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Autore: Ale HP    08/02/2012    3 recensioni
La storia partecipa all'iniziativa "Latin Lover" indetta dal Collection of Starlight
La mia omosessualità, l’amore per i sederi dei ragazzi, quella bellissima nottata con Luigi… Tutto quello era solo secondario paragonato agli occhi di Giorgia.
Così, lentamente, mi avvicinai al suo volto e – lasciandola di stucco – la baciai.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La storia partecipa al Latin Lover Challenge, iniziativa ideata dal « Collection of Starlight, » said Mr Fanfiction Contest, « since 01.06.08 »

Ringrazio infinitamente Vavvina che ha betato questa Originale, non so proprio come avrei fatto altrimenti! (:
Spero che vi piaccia,
Ale HP :)


 


L'amore non è provare il sentimento, ma accettarlo.



Era una notte speciale, e a nessuno importava. A nessuno di importante, in realtà.
Volevo trovarla sotto casa mia, appoggiata con tutta la calma del mondo al portone, come faceva in estate, quando uscivamo con tutti i nostri amici.
Che era cambiato da quel periodo?
Era incominciata la scuola, accompagnata da mille problemi e le sofferenze. E io non le ero stato accanto.
Come avevo potuto? Stentavo ancora a crederci.
Sospirai a fondo, tentando di non far uscire le lacrime: non volevo piangere davanti a mia sorella, non di nuovo.
Era stata dolcissima, quando successe la prima volta, ma non avrei mai potuto dimenticare il lieve imbarazzo a causa dell’argomento trattato e la sua paura nel dire qualcosa che mi potesse consolare.
Non si poteva ripetere, proprio no.
Mi alzai tremante dal divano, seguito dallo sguardo della ragazza, e la lasciai da sola, mentre vedeva il mio film preferito.
Non replicò nulla, ma mi lasciò andare via dal salone, senza trattenermi.
Andai nella mia camera, mi buttai sul letto ed aspettai un segno di vita dal mio cellulare. Niente.
Quell’estate – quella meravigliosa estate – lei mi promise che nel giorno del mio compleanno mi avrebbe fatto gli auguri a mezzanotte, così come avevo fatto io per lei. Mancava ancora un minuto, poi la mezzanotte sarebbe passata.
Il telefono non sembrava voler squillare e controllai più volte che fosse accesso e che ci fosse campo, finché non mi addormentai con la faccia premuta sul cuscino.
Mi svegliai il mattino seguente, scosso da mia sorella.
Il suo solito sorriso solare non mancava nemmeno in quel triste e deprimente giorno invernale, ancora troppo lontano dalle vacanze natalizie.
«Hai dormito così tutta la notte?» domandò, preoccupata.
Effettivamente, aver dormito la notte del cinque dicembre, con fuori una tempesta in piena regola, vestito di una semplice maglia e con il letto ancora fatto non era stata una grande cosa.
«Mettiti sotto le coperte» continuò, accarezzandomi il viso dolcemente, «nel frattempo ti preparo una cioccolata calda».
Le attenzioni che mi riservava erano sempre di mio gradimento, ma sapevo che per lei la frase «ti preparo una cioccolata calda» significava molto di più. Oh, sì.
Ero spacciato: sarei stato sottoposto ad un interrogatorio di terzo grado e non ne avevo voglia.
«Smettila di pensare». La sua voce risuonò ferma e decisa, mentre entrava dalla porta con due tazze fumanti.
«Allora» disse dopo, quando si fu seduta, «mi dici che è successo? Ti prometto che ti aiuterò veramente, stavolta».
Io abbassai lo sguardo, costernato, per poi decidermi a parlare: in fondo, lei era mia sorella e mi voleva bene, chi meglio di lei poteva aiutarmi?
«Non mi ha chiamato e me l’aveva promesso» spiegai tutto d’un fiato, sperando che la sua intelligenza le facesse comprendere di chi parlavo.
Lei sorrise semplicemente, poi mi fece gesto di farle spazio e si sedette al mio fianco, sotto le coperte.
«Nemmeno tu, però, hai mantenuto la tua promessa» disse, tenendo lo sguardo basso.
«È stato difficile, Alice, non sai quanto» iniziai, poi sorseggiai un po’ della cioccolata, sapendo che quello sarebbe stato un lungo monologo. «Avrei voluto davvero farlo, ma è stato così difficile che mi mancava la forza anche solo per pensare al suo sorriso.
«Avrei voluto starle accanto, ma vederla soffrire così tanto faceva stare troppo male anche me. Ero una delle cause della sua sofferenza! Capisci? Come potevo andare da lei, starle magari vicino, consolarla, se poi c’era una piccola possibilità di causarle ancora più dolore? Non avrei mai potuto farlo, non sarebbe stato da me. Io sono sempre stato un codardo, mi sono sempre rifiutato di affrontare le difficoltà e…»
«Non sei un codardo» mi interruppe Alice. «Sei il ragazzo più dolce e intelligente del mondo».
Le mie guance divennero subito rosse e abbassai lo sguardo pieno di imbarazzo.
«Hai avuto anche tu i tuoi problemi, non dimenticarlo. E ora, dato che la sua assenza ti fa stare così male, vestiti e va’ da lei».
 
 
La strada era deserta e il vento era persistente, ma non me ne preoccupavo. Avrei attraversato metà città, ma l’avrei rivista.
Non sapevo perché solo ora mi ero deciso, avrei dovuto parlare con Alice tempo prima.
Arrivai sotto casa sua infreddolito ma deciso a farmi perdonare. Sarei ritornato ad essere il suo migliore amico, l’avrei ascoltata e aiutata in ogni modo.
Suonai lievemente il citofono, sperando che fosse lei a rispondere e non i genitori, e così fu.
«Chi è?» domandò, con la classica voce scocciata di chi è stato appena disturbato dal suo non far nulla pomeridiano.
«Sono uno stupido ragazzo che vuole scusarsi con te. Puoi scendere?»
Sentii Giorgia sbuffare prima di dire di sì e riattaccare il citofono.
Arrivò in meno di cinque secondi, con il suo giubbotto azzurro e i capelli legati. Era bellissima.
Certo, da un ragazzo con dei gusti sessuali ritenuti da molti sbagliati non valeva molto come complimento, ma la trovavo la ragazza più bella di questo pianeta.
Sorrisi lievemente e lei fece lo stesso, poi corse fra le mie braccia.
«Non sai quanto ho aspettato questo giorno, Luca. Mi mancavano i tuoi abbracci» disse, ancora stretta a me.
«Non voglio illuderti, però. Io non sono  innamorato di te, Giorgia. Sei la mia migliore amica, sei una bella ragazza – la più bella – e sei la persona più dolce e sensibile che questo mondo abbia mai conosciuto e se mai dovessi soltanto pensare di non essere gay sarai la prima persona dalla quale andrò».
La ragazza abbassò lo sguardo e sospirò profondamente.
«Probabilmente mi innamorerò sempre di qualcuno che ama qualcun altro. Perché? Così. Ho un talento particolare per le situazioni impossibili. Tutti hanno talento per qualcosa» disse poi, citando uno dei tanti scrittori che amava.
«E tu non hai solo talento in questo» dissi spontaneamente, credendo fermamente nelle mie parole. «Sei un genio, Giorgia. Hai un talento enorme nel disegno! Sei un’artista a tutto campo! Non devi abbatterti solo perché io non posso amarti».
Lei sbuffò, prima di scoppiare. Sapevo che sarebbe successo, anzi, ero abbastanza sorpreso che non avesse ancora urlato contro di me.
«Ma ti senti quando parli? “Non posso amarti!” Quando capirai che l’amore non ha regole? Se due ragazzi si amano, bene! Se due ragazze si amano, perfetto! Ma se un gay si innamora di una etero perché dovrebbe reprimere i propri sentimenti? Impara a non pensare alle etichette, Luca!» concluse, urlando, con gli occhi che le luccicavano.
Fu allora che iniziai a capire.
La mia omosessualità, l’amore per i sederi dei ragazzi, quella bellissima nottata con Luigi… Tutto quello era solo secondario paragonato agli occhi di Giorgia.
Così, lentamente, mi avvicinai al suo volto e – lasciandola di stucco – la baciai.



 
   
 
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