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Autore: Noth    13/02/2012    15 recensioni
Kurt era una creatura di incommensurabile bellezza, sembrava fosse stato scolpito da una divinità talmente vanitosa da aver messo tutto il bello del mondo in un solo corpo. Ciò mi sarebbe sembrato terribilmente ingiusto in altre circostanze, ma lui era Kurt. Era il ragazzo che amavo, del quale ero innamorato e per il quale il mio cuore non avrebbe mai smesso di battere.
Era perfetto.
Peccato che lui non vedesse questa bellezza.
WARNING ANOREXIC!KURT
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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You couldn't see you were perfect.









Kurt, lui era una meraviglia del creato. Era una specie di creatura mistica caduta dal cielo in tutto il suo splendore. La sua pelle candida e liscia, il suo viso ovale e preciso, le sopracciglia arcuate e le orecchie da elfo… E gli occhi, vogliamo parlare degli occhi? Le sue iridi erano indescrivibili: come se un Dio troppo generoso avesse mescolato il colore dell’oceano, delle nuvole scure e cariche di pioggia ed il verde acceso dei pini di montagna per creare una mistura di un’indescrivibile bellezza. Le ciglia lunghe e scure gli creavano ombre morbide sugli zigomi che gli squadravano il viso. Il naso dalla forma unica, che puntava verso l’alto e quelle labbra soffici e chiare come due nastri rosa sopra il mento lievemente appuntito. I capelli color terra bruciata si distribuivano in onde chiare sopra la sua testa, dando un contrasto decisivo con la tonalità degli occhi e quella della pelle. Tutto ciò sovrastava un corpo longilineo e leggiadro che sembrava danzare mentre si muoveva.
Era una creatura di incommensurabile bellezza, sembrava fosse stato scolpito da una divinità talmente vanitosa da aver messo tutto il bello del mondo in un solo corpo. Ciò mi sarebbe sembrato terribilmente ingiusto in altre circostanze, ma lui era Kurt. Era il ragazzo che amavo, del quale ero innamorato e per il quale il mio cuore non avrebbe mai smesso di battere.
Era perfetto.

Peccato che lui non vedesse questa bellezza.

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Kurt è dinanzi a me, seduto a tavola, mi guarda mentre mangio con un’espressione disgustata. Osserva il suo piatto e non riesce nemmeno a finire di mangiare, rimane immobile, la fronte imperlata di sudore ed un colorito pallido oltre il naturale. Distoglie lo sguardo dal cibo e trattiene il fiato.
Ultimamente lo fa spesso. Cerca di mangiare, lo fa per me, ma qualcosa dentro di lui lo divora, lo uccide, lo scarnifica come una preda da poco conto. Quella cosa si chiama anoressia, e me lo sta strappando di mano. Chissà, a volte mi domando se è più bella di me, se lo soddisfa di più, se gli dà una sensazione di completezza migliore, ed allora mi arrabbio e non posso far altro che arrabbiarmi con me stesso.
« Kurt… » mormoro, cercando di convincerlo a mettere in bocca anche solo un morso di carne. Uno. Per ogni boccone un bacio, è questo il patto, ma oramai nemmeno questo riesce più a smuoverlo. È come se non avesse più uno stomaco, come se la fame fosse la sua migliore amica, come se affamarsi ripetutamente si potesse considerare un rituale portafortuna. Invece lo uccide.
« Blaine, non ce la faccio… » risponde, assumendo un colorito che si avvicina al verde. Le lacrime gli ballano a lato dell’occhio, le vedo brillare. L’indistruttibile Kurt di una volta non c’è più, si è spezzato irrimediabilmente e, per quanto mi sforzi, non ce la faccio a metterne assieme i pezzi.
Non mangia da settimane, se non mesi. Sgranocchia qualche crackers, conta le foglie d’insalata e, quando è di buon umore, smangiucchia un frutto, una mela, una pesca, e mi sorride forzatamente, dicendomi che va tutto bene.
Per i primi tempi aveva provato a nascondermelo, fingeva di mangiare fuori, diceva di aver sonno, che aveva cenato lungo la strada, ma poi era finita con il non consumare mai un pasto assieme ed un suo dimagrimento troppo improvviso. Le ossa avevano iniziato a sporgergli dal viso, le mani erano diventate appuntite, quasi, e gli occhi avevano perso la luce che vi brillava dentro un tempo.
Un giorno lo avevo obbligato a mangiare con me, una domenica pomeriggio. Aveva mantenuto un’espressione di atroce sofferenza per tutto il pasto, aveva morsicato un pezzetto di pane, tagliato e ritagliato in pezzi minuscoli la carne e condito la verdura con cura, ma non aveva messo in bocca niente. Gli chiesi se stesse male e lui aveva scosso la testa, impercettibilmente, deglutendo rumorosamente.
« Non mangio più. » aveva mormorato, appoggiando la forchetta ed il coltello sul tavolo. Avevo sgranato gli occhi.
« Come sarebbe a dire? Cosa intendi? Non ti piace? » avevo chiesto, pulendomi la bocca su un tovagliolo e cercando in tutti i modi di comprendere in anticipo cosa stesse succedendo, come se così il colpo si fosse attutito.
Kurt aveva affondato la testa tra le mani. L’atmosfera era diventata troppo tesa per una domenica pomeriggio.
« Intendo dire che ho smesso quasi completamente di mangiare. Ma va tutto bene. »
Mi ero alzato in piedi, facendo cadere a terra la sedia, le mani che tremavano.
« Cosa? Perché? » avevo fiatato.
Lui aveva alzato la testa e nei suoi occhi velati mi era parso di vedere un intero mondo crollare al suolo, distruggersi ed accartocciarsi su se stesso.
Aveva sorriso debolmente.
« Voglio solo essere perfetto… » aveva risposto.
Era stato l’inizio di un inferno senza fine. Un inferno in cui avevo cercato di farlo ragionare. Gli avevo scritto canzoni in cui cantavo quanto lui fosse perfetto, avevo letto libri a riguardo, avevo cucinato quanto di più buono potessi fare, mi ero tagliato le mani a furia di lavorare su verdure elaboratissime e creme dai sapori esotici. Ma nulla. Kurt si era chiuso in una scatola senza fori per l’aria e non mi lasciava entrare.
Era iniziata l’agonia.
Erano iniziati i miei tentativi disperati di fargli ingurgitare qualcosa con le lacrime, erano iniziate le gite in ospedale, le sedute dallo psicologo e le corse al bagno per vomitare in cui gli posavo una mano sulla spalla e cercavo di trattenere i singhiozzi mordendomi il labbro inferiore.
Era iniziata la nostra convivenza con la sua anoressia.
« Blaine, sul serio, non guardarmi così, ti prego… » mormora, alzandosi da tavola e trascinando i piedi fino in soggiorno. Posso vedere quanto è svuotato, quanto ogni scintilla di vita che c’era stata in lui si sia spenta e come sia stato prosciugato della passione che aveva sempre caratterizzato i suoi sguardi e i suoi gesti.
A volte gli chiedevo se mi amava ancora come una volta, sembrava che la malattia gli avesse portato via tutto, anche quello. E lui rispondeva che ero uno stupido, che andava tutto bene, che lui stava solo diventando perfetto, e che il suo amore per me restava immutato. Quell’amore, diceva, era la sua àncora di salvezza, l’unica cosa che lo teneva legato a quella realtà.
« Cosa c’è di così imperfetto in te? » gli avevo chiesto un giorno, tra le lacrime, e lui era letteralmente crollato al suolo. Si era accartocciato, lasciando che le ossa delle ginocchia sporgessero dai suoi pantaloni di marca, facendomi intravedere le clavicole ossute e mostrandomi quando il suo polso fosse fine e paresse fragile. Allora ero crollato a terra anch’io, piangendo, al suolo, appoggiato allo stipite della porta e completamente disperato, vittima della sensazione persistente di stare combattendo con qualcosa di molto più grande di me.
« Sono così umano, così stupido. Se controllo la mia fame sono potente, sono innaturale, sono superiore. Sono perfetto, capisci? Ti prego, Blaine, dimmi che capisci… »
Avevo alzato lo sguardo, con le lacrime che mi colavano per tutta la faccia, distruggendo la facciata che avevo cercato di mantenere fino ad allora.
« Ne usciremo, Kurt, ti giuro ne usciremo… » avevo mormorato, scuotendo la testa. Lui aveva continuato a piangere e, lentamente, ci eravamo avvicinati fino a singhiozzare l’uno sul volto dell’altro.
 


Seguo Kurt in soggiorno, lui si siede sul divano e si poggia una mano sullo stomaco.
« Non hai fame? » chiedo, cauto.
Lui si tira un violento pugno sullo stomaco.
« Da morire, ma resisto. » dice e si leva la maglia. Rimane in canottiera, il suo corpo deturpato in primo piano. Gli posso vedere le ossa, riesco a scorgere la sanguisuga che lo prosciuga da dentro. Riesco a fissare il demone dal quale è posseduto. Un demone troppo forte, più forte di me.
Kurt si sistema i pantaloni di stoffa ed accende i tapis roulant. Si mette a correre e cerca di non guardarmi, il volto contratto. I muscoli gli fuoriescono dalla pelle, sembrano implodere sotto quella che una volta era pura perfezione e che si sta disfacendo sotto ai nostri occhi come un gomitolo di lana.
Il complesso dell’uomo perfetto è questo: non esserlo mai abbastanza per se stesso.
Se lo avessi saputo lo avrei amato di più, lo avrei baciato di più, gli avrei detto in ogni secondo quanto fosse stato quanto di più magnifico ci fosse sulla faccia della terra. Lo avrei ripetuto fino ad essere rimasto senza voce, lo avrei gridato per le strade. Tutto pur di non arrivare a questo.
La sua corsa aumenta.
« Kurt non puoi non mangiare anche oggi… » mormoro, avvicinandomi a lui e diminuendo la velocità del rullo del tapis roulant.
Lui non demorde e la aumenta di nuovo.
« Posso. Va tutto bene. »
La abbasso.
« Vieni di là, dai un morso alla pizza che c’è in frigo… »
La aumenta.
« Non mangerò. È tutto okay. »
Gli prendo un polso e subito mi ritraggo perché il terrore di spezzarlo è troppo forte.
« Basta! » grido, spegnendo quella macchinetta infernale. « Come puoi continuare a dire che va tutto bene, cazzo! Stai morendo! Stai scomparendo! Kurt non te ne rendi conto? La tua perfezione se ne sta andando, non la stai rincorrendo! Non ce la faccio più, non puoi chiedermi di assisterti, di guardarti mentre ti uccidi! Non puoi. Non ci riesco. » dico, e lui scende traballando dal tapis roulant, la pelle sudata e la fronte imperlata di sudore. Mi guarda e, per la prima volta, sembra senza parole.
Il silenzio cala su di noi come nebbia prima che la mia esistenza crolli.
Poi Kurt cade al suolo, stremato, come un burattino al quale hanno staccato i fili, in una posizione innaturale e con gli occhi sbarrati. Ci vuole qualche secondo prima che afferri il telefono e chiami l’ambulanza tra le lacrime ed il terrore.
Avevano detto sarebbe successo, avevano detto che il suo cuore non avrebbe retto, ma era troppo presto per internarlo in una clinica e lui non aveva voluto ed io gli avevo dato retta. Avevo creduto che ce la avremmo fatta, noi due. Credevo che saremmo stati più forti.
Lo tocco e vedo la sua fragilità. Vedo come si è consumato nella sua ricerca della perfezione che, ai miei occhi, già aveva, ma a volte non basta vero?
L’ambulanza lo carica per andare in ospedale ed io lo seguo nel retro del furgoncino. Mi siedo e guardo i medici applicargli le prime misure di pronto soccorso. Gli mettono tubicini ovunque e sento il cuore cedermi ai pensiero che gli stiano infilando degli aghi nelle fragili vene. È come se fosse un bicchiere di carta. Il suo corpo diventa bianco. Ha la bocca semiaperta e gli occhi bloccati su un’immagine che non posso vedere.
Scoppio in singhiozzi ed uno dei paramedici mi posa una mano sulla spalla.
Stringo talmente tanto forte i pugni che mi pianto le unghie nei palmi ed il sangue inizia a fuoriuscire come se anche la mia pelle dovesse piangere per la sofferenza di Kurt.
« Non lasciarmi. » mormoro, la voce spezzata. « Tiamotiamotiamotiamotiamotiamo. Non lasciarmi ora. » ripeto, come una preghiera.
 


Sembra che passino ore da quando lo portano via su un lettino a quando mi danno il permesso di rivederlo. Nel frattempo ho pensato a troppe cose. A troppi momenti che, senza di lui, non avrebbero alcun senso. Il mio cuore si è strappato in mille direzioni diverse, i filamenti sanguinanti pendono ancora nella mia cassa toracica.
Ho bisogno di lui.
Non sono forte abbastanza.
Sta morendo.
Lo amo.
Sono questi i pensieri che, alternativamente, mi trapassano la mente, facendomi impazzire. Non ho fatto altro che piangere ma nessuno se n’è stupito, immagino che non sia strano in ospedale vedere qualcuno così disperato.
Kurt, però, si sta lasciando morire, ed io non ce la faccio ad assistere immobile al suo suicidio.
Mi chiamano. Mi alzo in piedi, esausto. Il medico mi guarda con aria stanca e sospira.
Il mio sguardo deve dire abbastanza.
« E’ vivo. » ammette, con tono sollevato, ed inizio a tremare. « Ma è stato molto, molto, molto fortunato. La prossima volta potrebbe non andare così. Le sue condizioni sono critiche. Quanti chili a perso? Quanto mangia? Da quanto va così? »
Mi sembra di non collegare con il cervello, gli occhi sono troppo offuscati per permettermi di pensare.
« Non… non lo so, non mi permetteva di controllarlo. Diceva sempre che andava tutto bene… »
Il medico scuote la testa e dà un’occhiata alla cartellina che tiene in mano.
« Ha avuto un collasso. È arrivato ad un passo dalla morte, forse quel passo lo aveva addirittura già fatto. Bisogna agire, ora, volente o nolente. È tipico della patologia assicurare i cari che vada tutto bene, ma non va mai tutto bene. Lei è suo… fratello? » domanda, la voce piatta come quella di chi si è trovato molto spesso a parlare della morte come se fosse una cara, vecchia amica.
« Sono suo marito. » rispondo e, a parte un guizzo delle sopracciglia, il dottore non dice nulla a riguardo.
« Probabilmente dovremmo internarlo in una clinica per qualche mese. » afferma, segnando qualcosa in quella schifosa cartellina giallo malato che tiene in mano.
« E… potrò vederlo? » fiato, le costole sembrano essermisi ripiegate su se stesse piantandomisi nello stomaco, nei polmoni e nel cuore.
« Le visite sono permesse, sì, ma solo qualche ora a settimana. »
Il mio mondo collassa. Ho bisogno di sedermi e mi prendo la testa tra la mani, gli occhi sbarrati.
Io non so vivere senza Kurt.
« Non si abbatta, è l’unico modo per… debellare questo male. Meglio stare lontano da suo marito per un po’ che lasciarlo morire tra le sue convinzioni malate. No? » mi posa una mano sul ginocchio e poi si volta, facendomi segno di seguirlo.
Respiro a fondo e annuisco. Immagino che abbia ragione.
 


La stanza di Kurt puzza di ammoniaca e limone. Arriccio il naso e cerco di non lacrimare ulteriormente.
È disteso nel letto, pallido come la morte, con tubicini ovunque ed una sorta di filo trasparente sotto il naso che gli apporta ossigeno. Non appena entro muove appena la testa e spalanca lentamente gli occhi.
« B-Blaine… » mormora.
« Shh. Zitto. Andrà tutto bene, no? Lo hai detto tu. » sussurro e mi siedo accanto a lui, sorridendo e fingendo sul serio che vada tutto bene. Le lacrime fanno a pugni con le mie palpebre per scendere, ma non voglio rendere la cosa più drammatica di quanto non sia già.
« Hanno… Hanno detto che mi porteranno via… per un po’… » singhiozza, cerca di alzare un braccio ma è debole. Il suo viso è tutto un cratere. È come la luna, fatto di pallidi buchi infintiti che sembrano deturpargli la faccia. Le sue ossa sono tutto ciò che vedo. I bulbi oculari sono rossi e lucidi. I capelli sono attaccati alla fronte, flosci e quasi solo una parvenza leggera di quelli folti e vivi che erano stati un tempo.
« Lo so, sì. Ma così guarirai, Kurt. Così tornerai a casa e sarà tutto come prima, okay? Faremo i pancakes e, per una volta, li mangerai anche tu. Andremo a fare pic nick e cucineremo per la cena di Natale e, la domenica, ci ciberemo di schifezze davanti alla televisione come abbiamo sempre fatto. Tornerà tutto okay, giuro, vedrai che andrà tutto bene. » gli accarezzo la mano pallida e sotto sento con precisione il tocco sporgente delle ossa e rabbrividisco, ma non sottrarrei mai la presa.
« Verrai a trovarmi, vero? » mormora, il petto scosso da dei singhiozzi che vorrei poter portare via, così che lui possa essere felice, così che sia io a stare male e non più Kurt. Così che potremmo tornare a fare la nostra bellissima vita prima che il mostro lo infettasse.
« Ogni volta che potrò. » rispondo e gli bacio dolcemente la fronte, lasciando che il tempo passi ed io non mi muovo. Catturando ogni istante con un retino per farfalle e sperando di poter avere altrettanti attimi come questo.
Entra un’infermiera e mi fa cenno che devo lasciarlo riposare e così, con l’anima che mi si ritorce per il dolore, mi stacco dal suo letto.
« Ti amo tanto, troppo, ti amo cazzo. » sussurro al suo orecchio, e Kurt sorride appena.
« Ti amo anche io. Scusami per tutto questo, Blaine, scusami… » rispondi, e poi sono forzato ad andarmene, con il petto vuoto ed il cuore gonfio di lacrime.
 


Sono tre mesi, oramai, che hanno internato Kurt. Ogni settimana posso passare con lui tre ore il sabato, due il lunedì e due il giovedì. Ovviamente non ho mai saltato, sono andato a vederlo anche con la febbre alta. Mai avrei rinunciato ad assistere ai suoi progressi, a rivederlo prendere colore. A vedere che riesce ad alzarsi dal letto, che le ossa sono un po’ meno aguzze sotto la sua pelle.
Il suo sguardo però non sembra mai tornare come prima e sono sicura che lei, Ana, o anoressia, o come preferiscono chiamarla, è ancora dentro di lui e ci vorrà anche il mio aiuto per strappargliela da dentro. Ha fatto il nido, lei. Ha messo le radici in quello che era il corpo perfetto di Kurt, l’ha fatto suo ed ora lui non ne ha più il controllo. Ma io so che si sei, Ana, ti conosco, ti ho vista crescere e giuro su Kurt che ti ucciderò. Ti sradicherò da lì, t’impedirò di continuare la tua simbiosi con il ragazzo che amo. Ti avvelenerò, ti soffocherò, Ana. Non hai speranze.
« Blaine, guarda, guarda Blaine. » mi chiama Kurt, mentre guardo fuori dalla finestra della sua stanza. Vedo lo scheletro che era e ciò che sta tornando: sta tornando umano.
Fa per alzarsi da solo dal letto, con le gambe tremanti, e mi raggiunge un po’ come un bambino che impara a camminare e cerca la mamma.
Quasi mi commuovo.
« Sei bravissimo, Kurt. » mormoro quando mi cade tra le braccia. Ha già il fiatone e sento le ossa sotto il mio tocco. Percepisco le sue costole ed il suo corpo che torna, appena appena, ad irradiare calore. « Vedi? Sei forte, andrà tutto bene e tu tornerai. Tu tornerai. »
Lui sorride e mi da, per la prima volta da tanto tempo, un bacio tiepido sulle labbra. Mi era mancato così tanto che quasi ti stringo troppo forte da sentire le sue ossa scricchiolare.
 


Il tempo di Kurt nella clinica è finito, e lo rimandano a casa meno pallido ed in grado di mettere in bocca qualcosa che, quanto meno, lo tenga in piedi. Il resto spetta a me.
Devoguarirlo, devo creargli dentro una luce più grande dei graffi che gli ha fatto Ana.
Kurt arriva a casa, si distende sul divano, troppo esausto dopo aver fatto le scale che portano al nostro appartamento, anche se tutti i bagagli li ho portati io.
Appoggio tutto per terra e mi metto accanto a lui. Non posso credere che sarà di nuovo mio. Ho tanta paura che il mostro che si annida nelle sue viscere ricompaia più forte di prima. Ho tanta paura di non essere fortunato come l’ultima volta.
Prego, prego forte che non accada.
Prego di essere abbastanza forte da distruggerlo, questa volta.
Ora Kurt sa quanto sia pericoloso.
« Kurt. » mormoro, prendendogli la mano affusolata ed intrecciandola alla mia con un gesto fluido e naturale. Lui la stringe come può, con la sua forza quasi esaurita.
« Mh? »
« Non lasciarmi, okay, ti ricordi quello che ti ho detto in ospedale. Non lasciarmi. » ripeto, tirandolo a me e lasciando che si appoggi nell’incavo del mio collo.
Lui deglutisce.
« Giuro che ci proverò, Blaine. Questo… questo non avrebbe mai dovuto colpire te, avrebbe dovuto colpire me, rendermi perfetto, farmi… qualcosa. Non ha funzionato. Io… non so perché ma non so controllare quella parte di me, mi parla, è forte, mi comanda. In parte la voglio ed in parte vorrei soffocarla. In parte vorrei mangiare tanto da scoppiare, dall’altra vorrei strapparmi lo stomaco e non ingerire nulla per il resto della mia vita, ma non chiedermi perché, io non lo so. » risponde, e cerca di affondare nel mio petto, cerca di nascondersi.
« Qualsiasi cosa riguardi te riguarda anche me. Io sono te. Noi siamo un tutt’uno. Credevo l’avessi capito. Da quella volta alla Dalton, a ora. Sempre. Io non esisto senza di te. Se tu soffri io piango come un cane bastonato, okay? Tu non sei una cosa separata, rispetto a me. Io e te siamo collegati. Lo saremo sempre. Lo so che non volevi farmi soffrire ma era inevitabile soffrendo tu stesso. Scusami se non ti ho aiutato prima, non sapevo… io… non capivo… »
« Shh. » mi zittisce. « Mi… Blaine, mi prenderesti un sandwich dal frigo? » mormora con voce tremante. Colgo la palla al balzo e mi alzo di scatto, quasi correndo in cucina e recuperando uno dei sandwich al prosciutto e formaggio che avevo comprato qualche giorno prima, completamente svuotato dalla voglia di cucinare. Glielo porgo e lo squadra. Lo guarda a lungo e poi, lentamente, lo scarta. Ne ispira il profumo di plastica e maionese e poi fa per portarselo alla bocca. Le mani gli tremano come se fosse terrorizzato, è pallido e suda. Appoggia i denti sul pane e serra gli occhi forte. Ma non ce la fa.
Poggia il panino sul bracciolo della poltrona sotto i miei occhi delusi.
« Scusa, ancora non… » inizia, ma lo interrompo.
« Proviamo domani, ti va? Abbiamo tempo, tu ce la puoi fare, perché sei perfetto, sei forte, ed andrà tutto bene, okay? Andrà tutto bene. »
Lui annuisce e mi guarda, per una volta i suoi occhi sembrano riprendere la luce ardente di un tempo. Mi tende la mano e non perdo un secondo ad afferrarla. Me la bacia.
« Ti amo da morire, ti amo più dell’anoressia, ti amo tanto, tanto, tanto. » mormora e mi inginocchio accanto al divano per arrivare alla sua altezza e piango.
« Tu sei la persona migliore che io abbia mai incontrato, Kurt Hummel, ed io e te ce la faremo. » rispondo, ed incastro le mie labbra alle sue che non sanno di nulla. Che nutro con me stesso, alle quali dono la forma ed il sapore che hanno perso, perché non mi arrenderò mai e riempirò ogni suo vuoto. Sarò la sua linfa, gli donerò me stesso fino al momento in cui non sarò prosciugato e privo di vita.

 
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Questa è la storia dell’uomo che amo. È anche la mia storia. È la storia di una battaglia. Kurt ha iniziato a smangiucchiare qualcosa, è riuscito a dare un paio di morsi al panino e mi sono messo a piangere. Ogni suo progresso e un passo verso di me ed uno lontano da Ana. Ogni morso è un salto verso la salvezza e li faremo tutti assieme, io e lui, lui ed io.
Non so se ce la faremo, quello che so è che ci stiamo provando, che siamo ancora vivi, e che lo amo come se fosse la perfetta metà della mia anima. Lo amo incondizionatamente, al punto che fa male. Ho avuto paura di perderlo, è vero, ma è ancora qui, ed intendo godermi ogni istante. È il mio Kurt e non ci sarà Ana che tenga: lui non se ne andrà mai.
Come va a finire questa storia? Bè, chi lo sa. La sto vivendo, e questo è già qualcosa. Lo sto amando e lui ama me, e questo è molto più di quanto avrei mai potuto chiedere.





























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Spazio Autrice:
Okay, questa è sul serio la one shot più lunga che io abbia mai scritto.
L'argomento è uno che mi sta molto a cuore, ho avuto a che fare con l'anoressia ed è una delle cose che, magari in futuro ipotetico, potrei curare.

Tolta questa parentesi su di me sentivo il bisogno di scrivere questa fic perchè era molto importante per me parlare di questo problema.
Spero tanto che vi sia piaciuta, vi ho lavorato tantissimo e so che è molto lunga ma... bè, se vi piacerà la leggerete tutta!

Vi ringrazio per essere arrivati fin qui ed aver dato una letta a questa OS. 

Siete i lettori migliori che si possa volere.

Vostra,
{noth
   
 
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