Momenti di
sincerità
Uno
sbadiglio e uno starnuto. Nel ronzante tramestio di sottofondo tipico del
Tardis Amy registrò appena quei rumori. Per poi ricollegarli al Dottore in una
tarda reazione di stupore confuso.
Spostò
lo sguardo sullo sgambettare da acrobata a poca distanza, in mano il pennellino
dello smalto verde acido da poco usato, attenta a non farlo gocciolare sul
pavimento per non incorrere nei rimbrotti del proprietario.
–
Hai starnutito – fece presente in tono sconcertato.
Il
Dottore parve non sentirla e lei dovette ripetere la frase due volte prima che
lui si decidesse a degnarla di una risposta. – Sì, l’ho fatto – proruppe infine
visibilmente agitato, picchiando con forza una strana leva dalla forma ottunda
e pigiando poi altri bottoncini con fin troppa energia.
-
Tu non starnutisci mai – obiettò di nuovo Amy con un ché di ottuso.
Questo
parve finalmente ottenere l’attenzione del Dottore e farla deragliare sul
ciclone in minigonna a meno di un metro da lui. Arcuò le sopracciglia. – Certo
che lo faccio. –
-
No – scandì con lentezza Amy, fissandolo con la fronte aggrottata. – Non lo
fai. Mai.–
Il
Dottore roteò gli occhi e più che mai in quel preciso istante, a lei sembrò
assomigliare al dottore stropicciato protagonista di ogni suo disegno da
bambina. Non quello triste e deluso dell’ultimo periodo, ma quello spensierato
e impulsivo dei suoi ricordi d’infanzia.
-
Amelia Pond – disse e nel sentirlo quasi le scappò una risata.
Un
tempo l’accento di benevolo paternalismo nella sua voce quando la chiamava per
nome le avrebbe fatto arricciare il naso per il fastidio, ma ora la faceva solo
sorridere. Di cosa e per quale ragione, non lo sapeva neppure lei.
Probabilmente era un tic nervoso o forse aveva a che fare con il calore che si
sprigionava in petto nell’ascoltarlo. In fondo lo aveva compreso che fosse il
suo modo per dimostrarle affetto. Strano e poco chiaro, certo, ma cosa nel
Dottore che aveva imparato in parte a comprendere non lo era a ben vedere?
Si
accorse che lui stesse fissandola con insistenza dalla repentina assenza di
suoni molesti che la circondava.
–
Uhm, mi sono persa – ammise senza imbarazzo ritornando alla realtà. – Hai detto
qualcosa? –
-
L’incostanza delle donne… – Il Dottore le rivolse un sorriso enigmatico,
inclinando la testa e poggiando il gomito su una leva alla sua destra che si
abbassò sotto il suo peso senza farlo sbilanciare. - Un’arma abbastanza potente
da ridurre in briciole l’esercito più numeroso. O almeno così è stato per il
povero Antonio. –
-
Un amore non corrisposto? –
-
In un certo senso, sì, se capisci quel che intendo. – Dandole le spalle, il
Dottore riprese ad abbassare manopole varie ed Amy inspiegabilmente lo
considerò un modo come un altro per sfuggire al suo sguardo. Le scappatoie
erano un trucco da niente per l’illusionista che sapeva diventare quando
riteneva che fosse necessario. Era come un porcospino il Dottore. Ma gli aculei
di cui si serviva per tenere lontani gli intrusi e i nemici erano poco
affilati. Mero accorgimento visivo più che reale difesa alla lesa maestà.
–
Dì un po’ Dottore – lo chiamò nuovamente, colta da un pensiero improvviso. –
Sei mai stato innamorato di qualcuno? –
-
Intendi un tipo d’amore puramente platonico o del tipo che c’è tra te e Rory? –
domandò lui continuando ad armeggiare come al solito, incurante del resto.
-
Del tipo che c’è tra me e Rory. –
-
Oh – perché d’un tratto tutto sembrava diverso? Un po’ più spento e malinconico
attorno a lui? Come un’aura o qualcosa di simile, un velo opaco a smorzarne la
luminosità effervescente. Lo stesso Dottore aveva un aspetto insolito. Con le
spalle contratte e la schiena inarcata in avanti, il volto in penombra, quasi teso
nella spasmodica ricerca di qualcosa o qualcuno…
-
In quel caso sì, lo sono stato. Parecchio tempo fa, ora che ci penso. Un altro
me, lunga storia, non merita dilungamenti in proposito. –
Amy
tentennò qualche istante di fronte all’evidente turbamento del Dottore, ma la
curiosità ebbe la meglio su qualsiasi dimostrazione di tatto e sensibilità. Se
Rory fosse stato lì, l’avrebbe ripresa probabilmente. Anzi no, avrebbe di
sicuro fatto qualcosa del genere. Era diventato di un attivismo allucinante in
quella sorta di solidale complicità maschile che aveva saputo instaurare col
Dottore, al punto che lei non sapeva se rallegrarsene o farsene motivo di
allarme.
–
Com’è stato? Lo ricordi? –
-
Certo che sì – appariva offeso dall’eventualità contraria. - È stato atroce e
meraviglioso, come qualsiasi altra esperienza umana. -
-
E quindi? – lo invitò a proseguire con malgarbo. – Non mi racconti nulla di più
preciso? Non mi fornisci dettagli su cui spettegolare? -
-
Sei una vera piaga, Pond. Mi chiedo se sia una cosa ereditaria. Se così fosse
arguisco che dovrebbe essere un trattino in più nella lista di cose di cui preoccuparmi. - Il
Dottore stirò le labbra in una smorfia di divertimento appena svagato, ma non
c’era luce nei suoi occhi né partecipazione nel suo sorriso. Solo distrazione e
lontananza e un ché di affettato. Avrebbe detto meccanico. Un’abitudine dura a
morire quella di mascherare i suoi veri sentimenti. Anche con lei.
-
Ahah – ribatté Amy nella stessa inflessione annoiata incrociando le braccia al
petto. – Davvero, Dottore – insisté. – A volte ho l’impressione di non
conoscerti affatto. Cosa so di te a parte l’età e che hai gusti discutibili in
fatto di abbigliamento? Non so neppure come ti chiami. –
-
Chi può affermare di conoscere realmente qualcuno che non sia se stesso? –
L’espressione scaltra ora, attenta, da volpe centenaria, la posa tranquilla di
chi sapeva quali tasti toccare per avere controllo sulla partita che stava
giocando.
–
E tu Dottore? Almeno conosci te stesso? –
-
Conosci te stesso e conoscerai l’universo e gli Dei – citò lui in un sospiro.
-
Questa non è una risposta. –
-
Orbene, Pond, forse sì forse no. Conosco me stesso nella misura in cui capisco
quando concludere una conversazione che preferirei non portare avanti. Puoi
dire altrettanto? –
Era
stato brusco, quasi duro nell’asprezza con cui aveva manifestato la sua
intenzione di chiuderla lì. Prima ancora di offendersi, Amy si chiese se fosse
stato un argomento in particolare tra quelli sfiorati a scatenare quella
reazione. Ma no. Il Dottore si era dimostrato da subito burbero e scontroso nel
risponderle. Non si era dato pena di nascondere che trovasse quell’intromissione
nella sua intimità qualcosa di biasimevole. Il Dottore, d’altronde, trovava
adorabile la loro brama di sapere e scoprire fino al momento in cui lui non ne
diveniva soggetto. Analizzare era il suo compito, la mansione propria al suo
ruolo. Possibile che un cambiamento, pur se minimo, lo disturbasse a tal punto?
Dopo tutto quel che aveva visto e provato, viaggiatore da sempre e per sempre,
come poteva ancora essere così tenacemente legato alla sicurezza di un’abitudine
a lei già divenuta monotona?
-
Mi dispiace – borbottarono all’unisono senza guardarsi e poi scoppiarono a
ridere. Due ragazzini scoperti dalle madri con i volti ancora impiastricciati
del corpo del reato, le mani infilate nel barattolo della marmellata.
-
Non avrei dovuto insistere – proseguì lei dopo una breve pausa, - mi sono
lasciata travolgere dalla curiosità e ho esagerato. Scusa. È che a volte –
tentò di difendersi scrutandolo pensierosa – ho davvero l’impressione di non
sapere nulla di te ed è così
frustrante. Tu sai tutto di me, sei al corrente di ogni singolo episodio della
mia vita o perlomeno di qualsiasi che valga la pena conoscere. Se il mio
migliore amico, ma tu puoi dire lo stesso? Cosa sono ai tuoi occhi? Cosa
rappresentiamo io e Rory per te? –
Il
Dottore si spostò davanti a lei e le mise le mani sulle spalle piegandosi in
avanti per portare il viso all’altezza del suo.
-
Amelia Pond - pronunciò in una vibrazione di rapita emozione. – La bambina che
ha aspettato, la donna che ha creduto nel Dottore e non ha mai dimenticato i
suoi sogni. –
Non
sorrideva con la solita aria condiscendente o con quel fare comprensivo che a
volte aveva il potere di mandarla in bestia. Al contrario aveva un’espressione
seria. Non sembrava lontano, fisso su cose remote o a lei estranee e
sconosciute. Era concentrato su di lei, sul presente. Si scoprì rincuorata e al
solito e caro sorriso rispose alla stessa maniera quasi senza rendersene conto.
-
Di un po’… ti piace tanto dare etichette alle persone, vero? –
Il
Dottore la guardò preso contropiede, per un attimo perplesso e intimidito, prima
di scuotere la testa tra sé come per un pensiero scomodo. – Amelia, Amelia…
arriverà mai il giorno in cui l’avrò vinta sulla tua testardaggine? – Nel dirlo
si strofinò forte il mento col palmo della mano, un gesto a lui del tutto
inconsueto, studiandola con occhi inquieti.
-
Mai – promise Amy ridendo e sciogliendo le gambe dalla posa accavallata in cui
le aveva tenute.
Dottore,
Dottore… e io invece scoprirò mai chi tu sia?
E
poi tutto cambiò ancora, affogando in un vortice di ristagno.
La
voce del Dottore si fece astratta e triste, di una malinconia compressa e piena
d’angoscia.
-
Si chiamava Rose Tyler – pronunciò inaspettatamente con la voce di un annegato ed
Amy provò come netta la sensazione dell’acqua ghiacciata che la sommergeva.
D’istinto trattenne il fiato, che divenne un bollo timbrato contro le costole. Perché
una volta tanto appariva sincero. Il Dottore. Era sincero e le stava
raccontando la verità. Solo quella.
-
È un bel nome – articolò le parole d’istinto, peraltro pensandolo davvero.
Rose.
Un nome gradevole e agguerrito. Un profumo dolciastro e tante insicurezze per spine
ad ostacolarne l’avanzata. Fiore caduco e ingannevole, dai mille aspetti, uno
per ogni petalo. Breve e stupefacente quanto l’arcobaleno in cielo dopo un
acquazzone.
–
Già, lo è davvero – convenne il Dottore e pur non vedendolo Amy sentì
fisicamente l’immagine del suo sorriso nostalgico. – Rose Tyler e Amelia Pond –
ridisse trasognato, suonando affascinato
alla sola prospettiva. – Voi due insieme avreste fatto scintille, altroché! –
-
Che tipo era? – Amy si ritrovò a chiedere interessata. L’immagine intravista
sullo schermo del monitor mesi prima si riaffacciò con prepotenza alla memoria.
Un viso cordiale, simpatico e un sorriso tanto ampio da riempire il resto di luce.
Le era parsa una persona aperta, alla mano, qualcuno con cui parlare e su cui
poter contare sempre, comunque.
Il
Dottore esitò. – Era giovane – disse infine. - E io invece vecchio, molto più
di lei, ma non importava, capisci? Non aveva importanza. Mi faceva ridere - spiegò
con semplicità. Alzò la barra di comando e girò lo schermo verso di sé, senza
mai fissarla direttamente. - Al punto che a volte ero convinto di non poter
fare altro quando ero con lei: ridere. Ero felice e non lo ero stato da, oh, un
mucchio di tempo posso assicurartelo. Per una volta ho osato pensare che
sarebbe potuto durare. Ho sperato perfino. Io! – la risata incredula del
Dottore proruppe amara. Era un suono spiacevole. Feriva e non serviva a curare
come le sue altre. Da quelle non sarebbero nate fate, pensò Amy. Forse demoni o
folletti piuttosto. Spiritelli resi cattivi dal caos, non da una specifica
propensione dell’animo a questa o quella sponda quanto dall’assenza specifica di
quest’ultima.
-
E poi cos’è successo? Dottore, che fine ha fatto lei? –
Lui
si strinse nelle spalle. Di nuovo vecchio e solo e triste. – Cybermen e
universi paralleli. Brutta storia. Le ho detto addio. Due volte. Ho bruciato un
sole per farlo – chiarì in tono d’importanza. Come se quella precisazione servisse
a rivelarle tutto.
E
lo faceva, nell’ottica stramba e personalissima del Dottore. Significava tutto.
-
Wow. Un sole – ripeté Amy, fingendosi sorpresa. – Non ti facevo così romantico.
–
-
E questo è niente – assicurò il Dottore con un mezzo sorriso fiacco. – Ho due
cuori, lo sapevi? No? Beh, ora lo sai. La seconda volta, l’ultima, un cuore si
è spento. Non c’è più stato verso di farlo ripartire dopo. Un morto vivente.
Perché vivere a volte è anche sentir morire una parte di sé, una sofferenza
lenta e crudele. Un inferno che non ha fine – si voltò a osservarla e c’era
qualcosa di cauto nello sguardo che le rivolse, di fragile e antico, che le
spezzò il cuore.
-
Sono un Signore del Tempo, Amy. L’ultimo della mia specie. Sono destinato a
rimanere solo prima o poi. Fa parte di quel che sono, oltre il tempo e lo
spazio. –
Privo
della scintillante armatura fornita dalle sue belle bugie, il Dottore appariva
nudo e vulnerabile, senza filtri di sorta o accorgimenti da camaleonte. Senza
favole da raccontare, ma solo la realtà spietata del suo essere un solitario,
volente o nolente, quello di fronte a lei rimaneva un uomo infelice e
abbandonato. Orfano d’affetti e famiglia, di una casa a cui far ritorno. Non
c’erano e non ci sarebbero mai state braccia che lo accogliessero e lo
cullassero assicurando che ‘tutto sarebbe andato bene, a promettere che le cose
si sarebbero aggiustate certamente nel modo più giusto’.
-
Ma quante sciocchezze! – sbottò Amy cogliendo alla sprovvista per prima se
stessa. Gli si avvicinò a passo di carica e lo fronteggiò a mento alto, le mani
sui fianchi. – Smettila di fare la vittima una buona volta. Sei o non sei il
Dottore? Nel caso lo avessi dimenticato hai una cabina blu che può viaggiare
nel tempo e nello spazio e tu sei… - gesticolò ampiamente indicando alternativamente
lui e tutto lo spazio attorno a loro – praticamente immortale, dannazione! Sai
cosa significa questo, eh, lo sai? – proseguì puntandogli contro un dito smaltato
di fresco.
Il
Dottore aprì bocca per dire qualcosa, ma lei lo bloccò sul nascere. – Vivi ogni
giorno il sogno di miliardi di persone sparse nell’universo. C’è un sacco di
gente là fuori che sarebbe disposta a pagare oro perché le vanga offerta un’opportunità
del genere, affrontare quel che tu affronti sempre, esperienze e avventure che
chiunque altro farebbe di tutto pur di avere a portata di mano e tutto ciò che riesci a dire è
che sei “destinato a rimanere solo prima o poi”. Quando sei diventato così
tragico? –
Il
Dottore si cacciò le mani in tasca e poi allargò le braccia agitandole come ali
di un colibrì, quasi a scusarsi di quel suo attimo di debolezza. Amy rimase
qualche istante a scrutarlo con cipiglio aggrottato, indecisa sul da farsi. Era
scarmigliata e aveva il viso acceso per l’irritazione - arrabbiata anche con se
stessa -, gli occhi grandi e lucidi. Non impiegò che pochi secondi per stabilire
quale comportamento adottare e in quelli successivi gli era già volata addosso,
piccolo tornado in rosso. Con il viso sulla sua spalla, la guancia premuta
contro il collo, si morse appena le labbra che tremavano un poco di colpa e
dubbio, prima di parlare e confortarlo come poteva.
–
Non sei solo. Mi senti? Non sei solo. Non più almeno e non devi preoccupartene.
Non adesso, non ancora. Ci siamo io e Rory ora e non scappiamo da nessuna parte.
Puoi contare su di noi, sempre. Lo sai questo, vero? –
Silenzio.
Carico e spaventoso a sentirsi per lei. Poi, flebile e mormorato, il ‘sì’ del
Dottore contro l’orecchio e l’abbraccio ricambiato da uno più impacciato e
goffo.
Nel
suo stile impacciato dalla firma
inconfondibile.
Si
staccarono entrambi, sorridendo a mezze labbra con la sicurezza di un’amicizia
ormai consolidata. Amy approfittò del fatto che lui le avesse subito dato la
schiena per passarsi di soppiatto la manica della maglia sul naso.
Il
Dottore intanto era già tornato alla sua attività preferita, ma si presentava
molto più rilassato rispetto a poco prima. Fischiettava un motivetto allegro e
correndo da un capo all’altro del lungo pannello circolare sembrava ballasse
una danza sgraziata. Piroettava su se stesso e nei volteggi non mancava di
guardarla e, scoprendola intenta a fissarlo, ammiccare di conseguenza e farle
l’occhiolino. Lei stessa si sentiva molto più leggera. Il calore nel torace
s’era fatto greve e vischioso, grondava dolcezza.
Anche
lei era fortunata, dovette riconoscere. Molto. E anche a lei centinaia di
persone guardavano con invidia e desiderio, sognando di trovarsi dov’era,
pregando per poter fare altrettanto un giorno, magari vedersi offrire la stessa
possibilità dal destino. Era davvero, davvero molto fortunata ad essere lì. Lo
sapeva bene, ma sapeva anche, e altrettanto bene, di esserselo meritato in
qualche modo. Si era guadagnata il diritto di occupare quel posto accanto al
Dottore, l’aveva conquistato lottando con le unghie e coi denti contro mille
pregiudizi e vecchi fantasmi. Amy si stiracchiò e distese le braccia, gettando
la testa all’indietro e rilasciando un lungo respiro di felicità e
soddisfazione.
Dalle
scale di sotto le arrivarono pur se attutiti rumori di movimenti, poco prima facesse
capolino la testa arruffata di Rory.
Rispose
prontamente al suo ‘ehi’ di saluto con un sorriso radioso. - Buongiorno
dormiglione. –
Rory
si accostò col solito passo trascinato, gli occhi cisposi di sonno e l’aspetto sgualcito,
un ‘Buongiorno’ mugugnato. Chinò la faccia vicino alla sua mormorando in un
accento di vaga polemica: - Ti avevo detto di svegliarmi. Sono sicuro di
avertelo chiesto ieri. –
-
Scusa – rispose Amy a fior di labbra stringendosi appena nelle spalle. – Ma
avevi un’aria così rilassata mentre dormivi. Negli ultimi tempi abbiamo corso avanti
e indietro senza fermarci mai tra una cosa e l’altra. Non abbiamo avuto un
attimo di tregua. Ho solo pensato che meritassi un po’ di riposo, tutto qui. –
Rory
sembrò sul punto di dirle qualcosa, probabilmente farle notare che lui non
fosse l’unico che avesse bisogno di star tranquillo, ma soprasedette di fronte
alle sopracciglia sollevate e l’aria serafica di Amy, sapendo per esperienza
diretta quanto poco bastasse a ché si trasformasse in minacciosa in caso di
obiezioni o rimostranze. Un nonnulla.
–
D’accordo – bofonchiò poggiandosi pesantemente al suo fianco. – Allora grazie.
–
-
Prego – disse lei in un tono di superiorità che gli fece alzare gli occhi al
soffitto.
-
Uhm – riprese Rory osservando con interesse l’affaccendarsi del Dottore e la sua
espressione occupatissima. - È successo niente di interessante mentre dormivo?
Mi sono perso qualcosa? –
-
Nulla di particolare – glissò Amy seguendo la linea del suo sguardo. – Oh sì! –
scrollando il capo scoppiò in una risata limpida e aperta. Frizzante come il
vento ad autunno. – Qualcosa è successo eccome. Il Dottore ha starnutito!
-
Note d’autore:
Erm…
ordunque che dire a mia discolpa tranne che ho taanto sonno? xD
Ritorno
e per lo più affacciandomi per la prima volta in un fandom sconosciuto, a me
precedentemente ignoto e orribilmente trascurato. E non per analfabetismo della
materia prima, se si capisce quel che intendo (la mia conoscenza in merito è di
prim’ordine sissignore), quanto piuttosto per lo sconforto che prende più o
meno ogni fic-writer quando è ancora nella fase di pieno innamoramento della
serie televisiva-manga-anime su cui vorrebbe scribacchiare.
Sto
scaricando l’intero ciclo di stagioni con Torrent dopo il flop di Megavideo e
cloni, ascoltando tra un episodio bazzicato e l’altro, un boccone di yogurt al
Kinder Bueno, una grandinata a sbatacchiare la finestra occasionalmente e un
capitolo di Storia Romana, questo: http://www.youtube.com/watch?v=QejLAhUrrU0.
Cos’altro
può pensare o anche solo ipotizzare di fare una povera figlia del Tardis quale
me?
Appunto
ù_ù
Lo
scritto, come avrete certamente compreso, è stato partorito in un periodo
alquanto problematico, nonché più o meno faticoso, in cui la povera me
salassata da debiti di varia natura si barcamena tra studio matto e disperato (È
il periodo dell’anno, mi si dice. Passerà, mi assicurano. Ma quando? - dico io.
Sempre troppo tardi ç__ç), lavoro solito e un nuovo lavoretto fiammante del
Sabato mattina. Gloriosi furono i Sabato mattina in cui potevo poltrire fino a
tardi. Non vi ho mai apprezzato come avreste meritato. Amen.
Sto
rileggendo quanto detto sopra e rimango allibita dalla stupidità dilagante che
intercorre tra le frasi. Dovrei preoccuparmene? Dite, ho già accennato al fatto
che ho taanto sonno, vero?
Momenti
di sincerità, a chi interesasse o stesse ancora leggendo, me ne stupirei xD, è
nato nella notte tra sabato e domenica, concluso con le ultime correzioni press’a
poco questa mattina. Alle due, secondo l’orologio di Nottingham.
Include
l’incertezza e il timore verecondi che i personaggi siano di un OOC
spaventerrimo, lunatici e persino bizzarri nei loro sbalzi d’umore, oltre che
irriconoscibili. Il tutto potrebbe perciò apparire – a ben vedere, tutto
sommato - un poco autobiografico. Ma va
bene. Posso convivere con il peso di tal presa di coscienza al momento. So solo
che, dubbi macroscopici a parte, dovevo
pubblicarla. Ne andava della mia sanità mentale, di quel poco di concentrazione
rimastami, già seriamente avvilita poverina, nonché di tante altre cose
innominabili.
Scleri
conclusi.
Vi
abbraccio tutti, virtualmente e affettuosamente, con molto calore. Dalle mie parti
solitamente soleggiate si gela e ci sono sospetti banchi di nebbia scampati al
Triangolo delle Bermude. Mi sovviene che forse i Maya tutti i torti non ce li
avessero. Eppure, come direbbe il Dottore, “il tempo può essere riscritto”. Peccato
il concetto non valga anche con gli esami .__.