveva visto davvero il futuro attraverso la torbida acqua del tempo.

  
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