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Autore: spookachan    15/02/2012    3 recensioni
Questa è la storia di due amiche che devono separarsi.
Annegando in un mare di ricordi cerco di ritornare alla realtà.
Buona lettura
Tratto dalla mia vita
la dedico alla mia migliore amica.
ti voglio bene
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Credevo fosse per sempre…
 
Eccomi qui.
Davanti alla porta della sua casetta.
Mi sembra incredibile, davvero incredibile, essere qui.
Proprio davanti a porta di casa sua, SUA! Non so per quanto tempo ho desiderato essere qui.
Però non in questa situazione, né in questo contesto.
Credo di desiderarlo esattamente da 3 anni 7 mesi e 13 giorni.
Ma non ho la forza per premere quel bottoncino dorato sotto la targhetta lucida con il suo cognome inciso in corsivo.
Mi vengono in mente soltanto tutte quelle volte che arrivavo proprio in quel punto e premevo senza esitazione quel arrugginito bottone.
E lei mi apriva, subito, sapevo che infondo mi stava aspettando seduta dietro alla porta.
Mi aspettava, ma questa volta no, questa volta non sapeva che ero là.
Non guardava ansiosa dallo spioncino della porta in punta di piedi ogni due minuti, come faceva da bambina, e so che lo faceva, anche se non l’aveva mai ammesso.
Aveva sempre avuto un certo orgoglio, lei, e non ammetteva mai l’evidenza pur di aver ragione.
Si impuntava spesso, era testarda, cocciuta, orgogliosa, lamentosa, capricciosa, stupida e svampita.
Dio, quanto bene le avevo voluto.
E pensare che ci odiavamo.
Eggià, c’era puro odio tra noi.
All’inizio.
Costrette a condividere lunghi pomeriggi nella stessa stanza; a volte la sua, a volte la mia; solo per il futile motivo che le nostre mamme erano amiche.
Per noi era una torture, o almeno, per me.
Lei che con la sua testardaggine non mi lasciava toccare niente di niente in camera sua.
Io che per vendetta mi mettevo a giocare, da sola, quando veniva da me.
E un pomeriggio io e uno lei correvamo in lacrime ad abbracciare la mamma urlando quanto fosse cattiva, ora direi stronza,l’altra.
Mi ricordo chiaramente quando giocavamo a “the sims”. Dio. Sembra passata un’eternità.
Lei che non mi lasciava mai il mouse del pc perché si credeva più esperta.
E io che mi infuriavo e facevo un sacco di storie.
Credo che li ci fu l’inizio di tutto.
L’inizio di quel rapporto che crea un qualcosa. Quel qualcosa che fa diventare quel “io” e quel “tu” un semplice
Noi
Non ci fu un cambiamento preciso e netto.
Fu graduale.
Pian piano smettemmo di litigare.
Anzi litigavamo ancora, ma con una cadenza di una volta a settimana.
Camera sua cominciò a non sembrarmi più una gabbia.
Quando giocavamo con le barbie lei sceglieva sempre la più bella, quella bionda e ricciola, con due enormi occhioni azzurri e un sorrisino ebete stampato, letteralmente, in faccia. A me toccava scegliere tra tutte le altre, tutte quelle brutte, in pratica.
In realtà rosicavo tantissimo.
Avrei sacrificato la mia intera casa delle barbie per quella là, ma mene stavo zitta e buona, adeguandomi.
In questo lei plasmò il mio carattere, e se sono così adattabile credo di doverlo a lei.
Accettavo le sue decisioni col sorriso. Non mene dispiacqui mai. Era fatta così, se mostravo di potermi adeguare, cominciava a adeguarsi anche lei.
Mi vengono le lacrime agli occhi quando ricordo quanto era importante lei per me.
Ricordo quando si lamentava dei miei ,anche se pochissimi, impegni che ci impedivano di vederci.
Noi ci vedevamo tutti i giorni, o da lei o da me, non più forzate dalle madri ma per puro piacere.
Era bello stare con lei.
Avevamo fatto il record di 26 giorni di fila. Per ventisei volte lei era venuta a casa mia.
Poi vabbe andavamo a scuola inseme, nella stessa classe, e quindi il fatto di vedersi non sembrava troppo strano.
Ma quando una di noi era ammalata ci attaccavamo entrambe alla cornetta e finivamo il credito dell’telefono di casa. A quei tempi non c’era neppure il cordless.
Ricordo gli sguardi fuggenti quando c’era l’estrazione dei posti a sedere in classe.
Io desideravo un sacco essere la sua compagna di banco.
E da le occhiate preoccupate e ansiose che mandava capivo che anche lei non voleva altro.
E poi la delusione nel trovarsi separate.
Eravamo amiche, anzi, io l’ho sempre considerata la mia migliore amica.
Ci copiavamo i compiti di matematica di nascosto, io in particolare perché lei era troppo orgogliosamente diligente da non fare qualcosa.
Mi ricordo quando mi trascinava in bagno per raccontarmi della sua ultima cotta.
E quando si lamentava mentre bagnava un fazzolettino sotto l’acqua della fontanella perché mi sporcavo in grembiulino blu che eravamo costrette a mettere per scuola.
A volte ci mettevamo sul tavolo della cucina di casa mia e modellavamo il das.
O quando giocavamo con i peluche, lei ne aveva davvero una caterva.
Io poi avevo due sacchi pieni di veli e stoffe che non usavamo.
Li tiravamo fuori e celi mettevamo addosso con lacci e spille da balia per metterci poi a danzare sulle note di Avril Lavigne.
Io ero fissata con Avril Lavigne.
A volte litigavamo perchè lei invece voleva ballare Rihanna.
Ma a me proprio non piaceva Rihanna.
Piano piano mi ero anche abbituata al suo accento napoletano, perché ,si, lei era di Napoli.
Entrabe non eravamo native di Firenze ma ci eravamo trasferite.
Io da Milano, lei da Napoli.
E mi viene in mente quando assaggiavo i manicaretti napoletani che si ostinava a prepararmi, anche se non sapeva cucinare, quando dicevo “buonissimo!” anche se sarei volentieri corsa in bagno a sputare.
E poi c’era lei che non mangiava quasi nulla.
No formaggio, no prosciutti o simili crudi, no pesce, no niente.
Mangiava quasi soltanto i cibi preparati da sua mamma.
Alla mensa della scuola prendevo sempre il suo piatto e finivo quello che rimaneva, molto spesso anche tutto, come una iena. Tutto di nascosto dalle maestre e inservienti, che non lo avrebbero mai permesso.
A casa mia (nel angolino del salotto) una volta avevamo creato una vera e propria città di lego, con case, municipio, parco, super mercato, bar. Tutto con annessi e connessi.
C’era pure la stazione ferroviaria, costruita (e ne vado fiera) da me.
Ricordo quando andavamo in bici per le cascine, e quando cadevo e lei mi rimproverava con le mani sui fianchi per poi prendere il punto dove mi ero graffiata o avevo battuto e darci un bacino con la scusa “se lo baci và via il dolore” ma il dolore c’era e restava là.
Sapevo tutto di lei.
Non le piaceva mangiare quasi nulla, odiava la pallavolo, amava i cani, da grande voleva fare la scienziata, poi aveva cambiato idea e aveva puntato verso una carriera da stilista o modella.
Eravamo molto diverse.
Ma, allo stesso tempo, due gocce d’acqua.
Io la ammiravo moltissimo.
Con quel suo modo di fare da saputella. Non aveva mai ammesso di volermi bene in tutto quel tempo.
Ma ero sicura che invece mene volesse.
Altrimenti non avrebbe pianto, lasciandomi di stucco, l’ultimo giorno di quinta elementare quando le presi una mano e dissi sorridendo.
“Senti, lo so che non sarai felice ma
Io ritorno a Milano”
Non mi ricordo perché sorridevo, mentre le prestavo un fazzoletto per asciugare le lacrime.
Sorridevo come un’idiota mentre cercavo di consolarla. Anche se le mie guancie erano rigate da più lacrime delle sue.
Da quel giorno di 3 anni 7 mesi e 13 giorni fa non ci siamo mai più viste.
Mai più sentite.
Mai più niente di niente.
Tornai a Milano e da li la mia vita ricominciò.
Se si può dire.
Non ebbi mai più un amica come lei.
Lei era sempre là, in un angolino della mia testa.
Non posso dire che la pensavo ogni minuto del giorno e ogni minuto della notte perché mentirei.
Ogni tanto aprivo il polveroso album dei ricordi e mi subivo una raccolta di foto di noi qui e noi lì.
E nei primi tempi piangevo stringendo il cuscino. Non sono mai stata una ragazza forte.
Ebbi ogni tanto qualche amica. Una addirittura mi disse se potevamo essere migliori amiche.
E mi colmò di gioia. Dopo qualche mese quella stessa ragazza mi lasciò completamente sola e abbandonata.
Non so se lei sapesse cosa doveva effettivamente significare “migliore amica” perché io e lei non ci vedevamo mai fuori da scuola, m-a-i.
Non si può effettivamente dire che la mia vita ricominciò.
Diciamo che continuò in una lunga serie di eventi poco significativi.
Ed eccomi ora qui.
Davanti alla porta della sua casetta.
Mi sembra incredibile, davvero incredibile, essere qui.
Il vento mi scompiglia i capelli, come al solito, disordinati. E mi viene in mente quando ti lamentavi anche di quelli mentre cercavi di nascondere la mia frangetta disordinata dietro un cappellino, e io che cercavo di non fartelo fare.
Mi tocco i capelli.
Ora non ho più la frangetta.
Dio quanto mi manca tutto ciò.
Chissà se anche tu hai cambiato taglio di capelli.
Fa freddo, dovrei suonare il campanello.
Un vento gelido si insinua nelle pieghe del cappotto e della sciarpa.
Il respiro condensa in nuvolette bianche che si squagliano portate via dal vento.
Mi decido, poso la mano sull’campanello.
E dopo un attimo di esitazione premo col indice.
Ascolto col cuore in gola il campanello risuonare dentro la casa.
Sento un rumore di passi affannati e il click della serratura che gira e mentre una voce arzilla chiede chi è la porta si apre.
Eccota qua.
Vestita con una lunga felpa rossa e dei pantacollant neri mi guardi.
Spaventata, mi sembra, anzi no, stupita.
3 anni 7 mesi e 13 giorni.
Da 3 anni 7 mesi e 13 giorni non mi vedi, e solo in quel momento mi rendo conto che potresti non riconoscermi.
Mentre io riconoscerei tre tra mille.
I lunghi capelli scuri e lisci ti ricadono come nastri di raso sulle spalle e sul petto, prosperoso.
La pelle è perfetta e candida come quando eravamo bambine.
Le guanciotte rosse, quelle che hai sempre avuto e per le quali ti ho sempre invidiato, spiccano sul volto sorpreso.
Quei tuoi occhi mi fissano.
Quei bellissimi occhi color nocciala.
Hai un volto speciale, anche se in effetti comune a quello di altre, ma per me è speciale, anche perché è il tuo. Forse solo perché è il tuo.
A quanto pare anche tu riconosci me, anche se non ho più la frangetta e sono cresciuta davvero tanto.
Sussurri il mio nome, sfuggente, e le tue guance si bagnano di lacrime calde, le stesse di 3 anni 7 mesi e 13 giorni fa.
Vorrei correre lì a consolarti ma prima mi sento in dovere di dire.
“Sono tornata”
 

…Credevo fosse per sempre….
…E dalla tua espressione comprendo…
 
…Che avevo ragione.

 

 
 
Questa è una storia vera, la mia storia.
E la dedico a Gianna, la mia migliore amica.
Gianna, ti voglio bene.
 

Tua Bianca

 
 
            

  
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