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Autore: Kain91    13/02/2012    1 recensioni
Spesso vi chiedete come le fragili menti possan crollare su loro stesse? O ancora, cosa potrebbe accadere vedendo un proprio mondo, mentale e perfetto, sgretolarsi come vetri colpiti da macigni di colpe non proprie? Molto spesso la pazzia non è ricercata, bensì indotta, ed ogni folle, forse, prima di cadere nel proprio oblio finisce per versare lacrime di vetro, macchiate di rosso. Un mondo perfetto distrutto dal peccato verrà nutrito dal sangue di vittime ignare, colpevoli d'aver voluto un semplice legame.
Genere: Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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<Signora maestra signora maestra, mi può comprare un abbraccio?>
<Ma Tom, gli abbracci sono un dono del cuore, non si comprano.>
<Ma... Signora la maestra, la mia mamma mi chiede sempre qualcosa in cambio, per gli abbracci.>
<Oh tesoro... Un bacino non è merce di scambio, è solo un pretesto per avere un pò d'affetto.>
<Si... Affetto...>
Che dire, frasi innocenti di un bambino, di un piccolo batuffolo dai capelli neri arruffati, dal visetto magro ed incuriosito dalla vita, cui sguardo castano fissava costantemente ciò che Londra, in quella gita, aveva da offrire. Non sapevo ancora, o meglio non potevo immaginare cosa quelle paroline potessero nascondere.
Il mio nome è Tanya McBauer, ed ormai ho 57 anni. Quella che vi sto per raccontare è una storia che... Alcuni di voi potrebbero definire folle, tanto folle da poter apparire come il frutto di una demenza senile ormai giunta, eppure vi assicuro che Tom Baker era davvero un bambino già morto, si, sostituito dalla pazzia nutrita dalla società moderna.
Ricordo ancora il giorno in cui, 32 anni fa, lo vidi per la prima volta. Ara un bambino vestito quasi di stracci, dal corpicino denutrito e dal viso impaurito, inzaccherato costantemente di nero, quasi volesse imitare un piccolo spazzacamino. Veniva nelle scuole elementari costruite vicino a Scotland Yard, le uniche raggiungibili a piedi per lui, ragazzino evidentemente nato e cresciuto nella miseria e nel degrado, da quella che si potrebbe definire una famiglia solo per insufficienza di altri vocaboli. Non aveva nonna, nè padre, ma solo una lussuriosa madre, benestante degradata di fatto e prostituta per scelta, una fottuta ninfomane che affatto pensava al bene del povero figlioletto, spesso vittima di abusi troppo adulti, troppo audaci anche per un pervertito della peggiore specie... Ma iniziamo a parlare dall'alto di quel picco, di quella cima definible come apice della sanità mentale, del piccolo Tom.
Era una fredda notte di Gennaio e l'anno nuovo aveva appena sfondato le porte della profezia "mille e non più mille", il duemila era finalmente arrivato da un paio di settimane, e la gita della scuola in centro Londra era terminata con i sorrisini soddisfatti di tutti i bambini, ora intenti a reincasare nelle loro dimore accoglienti. Ricordo bene che Tom fu uno dei primi a scendere dal Bus rosso a due piani, soddisfatto e con in mano un sacchetto contenente pochi tubetti, mangime per canarini che, spesso, comprava anche a discapito del proprio pranzo.
<Allora ci vediamo domani! E grazie ancora per la pappa di Fluttershy signora maestra! Ciao!>
Salutava sempre così, con quell'atteggiamento costantemente gioviale, eppur così... strano.
Erano pochi i passi che dividevano la porta della sua diroccata dimora dalla fermata del bus, tutti percorsi con vivaci saltellini, seppur l'accoglienza in casa, dopo esservi entrato, era tutt'altro che piacevole.
<Mamma... Fai ancora le smorfie e sei nuda...>
Disse il piccolo, vedendo la madre, una lurida troia mora e sformata dal tempo, distesa sul tavolo della cucina, ancora a gambe aperte ed umida dal frutto di un pagato peccato. Teneva nella mano sinistra, lasciata a penzoloni oltre il tavolo, una bottiglia di vino ormai finita, usata come pendolo di un orologio umano, a cui ogni doldolio, ogni rintocco cristallino del poco alchool rimasto nel contenitore vitreo, segnava i momenti trascorsi a seguito di quel sesso privo di sentimento. Il suo sguardo s'abbattè sulla magra figura del figlio, gli sorrise, un sorriso vuoto, privo di amore materno o d'ogni genere, ma colmo di diavoli.
<Oh... Cucciolo... Sei tornato, vuoi giocare con la mamma?>
<No mamma... Io... Devo andare a dare da mangiare a Fluttershy!>
Erano i soliti scambi di battute che parevano intercorrere tra i due, gli unici forse... Una madre che invita il proprio figlio di appena dieci anni al sesso, e lui che quasi nauseato rifiutava con la solita scusa, quanto un disco rotto par proporre il solito pezzo di una singola canzone.
Ed anche il seguito di quello scambio di battute pareva essere scritto in un destino monotono e ripetitivo. I passetti di Tom, veloci quanto quelli di un maratoneta vicino alla tanto agoniata meta, facevano costantemente entrare il cucciolo d'uomo appena in tempo nella propria stanza, lasciando che la sola porta, intenta a richiudersi sbattendo alle sue spalle, facesse da barriera alla solita reazione della madre. La bottiglia di vino, infatti, veniva sempre lanciata in direzione dell'uscio, rompendosi come la gola in un pianto disperato al contatto con il legno, lercio e puzzolente d'alchool, piovendo come una pioggia di vitree lacrime sul pavimento di legno marcio e scheggiato.
<PICCOLO BASTARDO! E' PIU' IMPORTANTE UN FOTTUTO UCCELLO DI TUA MADRE?!>
Ed ancora, solite le urla, soliti i toni rialzati provocati dalla sbronza che ledevano il già provato animo del piccolo Tom, intento a rifugiarsi nella sua stanza.
Era un buco di legno fetido, imbaloccato alla bene e meglio con della carta da parati rossa, scarlatta, seppur strappata agli angoli della stanza che, in definitiva, comprendeva ben pochi vanti. Un tappeto bianco dai bordi irregolari, probabilmente recuperato dal pattume di una discarica poco lontana, una lampada a forma di mela, un poster dai colori arcobaleno, un cuscino roseo e morbido, una coperta viola e, come ultimo balocco, una gabbietta gialla, posta dell'angolo destro inferiore della stanza. E proprio qui il moretto finiva sempre per rifugiarsi, rannicchiato sulla gabbietta, contenente una stupenda canarina di un color giallo grano. Questa svolacchiava costantemente, allegra alla vista del "padroncino" che, sorridente e con gli occhi rigonfi di lacrime, pareva trovare il suo unico posto in quel mondo di merda li, in quel piccolo spigolo di una casa peccaminosa, in compagnia del volatile giallo.
<Sono qui Fluttershy. Come stai? Pinkie Pie ti ha fatto qualche scherzo?>
Sussurrava come sempre Tom al canarino una volta a casa, mentre due lacrimoni rigavano, anche in quella serata, il suo smorto visetto sporco di polvere nera, ed il sorriso inzuccherava falsamente la sua tristezza interiore, logorante ed ormai costante.
Tutto questo potrebbe richiamare, in voi che seguite questo mio racconto, una profonda pena per la creatura forse, eppure vi sono dei risvolti che potrebbero sapere di... Inquietudine.
Dall'esterno della stanza, infatti, spesso lo si poteva sentir parlare da solo, lasciando che frasi come "Pinkie sei così buffa" o "Shy grazie!" venissero esclamate... Senza motivo.
Parlava Tom, a volte per ore durante il pomeriggio, con quei pochi oggetti che teneva nella stanza.
<Voi siete i miei cavallini, ragazze, voi mi fate contento!>
Pareva un'ennesima costante anche quella, e vi dico, vi assicuro, che in quei suoi due averi Tom vedeva dei pony variopinti, aventi pittoreschi nomi. Pinkie Pie il cuscino, Rarity il tappeto, Applejack la lampada, Twilight Sparkle la violacea coperta e Rainbow Dash il poster, eppure il più importante tra questi "cavalli" mentali pareva essere proprio il canarino, Fluttershy, con la quale il piccolo pareva parlare sempre... Costantemente.
<Dici che hai paura delle persone Shy? No... Non devi, io difendo te e tutte voi altre! Dici che vuoi stare sempre con me... Shy? Lo staremo, non essere timida... Si, sorridi... Sorridi! Poi facciamo i Cupcakes con Pinkie ok? O i vestiti con Rarity si!>
Erano monologhi strani i suoi, inquietanti, i quali terminavano sempre con una ennesima stramberia, ormai abitudine. Tom infatti, ogni volta prima di andare a dormire, pareva sedersi sotto le coperte, con una piccola torcia dalla fioca luce gialla. Nessuno vedeva di preciso ciò che faceva rifugiato in quel fortino improvvisato, ma una frase, singola, veniva sempre pronunziata
<Cara Principessa Celestia...>
Ed a seguito, prima del sonno, delle tenebre, un quadernetto rosso veniva sempre riposto sotto il cuscino, riposando protetto dal dormiente possessore, che anche nei sogni, alle volte, rideva.
Mi prenderete per pazza forse, eppure era questa la sua vita, la sua disgustosa, monotona vita, e ricordo bene che ogni mattino, venendo a scuola o tornando a casa, Tom passava sempre innanzi al cimitero ove riposava la defunta e sconosciuta nonna. La tomba della vecchina, morta prima della nascita del nipote, si poteva vedere benissimo dalla strada, sempre affiancata da una buca vuota, scavata anni ed anni orsono eppure mai riempita, come se attendesse qualcuno pazientemente. Ovviamente Tom non mancava mai di lanciarvi contro uno sguardo, passando quasi disinteressatamente davanti al cimitero, eppure quella era una strada fissa, costante per lui che, sempre solo, percorreva quelle strade saltellando, rintanandosi in seguito nella sua stanza, senza uscire, senza amici, senza nessuno se non i suoi amati "pony" immaginari.
Eppure questa di per sè inquietante monotonia non poteva continuare, una frattura giunse pochi giorni dopo quella fatidica gita, dopo otto giorni per la precisione, causando l'inizio di quella nuova realtà, che presto avrebbe colto il piccolo Tom.
Lo ricordo ancora bene, mentre si allontanava dalla scuola, a fine lezioni, saltellando come sempre e canticchiando un allegro motivetto, a sua detta insegnatogli dal cuscino, Pinkie Pie
<Giggle at the ghostly, Guffaw at the grossly, Crack up at the creepy, Whoop it up with the weepy, Chortle at the kooky, Snortle at the spooky...>
Una canzoncina infantile ed allegra, che s'interrompeva sempre alle porte della propria dimora. E come sempre l'ossuta manina aprì l'uscio, precedendo il resto del corpo, prima che il medesimo uscio si chiudesse alle sue spalle.
Gli occhi ancora chiusi parevano non vedere l'assenza di vita nel salotto d'entrata, e le parole uscirono automaticamente, quasi d'istinto.
<No mamma... Io... Devo andare a dare da mangiare a Fl...?!>
La frase si interruppe solo a seguito d'una visuale certa della stanza, stranamente vuota, in ordine, addirittura profumata, cosa che non potè far altro che far sorridere Tom che, quasi illuminato in sè d'una qualche speranza illusoria, si limitò a dire <Mamma è... Mamma!>.
Sembrava quasi che non avesse mai goduto della presenza di un genitore... E probabilmente era vero, ma la corsa allegra verso la stanza, forse per la gioia di raccontare alle sue amiche immaginarie la propria illusione, terminò con un tragico finale, un epilogo irrimediabilmente grigio, il Caronte della sua follia.
Innanzi ai suoi occhi, infatti, apparve la madre, come sempre nuda e lercia, puzzolente del vino della peggior qualità e sdraiata sul letto del figlio. Sembrava aspettarlo, allargando le braccia verso lui, mentre gli occhi di Tom vagavano nel suo antro invaso. La lampada a mela era distrutta, la coperta ed il tappeto, strappati, il poster squarciato ed il cuscino sventrato delle sue piume. Un cimitero nella sua mente, le vedeva, vedeva bene quelle pony morte, quasi la cameretta fosse una cripta, e la madre la morte che, or afferrandolo, lo trascinava nelle brame del delirio, dell'oblio.
<Non pensare a quella merda, Tom, fammi divertire.>
Non vi erano controbattute, non potevano. Il piccolo pareva sconvolto, mentre l'infantil bocca veniva profanata dalla lasciva lingua della madre, ed il suo esile corpo scompariva sotto quello nudo della genitrice.
Non uscì nessuno da quella stanza, quel pomeriggio, e solo in serata la donna abbandonò l'antro, accompagnata da un semplice
<Io vado al lavoro peste. Fatti trovare sveglio per quando torno.>
prima di sparire.
Tom era rimasto lì, nudo e tremante, mentre fissava i cocci della lampada Applejack, o i resti del tappeto e della coperta, sussurrando appena, a fior di labbra <Ragazze...>.
Pareva svuotato in quella sera, perso in un oceano di libido senza vele, senza remi, senza zattere, intrappolato su di uno scoglio assieme ad una sirena affamata di sesso, sol ora immersasi nel suo mare.
I passetti del piccolo, ancora nudo, non fecero altro che trascinarlo nel solito angolo, mentre un sorriso sforzato ed inumano ne ornava il bel volto rigato di lacrimoni e muco, e le braccia avvolgevano, come sempre, la gabbietta contenente una spaventata Fluttershy.
<Le altre... Sono morte... Ma non preoccuparti Shy, tu no! Io ti difendo, staremo bene io e te da soli? Ok? Ok!... Eheh... So many wonders in this World... Si... SI!>
Anche coloro che passavano lungo la strada dissero d'aver sentito quei deliri, ultimi della serata, della notte... E solo dopo sei ore la madre tornò, trovando il figlio si rivestitosi alla bene e meglio, seppur nel solito angolo.
<Bene cucciolo... Sei sveglio.>
<Si... Ma andiamo a trovare Nonna mamma? Poi farò tutto quello che vuoi, promesso!>
<Da nonna? A quest'ora?>
<Si... Proprio... Ora...>
Il piccolo sorrideva, quasi rideva annuendo, massaggiandosi i capelli con le mani mentre si rialzava, mentre i suoi occhi tremavano impercettibilmente, appena appena gonfi, voleva uscire, e la madre parea acconsentire, ben presto l'abbraccio freddo della morte avrebbe avvolto quella lasciva puttana... E la sua insana creatura.
  
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