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Autore: fragolottina    11/02/2012    18 recensioni
"‘Pâtisseries françaises’ è famosa per i suoi dolci, per il fatto che Paris Hilton compra qui la sua torta di compleanno e per il suo pasticcere francese eccellente quanto affascinante, si dice che sia anche velatamente arrogante, ma sono sicura che siano solo chiacchiere."
Quando però Veronica Neri si trova davanti alla dura verità - Pierre Mureau è davvero il presuntuoso che dicono - ha due scelte: rinunciare ad un posto sicuro e decisamente ambito per orgoglio, oppure inghiottire amaro, sopportare Mensieur 'Io sono più figo di te perché parlo francese' Mureau e sperare di conquistare i suoi favori per mettere le mani sul suo leggendario quaderno di ricette.
Ci riuscirà?
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Patisserie française fragolottina's time
questo capitolo mi piace!
davvero, ci sono tante cose... e poi, ancora non avevo scritto nessun momento in cui erano seriamente solo Veronica e Pierre, la storia alla fine parla di loro, si sentono un po' trascurati... ed era un po' anche che non se ne stavano tappati in cucina...
quindi, prima di dire cose che vi rovinerebbero eventuali sorprese, vi auguro buona lettura!

CAPITOLO 4


Un abbraccio che si chiama disattenzione
Quindi, oggi niente appuntamento galante, niente trucco semplice, ma carino, niente scarpe scomode e bellissime, niente cena pagata e chiacchiere per conoscersi meglio. Avevo già scelto come vestirmi, mi ero perfino depilata le gambe oltre il ginocchio – lo so, è terribile, ma quando non hai intenzione di svestirti per nessuno smette di essere una priorità – tutta fatica inutile.
    Un altro giorno all’inferno, meglio conosciuto come ‘Pâtisserie Française’...
    Con le braccia incrociate sul petto osservo il signor ‘annulla il tuo appuntamento’ Mureau darmi delle uova, due panetti di burro, mezzo pacchetto di farina, un bicchiere di zucchero ed un barattolo di marmellata di pesche già aperta. Ah già, anche un quarto di bustina di lievito. Cosa che toglie l’effetto sorpresa alla mia ricetta, visto che ce n’è solo una che io possa fare con questi ingredienti.
    «E se non volessi fare una crostata?» gli domando, tanto per rendermi conto quanto il mio effettivo libero arbitrio conti.
    «Non si può fare sempre quello che si vuole.» è la sua per niente soddisfacente risposta. Mi piazza davanti anche una bilancia, poi sparisce nell’ufficio di Eleonora.
    Evidentemente il mio libero arbitrio non conta niente.
    Sospiro di sollievo, almeno sono sola!
    Mi avvicino ad uno sportello e recupero una terrina, sto anche per romperci dentro un uovo quando…
    «Fai una crostata in una terrina?» mi domanda con il tono di chi si aspetta un ‘no’ come risposta.
    Cielo, che ho fatto per meritare una simile condanna?
    Mi volto a fulminarlo, è fermo davanti all’entrata dello studio con in mano un blocco ed una penna, c’è scetticismo e poca stima nelle mie capacità nella sua espressione, ma non è quella che sto guardando; mi fa strano vederlo in cucina senza divisa, oggi indossa soltanto un paio di jeans sul grigio, una camicia a maniche corte a quadri grigi e blu e sotto una maglia a maniche lunghe a tinta unita, sempre blu.
    «Sì, faccio una crostata in una terrina.» ammetto fiera. Si può fare una crostata in una terrina, viene buona lo stesso, lo so, si evita semplicemente di fare troppo casino inutile.
    Si stringe nelle spalle recuperando una sedia e salendoci sopra per raggiungere degli scaffali alti. «Se lo dici tu.» commenta senza entusiasmo.
    «Mi serve il latte.» rifletto notando che non me ne ha fornito. Intanto rompo finalmente l’uovo nel contenitore, prima che possa interrompermi con qualche altra osservazione sgradita, e prendo a sbatterlo con una forchetta.
    Sposta i piedi rimanendo in bilico su due gambe della sedia, io prego silenziosamente che cada. So che è orribile, ma sono qui da appena mezz’ora ed ho già i nervi a pezzi. Sono sicura che tutto questo stress mi farà venire tante di quelle rughe, che Eleonora dovrà regalarmi un lifting per contratto.
    «No, non ti serve.» dice senza guardarmi e contando in punta di dita i pacchi di qualcosa.
    Ma che diavolo, lo saprò cosa mi serve?
    «Sì, invece.» insisto.
    Lui atterra di nuovo pesantemente sulle quattro gambe e salta giù fissandomi stranito, si avvicina al frigo e mi porge un mezzo cartone di latte a lunga conservazione già aperto.
    «Grazie.» sorrido ipocrita.
    Sbatto le uova, poi peso il burro ed inizio a tagliarlo a dadini.
    «Oh, già.» inizia.
    Ma perché è ancora qui? Non dovrebbe fare l’inventario?
    «Ti sto cronometrando.» annuncia come se fosse una cosa normale.
    Io mi fermo ad occhi sgranati e lo fisso, completamente ed inevitabilmente incredula. «Mi stai…» ma non riesco a finire. Perché tra tutti i pasticceri che possono esserci nel mondo, il mio capo deve essere la reincarnazione di un agente delle SS?
    Solleva il braccio e si scopre il polso, mostrandomi un orologio nero. «Cronometrando.» ripete, poi però aggrotta le sopracciglia riflettendo. «Si dice così, n’est-ce pas?»
    C’è un limite anche alla follia. Deve esserci.
    «Perché, per l’amor del cielo?» sbotto, incapace di trattenermi.
    Lui mi fissa e si tira indietro i capelli con una mano, lo odio, ma non so cosa darei per passare le dita tra i suoi ricci. «L’eccellenza va conquistata.» per alcuni secondi lo guardo e basta, perché dietro alla sua follia, alle sue richieste assurde e tutto il resto, incredibilmente, mi trovo a rispettarlo.
    Sto quasi per dirgli qualcosa che somiglia vagamente ad una gentilezza, quando: «Tic, tac.» mi ricorda, tornando ai suoi fogli ed al suo inventario.
    Mentre continuo ad impastare, però ci penso. Insomma, lui è un pezzo grosso della pasticceria, so che lo invitano spesso a convegni e corsi d’aggiornamento, Paris Hilton ha il suo numero… davvero, è lui a dover fare l’inventario? Mi sembra più una mansione di Eleonora, no? Quindi – potrei sbagliarmi e sicuramente sbaglio – è qui, nel suo giorno libero… per me. Se è vero che ha detto alla Bernardi che sto facendo un buon lavoro, può essere motivato a farmi crescere in abilità.
    Mi fermo, sprofondata fino ai polsi con le mani nell’impasto, in preda ad una qualche specie di illuminazione mistica: ma allora, è buono.
    Aggiungo dell’altra farina in trance, mentre lui mi porge un mattarello ed uno stampo. Con tanto amore – mia nonna mi ha ripetuto fino alla nausea che ci vuole amore per far venir bene i dolci – stendo la prima sfoglia di pasta frolla da mettere sotto, spalmo la marmellata di pesche e guarnisco con altre striscioline di pasta. Guardo in faccia la mia opera come se fosse mia figlia e le mando un bacio, perché è proprio una crostatina carina.
    Quando torno in contatto con il mondo, mi accorgo che Pierre mi sta fissando perplesso.
    Lo ignoro, ma arrossisco. Mi volto a studiare il forno e faccio per allungare la mano verso la prima manopola, quella della temperatura.
    «Qu’est-ce que tu fais?» e c’è qualcosa che somiglia realmente al terrore nella sua voce.
    Mi giro a metà per lanciargli un’occhiata, lui mi sta puntando contro il cucchiaio con cui ho spalmato la marmellata. Non scherzo, lo sta facendo sul serio ed anche se dovrei rendermi conto dell’assurdità della situazione, realizzare quanto sia effettivamente assurda, e scappare a gambe levate, non riesco ad impedirmi di scoppiare a ridere.
    «Non. Toccare. Il mio. Forno.» sillaba, mentre io mi sbellico senza alcun controllo.
    «Come la cuocio la crostata?» gli chiedo asciugandomi gli angoli degli occhi con le dita, ancora ridendo perché, santo cielo, quello mi sta minacciando con un cucchiaio sporco di marmellata perché io non alzi un dito sul suo forno. Penso che nemmeno Tiziana mi crederebbe se glielo raccontassi; nessuno mi crederebbe se lo raccontassi!
    «Faccio io.» si offre raggiungendomi, provo tanto per vedere la sua reazione ad allungare di nuovo la mano, che lui prontamente schiaffeggia con la sua. «Temperatura?» mi chiede guardandomi, vicino e solo ora smetto di ridere, solo ora ricordo che oggi siamo completamente soli qui.
    Studio la crostata ed il forno. «Duecento gradi.»
    Rimane per alcuni secondi con le dita sulla manopola. «Sicura?» domanda ancora fissandomi con aria di sfida, io annuisco nei suoi occhi. «Bien.» accende tutto, poi rimane come me appoggiato al piano di lavoro, mentre aspettiamo che si scaldi.
    Oggi siamo completamente soli qui.
    Osservo il nostro riflesso sul vetro scuro, più il suo che il mio. «Deve piacerti molto questo forno.» commento perché non riesco a sopportare il silenzio, è così pieno di pensieri.
    «J’aime questo forno.» risponde senza guardarmi.
    Ammetto che è il primo che conosco ad amare un elettrodomestico. Studio i suoi occhi, il suo naso, la sua bocca, avrebbe potuto fare il modello, mi domando come un bambino – perché è molto giovane e per essere arrivato ad un tale livello deve aver iniziato da ragazzino – possa voler fare il pasticcere. Io da piccola volevo fare la ballerina, come tutte le bambine.
    «Da quanto sei in Italia?» gli domando facendo due conti. Non mi sono legata i capelli, ho solo un frontino a tenerli indietro, strano che non abbia aperto bocca al riguardo.
    Lui deglutisce, si estranea e mi sento quasi in colpa perché non credevo di avergli fatto una domanda scomoda; chiude gli occhi, lasciando cadere la testa all’indietro. «Cinque anni…» sospira. È tanto. «tre mesi e ventitre giorni.»
    Quando riapre gli occhi per leggere la mia reazione, io lo sto fissando e non riesco a smettere. Lui ricambia il mio sguardo senza espressione, senza curiosità, sa a quale conclusione sto giungendo: i carcerati contano i giorni, gli esiliati.
    «Il forno è pronto.» annuncia spezzando quel momento.
    Mi volto e recupero la mia crostata, lui mi apre lo sportello, per non farmelo toccare. «Ma fai sul serio?» chiedo scoccandogli un’occhiata eloquente. È ridicolo, dovremo pur trovare un compromesso prima o poi, non so, posso usare guanti scelti appositamente da lui, può controllarmi, può tenermi una serie di lezioni sull’uso consapevole e corretto degli elettrodomestici da cucina; quello che vuole, ma deve farmi toccare questo benedetto forno.
    Non avrei dovuto distrarmi.
    Nell’infornare il dolce, senza fare attenzione a tutte le cose arroventate con le quali potrei scottarmi, finisco per sbattere con il braccio sinistro, lasciato nudo dalla manica arrotolata, contro il vetro.
    «Attenta!»
    Strizzo gli occhi e lascio cadere la crostata sulla griglia per ritirare di corsa le mani… e realizzo che il dolore non arriva. Non sono io ad essermi scottata, è la mano di Pierre, intorno al mio braccio.
    Si è allungato dietro di me, circondandomi e coprendo la mia sbadataggine con… sé stesso.
    Sbuffa scrollando il pungo sinistro chiuso. «Tu es comme une fille!» mi rimprovera chiudendo il forno.
    Resto impressionata dal suo sangue freddo, da come venga prima la mia crostata, che si assicura sia sistemata a dovere all’interno accendendo la luce, della sua mano. Dal fatto che ha coscientemente messo una mano sul mio braccio per non far bruciare me.
    «Oh!» esclamo mortificata prendendogli il pugno ancora chiuso. «Mi dispiace tantissimo!» continuo tirandolo verso il lavandino, niente è efficace quanto l’acqua fredda per le scottature.
    «Imposta il timer.» mi ricorda.
    «Al diavolo il timer.» sbotto ignorandolo. Una crostata può bruciare, anche se è la più carina del mondo, posso prendere altre uova, altro burro, altra farina, altra marmellata e ricominciare daccapo. Non posso fare un altro Pierre.
    Apro il rubinetto dell’acqua fredda, gli sollevo la manica – magari ha qualche legame speciale anche con questa – e gli tiro la mano insieme alla mia sotto il getto gelato. Ho fatto male i conti, o forse sono stata troppo impetuosa, perché così facendo me lo tiro praticamente addosso; tutto il suo corpo preme contro la mia schiena, tanto che, per rispetto, mi appoggia la mano ancora buona sul fianco per evitare contatti troppo… troppo!
    Ho ancora la mano stretta alla sua.
    Deglutisco e la tiro via dall’acqua per studiarla più da vicino, sul dorso, vicino alle nocche, è ben visibile il segno rosso che sarebbe dovuto essere sul mio braccio.
    E le sue dita circondano quasi tutta la mia, minuscola, fragile, in confronto alla sua.
    «È solo una scottatura.» mormora piano, annoiato.
    Non ho il coraggio di voltarmi a guardarlo perché sento, come se fosse ricoperto di spilli, ogni punto del suo corpo che tocca il mio: c’è il suo torace contro la mia schiena, immagino il suo viso sopra la mia spalla, una gamba è tra le mie, ma con delicatezza, mi sfiora appena in un contatto non intenzionale, ma non per questo meno reale; e la sua mano è sul mio fianco, grande come quella che sto guardando così da vicino.
    «Mi dispiace, sono un disastro.» mi scuso ancora.
    Ridacchia. «Oui, mais regarde!» lascia il mio fianco per allungare l’altra mano ed in un modo o nell’altro mi trovo tra le sue braccia. Si libera anche della mia stretta e si indica tutta una serie di discromie su dita, palmo e dorso, cicatrici di anni di pasticceria, intrappolandomi ancora di più nel suo abbraccio. Non lo si dovrebbe chiamare così, in fondo, si tratta soltanto di disattenzione. «Non farne una tragedia.» mi tranquillizza facendo un passo indietro.
    Io rimango ferma per alcuni secondi, il cuore mi batte più forte, se ne è accorto? Forse hanno ragione Tiziana e gli altri: è troppo tempo che non sento sul mio corpo l’abbraccio di un uomo. Immagino di essere un in crisi d’astinenza ed il mio cuore scintilla per ogni piccolo contatto con un bel ragazzo… mi sento un po’ patetica e tanto disperata.
    «Controlla la crostata!» mi ricorda.
    Chiudo il rubinetto e mi passo la mano bagnata sul viso per placare i bollenti spiriti: inconscio, hai retto un anno e tre mesi, non puoi piantarmi in asso proprio adesso! Appena posso ti porto a cena con Matteo, ça va?
    La crostata è pronta.
    Armata di guanti questa volta, la tolgo dal forno – che ha aperto Pierre, ovviamente – e la poso sul piano d’acciaio. L’aspetto è ottimo, bella dorata, promette proprio bene.
    «Che ne pensi?» gli chiedo sorridendo.
    «Che somiglia realmente ad una crostata e non è poco.»
    Gli scocco un’occhiata indispettita, che lui volutamente ignora.
    Prende un coltello e ne taglia uno spicchio con disinvoltura, la solleva con una mano sola, la studia. «La consistenza c’è.» proclama, per un attimo me lo immagino con vestiti rinascimentali a leggere un comunicato di qualche nobile, su pergamena. Sospira. «Courage.» si dice prima di addentarla.
    Mastica.
    Mastica.
    Mastica.
    «Allora?!» domando nervosa, strizzando tra le mani il guanto che mi sono sfilata.
    Alza l’indice facendomi segno di aspettare, concentrato. «Troppo dura. Cottura sbagliata, duecento gradi sono troppi per una crostata, mais tu non conoscevi le four, quindi ça va.»
    «Va bene?» domando eccitata, sconcertata ed incredula.
    «No.» mi sembrava strano. «Manca il burro, pourquoi il latte?» mi domanda infastidito. «Il latte non è burro, il burro fa frollare la pasta frolla, la pasta frolla deve frollare.»
    Sbatto le palpebre dubbiosa: voce del verbo ‘frollare’? Ma esiste?
    «Perché è più salutare.» mi giustifico lamentosa.
    Lui mi guarda. «Seduta.» ordina e sarà perché per colpa mia si è fritto una mano o perché… non lo so, avrò il morbo del cagnolino addestrato! Balzo a sedere sul tavolo d’acciaio. Lui posa quel che resta dello spicchio di crostata accanto allo stampo. «La signora Evelina Torindi viene qui una volta a settimana.» lo osservo perplessa, e staremmo parlando esattamente di cosa? «È sovrappeso, il dietologo le ha concesso soltanto un dolce da poche calorie alla semaine.» appoggia le mani sulle mie ginocchia ed io deglutisco sbirciandole di sbieco, chiedendomi quanto sia un contatto intenzionale. «Lei non mangia dolci per tre settimane, accumula le calorie e la quarta semaine si mangia un mio tortino che ordina su misura per non…» si morde il labbro inferiore interrompendosi, poi mi stringe il ginocchio sinistro, per attirare la mia attenzione... come se non ce l'avesse già. «Com’è quella parola?»
    «Superare?» provo ad indovinare.
    «Esatto!» esclama. «Superare… alors, per non superare il limite. Se io le servissi la tua crostata si sentirebbe insultata, perché ha faticato tre settimane per potersi gustare qualcosa di buonissimo, non per qualcosa di...» fa una smorfia schifata. «salutare
    No, ho capito il senso del suo discorso, nonostante continui a scrutarlo dubbiosa. «Esiste davvero una signora Evelina Torindi?» gli chiedo seriamente curiosa.
    Lui si allontana e, senza più il contatto con le sue mani calde, dalle ginocchia mi parte un brivido di freddo. «Oui, una mia grande fan.» si stiracchia incrociando le braccia dietro la testa, languido. «Muoviti, ce ne andiamo.» salto giù dal tavolo e recupero le mie cose tra cui anche la mia crostata, che mi premuro di sistemare in una busta: Pierre ti odia, ma io ti voglio bene, crostatina.
    «Sono promossa?» domando, raggiungendolo mentre mi abbottono il cappotto.
    Lui sta fissando il piano di lavoro vicino al suo adorato forno. C’è un capello, un capello scuro e lungo, un capello mio.
    «No.» dice fingendo di non essersene accorto, spinto da qualche spirito caritatevole. «Ma se c’è uno che può fare il miracolo, c’est moi.»

Tiziana addenta la mia crosta e la mastica con calma.
    «Secondo me è buonissima.» dice coprendosi la bocca con la mano. «Sam?»
    La sta assaggiando anche lui. E Laura. E Simone. Tutto il mio fan club, insomma.
    «La crostata è buona, è stato deciso.» annuncia Sam ad alta voce. «Perché non ci dici qualcos’altro?»
    «Tipo?» domando candidamente.
    «Non so…» inizia Simone riempiendo un boccale di birra. «che avete fatto mentre cuoceva, ad esempio.» spiega malizioso.
    Mi stringo nelle spalle, seguendo con un dito la traccia umida che il mio bicchiere di coca ha lasciato sul bancone. «Si era scottato.»
    «Scottato?!» ripete curiosa Tiziana. «In posti sconvenienti?»
    La fisso eloquente. «E come dovrebbe aver fatto a scottarsi in posti sconvenienti?» le domando ironica, a volte la mia amica vuole così tanto ascoltare un racconto interessante e piccante da fregarsene del realismo.
    «Beh, se non eravate vestiti…» insinua Laura posando il vassoio, con il quale ha appena servito le bevande, sul bancone.
    Alzo gli occhi al cielo e mi tiro su in piedi. «Ok, ok.» comincio. «Per evitare ulteriori incomprensioni in futuro, siamo sempre vestiti quando lavoriamo.» dico, intenzionata a non tornare ancora su questo punto. «Si era bruciato la mano per non far bruciare me.» concludo per soddisfare la loro necessità di pettegolezzi.
    «Davvero?!» mi sento chiedere da quattro voci in coro.
    Strabuzzo gli occhi sorpresa. «Ah-ah.» mormoro timorosa e mi siedo di nuovo.
    «Ma che carino!» squittisce Tiziana.
    «Non è carino, è presuntuoso.» borbotto ricordando come ha demolito la mia adorata crostata, che poi non aveva niente che non andava.
    «Belle mani, però, vero?» domanda Laura con un’occhiata eloquente.
    Non rispondo, sa da sola cosa direi, dubito che servi la mia conferma a chi probabilmente l’ha visto tutto.
    Tiziana mi da di gomito. «Sicura che non ci sia niente, niente, niente, che valga la pena raccontare?» mi domanda indagatrice.
    Mi tiro i capelli dietro l’orecchio destro – più un’abitudine che una necessità – pronta a rispondere, ma mi blocco passandomi di nuovo le dita tra la mia chioma lunga. «Mi tagli i capelli?» domando di punto in bianco alla mia amica guardandola seria.
    «Come?» chiede scrutandomi incredula. «Cos’hanno che non va i tuoi capelli?» continua adattandosi al mio repentino cambio di argomento.
    Non le rispondo. «Per favore, fino alla spalla.»
    «Ma… io…» tentenna. «Potrei fare un pasticcio.»
    «Sai che per alcuni secondi siamo stati praticamente abbracciati?» la tento sventolandole sotto gli occhi una mia ciocca.
    Lei si scola l’ultimo goccio di birra rimasta nel suo bicchiere e si pulisce la bocca con il dorso della mano con enfasi, facendomi scoppiare a ridere. «Sam? Forbici.»

secondo voi a Pierre piaceranno i capelli corti?
lo scoprirete nella prossima puntata...
come vedete qualcosa si muove nella pasticceria... nella prossimo capitolo si muoverà qualcosa anche in casa di Daniele e Veronica...
nel frattempo se mi dite che ne pensate di questo mi farete felice!
baci
   
 
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