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Autore: margheritanikolaevna    14/02/2012    5 recensioni
Questa fanfiction è stata scritta per il contest "Kill me Valentine", indetto da LeftEye. Quindi, per i nostri amici Mac Taylor, Stella Bonasera e Don Flack sarà un San Valentino veramente indimenticabile!
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mac Taylor
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia non mi appartengono, ma sono di proprietà di CBS Broadcasting inc., che ne detiene tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro e, viceversa, gli elementi di mia invenzione, non esistenti in CSI NY, appartengono solo a me.
Introduzione: Questa ff si svolge in un universo alternativo, in cui le vite di Mac Taylor, Stella Bonasera e Don Flack - che qui non sono assolutamente agenti della Scientifica, ma fanno tutt’altro (e, nel caso di Mac, veramente tutt’altro) - sono destinate a incrociarsi comunque, in maniera indimenticabile. E proprio nel giorno di San Valentino.
Una dedica speciale a Lubylover, compagna di merende in questo fandom dimenticato da Dio e, soprattutto, dagli utenti. Anche se, alla fine, non so se approverai la sorte che la ff riserva al tuo beniamino...
 
 
Valentine, bloody Valentine
 
 
La giornata era iniziata male per Mac Taylor.
Il volo che doveva finalmente riportarlo a casa, dopo due settimane di assenza, sarebbe atterrato con oltre un’ora e mezza di ritardo a causa del maltempo.
L’aereo rollava e sobbalzava e, come se non bastasse, il ciccione asmatico che era seduto accanto a lui gemeva a ogni scossone, lanciando uggiolii di terrore che gli trapanavano il cervello.
Quando - mentre la fusoliera vibrava per un vuoto d’aria più violento degli altri - il tipo gli artigliò il braccio, sopraffatto dal panico, Mac Taylor desiderò ardentemente piazzargli una pallottola giusto al centro della fronte. Si trattenne: non aveva attrezzi con sé e, comunque, un professionista non se la prende mai con un idiota.
Sospirò e, non appena la situazione fu tornata tranquilla e il tale gli ebbe lasciato il braccio per tirare fuori dalla tasca l’ennesimo pacchetto di gelatine di frutta (Dio Santo, gelatine di frutta! A Mac Taylor stava venendo da vomitare… ), appoggiò la schiena contro il sedile, cercando di rilassarsi. Guardò le nuvole temporalesche fuori dal finestrino, fendute e rigate da lampi a est, lasciando vagare la mente verso lande più piacevoli.
La verità era che moriva dalla voglia di rivedere Stella; quelle due settimane gli erano sembrate eterne e, adesso, non vedeva l’ora di tornare a casa da lei.
Si mosse di nuovo, alla ricerca di una posizione più comoda.
Lui e Stella si erano conosciuti cinque anni prima a New Orleans: Mac aveva appena portato a termine un incarico in quella città, ma la cancellazione del volo che doveva riportarlo a casa lo aveva costretto a passare la notte in un albergo vicino all’aeroporto. Nell’attesa della partenza, si era fermato a cena lì e l’aveva subito notata che serviva ai tavoli con un’aria distratta o, meglio, concentrata su qualcosa di diverso rispetto a ciò che stava facendo in quel momento.
Quando lui l’aveva chiamata per pagare, lo aveva fissato un istante di troppo con gli occhi più verdi che Mac Taylor avesse mai visto e gli aveva sfiorato la mano, come per sbaglio.
“Lo può mettere sul mio conto?” le aveva chiesto.
“Certo” aveva risposto lei, scuotendo appena i lunghi capelli ricci “qual è la sua stanza?”.
Mac le aveva mostrato la chiave elettronica, su cui spiccava, disegnato in rosso, il numero sette.
“Che strano” aveva esclamato Stella a quel punto “il numero sette!”.
Mac le aveva rivolto un’occhiata incuriosita e lei aveva sorriso - un sorriso assolutamente incantevole, peraltro - subito prima di aggiungere qualcosa del tipo: “Lei ha la camera numero sette e io smetto di lavorare alle sette…”.
“E il mio volo è alle otto” aveva replicato lui, restituendole il sorriso, intenerito e, insieme, stuzzicato da quella battuta che mescolava ingenuità e sensualità.
Quando, alle sette, Stella era uscita dall’hotel - chiedendosi ansiosa se quell’uomo che le piaceva avesse o meno colto il suo implicito invito - lo aveva trovato lì fuori ad aspettarla. E, come avrebbe detto la cara signora Dorsday, che gestiva la casa-famiglia dove Stella Bonasera, abbandonata in tenerissima età dai genitori, era cresciuta “l’equipaggio della sua anima si era precipitato sul ponte di coperta del suo corpo”.
Lo aveva accompagnato all’aeroporto ed erano rimasti a chiacchierare fino a che non avevano chiamato il suo volo.
Al momento di salutarsi, Mac - violando una delle regole fondamentali del suo lavoro, basato essenzialmente sulla solitudine, l’anonimato e la capacità di rendersi invisibili agli altri - le aveva scritto il suo numero di telefono su un pezzetto di carta.
“Nel caso dovesse venire a New York…” le aveva detto, porgendoglielo con un lieve sorriso.
E Stella c’era andata davvero, due settimane dopo, trascinandosi dietro una valigia enorme e pesantissima; dentro c’era tutta la sua vita, che lei intendeva offrirgli.
Mac aveva fatto l’amore con Stella la sera stessa del loro secondo incontro, ma era accaduto tutto con una naturalezza così meravigliosa che gli era sembrato di conoscerla da sempre. Da quel momento non si erano più lasciati e Mac Taylor aveva commesso una seconda - e ben più grave - violazione delle regole: si era trasformato in un killer con signora.
Grazie a lui, Stella aveva smesso di fare la cameriera e completato gli studi; era un’intellettuale, piena di ideali che Mac giudicava spesso puerili, e non aveva mai sospettato nulla circa la vera occupazione del compagno.
Lui le aveva raccontato di essere il rappresentante di una società aeronautica e che, perciò, doveva viaggiare molto per lavoro.
Il che, per inciso, era in ogni caso vero.
E in quei cinque anni aveva portato a termine parecchi incarichi in varie parti del mondo; anzi, sapeva di essere stato più bravo del solito, agendo velocemente, proprio perché aveva fretta di tornare da lei.
Eh si, rifletteva Mac Taylor, pregustandosi il piacere di tenere di nuovo tra le braccia Stella dopo due settimane, stargli vicino non era mai stato semplice, a volte nemmeno per lui stesso. E la tragica scomparsa di Claire - la sua prima fidanzata, uccisa da un’auto pirata lo stesso giorno in cui lui si era laureato a pieni voti in scienze biologiche - aveva peggiorato ulteriormente le cose, trasformando il suo guscio in una corazza durissima da penetrare.
Poi, però, era arrivata Stella.
Stella, che aveva scaldato la sua apparente freddezza e portato la primavera nell’inverno selvaggio della sua vita.
A volte, la nostalgia di lei gli era insopportabile: la settimana prima, mentre era a Parigi per un incarico, aveva notato in una delle vetrine di Cartier un meraviglioso tennis di diamanti che sarebbe stato semplicemente perfetto al suo polso. Senza contrattare, senza nemmeno battere ciglio sebbene il prezzo fosse chiaramente eccessivo, l’aveva comprato, lasciando l’elegante commesso con l’idea di essersi trovato davanti un fedifrago con la coscienza sporca e non già un uomo innamorato e felice. Glielo aveva spedito subito, incapace di aspettare, e adesso già s’immaginava di rientrare a casa e di trovare Stella, raggiante di gratitudine, con al polso quel delizioso gingillo. E magari solo con quello addosso.
Sorrise a quel pensiero e gli sfuggì di nuovo un sospiro.
Aveva deciso che il lavoro che doveva portare a termine quella sera sarebbe stato l’ultimo della sua lunga - e disonorevole - carriera di sicario. Dieci anni. Cominciava a soffrire tutto lo stress di quel genere di vita ma, soprattutto, desiderava trascorrere più tempo insieme a Stella.
Anche se i suoi capi non ci avrebbero mai creduto, sognava di trasferirsi con lei in qualche posticino tranquillo, magari vicino al mare; chissà, se lei avesse voluto, avrebbero avuto anche un bambino, sebbene non si sentisse particolarmente a suo agio all’idea di avere a che fare con pannolini, pappine e mal di pancia assortiti.
Per questo, aveva chiesto di incontrare di persona, per la prima e ultima volta nella sua vita, l’uomo degli incarichi, col quale fino ad allora aveva comunicato solo per telefono o tramite internet.
 Sid - non ne conosceva il cognome, non l’aveva chiesto e non lo avrebbe mai saputo - era un tipo sulla cinquantina, alto e dinoccolato, con intelligenti occhi azzurri e un’aria decisamente troppo simpatica per uno che faceva il suo mestiere: il sensale di morte, il tramite tra chi aveva un problema e chi, come lui stesso, poteva risolverlo rapidamente e definitivamente.
Sapeva di avere corso un bel rischio, dato che in un lavoro come il suo non esistevano lettere di licenziamento, ma solo certificati di morte.
Invece, Sid non gli aveva chiesto spiegazioni e, porgendogli una busta bianca formato A4, gli aveva spiegato che, prima di considerarsi libero, avrebbe dovuto concludere un ultimo incarico, a New York, la sera di San Valentino. Gli aveva promesso pure che avrebbe riscosso tariffa doppia, ma solo a patto di fare tutto da solo, senza appoggi, e di rendere la cosa assolutamente impossibile da dimenticare come volevano i committenti.
Tornato in albergo, Mac Taylor aveva aperto la busta e ne aveva tirato fuori delle fotografie; tutte ritraevano lo stesso soggetto, il suo ultimoincarico.
Il tipo non gli piacque: sui trentacinque, molto alto, atletico, con occhi celeste chiarissimo e l’aria di chi sia abituato a non soffrire di solitudine tra le lenzuola.
Dietro una foto c’era scritto il suo nome: Donald Flack jr.
Non gli era nuovo e Mac Taylor scavò nella sua memoria, alla ricerca del ricordo che lo legava a quell’uomo; ne aveva sentito parlare, o forse aveva letto qualcosa sul suo conto…
Certo! gli sovvenne all’improvviso: era il rampollo di una delle famiglie più ricche e influenti di New York, un figlio di papà laureato brillantemente nella più esclusiva università privata dello Stato e adesso votato alla strenua difesa di chissà quale insulsa causa ambientalista. La lotta contro il surriscaldamento globale o magari la protezione degli ultimi esemplari del rarissimo panda rosso.
Insomma, una specie di idealista filantropo; e a lui i filantropi non erano mai piaciuti.
Cosa poteva mai avere fatto un tipo come quello per meritare una condanna a morte? Non lo sapeva e la sua etica professionale gli impediva di chiedere informazioni sul punto. Nella busta non c’era altro e andava bene così.
Eppure Mac Taylor, mentre fissava le fotografie per imprimersi nella mente i lineamenti di quel bel volto virile, sentiva dentro di sé, senza saperne il motivo, che le loro strade erano destinate a intrecciarsi presto in maniera indimenticabile.
 
***
La giornata di Mac Taylor, iniziata male, stava per peggiorare notevolmente.
Non aspettarmi, non tornerò più a casa. Tu sei stato tanto buono con me e io te ne sarò grata per sempre, ma mentre eri via ho conosciuto un altro uomo. Lui mi ha fatto vedere il mondo in una maniera completamente diversa; condividiamo ideali e passioni. E io credo di essermi innamorata di lui. Perdonami, ti prego. Addio”.
Mac serrò nervosamente nel pugno il foglietto di carta fino a ridurlo a un’informe pallottola accartocciata; poi, lo scagliò lontano con rabbia.
Tanto, avrebbe ripensato a quelle parole un milione di volte; già gli si erano impresse a fuoco nel cervello.
“Cinque anni d’amore e nemmeno cinque righe per liquidarli… Stella, come hai potuto?” mormorò con amarezza. Lui buono? Stronzate. Se l’immaginava, Stella, seduta a quello stesso tavolo a scrivere quel ridicolo biglietto, magari col cuore in tumulto all’idea che, di lì a poco, sarebbe corsa a gettarsi tra le braccia dell’altro.
“Merda” pensò, guardandosi intorno e rendendosi conto, per la prima volta, che nell’appartamento che avevano diviso nulla parlava di lui, niente gli apparteneva davvero.
“Merda e merda” ripeté, versandosi un bicchiere abbondante di whisky, che vuotò tutto d’un fiato. Guardò con cupidigia la bottiglia: aveva una voglia pazzesca di prendersi una sbronza memorabile.
Poi, però, il suo sguardo si posò sulla busta bianca che, entrando, aveva lasciato sul cassettone nell’ingresso. Ne estrasse la foto del suo ultimo incarico; doveva essere quella sera, si ricordò con una fitta al petto.
Fissò ancora una volta la bottiglia e poi, di nuovo, l’immagine.
“Al diavolo!” disse a mezza voce.
Era un professionista. Cornuto, ma pur sempre un professionista.
Riprese in mano la fotografia, dalla quale Donald Flack jr. guardava sorridente il vuoto davanti a sé con due splendenti occhi celesti, che non avrebbero visto un’altra alba.
“Povero bastardo” pensò Mac Taylor, socchiudendo le palpebre e serrando le labbra, che divennero una linea sottile e severa “Io ho avuto un San Valentino di merda, ma ho idea che il tuo sarà anche peggio”.
 
***
Mac Taylor si sfilò i guanti di lattice e tolse gli occhiali di protezione.
Aveva finito.
Almeno non doveva più porsi il problema di poter essere scoperto da Stella, pensò contemplando, sparsi disordinatamente sul tavolo, i pezzi e gli strumenti con i quali aveva appena assemblato l’ordigno che gli sarebbe servito, quella sera, per portare a termine il suo ultimo incarico.
I committenti volevano un lavoretto eclatante, impossibile da dimenticare, e lui li avrebbe accontentati; del resto, era sempre stato abile in questo genere di cose e ciò che aveva appreso da giovane durante il suo servizio nei marines si era rivelato estremamente utile.
Terminata quell’operazione che, richiedendo tutta la sua concentrazione, lo aveva per qualche ora distratto dai palpiti del suo cuore infranto, iniziò a rilassarsi e, non appena lo fece, subito il pensiero di Stella tornò a tormentarlo.
“Che ti aspettavi?” gli diceva la sua parte razionale “prima o poi sarebbe accaduto: lei è una donna giovane e tu, invece, ormai stai passeggiando sul viale del tramonto…”.
“Non è questo” ribatteva la sua parte sentimentale “è che io non sopporto… la slealtà!”.
“La slealtà?” si rispondeva la solo “un killer che non tollera la slealtà? Questa si che è bella! Di’ piuttosto che ti manca da morire, che pensi di non riuscire ad andare avanti senza di lei e che sei disperato. E tutto ciò proprio nel giorno di San Valentino, per giunta!”.
Mac Taylor sospirò e guardò fuori dalla finestra: in strada, le ombre del crepuscolo sembravano fantasmi; decine, centinaia di fantasmi che, contorcendosi, salivano fin lassù. Rabbrividì, nonostante il tepore dell’appartamento.
La sua esistenza era stata spesso solitaria, eppure non si era mai sentito tanto solo come in quel momento.
***
 
Sistemare la bomba sotto la berlina nera di Donald Flack jr. approfittando di un attimo in cui il suo autista si era allontanato per bere un goccio, che lo riscaldasse un po’ in quella gelida serata di febbraio, era stato facile.
Molto più difficile fu, per Mac Taylor, aspettare in silenzio, acquattato nel buio contro un muro freddo come il ghiaccio, che l’incarico lasciasse il party organizzato in suo onore, mentre tutto il suo essere fremeva e smaniava.
Non riusciva a smettere di pensare a Stella; chissà dov’era adesso? L’idea che in quegli stessi istanti lei potesse stare trascorrendo il San Valentino con un altro, tra le braccia di un altro, lo sconvolgeva.
Stella.
Stella, che più di ogni altra aveva aperto il suo cuore, strappandolo dalle caverne della sua esistenza chiusa e solitaria, adesso lo aveva fatto ripiombare brutalmente nei recessi più oscuri della tristezza e del dubbio. Sapeva che la caduta sarebbe stata terribile, quella volta, proprio perché si era abbandonato alle emozioni completamente, lasciando che ne fossero abbattute tutte le sue difese.
E sapeva anche che difficilmente sarebbe riuscito ancora - come invece aveva fatto in passato di fronte al dolore - a isolarsi, chiudendo tutto il mondo fuori e ritraendosi nelle viscere di una vita segreta, nota a lui solo.
Era ossessionato da lei: ogni volta che ripensava alla sua pelle, ai suoi capelli profumati, alla dolce luce dei suoi occhi verdi, la sua carne fremeva, la sua anima tremava, ed era una tortura.
***
A un tratto, l’eco di una risata lontana, eppure dannatamente familiare, lo fece trasalire. Senza farsi vedere, rimanendo nascosto tra le ombre del giardino, Mac Taylor si avvicinò allo scalone di marmo bianco della villa in cui si stava svolgendo la festa. Era in preda a un’inquietudine sempre più intensa: quel suono gli rimbombava nelle orecchie, facendogli martellare furiosamente il cuore nel petto.
Stella? Com’era possibile? Aveva forse avuto un’allucinazione perché la sua mente era dominata da lei?
Prima che nel suo cervello confuso si facesse lucidamente strada il terribile sospetto di trovarsela lì davanti, vide Donald Flack jr. - bellissimo ed elegante nel suo smoking dal taglio perfetto - uscire sulla soglia, cingendo amorevolmente col braccio sinistro la vita sottile di una donna, poco più bassa di lui.
La spietata luce che pioveva dalle fiaccole accese all’ingresso e lungo il vialetto gli rivelò con chiarezza la verità: Stella, la sua Stella, fasciata in un lungo abito di seta nera, che scendeva le scale teneramente abbracciata all’incarico.
La giornata di Mac Taylor, iniziata male e proseguita peggio, si stava concludendo in maniera pessima.
Decisamente.
Vide Stella rabbrividire a causa del freddo pungente e stringersi di più all’uomo, il quale, aprendo le falde del cappotto, la accolse contro il suo corpo, che Mac immaginò caldo e vibrante di desiderio.
E quel loro sfiorarsi estatico, quel loro fissarsi negli occhi, dimentichi di tutto il resto…e il brillio dei diamanti di Cartier intorno al polso esile di Stella…
Faceva un male cane guardarli, eppure il killer non riusciva a smettere.
Percorsero il vialetto sorridenti, belli, giovani e, almeno all’apparenza, perdutamente innamorati.
Per la prima volta nella sua vita, Mac Taylor esitava, le dita strette convulsamente sul radiocomando che avrebbe innescato l’ordigno.
Una lieve pressione sul pulsante e tutto sarebbe finito, per sempre.
I due giunsero vicino all’auto e l’incarico aprì cavallerescamente la portiera posteriore a Stella; lei lo ringraziò con un sorriso radioso e, prima di entrare, si appoggiò un istante contro il suo petto, gli avvicinò le labbra all’orecchio e bisbigliò qualcosa che Mac ovviamente non poté udire, ma che fece luccicare in modo evidente gli occhi celesti dell’uomo.
Salirono in macchina e Mac li immaginò avvinghiati sul sedile di morbida pelle profumata, al caldo, mentre lui se ne stava lì impalato a congelarsi il culo.
Deglutì e serrò ancora di più le dita, tanto che le nocche divennero livide per lo sforzo.
Ancora pochi secondi e l’auto sarebbe stata troppo distante, fuori dal raggio del radiocomando.
Doveva agire, eppure non vi riusciva.
Dannazione! Lui era un professionista, e un professionista non mischia mai il lavoro con i sentimenti.
Trasse un respiro profondo e mentalmente ripeté il suo mantra: il lavoro prima di tutto, il lavoro prima di tutto.
Il lavoro?
Senza distogliere lo sguardo dalla berlina nera che si allontanava, Mac Taylor premette il pulsante.
 
FINE
 
Note: questa ff è liberamente ispirata al romanzo breve di Luis Sepùlveda “Diario di un killer sentimentale”. La frase in corsivo che Stella attribuisce alla signora Dorsday è, invece, una citazione da “L’insostenibile leggerezza dell’essere” di Milan Kundera. Il titolo richiama la canzone Sunday, bloody Sunday” degli U2.
 

La fic si è classificata al quarto posto, su tredici storie partecipanti, al contest "Kill me Valentine" indetto da LeftEye. Mi fa piacere riportare il giudizio espresso nel valutare la storia:

Punteggio: 9.325
GRAMMATICA E SINTASSI: 9.3
CAPACITA' ESPRESSIVA: 10
RISPETTO PARAMETRI E TRACCIA: 10
ORIGINALITA' E CREATIVITA': 8


Ho molto apprezzato questa fanfiction (la seconda che leggo su questo fandom: anche la prima era tua ed è grazie a essa se ho iniziato a seguire più spesso CSI ^^): è triste, ha colto in pieno lo scopo del concorso, ed è strutturata molto bene, senza lasciare nulla al caso.
Non ho letto il romanzo a cui ti sei ispirata, però ho trovato carina l'idea di questo AU; ho visto comunque che non ti sei distaccata proprio tantissimo dalla trama del romanzo e per questo non posso premiare più di tanto l'originalità. Ciononostante, ho apprezzato moltissimo l'introspezione del personaggio, il background della storia (come Mac ha conosciuto Stella, etc...) e le accurate descrizioni.
Non so se avrei apprezzato allo stesso modo la storia, se avessi già letto il romanzo di Sepùlveda, tuttavia l'ho trovata davvero avvincente: la triste storia di Mac, il l'amore trovato e poi perso nel momento più bello, il tentativo di rimanere lucido e controllato per portare a termine il lavoro, e infine l'amara scoperta e la scelta di agire come il freddo e spietato killer che è sempre stato.


Questa storia ha partecipato anche al contest "Di universi alternativi e storie edite" indetto da Superkiki92 e Ro-Chan; si è classificata al quinto posto, su venti storie partecipanti.

  
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