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Autore: My Pride    14/02/2012    6 recensioni
Don’t care what people say, just follow your own way.
Don’t give up and use the chance to return to innocence.

Volevo credere di potermi fidare di lui, di quel ragazzo divenuto uomo in quella casa, dell’allievo prediletto a cui mio padre aveva dato libero accesso alla propria conoscenza. E io, in quanto sua figlia, volevo riporre in lui quella sua stessa e identica fiducia.
[ Mangaverse, prima ancora dell’inizio della serie || Spoiler del volume quindici e del Gaiden Blue ]
[ Vincitrice del Premio grammatica al contest «Flash Contest (I): solo un sogno» indetto da Eireen_23 ]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Riza Hawkeye, Roy Mustang
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Tra i bagliori del fuoco'
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Innocenza perduta
[ Vincitrice del Premio grammatica al contest «Flash Contest (I): solo un sogno» indetto da Eireen_23 ]

Titolo: Innocenza perduta (nel cuore pulsante di una battaglia)
Autore: My Pride
Fandom: FullMetal Alchemist
Personaggi sorteggiati: 4 › King Bradley, 15 › Riza Hawkeye
Tipologia: One-shot
 [ 3293 parole [info]fiumidiparole ]
Genere: Generale, Malinconico, Vagamente Sentimentale, Introspettivo, Guerra
Avvertimenti: Mangaverse, prima ancora dell’inizio della serie, Probabili Spoiler riguardanti il Character Guide Book e il Perfect Book Guide, Probabile Missing Moment inesistente del volume 15, Slice of life
Characters: Roy Mustang, Riza Hawkeye, King Bradley, Un po’ tutti
Pairing: Accenni Royai ad interpretazione strettamente personale
Rating: Verde/Giallo
Vitii et Virtutis: Speranza Rosario
Prompt: 11° Argomento: Ordine e Caos Anarchia
Di peccati e di virtù: Carità › Sogno quando ero piccolo / Senza la preoccupazione nel cuore / Vedo ancora quel momento / E’ sparito, scomparso
Nota: Questa storia può collegarsi a quelle raccolte nella serie Tra i bagliori del fuoco, nello specifico a The pathetic fool [ Through the flames ] e a Please, take me out of here
Introduzione: Volevo credere di potermi fidare di lui, di quel ragazzo divenuto uomo in quella casa, dell’allievo prediletto a cui mio padre aveva dato libero accesso alla propria conoscenza. E io, in quanto sua figlia, volevo riporre in lui quella sua stessa e identica fiducia.


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INNOCENZA PERDUTA (NEL CUORE PULSANTE DI UNA BATTAGLIA)

Don’t care what people say, just follow your own way.
Don’t give up and use the chance to return to innocence.
- Return to innocence, Enigma -

    «Ah, dannazione», borbottò fra i denti il signor Mustang, accartocciando il foglio in preda alla frustrazione.
    Era ormai da parecchi giorni che quella storia andava avanti in quel modo, giacché non si poteva pretendere che un codice così complesso venisse alla luce in un lampo. Mio padre era stato minuziosamente attento a proteggere tutto nel minimo dettaglio per impedire che cadesse nelle mani sbagliate, e, sebbene il signor Mustang avesse capito che il segreto ruotava tutto intorno alle parole impresse sulla mia schiena, non era ancora riuscito a venirne a capo come avrebbe desiderato. Dal canto mio, del resto, non potevo neanche fare niente per aiutarlo. Di alchimia ne capivo ben poco, e mio padre si era sempre ben guardato dall’insegnarmi anche solo le basi per evitare che quel terribile potere potesse ritorcersi contro me stessa. Le uniche cose che conoscevo erano quelle che, anni addietro, lo stesso signor Mustang - che quando ero bambina chiamavo semplicemente Roy - mi aveva mostrato durante il suo apprendistato.
    Ricordavo la gioia che provava ogni qual volta cominciava a parlare di alchimia, il modo in cui, fiero di se stesso, sventolava appunti in lingue ormai perdute e ne picchiettava alcune righe come se volesse farle leggere anche a me, sorridendo come un bambino a cui era stato regalato un nuovo giocattolo e che non vedeva l
ora di usarlo; durante le lunghe notti in cui se ne stava chiuso nello studio di mio padre, con la sola luce di una candela a fargli compagnia mentre era chino su tomi polverosi, di tanto in tanto mi appostavo dietro la porta e spiavo i suoi progressi poggiata allo stipite, in silenzio per non disturbare i suoi studi ed evitare al tempo stesso che si accorgesse della mia presenza, per quanto avessi sempre avuto il sospetto che sapesse che ero lì. A quel tempo era quasi divenuto un rituale: lui entrava e, accomodandosi sulla sedia malconcia che un tempo era stata del suo maestro, apriva un libro all’ultima pagina letta e lasciava la porta socchiusa, quasi ad invitarmi ad osservarlo e a seguire passo dopo passo i progressi che compiva; si scompigliava poi i capelli e, sbuffando, accartocciava qualche carta prima di lanciarla per aria, volgendo lo sguardo verso l’entrata della stanza come a voler vedere se ero ancora lì. Ed io mi nascondevo in fretta, appiattendomi contro il muro e trattenendo persino il fiato fino a qundo non ero del tutto sicura che si fosse girato di nuovo. Quando ci trovavamo a tavola durante l’ora di pranzo, poi, mi guardava di soppiatto e mi rivolgeva un sorrisino, con il quale sembrava quasi dire: “A stanotte. Stesso posto, stessa ora, quando si spengono tutte le luci, lasciandomi il dubbio che sapesse davvero delle mie incursioni. Ai miei occhi di bambina, quella situazione era quasi... divertente. Aye, divertente sarebbe stata la parola esatta per descrivere quel bizzarro gioco che avevamo messo su entrambi.
    Quelle furono notti che si susseguirono per parecchio tempo, almeno fino a quando mio padre non si accorse della mia assenza e mi impedì categoricamente di disturbare il suo pupillo per qualunque ragione al mondo. Cominciai così a rimpiangere quei momenti, quella bizzarra intimità che si era venuta a creare fra noi e quel piccolo idillio a cui avevamo dato vita, ma la decisione di mio padre restò irremovibile e a me non restò altro che limitarmi ad osservare gli studi di Roy da lontano, portandogli solo qualcosa da bere o poggiandogli una coprta sulle spalle quando, durante i mesi freddi, si addormentava seduto alla scrivania.
    A quei pensieri, scossi la testa. Dovevo smetterla di fare sogni ad occhi aperti e ricordare il passato. Non eravamo più dei bambini e quei momenti facevano parte di giorni che non sarebbero mai più tornati. Con un lungo sospiro, mi sistemai meglio l’asciugamano con cui mi nascondevo il seno e gettai al signor Mustang un’occhiata oltre la mia spalla, osservandolo con fare vagamente incuriosito. «Non è riuscito a risolvere niente?» gli chiesi, vedendolo grattarsi dietro al collo con una mano mentre con l’altra recuperava l’ennesimo foglio della serata. Aveva disseminato palline di carta in ogni dove, e boccette di inchiostro e tomi polverosi d’alchimia la facevano ormai da padroni negli angoli più disparati della stanza. C’era persino qualche pergamena ingiallita recuperata dallo studio di mio padre, ma niente di tutto ciò sembrava essere servito.
    «Qualcosa, ma non è abbastanza», sbuffò, e si passò una mano fra i corti capelli scuri per ravvivarli all’indietro. «É
molto più difficile di quanto pensassi, però non mi sarei potuto aspettare diversamente dal maestro». Raccattò una buona parte dei libri che aveva usato e si rimise in piedi, lanciandomi una rapida occhiata prima di affrettarsi a distogliere nuovamente lo sguardo. Mi sembrò persino che fosse arrossito, ma non ebbi il cuore di dirgli niente. «Puoi vestirti, Riza. Per stanotte basta così».
    Continuò a guardare altrove per tutto il tempo che impiegai nel rendermi presentabile, e mentre mi infilavo il maglioncino mormorai, «Sono certa che ci riuscirà, signor Mustang», quasi mi sentissi in dovere di rassicurarlo. Se non lo avessi ritenuto degno delle ricerche di mio padre, non gli avrei mai permesso di vedere né tantomeno di tentare di capire il tatuaggio che avevo sulla mia schiena. A convincermi a farlo erano stati gli ideali di cui mi aveva parlato durante il funerale di mio padre, i suoi sogni su un magnifico futuro in cui tutti avrebbero potuto vivere felicemente, la luce sincera che avevo visto nei suoi occhi neri nel sentirlo parlare di quei suoi desideri. Per quanto non capissi niente di alchimia, riuscivo a comprendere anch’io quanto fosse pericoloso il segreto che mi portavo dietro, e preferivo affidarlo in mani sicure anziché rischiare che esso finisse in quelle sbagliate. Volevo credere di potermi fidare di lui, di quel ragazzo divenuto uomo in quella casa, dell’allievo prediletto a cui mio padre aveva dato libero accesso alla propria conoscenza. E io, in quanto sua figlia, volevo riporre in lui quella sua stessa e identica fiducia.
    Di fatto passarono esattamente tre mesi prima che riuscisse a decifrare almeno una parte delle scritture. Non era sufficiente per comprendere appieno l’enorme potere di quell’alchimia, ma l’essere stato in grado di avere un parziale punto di riferimento era stato un gran bel progresso. Dandogli le spalle per far sì che vedesse il tatuaggio, lo ascoltavo parlare tra sé e sé per ore ed ore, sentendolo borbottare a mezza voce teorie astruse o addirittura bizzarre, con il fruscio delle pagine e il graffiare del pennino sulla carta che facevano da sottofondo a quelle nostre sedute serali. Spesso mi sembrava di essere tornata a quando eravamo dei ragazzini, a quei momenti in cui ci davamo silenziosamente appuntamento nello studio di mio padre alle due di notte, vivendo appieno quei momenti nonostante il gravoso compito che ci portavamo entrambi sulle spalle. Ci interrompevamo soltanto quando giungeva l’ora di cena, sebbene il signor Mustang continuasse ad essere assorto nei propri pensieri anche a tavola. Il suo lavoro come militare gli rubava un sacco di tempo, ma nei suoi occhi leggevo ancora quella sua ferma convinzione di voler imparare a padroneggiare quel terrificante potere per far del bene alla comunità. Più volte mi aveva ripetuto che, se mai fosse riuscito a carpire il segreto delle ricerche di mio padre, avrebbe tentato l’esame da alchimista di stato per avvicinarsi un gradino di più a quel suo grandissimo sogno.
    Fu durante una sera di inizio autunno che tutta quella fatica diede i suoi frutti. Stanca e assonnata, avevo socchiuso gli occhi e chinato la testa in avanti, sorreggendo l’asciugamano per quanto le forze me lo permettessero; non avevo neanche fatto caso più di tanto alle dita del signor Mustang che seguivano le linee del tatuaggio sulla mia schiena, troppo addormentata per capire esattamente che cosa mi succedesse intorno. Era stato dunque con un pizzico di scombussolamento che, quando aveva esultato, avevo alzato di scatto le palpebre, frastornata a dir poco. Voltandomi verso di lui, l’avevo visto con un’espressione così trionfa in viso che avevo quasi stentato a credere che gli appartenesse davvero.
    «
É stato tutto il tempo davanti ai miei occhi, Riza», aveva detto, la voce resa tremula dall’emozione. «É stato tutto il tempo davanti ai miei occhi e io non me ne sono minimamente accorto». Il sorriso sulle sue labbra si era allargato ed era apparso così vivo da essere inverosimile. «Le parole non nascondono la teoria, sono la teoria stessa».
    Accigliandomi, avevo chiesto, «In che senso?»
    «Qui, in questo punto». Sfiorando la parte del tatuaggio dipinta poco al di sotto della mia scapola sinistra, aveva cominciato a spiegare la teoria che aveva intuito nell’osservare quei disegni. «Le parole utilizzate sono tutti elementi chimici, ne sono certo. 
É come se li si volesse nascondere fra tutte le frasi presenti, facendo sì che sfuggano nel vederli solo a colpo d’occhio. Oltre a questi, difatti, non ce ne sono altri». Era sceso poi di qualche millimetro, carezzando la pelle con il polpastrello. «Non si vuole cercare di sviare l’attenzione utilizzando le parole “deuterio” e “trizio”, quindi, bensì richiamarla su quei determinati elementi. Essendo uguali all’idrogeno, che è un gas altamente infiammabile che lo stesso Paracelso aveva scoperto per caso, utilizzati insieme possono formare un gas di molecole a temperatura ambiente; in termini pratici, è come se generassero una sorta di... reazione d’energia [1]». La sua voce era sembrata sorridente mentre aveva continuato a dar voce a quella sua teoria, facendo scivolare agilmente le dita alla base della mia schiena. «Inoltre fra i due serpenti che si intrecciano, rappresentanti della perfezione stessa in campo alchemico, si leggono distintamente le parole “Luce e legge, luce e verità”, che lette singolarmente possono anche non avere alcun significato, ma esso è racchiuso nelle successive».
    Dopo quelle parole si era interrotto un attimo, forse per riprendere fiato. Io mi ero solo limitata ad ascoltarlo fino a quel momento, per quanto non fossi stata sicura di aver compreso appieno ciò che aveva voluto dire; ma l’espressione che aveva assunto il suo viso, la gioia che ero riuscita a leggere nei suoi occhi e in ogni movimento che compiva, i tocchi che mi aveva regalato nello sfiorare la mia schiena, avevano fatto sì che lo lasciassi esprimere quella felicità senza interruzioni, conscia del fatto che fosse ormai sul punto di arrivare a carpire il vero segreto del mio tatuaggio.
    «Non sono ancora certo di cosa vogliano significare le frasi poste in cima e quelle sulla destra», aveva continuato poi, con gli occhi che erano sembrati brillare come non mai, «né tanto meno so spiegare perché il maestro abbia usato proprio questi simboli, ma posso affermare con certezza di esserci quasi vicino». Aveva sfiorato il centro della mia schiena, in seguito, facendomi rabbrividire appena. «Per quanto sia una credenza totalmente falsa, tra l’altro, forse il maestro ha scelto di rappresentare questa salamandra per il mito della sua capacità di sopravvivere nel fuoco».
    «Potrebbe ruotare tutto intorno a questo, allora?»
    A quella domanda mi aveva guardata, posando in terra il tomo che aveva avuto sulle cosce fino a quel momento prima di alzarsi in piedi. «Ho ancora qualche dubbio, ma stanne certa, Riza. Riuscirò a venirne a capo, ne sono sicuro», aveva dichiarato infine, porgendomi una mano per aiutare anche me ad alzarmi. Avevo ricambiato quel sorriso che mi aveva rivolto, credendo fermamente alle sue parole.
    A quel tempo non potevamo ancora sapere quanto quel segreto che avremmo ben presto svelato ci sarebbe costato caro.
 
 
    Il fucile abbandonato dinanzi a me sembrava essere il mio unico punto di riferimento, in quel momento.
  Avvolta in quel giaccone logoro e dal colore smorto, fissavo insistentemente i bagliori del fuoco che si riflettevano sulla canna d’acciaio della mia arma, creando illusioni ottiche che mi danzavano prepotenti davanti agli occhi. Nei dintorni non si udiva il benché minimo rumore, ad eccezion fatta dei sussurri dei soldati che di tanto in tanto si levavano ad infrangere il silenzio della notte. Sabbia e polvere mi entravano nella bocca e nelle narici, rendendo il mio respiro irregolare e spezzato, e non ero del tutto certa se il bruciore agli angoli degli occhi fosse dovuto a quegli stessi granelli o al poco sonno che ormai da tempo mi concedevo a causa dei sensi di colpa e degli orrori che stavo vivendo in quel luogo così lontano da casa.
    Non avrei mai preso in considerazione l’ipotesi che mi sarei ritrovata su un campo di battaglia, un giorno. Prima che quella guerra civile scoppiasse ad Ishvar e il Comandante Supremo King Bradley decidesse di far scendere in campo gli alchimisti di stato, avevo voluto credere fermamente alle parole che l’ormai Maggiore Mustang aveva pronunciato dinanzi alla tomba di mio padre. E tuttora ci credevo, per quanto le mie mani, seppur metaforicamente, fossero sporche del sangue di migliaia di innocenti.
    Forse il motivo per cui avevo scelto di adempiere al mio lavoro con un’arma da fuoco era stato proprio per non ritrovarmi nel bel mezzo della battaglia, per non provare la sensazione di aver ucciso il nemico con le mie mani. Ma anche in quel modo non restava poi molto per pensare di essere ancora innocente, e lo sapevo bene. Era soltanto un modo come un altro per illudermi. Centrare il capo di un uomo da una considerevole distanza, difatti, era più facile di quanto non si credesse e più sconvolgente di quanto non apparisse. Il trucco stava nel non far tremare il braccio e la mano con cui si sorreggeva l’arma da fuoco, rinserrando la presa e restando impassibili e rilassati per tutto il tempo di puntata. Un irrigidimento dell’arto avrebbe solo portato ad un intorpidimento del dito stabile sul grilletto, facendo sì che anche il più abile dei cecchini mancasse il bersaglio. Io l’avevo capito a mie spese durante i primi giorni passati in quell’inferno.
    Come cadetto, i miei primi bersagli erano stati quelli del poligono di tiro dell’Accademia; mai e poi mai mi sarei ritrovata a pensare che, prima ancora che potessi concluderla, quegli stessi bersagli sarebbero stati sostituiti da persone in carne e ossa, persone che il più delle volte erano solo vecchi innocenti, donne e bambini. La crudele realtà era che quando avevo centrato uno di loro al primo colpo, per quanto la cosa mi avesse sconvolta e rimescolato l’anima, dentro di me non avevo potuto fare a meno di provare una sorta di gioia selvaggia per l’essere riuscita ad adempiere al mio dovere. E tale consapevolezza mi era stata bellamente sbattuta in faccia da uno degli alchimisti di stato lì presenti, Zolf J. Kimblee.
    A quegli stessi pensieri mi corse un brivido lungo la schiena, e dovetti avvolgermi meglio nel giaccone nel tentativo di acquistare un minimo di calore. Sembrava che nemmeno la pira vicino alla quale mi trovavo potesse scaldarmi, ed era una bizzarra ironia, quella. Volsi distrattamente lo sguardo nei dintorni, perdendomi fra le macerie disseminate in ogni dove: case che prima erano state popolate da famiglie felici e spensierate, giacevano adesso nel terreno sabbioso, ridotte a cumuli di pietre e legname; gli oggetti più disparati, ormai inutilizzabili e in frantumi, completavano il quadro di desolazione che veniva illuminato dai bagliori di quei falò che si innalzavano un po’ dappertutto, intorno ai quali i soldati sostavano per rifocillarsi e scaldarsi.
    Mi sembrava ancora di sentire nelle orecchie il frastuono degli spari, come se essi fossero ormai divenuti parte integrante del mondo che mi circondava, simili ad una melodia mostruosa le cui note erano state suonate ad ogni pressione di un grilletto, percuotendomi nel profondo. Nemmeno tentare di concentrarmi sulle parole distratte dei miei commilitoni era servito a qualcosa, poiché quei suoni erano apparsi più alti e insistenti delle chiacchiere. Il motivo per cui molti di noi cercavano conforto in parole inutili era proprio per tentare di non impazzire. Capitava molto spesso che quello stress rendesse folli anche i più forti di spirito, e anche io avevo quasi rischiato di cascarci. Probabilmente era stato l’incontro con il Maggiore Mustang a far sì che riacquistassi fiducia in me stessa, forse ricordando i bellissimi sogni di cui un tempo lui mi aveva parlato.
    Se avessi saputo che le ricerche di mio padre sarebbero state usate per quello sterminio, non avrei mai permesso che il Maggiore ne decifrasse i segreti. La colpa era mia quanto sua, e me lo ripetevo ogni volta in cui una spaventosa colonna di fuoco si innalzava fra le macerie. Ma non me la sentivo di condannare il Maggiore. Gli ordini erano ordini, ed ogni militare lì presente lo sapeva bene. Per quanto tutti noi ci rendessimo conto che quella guerra era uno sbaglio, un errore al quale non avremmo mai potuto porre rimedio, tutto ciò che potevamo fare era solo ubbidire. Nessun rosario mi sarebbe stato utile, poiché io non avevo mai creduto ad un Dio. Chi avrei potuto pregare, dunque, per far sì che tutto quell
orrore cessasse?
    Il suono improvviso della sirena d’allarme mi fece alzare di scatto la testa, e fu istintivamente che allungai una mano verso il mio fucile, imbracciandolo; rumori e borbottii concitati si levarono d’un tratto intorno a me, simbolo che il periodo di tregua era stato appena infranto. Il tempo di riposare era scaduto, e ognuno di noi sarebbe dovuto tornare al propri posti di combattimento per respingere l’attacco nemico. Però sapevo che i veri invasori eravamo noi. Eravamo noi coloro che, per ordine di King Bradley, avevamo invaso quella terra e dato il via a quella terribile guerra civile. Il ricordo di ciò che avevo fatto e che avrei ancora continuato a fare mi avrebbe perseguitata per gli anni avvenire, ne ero certa, ma, come tutti i soldati lì presenti, avrei dovuto semplicemente imparare a conviverci se non volevo rischiare di impazzire.
    Un rumore secco al mio fianco, simile al sonoro schiocco di uno sparo, mi fece immediatamente sussultare, risvegliandomi da quei miei disparati pensieri. «Ha intenzione di consegnarmi quelle pratiche, Tenente Hawkeye, oppure vuole tenersele?» mi domandò il Comandante Supremo con vaga ironia, e fu con lo sconcerto in viso che volsi lo sguardo nella sua direzione, quasi faticassi a riemergere da quel passato che, fino a quel momento, non avevo fatto altro che rammentare.
    Scattai sull’attenti non appena la mia mente riuscì a formulare un pensiero coerente, abbassando gli occhi sulle scartoffie che reggevo ancora fra le mani. Quanto tempo ero rimasta immersa nei miei pensieri? Quanto tempo era passato da quando avevo fatto quel sogno ad occhi aperti? Non persi tempo a rimuginarci ancora su, limitandomi a poggiare le pratiche sulla scrivania prima di rivolgere al mio superiore il saluto militare.
    Sebbene quel suo unico occhio mi avesse squadrata con minuziosa attenzione, il Comandante mi aveva regalato semplicemente un sorriso e congedata, lasciando che uscissi da quell’ufficio che, dovetti ammettere in seguito a me stessa, era divenuto caldo e asfissiante. Ero tenuta lì sotto le mentite spoglie di segretaria e assistente, ma sapevo che in realtà le catene che mi legavano a quel luogo erano più pesanti di quanto non sembrassero. Ero una sorta di ostaggio, a dirla tutta, proprio come aveva detto Edward quando era venuto da me per far sì che gli raccontassi di Ishvar.
    Non ero sicura di sapere come si sarebbe conclusa quella storia, né tanto meno se ad agire per primo sarebbe stato il Comandante Supremo stesso, ma di una cosa ero più che certa: avrei seguito il Colonnello Mustang fino alla fine, fino al raggiungimento del suo obiettivo, e, proprio come mi era stato ordinato, sarei stata io a premere il grilletto se fosse stato necessario. E l’avrei fatto senza esitazioni.






[1] Per quanto possa apparire bizzarra e astrusa, questa teoria potrebbe perfettamente reggere.
Tralasciando il fatto che elementi chimici come il deuterio e il trizio furono scoperti su per giù nell’anno 1931 - non capisco dunque il motivo per cui essi siano presenti sul tatuaggio di Riza -, essendo chimicamente identici all’idrogeno - fu lo stesso Von Hohenheim, ovvero Paracelso, ad ottenere per primo questo gas, sebbene non si fosse reso conto di aver ideato un nuovo elemento chimico - come Roy stesso afferma nella storia, e venendo entrambi utilizzati per realizzare una fusione nucleare che genera per l’appunto una gran quantità d’energia, sono altamente infiammabili e per questo possono essere presi in considerazione come base per quanto riguarda la stessa alchimia del fuoco.
Come avevo già accennato in una mia precedente storia, tra l’altro, il simbolo sui guanti di Roy e sulla schiena di Riza richiama vagamente il simbolo stesso dell’unione tra quello del fuoco  (Un triangolo con una punta in su) e quello dell’acqua (Un triangolo con la punta in giù), ovvero una stella a sei punte, unione stessa tra energia e materia.



SCRITTA PER IL: COMBINATION CONTEST
INDETTO DA SETSUKA






_Note conclusive (E inconcludenti) dell'autrice
Dopo tantissimo tempo, ritorno finalmente su questo fandom con una storia un po' vecchiotta.
Comunque sia, in questa one-shot, ho deciso di raccontare per la prima volta la storia dal punto di vista di Riza perché volevo mescolare gli avvenimenti antecedenti alla guerra di Ishvar e sfruttare il triangolo Roy / Riza / Bradley: giacché questi tre personaggi sono uniti l’uno all’altro per diverse ragioni - Roy è unito a Riza a causa del suo apprendistato e a Bradley in quanto ufficiale ai suoi ordini; Riza perché in seguito diventa la segretaria di quest’ultimo - ho pensato che amalgamare le situazioni in questo modo mi avrebbe permesso di non forzare troppo le cose, visto il modo in cui la storia si chiude.
Anche se ho inserito la dicitura Royai, poi, io non ce l’ho visto per niente; ho visto più che altro una donna che crede fermamente nel suo superiore - in un amico di vecchia data -, certa che egli raggiungerà il suo obiettivo a qualunque costo, ma pronta al tempo stesso ad adempiere al proprio dovere nel caso quello stesso superiore faccia qualcosa di sbagliato.
Bradley, poi, compare molto poco, ma è lui la parte centrale di tutto il racconto, la parte che ha una certa rilevanza: giacché è stato lui a guidare la rivolta di Ishvar e a far scendere in campo gli alchimisti di stato, si può benissimo dire che, anche se per lo più invisibile, è lui il protagonista principale.
So che non è niente di che e che il tema della seconda parte è stato più volte abusato, ma spero comunque che la storia sia in qualche modo piaciuta. ♥


Alla prossima, si spera. ♥
_My Pride_
 

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