SCOPPIAVA
NELLA VIA…
Anno 2050. I finti poliziotti hanno assunto il potere in
tutto il mondo. I condomini sono divisi in settori, tutti controllati
ventiquattrore al giorno da videocamere a circuito chiuso, collegate
direttamente alla centrale mondiale. Nessuno può uscire se non in orari
controllati. Nessuno può raggiungere i piani superiori. Nessuno può uscire di
casa senza trovare un poliziotto pronto ad assalirlo. Il mondo del terrore è
arrivato. E i suoi controllori sono degli uomini.
La gente vive nel terrore, resta chiusa in casa senza
fiatare. Fanno quello che devono fare. Dicono quello che devono dire. Pensano
quello che devono pensare. Vivono la loro vita nel terrore e nella soppressione.
Nessuno osa neanche più sperare.
La vita media di un uomo normale è ormai ai
quarant’anni. Chi prova a superare questo limite, viene immediatamente
soppresso. Un uomo è inutile dopo i quaranta anni!
I poliziotti possono arrivare anche ai cento anni con
tranquillità. Tutta la scienza è messa a disposizione di questi uomini, ritenuti
gli eletti della terra. Lavorano quattro ore al giorno, e il loro lavoro
consiste nel controllo sugli uomini di grado inferiore. E intervengono quando
vedono il bisogno.
Io ero uno di loro. Ero un poliziotto. Figlio di uno di
loro; non avevo scelta. Chi è nato come poliziotto vivrà come poliziotto. E
morirà come tale!
Ma io ero diverso da loro. Non volevo esserlo. Io non mi
sentivo un poliziotto. Spesso osservavo gli uomini inferiori, e tutto quello che
provavo nei loro confronti era la pietà. La pietà di un uomo che vede soffrire
un suo simile.
La notte non dormivo; pregavo. Pregavo un Dio. Il Dio
che mi avevano imposto di adorare. Dov’era? Perché esiste un Dio per i
poliziotti, mentre gli uomini inferiori ne sono sprovvisti? E perché non mi
ascolta?
Avevo diciassette anni. Noi poliziotti cominciavamo a
lavorare solo a vent’anni. Prima dovevamo goderci la gioventù. E dovevamo
studiare per imparare al meglio cosa voleva dire essere un poliziotto. Tutti i
miei compagni erano fieri di essere poliziotti. La sera uscivano dalla centrale,
e andavano in strada a picchiare gli inferiori. Chi osservava non faceva nulla
per aiutare i suoi simili. Osservavano con tristezza, e, quando i poliziotti
avevano finito di divertirsi, aiutavano il malcapitato a tornare a casa. Ma per
loro era impossibile entrare nelle altre case. Quindi, una volta dentro, l’uomo
doveva cavarsela da solo, e doveva rimettersi in tempo per riuscire il giorno
dopo ad andare al lavoro. Pena: la morte.
A diciannove anni cominciai a usare uno dei computer
minori. Mi spiegarono i meccanismi più facili. Come accedere a una telecamera di
livello uno e due, spostarla, e come usare i sistemi di allarme. Mi diedero
un’arma. In caso di bisogno avrei potuto usarla.
Poi mi diedero la costituzione. Un piccolo libricino,
all’apparenza inutile.
Articolo 1: Il poliziotto è l’essere supremo. Ha il
compito di vigilare sull’evoluzione di se stesso, e di manovrare gli uomini
inferiori a suo vantaggio.
Non credevo avessero il coraggio di scrivere una cosa
del genere…
Articolo 2: Gli uomini inferiori hanno il dovere di
lavorare tredici ore al giorno. Chi non rispetta questa regola può essere punito
con la morte.
Articolo 3: Qualunque scoperta deve essere comunicata a
un proprio superiore. Ogni mancato rispetto procura una diffida nel poliziotto.
Dopo dieci diffide, il poliziotto viene considerato uomo
inferiore.
Articolo 4: Gli uomini inferiori non possono riunirsi.
Non si può entrare in una casa che non sia la propria.
Articolo 5: Gli accoppiamenti tra gli uomini inferiori
sono decisi in seduta comune dai poliziotti. La coppia non può avere più di due
figli.
Articolo 6: I cuccioli di uomini inferiore vengono
allevati in infantodromi, da persone apposite. Nessun bambino può uscire da un
infantodromo prima dei dieci anni.
Articolo 7: A undici anni un cucciolo di uomo inferiore
viene considerato tale a tutti gli effetti. Può dunque iniziare a
lavorare.
Chiudo il libretto e lo butto sul tavolo. Non voglio
continuare.
A venticinque anni avevo già imparato a utilizzare le
telecamere di livello 7. Cosa alquanto rara per un venticinquenne. Le telecamere
di livello 7 venivano utilizzate dai poliziotti di livello 4, mentre io ero solo
al secondo livello.
Continuavo a studiare quegli aggeggi. Chiunque li aveva
creati, era un genio. Chi li aveva sfruttati era uno
stronzo!
E a trent’anni, finalmente, avevo libero accesso al
computer centrale. Da li potevo controllare ogni cosa. Ma nessuno sapeva nulla.
Rischiavo già la prima diffida!
Poi…
Nel settore 4 della periferia di Napoli ci fu
un’aggressione. Due poliziotti diciassettenni avevano aggredito un uomo. Decisi
che era ora di finirla.
Disattivai la telecamera, presi la mia arma, e corsi
fuori. Presi la mia automobile e corsi verso quel settore. Arrivai che ancora lo
stavano picchiando. Scesi dalla macchina e guardai attentamente i due ragazzini.
Loro appena mi videro si bloccarono, e si misero sull’attenti. L’uomo non osò
alzare lo sguardo verso di me. Io continuai a guardare i poliziotti. Mi
aggiustai la giacca. “Fuori dalle scatole!”. I due ragazzi batterono i tacchi,
poi si girarono e corsero via. Ero un poliziotto di terzo livello, e loro
avevano l’obbligo di obbedirmi.
Cercai di aiutare l’uomo. Quello guardò le mie mani. Mi
ero dimenticato i guanti. Si allontanò impaurito. “Non preoccuparti! Non voglio
farti del male!”. L’uomo esitava ancora. “N…non hai…i guanti…”. Cominciai a
capire perché. Nessuno poteva toccare la pelle di un poliziotto. Anche per
quello c’era una pena. La solita.
“Io non ti denuncerò…e poi sono io a prenderti, non tu a
toccare me!”. L’uomo mi guardò meglio. Poi si lasciò aiutare. Si appoggiò a me.
Poi cercò di lasciare la presa. Si appoggiò a un palo della luce. Notai la
telecamera. Spenta. Da me.
“Sei…un regista?”. Lo guardai stupito. Cos’era un
regista? “No…non credo…”. L’uomo sorrise tristemente. “Qualcuno deve aver
disattivato quella telecamera…io non sono stato…e un poliziotto normale non lo
farebbe mai…”. Io non capivo, ma quell’uomo sembrava sicuro delle sue parole. Mi
feci coraggio. “Come ti chiami?”. “3201!”. “Il tuo nome da uomo?”. L’uomo
sorrise. “Fabrizio…e tu?”. Si bloccò. “Ah…già…non puoi dirmelo…”. Non gli feci
finire la frase. “Sono Leonardo”. L’uomo non sembrava stupito della mia
risposta. “Grazie per l’aiuto Leonardo…spero che possano nascere altri
poliziotti come te…”. Accese una sigaretta e si allontanò. Tornai in macchina,
e, con il computer di bordo, riattivai la telecamera. Stavo per accendere
l’auto. Poi mi bloccai. Riguardai quell’uomo.
Lo seguii…
Trovai la sua casa. Avrei voluto entrare. Ma decisi che
era meglio di no. Tornai quindi in centrale.
“Dove sei stato?”. Era Roberto. “Mi sono fatto un
giro…”. “Non sei mai uscito dalla centrale…”. “L’ho fatto oggi!”. Non aspettai
un suo commento. Me ne andai nella mia stanza. Inserii la password nel computer,
entrato in standby gia da tempo. Controllai con la telecamera la casa di
Fabrizio. Suonarono le undici in punto. Lui uscì dal bagno e si infilò nel
letto. Non c’era nulla da vedere…
Mi tornarono in mente le sue parole. “Sei un regista?”.
Cos’è un regista? Perché mi ha fatto una domanda del genere? Dovevo capirlo…e
per farlo avevo ancora bisogno di Internet. Accidenti! Non mi è mai piaciuto
usare Internet! I poliziotti lo usavano per divertimento. C’erano miliardi e
miliardi di siti pornografici, che io non mandavo giù. Ogni sito aveva un
collegamento ad uno di questi. Ma mi avevano detto che c’erano anche siti
interessanti. Che Google non era ancora deceduto, e non serviva solo a
rintracciare siti per adulti con qualità grafiche superiori ai tredici
megapixel. Volli provare.
Inserii la parola ‘regista’. Il computer ci mise un po’
a elaborare. Sulla schermata apparvero i primi dodici siti. Tutti porno. Sapevo
che sarebbe successo. Ma da qualche parte ci doveva essere qualcosa di utile.
C’erano otto pagine, tutte da dodici siti. Cominciai dall’ultima. E feci
bene.
Tre risultati effettivi, tutti nascosti in fondo al sito
di ricerca.
Regista: Antico lavoro…
No…
Regista: Produttore teatrale o cinematografico scomparso
da più di tre anni…
Nemmeno…
Regista: Il pericolo fra noi!
Rimasi scandalizzato. Pericolo? Che
significa?
Aprii il collegamento. Le immagini di alcuni poliziotti
si fecero largo davanti ai miei occhi. ‘I registi sono poliziotti che non
accettano il loro ruolo. Credono che gli uomini inferiori debbano avere gli
stessi diritti di noi poliziotti, e provano in ogni modo ad abbattere le
barriere tra i due unici ceti mondiali. Usano la cultura poliziesca per aiutare
gli uomini inferiori, e provano in ogni modo a creare dei ribelli tra gli uomini
inferiori. L’articolo 4 della nostra costituzione è nata proprio per rendere più
difficoltoso il “lavoro” di queste persone, che sfruttano la loro posizione per
scopi malvagi e…’
Non voglio leggere più nulla. Voglio andare a letto.
Sono confuso…
A letto…
A letto…
…
“Sono le dieci del mattino…sono le dieci del mattino…è
ora di alzarsi Leonardo…”
Sveglia del cavolo.
Andai a fare colazione, mi lavai e indossai la mia
divisa. Andai a lavoro.
Lavoro…
Si può considerare lavoro controllare le persone tristi
e infelici?
Controllai le fabbriche e i laboratori. Ma nulla in
particolare. Quel giorno le mie quattro ore volarono! Pranzai controvoglia, e
andai nella mia stanza. Controllai con la telecamera la casa di Fabrizio. Vuota.
Dovevo immaginarlo.
Continuavo a pensare ai registi. Possibile? Possibile
che io fossi un regista? O era solo un colpo d’altruismo?
Un’eccezione?
Entrai nel computer centrale. Feci una ricerca
sull’identità di quel Fabrizio. E ciò che vidi mi fece
trasalire…
Non esisteva! Non esisteva nessun 3201 che abitasse in
quella zona! E non c’erano informazioni su Fabrizio! Quella casa non era segnata
sulla mappa…
Ma allora quale telecamera sto
usando?
3201! Non c’è dubbio!
Non esiste!
Suonarono le undici in punto. E sul video apparve
l’immagine di Fabrizio che usciva dal bagno e s’infilava nel letto. Non ci
capivo nulla…chi è Fabrizio?
“Sono le dieci del mattino…sono le dieci del mattino…è
ora di alzarsi Leonardo…”
Questi giorni sono strani per me…la mattina conduco la
vita che hanno progettato per me, e il pomeriggio mi metto alla ricerca di
Fabrizio.
Ho provato con lo scanner mentale. Ho salvato
l’immagine-ricordo con nome falso, e l’ho confrontata con gli archivi centrali.
Non esisteva nessuno con quella faccia. Accidenti…che sta succedendo
qui?
Suonarono le undici in punto. Fabrizio usci dal bagno e
s’infilò sotto le coperte.
Eppure c’era qualcosa che saltavo…qualcosa che
tralasciavo…c’erano particolari che non avevo notato…
“Sono le dieci del mattino…sono le dieci del mattino…è
ora di alzarsi Leonardo…”
Questa volta proverò con un grado superiore. L’archivio
di stato.
È una mossa pericolosa. Se mi scoprono potrei non
cavarmela con una semplice diffida. Ma ero pronto a tutto. Mi richiesero la
password. Avevo un minuto per inserirla. Annullai l’operazione. Cominciai a
creare il programma. Lo avrei chiamato Leo3201. Usai il C plus plus per crearlo.
Il linguaggio sarebbe risultato di più difficile comprensione per i poliziotti;
nel caso in cui venissero a sapere della mia mossa, ci vorrà più tempo per poter
capire l’impulso, e trovarmi.
E provai con il nuovo programma…
Password:
Passarono i primi secondi. Il programma lavorava in
maniera incessante. Io non potevo fare altro che attendere, e
sperare.
Password: **
Le prime due lettere. Forse ce la
faccio.
Password: ***
Si…si…
Password: *****
Mancano dodici secondi…
Password: *****
Che succede? Avanti! Spara la lettera!
Forza!
Password: *****
Cavoli…mancano cinque secondi…
Password: ******
Accesso Consentito!
Ho sudato freddo…ma ora sono dentro! Confronterò di
nuovo l’immagine con l’archivio di stato! Forse questa volta ci
riesco.
Nome?!
Mh…3201…
Accesso Negato!
Accidenti! Non è possibile! Non corrisponde! Non esiste
neanche nell’archivio di stato. E se provassi così?
Nome?
Fabrizio…
Accesso Negato!
Neanche stavolta…possibile che sia io a sognare?
Possibile che non esista questo uomo? Possibile che sia sparito del
tutto?
Non ho più tempo…devo uscire dall’archivio di
stato…
Ho fatto un altro buco nell’acqua!
Le undici in punto…anche stavolta Fabrizio esce dal
bagno e s’infila sotto le coperte…
Aspetta un momento…
Com’è possibile?
Per quanto la vita di un uomo inferiore sia programmata,
l’organismo di un uomo inferiore è simile al nostro, se non uguale. Com’è
possibile che Fabrizio vada al bagno ed esca sempre alla stessa
ora…
Non ci credo…
La telecamera non si muove…non risponde ai miei
comandi…
È UNA REGISTRAZIONE!
Ma com’è possibile? Com’è possibile che un uomo
inferiore sia riuscito a ingannare il sistema di sicurezza dei poliziotti? È
passato inosservato anche a me! È una tecnica perfetta, creata tutta in
linguaggio Htmz! È…è…assurdo!
Eppure c’è riuscito. E io…dovrei dirlo…dovrei
comunicarlo ai miei superiori…dovrei…dirlo…
No! Non me ne frega niente dei miei superiori! Io
scoprirò cosa c’è dietro! E lo farò da solo!
E il primo passo sarebbe stato andare nella presunta
casa. Quindi presi la macchina, e andai.
“Dove vai?”. Un’altra volta Roberto. “A fare un giro!”.
“Da quando esci così spesso?”. “Da quando sei così interessato a me?”. Roberto
non rispose. “In ogni caso, voglio uscire un po’…spero non ti dispiaccia…”.
Roberto fece una smorfia. Poi accennò un sorriso. “Buona passeggiata,
Leonardo!”. Uscii.
La macchina mi portò dove volevo…non mi preoccupai di
disattivare le telecamere…tanto è una registrazione. Entrai dal portone, e salii
lentamente le scale. Non un rumore. Tirai fuori la mia arma. In ogni caso non
potevo rischiare. La porta era chiusa, e il mio codice non funzionava. L’avevo
immaginato; così mi ero portato il palmare, con il programma Leo3201. In breve
trovai anche quel codice. Ma da lì tutto sarebbe stato molto più
complicato.
Entrai lentamente, utilizzando le tecniche stealth
imparate al corso di ninjitsu. Con quelle nessun uomo inferiore avrebbe potuto
trovarmi. Ma io avevo paura. Quello che stavo cercando non era un uomo inferiore
normale…era qualcosa di più!
Un braccio si strinse attorno al mio collo, e la punta
di una pistola, probabilmente di vecchia data, mi tocca leggermente la testa.
“Raggiungi il pulsante di emergenza, e non rivedrai più la luce!”. Quella
voce…la conoscevo?! “Chi sei? Come hai fatto a entrare?”. Avevo paura. In
trent’anni di vita non ero mai stato minacciato. Come aveva fatto a prendermi?
Tutti i poliziotti devono imparare le basi di un’arte marziale. E io mi ero
cimentato persino nel ninjitsu. Come ha fatto a fregarmi così. Nella posizione
in cui ero potevo fare ben poche domande. “M-Mi chiamo…Leonardo…”. “Leonardo!”.
Il braccio allentò la presa. “Sei quel Leonardo? Quello dell’altra volta?”. Mi
voltai lentamente.
Fabrizio!
“Sapevo che un normale poliziotto non si sarebbe accorto
della nostra presenza…”. Mi voltai attorno. Altre due persone mi circondavano.
Un uomo e una ragazza. “Che succede qui?”. Fabrizio rinfoderò l’arma. “Qui c’è
la sede rivoluzionaria dei registi?”. La ragazza si fece avanti mostrando una
certa rabbia. Notai in lei una certa bellezza. Non sembrava un uomo inferiore.
Aveva la pelle ben curata, a differenza delle altre. “Hey! Non stai dando un po’
troppe informazioni?”. “Sta tranquilla…è un regista anche lui!”. “Non ne
sappiamo nulla!”. “Mi ha salvato da due poliziotti ragazzini!”. La ragazza, un
po’ seccata, fece silenzio.
“Questo è Francesco!” mi disse indicando il secondo
uomo. Quello si fece avanti con un sorriso nascosto dalla folta barba. Tese la
mano. “Piacere! Il mio nome in codice è Guccio!”. “Nome in codice?”. “Ci servono
per le comunicazioni informatiche…nonostante abbiamo cancellato tutte le
informazioni sugli archivi dei poliziotti, preferiamo non correre rischi…il mio
nome in codice è Faber!”. Mi voltai nuovamente verso Francesco. “Beh…piacere!”.
Gli strinsi la mano. Poi mi girai nuovamente verso quella ragazza. Quella si
accorse che la guardavo. Non si girò. “Il mio nome in codice è Leyla.”. Non
aveva messo un’intenzione in quelle parole. Era come la voce di un robot.
Fabrizio si avvicinò al mio orecchio. “è molto diffidente…”. Io abbassai gli
occhi e dissi, con un filo di voce “P-Piacere…”.
Attraversammo tutta la casa; all’apparenza normale.
Arrivammo vicino a una libreria. “Aprite” disse Francesco. “Chi è quello?”.
“Amico!”. Capii che stavano parlando di me. “Va bene…”. La libreria scivolò fino
a sparire nel muro. E quello che vidi davanti a me fu
sconvolgente.
Senza capire come fosse possibile, ne dove fosse
costruito, mi trovai dinanzi una piazza gigantesca, con almeno un centinaio di
metri quadrati di area. Da tutte le parti c’erano persone di ogni tipo. Alcuni
erano vestiti da poliziotti. “Benvenuto tra i registi,
amico!”.
Preparavano una rivoluzione. Provavano a convincere gli
uomini inferiori a collaborare. Assoldavano i poliziotti che capivano la
necessità di avere un mondo migliore, equo per tutti. Qui la vita sembrava
quella di una volta. Quella del duemila.
Me ne avevano parlato da piccolo…il duemila! Per noi
poliziotti un passato…per i registi una speranza! Anche allora gli abitanti si
lamentavano per l’espressione di potere di alcuni leader, e per questo i
poliziotti decisero di prendere il sopravvento. Nessun leader! Così dicevano. E
sono finiti per diventare loro i padroni…
Mi spiegarono qual era il piano. La rivoluzione era
progettata come quelle di un tempo. Inutile provare un attacco informatico.
Inutile lo spionaggio.
Raccoglievano le armi che rubavano ai poliziotti. Ne
avevano a bizzeffe! Da tutte le parti c’erano fucili, pistole, armi di ogni
genere. Notai che qualcuno ne portava una dietro. Un uomo che faceva avanti e
dietro per tutta la piazza, aveva un M16. Vecchio modello, ma molto
efficace.
“Siamo un migliaio…questa non è l’unica sede…perlopiù ci
sono persone reputate morte. La gente che vuole entrare prima dei quarant’anni,
deve riuscire ad entrare nell’archivio di stato e distruggere i propri dati.
Solo quando ne siamo sicuri permettiamo loro di entrare. Inoltre creiamo
degl’incidenti per poter raccogliere persone dalla fabbrica. Per lo stato,
ovviamente, sono tutti morti!”. Era tutto perfetto, nulla era lasciato al caso.
“Per raccogliere le armi usiamo dei poliziotti corrotti. Tutti del quarto
livello. Al di sotto non possono entrare in sala armi.”. Assurdo. “Ma non si
accorgono delle armi mancanti?”. “Ne creano migliaia al giorno nelle
centrali…non fa differenza se ne prendiamo un migliaio noi…”.
Sorrise.
“E tu?”. Mi girai. Vidi Leyla. “Cosa farai? Sei dei
nostri?”. Non sapevo cosa rispondere. Era tutto così complicato. “Beh…credo di
si…”. “Qui ci vogliono certezze…devi dare una risposta decisa!”. Fabrizio
s’intromise. “Lascialo stare! Non vedi che è confuso? Lo saresti anche tu a
scoprire tutte queste cose tutte in una volta…”. La ragazza continuava a
fissarmi. E giuro di aver scorto un sorriso in quel momento. Mi aveva
sorriso.
“Posso farti una domanda Fabrizio?”. “Certo!”. “Quella
ragazza…Leyla…sembra molto giovane…non avrà più di vent’anni…”. Fabrizio
sorrise. “Lei è nata qui!”. Quello che disse mi fece trasalire. “Noi esistiamo
da più di vent’anni…e qui le coppie non le decide nessuno! Vige il libero amore!
E lei è una dei registi originali!”. Accidenti…è nata e vissuta qui?! Per questo
è così diffidente…
Stavo per andarmene. “Ci fidiamo di te…ti lasceremo
andare…”. Non risposi. “Torna quando vuoi; se vorrai potrai aiutarci…saremo
felici se succederà!”. Accennai un mezzo sorriso. Poi salii in macchina. Guardai
un’ultima volta Leyla; e andai via.
Tornai nella centrale. Era mezzanotte passata. Anche
quella sera incontrai Roberto. Non lo degnai di uno sguardo; andai direttamente
a dormire. Ero stanco. Tanto stanco.
“Sono le dieci del mattino…sono le dieci del mattino…è
ora di alzarsi Leonardo…”
Non ne avrei voglia stamani. Ma devo
farlo.
Tutto andò come sempre. Colazione, quattro ore di
lavoro, pranzo, ricerche sul computer. Andai su internet. Cercai informazioni su
Leyla. Ovviamente non trovai nulla. Sapevo quanto fosse inutile. Presi il libro
d’informatica. Volevo imparare a usare i virus a mio vantaggio. Non so perché,
ma sentivo che sarebbe stato utile.
Passarono due settimane da quel giorno; io non uscii
dalla caserma. Avevo paura. Tanta paura.
E poi, un giorno vidi uscire dalla mia stanza un
poliziotto. Non lo conoscevo. Ma sapevo di averlo già visto. Mi vide; sorrise;
se ne andò.
Entrai di corsa nella mia stanza. Tutto in ordine, nulla
era stato toccato. Mi girai attorno alla ricerca di qualcosa fuori posto. Tutto
sembrava normale. Mi stesi sul letto. Sarà stata un controllo speciale.
“Leonardo! Leonardo! Rispondi presto!”.
F-Fabrizio?!
“D-Dove sei?!”. “L’apparecchio sulla tua
scrivania…prendilo!”. Era una scatoletta nera. Aveva parecchi fori alle
estremità, e qualcosa che assomigliava a un’antenna. Con un po’ di esitazione
presi quello strano apparecchio. “Leonardo! Abbiamo bisogno di un medico! Ti
prego! Sappiamo che hai le nozioni avanzate di medicina. Vieni! Vieni! Ti
scongiuro!”. Non sapevo cosa rispondere. Con quest’azione avrei definitivamente
tradito i poliziotti, e sarei passato dalla parte dei registi. “Ti prego
Leonardo!”. Non potevo deluderli. “Arrivo!”.
Arrivai in un baleno. Entrai nella casa finta, e arrivai
davanti alla libreria. “Aprite!”. Nessuna risposta. “Aprite! Sono
Leonardo!”.
“Aprite!”. La voce femminile di Leyla si fece spazio
dalle mie spalle. A quella voce la libreria scivolò via, aprendo il varco tra il
mondo degli uomini inferiori, e quello dei registi. Io mi voltai verso Leyla.
Lei passò avanti con superiorità. “Reagiscono solo a determinate
voci…”.
La seguii. Arrivai in un angolo della piazza, dove si
udivano delle grida. Un bambino. O poco più… “che ha?”. “Non lo sappiamo, è
qualcosa che va più in là della medicina base!”. Guardai attentamente il
bambino. Respirava a fatica, e aveva delle convulsioni. Tutti i muscoli
s’irrigidivano e si stendevano senza controllo. Non era in stadio avanzato. “È
Tetano!”. “Tetano!”. Tutti furono stupiti. Non credevano che fosse ancora
possibile contrarlo. “Non è in stadio avanzato. Basterà un’iniezione di queste e
tutto passerà nel giro di un paio di giorni.”. Gli diedi la cura e feci per
andarmene. Fabrizio mi fermò per un braccio. “Ti volevo ringraziare…Leo3201!”.
Mi girai di scatto. Come sa del mio programma? “Abbiamo analizzato il programma
che hai usato per trovare il codice d’accesso per la nostra stanza. È geniale! E
da questo viene il tuo nome in codice.”. “Non capisco…”. “Benvenuto fra i
registi Leonardo!”.
Io? Un regista? Ero contro i miei simili? Volevo la
rivoluzione degli uomini inferiori? No! Non sono pronto per un simile
cambiamento! “Leonardo, tu ci hai aiutato più volte! E chi aiuta un regista, e
anch’egli uno di noi!”. Non riuscivo a parlare. Non sapevo che dire.
Sorrisi.
Essere un regista significa aiutare tutti gli
uomini?
Essere un regista significa volere un mondo
migliore?
Essere un regista significa saper
amare?
Io sono un regista!
“Ci vediamo domani!”.
“Sono le dieci del mattino…sono le dieci del mattino…è
ora di alzarsi Leonardo…”
Tutto appariva diverso. Migliore. Ogni minuto era
prezioso per i registi. Anche le quattro ore lavorative. Molte volte dovevo
disattivare le telecamere, per far si che alcuni elementi della mia fabbrica
venissero portati alla base. Cominciai a rubare alcune armi. Due lanciagranate,
dodici doppiette e sette M30. I più potenti tra le armi dei
poliziotti.
Alla base rispondevano ai miei ordini. Io ero il più
istruito fra tutti. Ma non avevo mai usato un’arma. Decisi quindi di frequentare
il poligono di tiro nella centrale. Non ci volle molto. Imparai con la pistola
base e con una doppietta. Ma per l’M30 dovevo aspettare ancora un
po’…
La rivoluzione sarebbe arrivata a breve. Dopo vent’anni
di lavoro assiduo, i registi erano pronti ad attaccare.
Anno 2063, 15 Aprile. Ore 21.30. Io con il mio
programma, perfezionato nell’ultimo anno, entro nel sistema centrale della
polizia della capitale. E distruggo tutto!
Immetto un virus da me creato nell’archivio di stato. E
anche lì tutto è piazza pulita.
Ogni telecamera della capitale ha smesso di funzionare.
Ogni computer della polizia nella capitale risulta
impazzito.
C’ho messo meno di mezz’ora. Non
male!
“Guccio! Tocca a te!”. Francesco cominciò a piazzare gli
ordigni attorno alla centrale idroelettrica della capitale. Alle 22.16 tutto era
pronto.
“Faber! A te l’onore!”.
Un’unica esplosione! E il buio cala su tutta la
centrale. Gli unici settori salvati erano il numero
22.18. I registi partono
all’attacco.
L’attacco fu unico. Le prime granate esplosero contro la
grande porta centrale. I poliziotti non riuscirono a mettere mano alle armi.
Erano troppo impegnati a capire cosa fosse successo ai
computer.
Nessun superstite. Ma anche il nostro schieramento aveva
subito delle perdite. Ora toccava a me. Dovevo accendere il sistema di
emergenza, e ridare vita ai computer centrali, sperando che non fossero
danneggiati altrimenti il tutto sarebbe risultato troppo difficile. Poi quella
voce.
“Ciao Leonardo! Che stai facendo?”. R-Roberto! “Ti ho
sempre tenuto d’occhio. Avevo notato il tuo comportamento negl’ultimi due anni.
Poi stamattina, quando non sei venuto a lavoro, ho deciso di controllare nella
tua stanza. Ho visto i progetti. L’unico punto in cui potevo intaccarlo era
adesso. Uccidendo te la corrente non tornerà, tu non potrai avvisare tutte le
altre centrali, che noteranno l’assenza di segnale della capitale, e arriveranno
forze armate da tutto il mondo.”. Io tremavo. Non sapevo che fare. La mia arma
era troppo lontana. Io ero troppo sicuro di me, e l’avevo lasciata nel fodero
all’ingresso. Cosa potevo fare. “Abbiamo perso molti dei nostri migliori uomini.
Ma è un prezzo che possiamo pagare.”. Caricò la pistola. “In fondo…abbiamo
sconfitto i registi!”.
Un colpo. E un altro.
La mia mano sinistra sanguinava, ma non avevo intenzione
di sentire il dolore. Riaprii gli occhi. Roberto teneva l’arma ancora fumante in
mano. Tremava. E sanguinava. Cadde a terra morto. E dietro di lui apparve Leyla.
Rinfoderò l’arma con estrema freddezza. “Continua il tuo lavoro!”. Io ancora
scosso, ripresi a maneggiare il computer con la sola mano che riuscivo a usare.
Continuai come se nulla fosse, ma volli capire perché lei era qui. “Perché non
sei con gli altri?” le chiesi senza girarmi. “Faber ha detto che eri troppo
importante per la riuscita del piano, e che dovevi avere una persona che ti
coprisse le spalle in casi come questo…”. Sorrisi. Tutto era perfettamente
programmato. “…per colpa tua mi sono perso tutto il divertimento!”. “Perdonami…”
le dissi sorridendo.
In dieci minuti la corrente era tornata. “Ecco fatto!”.
“Bene! Andiamo!” disse Leyla. “Non penso che riuscirai a guidare tanto
facilmente con quella mano…”. Chiusi il portatile, e mi avviai insieme a lei
verso la macchina.
Arrivammo alla sede centrale in meno di un minuto. Scesi
dalla macchina, e trovai Francesco ad aspettarmi. “Manca poco…e tutti saremo
liberi!”. Io accennai un mezzo sorriso, poi tutti e tre ci avviammo dentro la
sede centrale. Lo spettacolo era spaventoso.
C’erano corpi senza vita da tutte le parti, maciullati
dai proiettili dei fucili. Alcuni corpi si riconoscevano a stento. Sulle pareti
il sangue schizzato macchiava le pareti bianche della centrale. Buchi di
proiettili ovunque, lampadari crollati, tavoli e sedie rovesciate. Il
distributore appoggiato al muro, aveva buttato fuori tutti i suoi prodotti.
Leyla raccolse una lattina di Tè, l’aprì, e cominciò a sorseggiarla. Fabrizio
guardò la mia mano piena di sangue. “Allora ho fatto bene a lasciare con te
Leyla…”. Accennai un si con la testa, poi aumentai il passo. Nonostante tutto,
non riuscivo a odiare quelle persone.
Entrammo nella sala computer. Anche lì lo scenario era
pietoso. Non guardai nulla, cercai di far finta di non notare. Mi misi al
computer.
Fortunatamente non era danneggiato. Entrai nell’archivio
di stato, e lo riprogrammai. Inserii i nomi di Fabrizio, di Francesco, di
Andrea, di Giacomo e di Massimo. Una persona per ogni continente. Tutti di
decimo livello. Reinserii i nomi già esistenti, salvati sul mio portatile prima
della completa eliminazione. E infine inserii il mio nome. Ero il poliziotto
mondiale. Non avrei voluto farlo, ma hanno detto che ero l’unico che poteva
spacciarsi per poliziotto di undicesimo grado.
Poi inserii un messaggio.
Problema tecnico alla capitale. Non preoccuparsi. Tutto
risolto per il meglio.
In questo modo tutti sarebbero tornati al proprio
lavoro. Poi inserii il secondo messaggio.
Poliziotti di livello dieci: a rapporto nella
capitale.
Era la loro condanna a morte. Ma era
necessario.
___________
In due settimane il corpo della polizia fu sciolto, e in
meno di un anno tutti gli uomini inferiori vennero dichiarati uomini normali. Il
12 Giugno 2064, come simbolo di liberazione mondiale, fu bruciato la copia
originale dell’ex costituzione. Il sogno dei registi era stato
avverato.
Un mondo dove tutti gli esseri umani erano considerati
uguali
La democrazia era tornata. Resta da vedere quanto
durerà.
Io Fabrizio, Francesco e Leyla continuammo a vederci.
Rimanemmo molto amici, come gran parte dei registi. E scoprii che Leyla non era
un nome in codice. Era davvero il suo nome.
Nel nuovo mondo tutto era possibile. Ci rifacemmo una
vita. Ma io non potei fare nulla, a parte rimanere al governo come aiutante
informatico. Accidenti. Se non avessi messo quel nome…
Leyla mi prendeva spesso in giro per questo. Io non
volevo farlo, ma mi avevano pregato. Ero l’unico che sarebbe riuscito a tenere
tutto sotto controllo.
“Sono le sette del mattino…sono le sette del mattino…è
ora di alzarsi Leonardo…”
Anche quella mattina arrivai tardi a lavoro. Otto ore
con pausa pranzo…non ci ero abituato! Ma se questa era la
democrazia…
…mi ci sarei abituato facilmente!