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Autore: Ruta    13/02/2012    1 recensioni
E poi tutto cambiò ancora, affogando in un vortice di ristagno.
La voce del Dottore si fece astratta e triste, di una malinconia compressa e piena d’angoscia.
- Si chiamava Rose Tyler – pronunciò inaspettatamente con la voce di un annegato ed Amy provò come netta la sensazione dell’acqua ghiacciata che la sommergeva. D’istinto trattenne il fiato, che divenne un bollo timbrato contro le costole. Perché una volta tanto appariva sincero. Il Dottore. Era sincero e le stava raccontando la verità. Solo quella.
Genere: Generale, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Amy Pond, Doctor - 11
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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momenti di sincerità

 

Momenti di sincerità

 

 

 

 

 

 

Uno sbadiglio e uno starnuto. Nel ronzante tramestio di sottofondo tipico del Tardis Amy registrò appena quei rumori. Per poi ricollegarli al Dottore in una tarda reazione di stupore confuso.
Spostò lo sguardo sullo sgambettare da acrobata a poca distanza, in mano il pennellino dello smalto verde acido da poco usato, attenta a non farlo gocciolare sul pavimento per non incorrere nei rimbrotti del proprietario.
– Hai starnutito – fece presente in tono sconcertato.
Il Dottore parve non sentirla e lei dovette ripetere la frase due volte prima che lui si decidesse a degnarla di una risposta. – Sì, l’ho fatto – proruppe infine visibilmente agitato, picchiando con forza una strana leva dalla forma ottunda e pigiando poi altri bottoncini con fin troppa energia. - E la prima e la seconda volta non ti ho risposto non perché non ti avessi sentito ma perché tu – si voltò a scrutarla in tralice, per poi tornare a girarsi fulmineo verso la tavola di controllo - non mi hai rivolto alcuna domanda. Era un’osservazione la tua, non qualcosa che richiedesse alcunché in replica da parte del sottoscritto. –
- Tu non starnutisci mai – obiettò di nuovo Amy con un ché di ottuso.
Questo parve finalmente ottenere l’attenzione del Dottore e farla deragliare sul ciclone in minigonna a meno di un metro da lui. Arcuò le sopracciglia. – Certo che lo faccio. –
- No – scandì con lentezza Amy, fissandolo con la fronte aggrottata. – Non lo fai. Mai.–
Il Dottore roteò gli occhi e più che mai in quel preciso istante, a lei sembrò assomigliare al dottore stropicciato protagonista di ogni suo disegno da bambina. Non quello triste e deluso dell’ultimo periodo, ma quello spensierato e impulsivo dei suoi ricordi d’infanzia.
- Amelia Pond – disse e nel sentirlo quasi le scappò una risata.
Un tempo l’accento di benevolo paternalismo nella sua voce quando la chiamava per nome le avrebbe fatto arricciare il naso per il fastidio, ma ora la faceva solo sorridere. Di cosa e per quale ragione, non lo sapeva neppure lei. Probabilmente era un tic nervoso o forse aveva a che fare con il calore che si sprigionava in petto nell’ascoltarlo. In fondo lo aveva compreso che fosse il suo modo per dimostrarle affetto. Strano e poco chiaro, certo, ma cosa nel Dottore che aveva imparato in parte a comprendere non lo era a ben vedere?
Si accorse che lui stesse fissandola con insistenza dalla repentina assenza di suoni molesti che la circondava.
– Uhm, mi sono persa – ammise senza imbarazzo ritornando alla realtà. – Hai detto qualcosa? –
- L’incostanza delle donne… – Il Dottore le rivolse un sorriso enigmatico, inclinando la testa e poggiando il gomito su una leva alla sua destra che si abbassò sotto il suo peso senza farlo sbilanciare. - Un’arma abbastanza potente da ridurre in briciole l’esercito più numeroso. O almeno così è stato per il povero Antonio. –
- Un amore non corrisposto? –
- In un certo senso, sì, se capisci quel che intendo. – Dandole le spalle, il Dottore riprese ad abbassare manopole varie ed Amy inspiegabilmente lo considerò un modo come un altro per sfuggire al suo sguardo. Le scappatoie erano un trucco da niente per l’illusionista che sapeva diventare quando riteneva che fosse necessario. Era come un porcospino il Dottore. Ma gli aculei di cui si serviva per tenere lontani gli intrusi e i nemici erano poco affilati. Mero accorgimento visivo più che reale difesa alla lesa maestà.
– Dì un po’ Dottore – lo chiamò nuovamente, colta da un pensiero improvviso. – Sei mai stato innamorato di qualcuno? –
- Intendi un tipo d’amore puramente platonico o del tipo che c’è tra te e Rory? – domandò lui continuando ad armeggiare come al solito, incurante del resto.
- Del tipo che c’è tra me e Rory. –
- Oh – perché d’un tratto tutto sembrava diverso? Un po’ più spento e malinconico attorno a lui? Come un’aura o qualcosa di simile, un velo opaco a smorzarne la luminosità effervescente. Lo stesso Dottore aveva un aspetto insolito. Con le spalle contratte e la schiena inarcata in avanti, il volto in penombra, quasi teso nella spasmodica ricerca di qualcosa o qualcuno…
- In quel caso sì, lo sono stato. Parecchio tempo fa, ora che ci penso. Un altro me, lunga storia, non merita dilungamenti in proposito. –
Amy tentennò qualche istante di fronte all’evidente turbamento del Dottore, ma la curiosità ebbe la meglio su qualsiasi dimostrazione di tatto e sensibilità. Se Rory fosse stato lì, l’avrebbe ripresa probabilmente. Anzi no, avrebbe di sicuro fatto qualcosa del genere. Era diventato di un attivismo allucinante in quella sorta di solidale complicità maschile che aveva saputo instaurare col Dottore, al punto che lei non sapeva se rallegrarsene o farsene motivo di allarme.
– Com’è stato? Lo ricordi? –
- Certo che sì – appariva offeso dall’eventualità contraria. - È stato atroce e meraviglioso, come qualsiasi altra esperienza umana. -
- E quindi? – lo invitò a proseguire con malgarbo. – Non mi racconti nulla di più preciso? Non mi fornisci dettagli su cui spettegolare? -
- Sei una vera piaga, Pond. Mi chiedo se sia una cosa ereditaria. Se così fosse arguisco che dovrebbe essere un trattino in più  nella lista di cose di cui preoccuparmi. - Il Dottore stirò le labbra in una smorfia di divertimento appena svagato, ma non c’era luce nei suoi occhi né partecipazione nel suo sorriso. Solo distrazione e lontananza e un ché di affettato. Avrebbe detto meccanico. Un’abitudine dura a morire quella di mascherare i suoi veri sentimenti. Anche con lei.
- Ahah – ribatté Amy nella stessa inflessione annoiata incrociando le braccia al petto. – Davvero, Dottore – insisté. – A volte ho l’impressione di non conoscerti affatto. Cosa so di te a parte l’età e che hai gusti discutibili in fatto di abbigliamento? Non so neppure come ti chiami. –
- Chi può affermare di conoscere realmente qualcuno che non sia se stesso? – L’espressione scaltra ora, attenta, da volpe centenaria, la posa tranquilla di chi sapeva quali tasti toccare per avere controllo sulla partita che stava giocando.
– E tu Dottore? Almeno conosci te stesso? –
- Conosci te stesso e conoscerai l’universo e gli Dei – citò lui in un sospiro.
- Questa non è una risposta. –
- Orbene, Pond, forse sì forse no. Conosco me stesso nella misura in cui capisco quando concludere una conversazione che preferirei non portare avanti. Puoi dire altrettanto? –
Era stato brusco, quasi duro nell’asprezza con cui aveva manifestato la sua intenzione di chiuderla lì. Prima ancora di offendersi, Amy si chiese se fosse stato un argomento in particolare tra quelli sfiorati a scatenare quella reazione. Ma no. Il Dottore si era dimostrato da subito burbero e scontroso nel risponderle. Non si era dato pena di nascondere che trovasse quell’intromissione nella sua intimità qualcosa di biasimevole. Il Dottore, d’altronde, trovava adorabile la loro brama di sapere e scoprire fino al momento in cui lui non ne diveniva soggetto. Analizzare era il suo compito, la mansione propria al suo ruolo. Possibile che un cambiamento, pur se minimo, lo disturbasse a tal punto? Dopo tutto quel che aveva visto e provato, viaggiatore da sempre e per sempre, come poteva ancora essere così tenacemente legato alla sicurezza di un’abitudine a lei già divenuta monotona?
- Mi dispiace – borbottarono all’unisono senza guardarsi e poi scoppiarono a ridere. Due ragazzini scoperti dalle madri con i volti ancora impiastricciati del corpo del reato, le mani infilate nel barattolo della marmellata.   
- Non avrei dovuto insistere – proseguì lei dopo una breve pausa, - mi sono lasciata travolgere dalla curiosità e ho esagerato. Scusa. È che a volte – tentò di difendersi scrutandolo pensierosa – ho davvero l’impressione di non sapere nulla di te ed è così frustrante. Tu sai tutto di me, sei al corrente di ogni singolo episodio della mia vita o perlomeno di qualsiasi che valga la pena conoscere. Se il mio migliore amico, ma tu puoi dire lo stesso? Cosa sono ai tuoi occhi? Cosa rappresentiamo io e Rory per te? –
Il Dottore si spostò davanti a lei e le mise le mani sulle spalle piegandosi in avanti per portare il viso all’altezza del suo.
- Amelia Pond - pronunciò in una vibrazione di rapita emozione. – La bambina che ha aspettato, la donna che ha creduto nel Dottore e non ha mai dimenticato i suoi sogni. –
Non sorrideva con la solita aria condiscendente o con quel fare comprensivo che a volte aveva il potere di mandarla in bestia. Al contrario aveva un’espressione seria. Non sembrava lontano, fisso su cose remote o a lei estranee e sconosciute. Era concentrato su di lei, sul presente. Si scoprì rincuorata e al solito e caro sorriso rispose alla stessa maniera quasi senza rendersene conto.
- Di un po’… ti piace tanto dare etichette alle persone, vero? –
Il Dottore la guardò preso contropiede, per un attimo perplesso e intimidito, prima di scuotere la testa tra sé come per un pensiero scomodo. – Amelia, Amelia… arriverà mai il giorno in cui l’avrò vinta sulla tua testardaggine? – Nel dirlo si strofinò forte il mento col palmo della mano, un gesto a lui del tutto inconsueto, studiandola con occhi inquieti.
- Mai – promise Amy ridendo e sciogliendo le gambe dalla posa accavallata in cui le aveva tenute.

Dottore, Dottore… e io invece scoprirò mai chi tu sia?
E poi tutto cambiò ancora, affogando in un vortice di ristagno.
La voce del Dottore si fece astratta e triste, di una malinconia compressa e piena d’angoscia.
- Si chiamava Rose Tyler – pronunciò inaspettatamente con la voce di un annegato ed Amy provò come netta la sensazione dell’acqua ghiacciata che la sommergeva. D’istinto trattenne il fiato, che divenne un bollo timbrato contro le costole. Perché una volta tanto appariva sincero. Il Dottore. Era sincero e le stava raccontando la verità. Solo quella.    
- È un bel nome – articolò le parole d’istinto, peraltro pensandolo davvero.
Rose. Un nome gradevole e agguerrito. Un profumo dolciastro e tante insicurezze per spine ad ostacolarne l’avanzata. Fiore caduco e ingannevole, dai mille aspetti, uno per ogni petalo. Breve e stupefacente quanto l’arcobaleno in cielo dopo un acquazzone.
– Già, lo è davvero – convenne il Dottore e pur non vedendolo Amy sentì fisicamente l’immagine del suo sorriso nostalgico. – Rose Tyler e Amelia Pond – ridisse trasognato,  suonando affascinato alla sola prospettiva. – Voi due insieme avreste fatto scintille, altroché! –
- Che tipo era? – Amy si ritrovò a chiedere interessata. L’immagine intravista sullo schermo del monitor mesi prima si riaffacciò con prepotenza alla memoria. Un viso cordiale, simpatico e un sorriso tanto ampio da riempire il resto di luce. Le era parsa una persona aperta, alla mano, qualcuno con cui parlare e su cui poter contare sempre, comunque.
Il Dottore esitò. – Era giovane – disse infine. - E io invece vecchio, molto più di lei, ma non importava, capisci? Non aveva importanza. Mi faceva ridere - spiegò con semplicità. Alzò la barra di comando e girò lo schermo verso di sé, senza mai fissarla direttamente. - Al punto che a volte ero convinto di non poter fare altro quando ero con lei: ridere. Ero felice e non lo ero stato da, oh, un mucchio di tempo posso assicurartelo. Per una volta ho osato pensare che sarebbe potuto durare. Ho sperato perfino. Io! – la risata incredula del Dottore proruppe amara. Era un suono spiacevole. Feriva e non serviva a curare come le sue altre. Da quelle non sarebbero nate fate, pensò Amy. Forse demoni o folletti piuttosto. Spiritelli resi cattivi dal caos, non da una specifica propensione dell’animo a questa o quella sponda quanto dall’assenza specifica di quest’ultima.
- E poi cos’è successo? Dottore, che fine ha fatto lei? –
Lui si strinse nelle spalle. Di nuovo vecchio e solo e triste. – Cybermen e universi paralleli. Brutta storia. Le ho detto addio. Due volte. Ho bruciato un sole per farlo – chiarì in tono d’importanza. Come se quella precisazione servisse a rivelarle tutto.
E lo faceva, nell’ottica stramba e personalissima del Dottore. Significava tutto.
- Wow. Un sole – ripeté Amy, fingendosi sorpresa. – Non ti facevo così romantico. –
- E questo è niente – assicurò il Dottore con un mezzo sorriso fiacco. – Ho due cuori, lo sapevi? No? Beh, ora lo sai. La seconda volta, l’ultima, un cuore si è spento. Non c’è più stato verso di farlo ripartire dopo. Un morto vivente. Perché vivere a volte è anche sentir morire una parte di sé, una sofferenza lenta e crudele. Un inferno che non ha fine – si voltò a osservarla e c’era qualcosa di cauto nello sguardo che le rivolse, di fragile e antico, che le spezzò il cuore.
- Sono un Signore del Tempo, Amy. L’ultimo della mia specie. Sono destinato a rimanere solo prima o poi. Fa parte di quel che sono, oltre il tempo e lo spazio. –
Privo della scintillante armatura fornita dalle sue belle bugie, il Dottore appariva nudo e vulnerabile, senza filtri di sorta o accorgimenti da camaleonte. Senza favole da raccontare, ma solo la realtà spietata del suo essere un solitario, volente o nolente, quello di fronte a lei rimaneva un uomo infelice e abbandonato. Orfano d’affetti e famiglia, di una casa a cui far ritorno. Non c’erano e non ci sarebbero mai state braccia che lo accogliessero e lo cullassero assicurando che ‘tutto sarebbe andato bene, a promettere che le cose si sarebbero aggiustate certamente nel modo più giusto’.
- Ma quante sciocchezze! – sbottò Amy cogliendo alla sprovvista per prima se stessa. Gli si avvicinò a passo di carica e lo fronteggiò a mento alto, le mani sui fianchi. – Smettila di fare la vittima una buona volta. Sei o non sei il Dottore? Nel caso lo avessi dimenticato hai una cabina blu che può viaggiare nel tempo e nello spazio e tu sei… - gesticolò ampiamente indicando alternativamente lui e tutto lo spazio attorno a loro – praticamente immortale, dannazione! Sai cosa significa questo, eh, lo sai? – proseguì puntandogli contro un dito smaltato di fresco. 
Il Dottore aprì bocca per dire qualcosa, ma lei lo bloccò sul nascere. – Vivi ogni giorno il sogno di miliardi di persone sparse nell’universo. C’è un sacco di gente là fuori che sarebbe disposta a pagare oro perché le vanga offerta un’opportunità del genere, affrontare quel che tu affronti sempre, esperienze e avventure che chiunque altro farebbe di tutto pur di avere a portata di mano e tutto ciò che riesci a dire è che sei “destinato a rimanere solo prima o poi”. Quando sei diventato così tragico? –
Il Dottore si cacciò le mani in tasca e poi allargò le braccia agitandole come ali di un colibrì, quasi a scusarsi di quel suo attimo di debolezza. Amy rimase qualche istante a scrutarlo con cipiglio aggrottato, indecisa sul da farsi. Era scarmigliata e aveva il viso acceso per l’irritazione - arrabbiata anche con se stessa -, gli occhi grandi e lucidi. Non impiegò che pochi secondi per stabilire quale comportamento adottare e in quelli successivi gli era già volata addosso, piccolo tornado in rosso. Con il viso sulla sua spalla, la guancia premuta contro il collo, si morse appena le labbra che tremavano un poco di colpa e dubbio, prima di parlare e confortarlo come poteva.
– Non sei solo. Mi senti? Non sei solo. Non più almeno e non devi preoccupartene. Non adesso, non ancora. Ci siamo io e Rory ora e non scappiamo da nessuna parte. Puoi contare su di noi, sempre. Lo sai questo, vero? –
Silenzio. Carico e spaventoso a sentirsi per lei. Poi, flebile e mormorato, il ‘sì’ del Dottore contro l’orecchio e l’abbraccio ricambiato da uno più impacciato e goffo.
Nel suo stile impacciato dalla firma inconfondibile.
Si staccarono entrambi, sorridendo a mezze labbra con la sicurezza di un’amicizia ormai consolidata. Amy approfittò del fatto che lui le avesse subito dato la schiena per passarsi di soppiatto la manica della maglia sul naso.     
Il Dottore intanto era già tornato alla sua attività preferita, ma si presentava molto più rilassato rispetto a poco prima. Fischiettava un motivetto allegro e correndo da un capo all’altro del lungo pannello circolare sembrava ballasse una danza sgraziata. Piroettava su se stesso e nei volteggi non mancava di guardarla e, scoprendola intenta a fissarlo, ammiccare di conseguenza e farle l’occhiolino. Lei stessa si sentiva molto più leggera. Il calore nel torace s’era fatto greve e vischioso, grondava dolcezza.
Anche lei era fortunata, dovette riconoscere. Molto. E anche a lei centinaia di persone guardavano con invidia e desiderio, sognando di trovarsi dov’era, pregando per poter fare altrettanto un giorno, magari vedersi offrire la stessa possibilità dal destino. Era davvero, davvero molto fortunata ad essere lì. Lo sapeva bene, ma sapeva anche, e altrettanto bene, di esserselo meritato in qualche modo. Si era guadagnata il diritto di occupare quel posto accanto al Dottore, l’aveva conquistato lottando con le unghie e coi denti contro mille pregiudizi e vecchi fantasmi. Amy si stiracchiò e distese le braccia, gettando la testa all’indietro e rilasciando un lungo respiro di felicità e soddisfazione.
Dalle scale di sotto le arrivarono pur se attutiti rumori di movimenti, poco prima facesse capolino la testa arruffata di Rory.
Rispose prontamente al suo ‘ehi’ di saluto con un sorriso radioso. - Buongiorno dormiglione. –
Rory si accostò col solito passo trascinato, gli occhi cisposi di sonno e l’aspetto sgualcito, un ‘Buongiorno’ mugugnato. Chinò la faccia vicino alla sua mormorando in un accento di vaga polemica: - Ti avevo detto di svegliarmi. Sono sicuro di avertelo chiesto ieri. –
- Scusa – rispose Amy a fior di labbra stringendosi appena nelle spalle. – Ma avevi un’aria così rilassata mentre dormivi. Negli ultimi tempi abbiamo corso avanti e indietro senza fermarci mai tra una cosa e l’altra. Non abbiamo avuto un attimo di tregua. Ho solo pensato che meritassi un po’ di riposo, tutto qui. –
Rory sembrò sul punto di dirle qualcosa, probabilmente farle notare che lui non fosse l’unico che avesse bisogno di star tranquillo, ma soprasedette di fronte alle sopracciglia sollevate e l’aria serafica di Amy, sapendo per esperienza diretta quanto poco bastasse a ché si trasformasse in minacciosa in caso di obiezioni o rimostranze. Un nonnulla.  
– D’accordo – bofonchiò poggiandosi pesantemente al suo fianco. – Allora grazie. –
- Prego – disse lei in un tono di superiorità che gli fece alzare gli occhi al soffitto.
- Uhm – riprese Rory osservando con interesse l’affaccendarsi del Dottore e la sua espressione occupatissima. - È successo niente di interessante mentre dormivo? Mi sono perso qualcosa? –
- Nulla di particolare – glissò Amy seguendo la linea del suo sguardo. – Oh sì! – scrollando il capo scoppiò in una risata limpida e aperta. Frizzante come il vento ad autunno. – Qualcosa è successo eccome. Il Dottore ha starnutito! -     

 

     

 


Note d’autore:
Erm… ordunque che dire a mia discolpa tranne che ho taanto sonno? xD Idiozie a parte, ampiamente previste nel budget per spezzare la stasi del momento imbarazzante, bisogna tentare di penetrare gli ingranaggi del meccanismo bacato del mio povero intelletto traviato. Tra poco è San Valentino, - per carità, è già domani O.O -, sono circondata da operose fatine rosa confetto che confezionano cioccolatini fatti in casa da due pomeriggi di fila, dopodomani ho un esame e riemergo dopo mesi di silenzio e inattività scrittoria causa deficit di ispirazione e buona volontà con… questo.
Ritorno e per lo più affacciandomi per la prima volta in un fandom sconosciuto, a me precedentemente ignoto e orribilmente trascurato. E non per analfabetismo della materia prima, se si capisce quel che intendo (la mia conoscenza in merito è di prim’ordine sissignore), quanto piuttosto per lo sconforto che prende più o meno ogni fic-writer quando è ancora nella fase di pieno innamoramento della serie televisiva-manga-anime su cui vorrebbe scribacchiare.
Sto scaricando l’intero ciclo di stagioni con Torrent dopo il flop di Megavideo e cloni, ascoltando tra un episodio bazzicato e l’altro, un boccone di yogurt al Kinder Bueno, una grandinata a sbatacchiare la finestra occasionalmente e un capitolo di Storia Romana, questo:  http://www.youtube.com/watch?v=QejLAhUrrU0.
Cos’altro può pensare o anche solo ipotizzare di fare una povera figlia del Tardis quale me?
Appunto ù_ù
Lo scritto, come avrete certamente compreso, è stato partorito in un periodo alquanto problematico, nonché più o meno faticoso, in cui la povera me salassata da debiti di varia natura si barcamena tra studio matto e disperato (È il periodo dell’anno, mi si dice. Passerà, mi assicurano. Ma quando? - dico io. Sempre troppo tardi ç__ç), lavoro solito e un nuovo lavoretto fiammante del Sabato mattina. Gloriosi furono i Sabato mattina in cui potevo poltrire fino a tardi. Non vi ho mai apprezzato come avreste meritato. Amen.
Sto rileggendo quanto detto sopra e rimango allibita dalla stupidità dilagante che intercorre tra le frasi. Dovrei preoccuparmene? Dite, ho già accennato al fatto che ho taanto sonno, vero?
Momenti di sincerità, a chi interesasse o stesse ancora leggendo, me ne stupirei xD, è nato nella notte tra sabato e domenica, concluso con le ultime correzioni press’a poco questa mattina. Alle due, secondo l’orologio di Nottingham.
Include l’incertezza e il timore verecondi che i personaggi siano di un OOC spaventerrimo, lunatici e persino bizzarri nei loro sbalzi d’umore, oltre che irriconoscibili. Il tutto potrebbe perciò apparire – a ben vedere, tutto sommato - un poco autobiografico. Ma va bene. Posso convivere con il peso di tal presa di coscienza al momento. So solo che, dubbi macroscopici a parte, dovevo pubblicarla. Ne andava della mia sanità mentale, di quel poco di concentrazione rimastami, già seriamente avvilita poverina, nonché di tante altre cose innominabili.
Scleri conclusi.
Vi abbraccio tutti, virtualmente e affettuosamente, con molto calore. Dalle mie parti solitamente soleggiate si gela e ci sono sospetti banchi di nebbia scampati al Triangolo delle Bermude. Mi sovviene che forse i Maya tutti i torti non ce li avessero. Eppure, come direbbe il Dottore, “il tempo può essere riscritto”. Peccato il concetto non valga anche con gli esami .__.  

 

          

  
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