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Autore: Erica_e_Laura97    12/02/2012    2 recensioni
Sembra una normale cena, ma d'un tratto la moglie di Vance sparisce ...
Genere: Comico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti! Ecco a voi un'altra delle nostre demenziali storie inventate in momenti di noia totale. Non sarà un granchè, ma è abbastanza divertente e forse vale la pena leggerla :D
 
L’ascensore si aprì con il solito “din!”, ma stavolta il suono fu sovrastato da una risata. Ne uscirono Ziva, McGee e Laura, che ridevano come matti.

Tony, dalla sua scrivania, li guardava incuriosito ed un po’ infastidito: era stato deliberatamente escluso!

- Di cosa state parlando, voi tre? -

- Cose che non puoi sapere, Tony - sorrise McGee.

- Sta’ zitto un po’, McPettegola! Laura, allora? -

 - Niente d’importante, Ziva ci stava solo raccontando di come si è divertita l’altra sera. Aveva appuntamento con un tipo, sono andati al cinema - spiegò lei.

Doppio tradimento! Non solo era uscita con un tipo, ma, cattiveria delle cattiverie, erano andati al cinema! Senza di lui! Eppure Ziva sapeva benissimo che lui amava il cinema quasi quanto amava lei! Come si poteva essere così cattivi?

L’israeliana, la sua piccola ninja, se la rideva dall’altra parte della stanza.

 - Come hai potuto? - la sgridò DiNozzo. Stava per continuare, ma gli arrivò uno scappellotto.  - Che ho fatto?! - decisamente, la giornata cominciava nel peggiore dei modi.

- Stai infastidendo le ragazze. Muovetevi, Vance ci vuole tutti su da lui -

fece Gibbs, sbrigativo. Sembrava scorbutico come sempre, ma nei suoi occhi c’era preoccupazione; l’ultima volta che Vance li aveva convocati tutti, la squadra era stata fatta a pezzi, ed il capo sperava solo che non fosse per qualcosa di altrettanto sgradevole. Ma, se c’era di mezzo Vance, di sicuro non poteva essere piacevole -_-“



***

 - Siamo qui riuniti oggi… - iniziò il direttore con aria pomposa.

 -… per unire in matrimonio la signora Stupidità con in qui presente Vance - sussurrò Laura, facendo attenzione a non farsi sentire.

McGee ridacchiò sotto i baffi, quasi soffocando nel tentativo di non darlo a vedere. Ne uscì che il ragazzo muoveva le spalle senza emettere alcun suono, come se fosse in preda a un attacco o cose del genere.

-Tutto ok, McCrisiEpilettica? - lo canzonò Tony, che quel giorno era in vena di soprannomi. Doveva pur vendicarsi in qualche modo della rispostaccia di prima, e poi mettere in croce McGee era davvero divertente.

Dopo un po’, dopo essersi assicurati che Tim stesse bene, che la moglie del direttore lo chiamasse sette volte di seguito per chiedergli quale colore le stesse meglio, dopo che Tony affibbiò a McGee tutti i soprannomi più sgradevoli che esistessero, dopo tutto questo, finalmente Vance riuscì a ricominciare a parlare.

- Come stavo dicendo, avevo in mente un discorso lungo che non massacrasse la mia reputazione, ma ho un appuntamento tra dieci minuti, per cui cercherò di essere breve: mia moglie crede che sia un asociale. Non volevo farvelo capire, e tutti sappiamo bene che non così -

“Già, come no“ fu il pensiero comune.

- Ma lei ne è convinta, perciò mi ha chiesto di invitarvi tutti a casa mia per domani sera, per una cena elegante e rigorosamente comprata al ristorante all’angol… ehm cucinata in casa dalle manine delicate di mia moglie. E non voglio sentire scuse, verrete tutti quanti se ci tenete al vostro lavoro. Anzi, è meglio se portate qualcuno con voi, ok? E ora sciò, via! Ci vediamo domani sera alle otto in punto. Puntuali, mi raccomando! -

Il team stava maledicendo in tutti i modi il direttore, ed alcuni si stavano chiedendo perché diavolo non avessero scelto un altro lavoro. Gibbs stava pensando come mai Vance era così attaccato a loro e non al team alla loro destra, mentre Laura si chiedeva se Erica la volesse tanto bene da sopportare quella tortura assieme a lei. La ragazza sospirò costernata: perché capitava sempre tutto a lei? Perché?



***

- E no, eh! Questo è troppo! - Un’incazzatissima Abby veniva verso di loro a passo svelto, evidentemente inferocita.

- Che succede adesso? - Laura era veramente stanca. Le sue amiche avevano acconsentito ad accompagnarla, anche se aveva dovuto sfruttare fino all’ultima goccia delle sue limitate capacità persuasive, ma anche con loro la serata sarebbe stata un incubo.

- E’ tutta colpa tua! - Abby si avventò su McGee.

 - Che ho fatto? -

- Non sapevi proprio trattenerti dal ridere di quella battutaccia squallida?! -

- Ehììì, modera i termini, era carina! - si difese Laura, offesa. Era un tipo spiritoso, lei, non si discute su questo!

- Tu ti sei fatto venire la ridarella, e Vance è venuto giù in laboratorio dicendo che, visto che non sapete controllarvi e lui vuole fare bella figura con sua moglie, adesso siamo tutti iscritti ad un corso di pre-festino per oggi pomeriggio! È patetico, disgustoso! Timothy McGee… sappi che stasera non faremo un bel niente! - e così dicendo, la ragazza girò sui tacchi ed andò via infuriata, tra gli sguardi di tutto l’NCIS.

Gibbs mollò uno scappellotto a Tim, il quale non potette fare a meno di pensare che se l’era meritato.



***

- Mi dispiace tanto! -Laura stava tentando di far calmare Erica, che non aveva nessuna intenzione di andare a quello stupidissimo corso. Laura era la sua migliore amica, ma quando è troppo è troppo!

Erica, arrabbiata nera, guardò Laura negli occhi.

Era disperata.



Non poteva farle questo, non a lei, non a Laura, che l’aveva sempre sostenuta, che quando qualcosa non andava riusciva a farla sorridere e che era tanto simpatica. Erano migliori amiche da… quanto? Otto anni, nove? Non poteva lasciarla andare a quella festa da sola, sarebbe stato come darla in pasto ai coccodrilli.

- E va bene! - capitolò. Il volto di Laura s’illuminò.



***



Laura sbuffò. Non ce la faceva più, davvero. Erano rintanati in quel posto da più di quattro ore, a sentire una noiosissima tizia blaterare cose senza senso a proposito della buona educazione. Accanto a lei, Abby evitava lo sguardo di McGee, che dal giorno precedente la rincorreva per i corridoi chiedendo scusa, senza peraltro ottenere risultati di alcun tipo.

Nel frattempo, Ziva ridacchiava sotto i baffi perché Tony, da sotto il tavolo dove erano tutti raggruppati, continuava a farle il solletico. Normalmente l’avrebbe steso, ma era così annoiata che non ne aveva voglia. Erica messaggiava nascondendo il cellulare dietro la borsetta di pelle finta nuova; Dean il ragazzo di Erica, di fronte a lei, aveva resistito per ben quarantacinque minuti di tortura, dopodiché si era messo a smontare e ripulire la sua Colt senza curarsi di essere visto.

Quanto a Gibbs, semplicemente non era venuto. Nessuno di loro avrebbe mai avuto il coraggio di fare una cosa simile. Ma, dopotutto, Gibbs era Gibbs, e le regole convenzionali non valevano per lui.

- Bene, ragazzi, direi che basta così - l’interesse di tutti fu improvvisamente risvegliato al suono di quelle magiche parole. Basta così. “Oh, dio, ti ringrazio!”

- Ovviamente queste erano solo le prime infarinature, le basi, per così dire, ma dovrebbero aiutarvi a sopravvivere. E ricordate la cosa più importante: lasciate qualcosa nel piatto, ma non troppo o penseranno che la cucina della casa non è stata apprezzata. -

- Perché dovrei lasciare qualcosa nel piatto?! Il ristorante all’angolo fa delle bistecche incredibili! - esclamò Palmer.

Lo sguardo sconvolto della tipa fu impagabile.



***



- Ti muovi? Laura sarà qui a momenti! - gridò Erica, rivolta alle scale.

Nessuna risposta.

- Ma che sei, una ragazza? Faremo tardi! Vuoi scendere o no? - Fantastico, la serata non era ancora iniziata e lei era già nel bel mezzo di un esaurimento nervoso. Inoltre, il vestitino nero e azzurro che aveva comprato per l’occasione, per quanto grazioso potesse essere, era leggerissimo e lei stava morendo di freddo. Vogliamo parlare dei tacchi, poi?! Una tragedia. Cos’aveva da lamentarsi, Dean,che aveva vergogna di farsi vedere in smoking? Doveva forse camminare in punta di piedi per tutta la serata? No, e allora!



Mezz’ora più tardi, erano tutti seduti nel retro di una lussuosa limousine mandatagli da Vance in persona, affittata appositamente per il non proprio lieto evento.

Erano tutti elegantissimi: i ragazzi coi loro smoking nuovi fatti su misura, le ragazze strette in abitini di svolazzante seta aderente. Laura indossava un bel vestito rosso, che le donava molto; Ziva aveva incantato Tony con un abito blu elettrico dalla scollatura mozzafiato, mentre Abby si era data un tocco di colore con un vestito nero e verde che le donava molto. Faceva pendant con i suoi occhi. Erica aveva un abito semplice, nero e azzurro, che era diventato immediatamente il colore preferito di Dean che, come tutti i ragazzi, si era infilato controvoglia in uno smoking impeccabile.

Il breve viaggio trascorse in silenzio. Qualcuno si domandava perché diavolo fosse venuto, qualcun altro si domandava se fosse peggio il licenziamento o la cena. Tony, di tanto in tanto, sospirava, perché quella sera davano un capolavoro cinematografico e lui se lo sarebbe perso. Tra pensieri tristi, arrabbiati e sbuffi, arrivarono alla villetta del Direttore, una casa a due piani con tanto di giardino privato.





Dopo mezz’ora di presentazioni, convenevoli, baci, abbracci e tutto il resto appresso, finalmente suonarono il campanello. Venne ad aprire la signora Vance in persona, ma forse sarebbe stato meglio che non l’avrebbe fatto. Era avvolta in un sontuoso abito nero lungo, pieno di pailette, senza le maniche, che erano state rimpiazzate da due cosi –non esiste altra definizione- pomposi appena sopra il gomito. A completare il quadro, un ventaglio di piume in tinta con l’abito e molto rossetto rosso. Palmer finse un conato di vomito.

 - Benvenuti! - trillò la signora. - Prego, accomodatevi! - e con un gesto del braccio li invitò ad entrare, sparpagliando piume ovunque. - La cena è già pronta, sedetevi pure! -

Entrarono nell’immensa sala da pranzo. Ad accoglierli, una tavola imbandita con ogni leccornia di questo mondo: ce n’era abbastanza da far girare la testa al più viziato dei bambini. Chissà, forse la serata non sarebbe stata tanto malvagia. Come poteva esserlo, se c’era tutta quella roba da mangiare?

Gli invitati presero posto e si guardarono l’un l’altro, in silenzio, per un eterno secondo. Tutti, in quel momento, si stavano chiedendo la stessa cosa: avrebbero dovuto seguire il consiglio della tipa del corso, ed apparire educati, o dare un senso alla serata ingozzandosi con quanta più roba potevano?

Che dilemma.

Fu Tony a dare la risposta: - Buon appetito! - esclamò, servendosi l’antipasto e infilandosi in bocca un pezzo esagerato di salame, sotto lo sguardo disapprovatore del direttore.



****



- Tony! Quella era l’ultima fetta! - un contrariato McGee guardava il collega con aria offesa, mentre questi s’ingozzava con una sublime torta al cioccolato.

- Pazienza, Tim, pazienza. Prendi un po’ di quella alla crema, ci sono le fragole dentro. - sorrise DiNozzo.

- Sai benissimo che sono allergico alle fragole! -

- Questo è un problema tuo, McCagionevole. -  rispose soave Tony, senza scomporsi più di tanto. Si stava annoiando e doveva pur trovare un diversivo in qualche modo; prendere in giro McGee era decisamente più entusiasmante che stare a sentire la signora Vance che parlava del marito. Impossibile dire chi dei due fosse più vanitoso: forse il direttore, che narrava a uno scocciatissimo Dean una delle sue mirabolanti imprese della sua gioventù, storia dalla dubbia veridicità. O forse la moglie, che mostrava le foto di quando Vance era piccolo, facendo notare in continuazione come fosse bello, intelligente, importante e ricco.

Insomma, fino ad allora le cose non erano andate poi tanto male: avevano mangiato da Dio, e, un po’ scherzando tra di loro e un po’ fingendo di ascoltare i padroni di casa, se l’erano cavata piuttosto bene. Mentre Laura si proponeva di fare un salto al ristorante all’angolo e porgere i proprio complimenti allo chef, un paio di camerieri sparecchiavano silenziosamente.

Un tintinnio acuto risuonò tra le chiacchiere attirando l’attenzione di tutti. Il capo stava tentando di attirare l’attenzione sbattendo con molta poca grazia una posata sul bicchiere di vetro, che sua moglie aveva tentato invano di spacciare per cristallo.

“Tutto quel tempo sprecato a sentir parlare quella tizia sulla buona educazione, e adesso arriva lui bello fresco fresco e si mette a fare casino…” pensò Abby con rabbia.

- Attenzione, prego! Un mio amico mi ha regalato il “canta tu”, e non so cosa farmene, siccome non ho amic… ehm, siccome i miei amici sono tutti troppo stonati, di certo non bravi come me -

La moglie lo guardò orripilata. - Scusateci un momento… - fece una smorfia che doveva essere un sorriso, ma somigliava più a una colica renale. Prese il direttore per il gomito e lo trascinò nella stanza accanto, socchiudendo la porta.

Scese il silenzio. Tutti si guardarono. Poi, come se fosse scattato un immaginario segnale, tutti corsero verso la porta, facendo silenziosamente a gara per accostare l’orecchio alla porta. Dopo un’estenuante lotta condotta in estremo e religioso silenzio, si ritrovarono accalcati vicino alla serratura per sentire cosa stesse accadendo. Dall’altra parte, la moglie di Vance mormorava:

- …andiamo, il karaoke! E cos’era quella scenata col bicchiere, mh?! Uno squallore! Adesso tutti si saranno accorti che non era cristallo, ma vetro, razza di deficiente! E il karaoke, diooo, che idea assurda! Ma come ti è venuto in mente? Vuoi forse che la nostra reputazione vada in fumo?! - e continuò così per un buon quarto d’ora, nel quale il direttore usò tutto il suo carisma per convincere la moglie. E, incredibilmente, l’ebbe vinta lui.

La porta si riaprì all’improvviso e tutti scapparono fingendo indifferenza. Se Vance avesse capito che stavano ascoltando dalla serratura, sarebbe stata la fine della loro carriera.

- Allora, pronti a cantare? Sono sicuro che non mi batterete! - esclamò lui, un po’ rosso in volto.

E, per un istante, tutti pensarono che la signora Vance aveva torto: la loro reputazione non poteva andare in fumo, perché semplicemente non esiste.



***

Quando la signora Vance aveva detto che il marito era stonato, nessuno vi aveva fatto molto caso. Nessuno si aspettava che il direttore fosse Michael Jackson, ma nessuno avrebbe immaginato mai che il direttore fosse così incredibilmente ed orribilmente stonato. Come una rana che sta soffocando, più o meno; una cosa raccapricciante.

- La prossima volta ricordami che devo portarmi i tappi per le orecchie - disse Laura rivolta a Erica.

- Non ci sarà nessuna prossima volta. - sibilò l’amica, infuriata. Accanto a lei, Ducky si stava chiedendo come mai i vetri della casa fossero ancora in piedi. Dean e Tony, in un angolo, dividevano le cuffiette di un lettore musicale, ascoltando musica a tutto volume nel tentativo di non sentire il direttore “cantare”.

Ziva non ce la faceva più. Dal momento che il suo amato l’aveva abbandonata lì, da sola, lei non sapeva che fare. Si alzò.

- Scusate, vado un secondo in cucina a bere - tentò di non farsi notare mentre il Direttore finiva la canzone con un acuto spaccatimpani. Purtroppo, però, proprio in quel momento la musica cessò, lasciando la stanza in completo silenzio. Ziva era al centro della stanza e, sentendosi osservata, tossicchiò e scappò fuori.

- Aspetta! - la rincorse Tony, sollevato di avere una scusa per scappare. - Vengo anche io -.

Ad uno ad uno, i ragazzi si alzarono per andare via dal salotto quanto più velocemente possibile, senza però dare l’impressione di scappare, mentre il loro superiore li richiamava disperato, dicendo che non c’era problema, che potevano anche stare seduti comodamente ad ascoltare la sua meravigliosa voce cantare mentre la moglie provvedeva a portare loro da bere.

Diciamo pure che fu deliberatamente ignorato. Così, rassegnato, seguì i colleghi in cucina, pensando che vi avrebbero trovato qualche cameriere o cose del genere. Invece, la cucina era deserta.

- Dov’è mia moglie?! - chiese sbigottito. Ragionò un secondo. I camerieri erano spariti, sua moglie pure. C’era solo una spiegazione plausibile…

- È stata rapita! Mia moglie è stata rapita! - gridò.

Nessuno gli diede molta retta. - Sì, certo, come no -  disse qualcuno non meglio identificato.

Cosa?! Non gli credevano? Assurdo! Dovevano credergli! Lui aveva fiuto per queste cose. Una volta sua cugina era sparita e lui aveva capito subito che era stata rapita; anche se dopo gli avevano detto che era solo uscita con le amiche per andare in discoteca, lui non ci aveva mai creduto. E quella volta che Laura doveva andare in Italia ed era scomparsa? Anche lì il suo infallibile intuito gli aveva detto che era stata rapita. Certo, dopo aveva scoperto che era solo passata da Villa DiNozzo a recuperare il cellulare, ma questo non aveva alcuna importanza. Sua moglie era scomparsa, e da un lato la cosa era un sollievo.E allora cos’avrebbe potuto fare? Lasciarla in mano ai rapinatori era una possibilità, anche se non era esclusa l’ipotesi che la rimandassero indietro con un biglietto tipo “ve la rimandiamo indietro, mi spiace farvi questo ma sua moglie e una vera lagna! Ci chiediamo con quale coraggio lei l’abbia sposata. Complimenti, lei è un uomo coraggioso. Le nostre condoglianze, firmato il rapitore”.

E se invece avessero deciso di fare un favore all’umanità, e l’avessero ammazzata? Quella era tutta un’altra storia. La colpa sarebbe caduta inevitabilmente su… su di lui! Addio alla carriera, addio alle segretarie bionde, addio ai caffè, ai festini e ai biscotti portati in ufficio di primo mattino. Eh, no! Poteva fare a meno di tutto, tranne che dei biscotti. Doveva ritrovare sua moglie, doveva farlo in nome delle segretarie bionde.

- Ascoltatemi, vi prego! - nessuno lo degnò di uno sguardo. - Mia moglie è stata rapita, ne sono sicuro! Dovete credermi! Perché nessuno mi ascolta?! …Cosa? No, Abby, non è una mia fissa, è così, è stata rapita, ve lo giuro! - il Direttore era esasperato, nessuno lo ascoltava e non sapeva cosa fare. Preso dalla foga, afferrò l’ultima bottiglia di vino e la schiantò a terra.

Cadde il silenzio.

- Cazzo, amico, quella era l’ultima! - la voce poco fine di Dean interruppe l’atmosfera densa. Erica gli tirò una gomitata.

-  Come hai potuto rompere l’ultima bottiglia? - proseguì imperterrito il ragazzo, che era un convinto sostenitore della tesi alcool uguale divertimento.

- Mia moglie è stata rapita, e voi non mi state ascoltando. Sentite, so che non è proprio un angelo…- iniziò con voce tremante, facendo sentire tutti delle caccole. Tutti, infatti, credevano che fosse preoccupato per la sua consorte; non potevano sapere che, in realtà, ad essere meschino era lui, che aveva paura di essere incolpato.

- …ma credo che le sia successo qualcosa, è come un istinto, e tutti sanno che il mio istinto non sbaglia mai. Che vi costa aspettare un attimo che accendo il mio rintracciatore personale di GPS? -

“Ok, se ha un rintracciatore personale di GPS, un caso clinico.” Pensò Laura, incredula.

- Seguitemi - ordinò Vance; per quanto fosse un imbecille senza cuore, era abituato al comando, e si sentiva. Nessuno osò contraddirlo, e lo seguirono in camera da letto.

Sembrava una normalissima stanza, nonostante fosse notevolmente marcato lo stile pacchiano e un po’ esagerato della signora Vance. Un enorme letto matrimoniale con tanto di baldacchino troneggiava al centro della stanza, che era piena di specchi, armadi e vari mobili antichi e senza dubbio pregiati, ma che erano veramente orribili.

- Venite - li guidò il direttore, facendoli fermare tutti davanti al comò stile barocco.

- Direttore, non sarebbe più semplice chiamare sua moglie e… - inizò Palmer, ma le parole gli morirono in gola.

In quel momento, infatti, Vance premette un bottone, e il comò semplicemente sparì, inghiottito dal pavimento. Al suo posto, un complesso marchingegno pieno di pulsanti e luci li stregò con i suoi suoni robotici e ipnotizzanti.

- In realtà, basta inserire il numero di cellulare della persona da localizzare e premere il bottone rosso - spiegò pratico il direttore, inserendo le cifre del telefonino della moglie - Tutto il resto è quel che si definisce accessori di scena. Servono più che altro a impressionare che vede questo spettacolo, e, a giudicare dalle vostre facce, ci sono riuscito>> ridacchiò. McGee sfiorava il mordo del marchingegno con sguardo rapito. - E’ bellissimo… - mormorò, neanche avesse visto Megano Fox. Abby si chiese se fosse normale essere invidiose di uno stupido ammasso di ferro e lucine colorate.

- Sapete cosa mi ricorda questo? Quel film di fantascienza con…

- Sta’ zitto, Tony. - lo chiuse Gibbs, aiutato da uno scappellotto.

- Sì, scusa, capo.>>.



- Ma è impossibile! - esclamò il direttore. - Se non sapessi che la mia piccolina non sbaglia mai, direi che c’è un errore… qui dice che il telefonino di mia moglie è in bagno! -

Erica sbuffò. Era arcistufa di quella schifosissima cena, del GPS, dei tacchi, dei karaoke e di quella scellerata della moglie del direttore – sì, c’era proprio da dirlo, l’aveva odiata dal primo momento in cui li aveva invitate ad entrare. Scavò il cellulare nella borsetta e digitò il numero che aveva visto comporre poco fa dal superiore di Laura.

Sorprendentemente, nel silenzio seguito all’affermazione di Vance, sentirono un cellulare squillare.

- Ma… è il cellulare di qualcuno?

- Il mio no. - chiarì subito Abby. - Io non ho Beethoven come suoneria. -

Ne seguì un mormorio di assenso che stava a significare che tutti trovavano orribile la suoneria, ma che era poco educato dirlo ad alta voce.

- Sembra provenire da quella porta - Ducky indicò una porta di vetro satinato che ondeggiava socchiusa. - Cosa c’è dietro quella porta, Vance? -

- Il… il bagno - rispose il direttore con un filo di voce. Nessuno osò avvicinarsi, e per un eterno secondo rimasero tutti lì, a fissare la porta, quasi in attesa che la moglie del direttore ne spuntasse fuori con un sorriso di circostanza, chiedendo scusa per l’assenza. Magari era andata a incipriarsi il naso, o forse qualche burlone le aveva ficcato del lassativo nel bicchiere.

Ma nulla di tutto ciò accadde.

La porta continuò ad ondeggiare socchiusa, fin quando Tony non si fece avanti e la spalancò.

La scena, lì dentro, era degna di un film horror. Macchie di sangue sul pavimento, e lì accanto il cellulare squillava macabro con una melodia allegra. I presenti gelarono.

Vance aveva avuto ragione: sua moglie era stata rapita.





***



Erica si portò una mano al mento; qualcosa di caldo e bagnato le scendeva dalle labbra. Sangue, si era morsa le labbra a sangue per il nervosismo. Non credeva che si sarebbe mai ritrovata così, in abito da sera nel bel mezzo degli uffici bui e deserti dell’NCIS.

Si sentiva stordita: come erano arrivati fin lì? Quando aveva visto il bagno in quelle condizioni, aveva creduto di svenire. Ricordava vagamente aver sentito qualcuno dire - è stato il maggiordomo… è sempre il maggiordomo, nei film! -

Tony, probabilmente. Solo lui aveva tanta esperienza nei film.

Palmer esclamava, esagitato - Ci sono i fantasmi! - quasi urlava. Qualcosa scattò nella sua mente. - No, se ci fossero stati i fantasmi il corpo sarebbe qui. I fantasmi uccidono, non rapiscono. Ci sarebbe stato freddo, un tremendo freddo, tanto da far condensare il fiato, e si sarebbero registrati eventi strani, come rubinetti aperti, o… - iniziò a parlare a raffica.

Laura la prese per le spalle - Calmati, ok? Andrà tutto bene, la ritroveremo. -

Ed erano partiti di filata. Destinazione: l’NCIS, senza un motivo particolare; forse perché tutti lì si sentivano al sicuro, forse perché quel luogo sapeva di casa e rassicurazioni. Forse fu per questo che, andarono tutti lì. Erica aveva sempre trovato la signora Vance assurdamente falsa ed antipatica, ma il solo pensiero che potesse morire l’aveva profondamente shockata, e si vedeva. 

- Non mi interessa! - ruggiva il Direttore al telefono.

- Chi è? - chiese Ziva.

- Il Segretario, credo. - le rispose McGee.

Wow, per aver contattato il Segretario della Marina alle dieci e mezzo di sera, Vance doveva essere davvero preoccupato.

- Voglio che la ritroviate. Adesso! Voglio pattuglie in ogni angolo, che controllino in tutte le case e in tutti i portabagagli della città. …Non m’importa del mandato o che altro, io voglio mia moglie indietro, e la voglio viva e vegeta! - “E, possibilmente, muta” aggiunse mentalmente. Attaccò il telefono con inaudita violenza e iniziò a passeggiare su e giù per la stanza, cercando di placare il nervosismo. Ok, non voleva sua moglie morta, ma di sicuro la prospettiva di una vita libera e felice l’allettava.

- Direttore, se posso esprimere la mia opinione… - iniziò Tony.

- No, non puoi! - lo freddò il suo superiore.

- Devo insistere, Signore. Io credo che il maggiordomo, vede, è sparito anche lui e tutti sanno che, in ogni crimine degno del nome, il maggiordomo è una figura di spicco che… -

- Per l’amor del cielo, Tony! Tu vedi troppi film! Solo perché si dice che i maggiordomi hanno sempre la colpa… - lo riprese Ziva.

- Ma è così, Ziva! - per la prima volta, Tony alzava la voce con lei - E’ così! Pensaci! Scompare lei, scompare anche il maggiordomo, non è una coincidenza! - quasi urlò.

Tutti lo fissarono.

- Regola numero quattordici: mai credere alle coincidenze - recitò Erica a memoria, ormai completamente Gibbsizzata a furia di sentire Laura parlare di quelle infinite regole.

Tony la fissò con riconoscenza - Visto?! Persino lei mi da ragione! Fidatevi del mio istinto, per una volta! -

- Smettila di dire scemenze, DiNozzo - chiuse la questione il capo. - Non è stato lui, è una persona di fiducia. -

Tony, deluso e arrabbiato, si allontanò, seguito a ruota da Ziva.



- Non credo che dovresti…

- Devo, invece, se vogliamo riportarla indietro sana e salva… e possibilmente muta! - Senza saperlo, iniziava a pensare nello stesso modo del Direttore, cosa alquanto inquietante, in effetti.

- Ah-ah, molto spiritoso davvero, Tony. McGee, sbrigati!

Erano alla scrivania di Tim, soli e al buio. Ziva faceva da palo, mentre gli altri due cercavano di scoprire dove fosse il maggiordomo.

- Ci sono! - esclamò il piccolo genio informatico, dopo un po’.

- Niente male, Pivello. - il collega gli lanciò un’occhiataccia. - Vediamo… Uhm, secondo voi cosa ci fa il maggiordomo nel magazzino abbandonato nella 75esima? O è un vagabondo in cerca di riparo notturno, cosa che non credo… oppure…

- …oppure si sta nascondendo.>>

- Già. Ma da chi? Forse scappa dal rapitore…

- A meno che il rapitore non sia lui!

- Ottimo lavoro, Pivello! Andiamo!



- Prendete la vostra roba - Tony imitò la voce del capo e, dopo essersi beccato uno scappellotto da Gibbs, rivelò agli altri ciò che aveva scoperto. Cinque minuti dopo, erano ai magazzini abbandonati sulla 75esima strada.

- Il gps indica che il rapitore è in quella stanza sulla destra in fondo, capo - sussurrò McGee, ansioso.

Gibbs comunicò a tutti cosa fare, a gesti.Abby e Palmer rimasero in macchina. Avrebbe dovuto rimanere anche Ducky lì, ma avevano infine deciso di portarlo con loro, nel caso qualcuno avesse avuto bisogno di assistenza medica.

Ziva avrebbe sfondato la porta con un calcio, Tony l’avrebbe seguita puntando la pistola. Il resto del team sarebbe intervenuto poi, se ce ne fosse stato bisogno, e McGee con Vance dovevano guardare loro le spalle.

Ziva guardò Tony “Tre, due, uno…” simulò col labiale.

Uno schianto assordante, e la porta marcia per il tempo venne giù in solo colpo, sollevando un polverone di calce e gesso.

- Fermi tutti! - gridò Tony, socchiudendo gli occhi per la polvere.

Quando riuscirono ad aprire gli occhi, la scena che gli si presentò davanti era assurda. Si aspettavano di tutto, ma di certo nessuno credeva di trovare la signora comodamente spaparanzata su una morbida poltrona, bevendo allegramente il the con il maggiordomo.

- E’ al limone… gradite? - offrì quest’ultimo, ancora in divisa, ligio al suo dovere.

 - Amore… ma cosa…? - il direttore spostava lo sguardo dall’uno all’altra, incredulo, senza capacitarsi di ciò che vedeva.

Lei gli saltò al collo e il Direttore si pentì amaramente di averla chiamata “amore”. Cavolo, era davvero pesante!

- E’ che tu eri così assente negli ultimi giorni, e io… io ho pensato che magari non mi amavi più e… e…

“No, ti prego, fa che non si metta a piangere!” pensò esasperato il Direttore. Ne aveva abbastanza, per quella serata.

- E così ho pensato che inscenare il rapimento sarebbe stata la cosa più normale da fare!

- Sì, come no, normalissima! - sbottò Laura.

Erica iniziò a ridere. Prima piano, poi sempre più forte, e infine a crepapelle. Il suo riso contagioso sciolse la tensione in un attimo.

- Ehì, mi dai una tazza di the? - chiese Tony al maggiordomo. E passarono la serata lì dentro, a bere the e chiacchierare, rallegrando con la loro sola presenza quella sala che sapeva di passato, ma che ora risplendeva, sotto i raggi dell’alba, di una luce nuova. Quella dell’amicizia che li legava tutti.



Fine
 
Piaciuta? Avreste mai sospettato che l'unico neurone della signora Vance potesse progettare questo diabolico piano? ;) Fateci sapere che ne pensate! :D
  
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