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Autore: Brat    16/02/2012    1 recensioni
Volevo fare gli auguri a Billie, e non è che mi siano riusciti bene, come avrebbero dovuto, come avrei voluto, ma alle 23:56 del 16 Febbraio non posso ricominciare se voglio pubblicare per mezzanotte, questa non è scritta per essere letta, è scritta perchè avevo una dannata voglia di gridare di quanto debbba a quel fottuto e bellissimo ragazzo
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Billie J. Armstrong
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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17  / 02 / 1982
 
Lentamente ti svegliasti, ma non apristi gli occhi, rimanesti lì, ad ascoltare i suoni di quella mattina, tu, piccolo bambino di già dieci anni. Si, quel giorno ne facevi dieci. Ormai eri grande. Sorridesti, senza aprire gli occhi. La tua stanza non ti era mai piaciuta, nonostante la amassi come tutto il resto della catapecchia che tu solo avevi il coraggio di chiamare casa,  perciò decidesti di non rovinare quel momento: lì immerso nel calore delle tue morbide coperte, rannicchiato in un angolo del letto mentre abbracciavi il cuscino, ti sentivi in pace cool mondo e con te stesso. Dalla cucina profumo di vaniglia e cioccolato, la tua torta preferita che tua madre preparava ogni compleanno e il vociare della tua famiglia che aspettava solo il tuo arrivo. E tu lo sapevi, e non avevi intenzione di arrivare. Ma volevi assaggiare quella deliziosissima torta e abbracciare la tua mamma e il tuo papà, e per un giorno sentirti libero delle prese in giro dei tuoi fratelli maggiori. Di tutti i tuoi fratelli. Così apristi gli occhi, lentamente. La finestra davanti a te era socchiusa, come la porta alle tue spalle, le coperte arancioni ti davano la sensazione di essere immerso nelle fiamme. Ti sollevasti a sedere e, con i piccoli pugnetti, ti stropicciasti gli occhi piano, per poi scendere dal letto. Ti scostasti un piccolo ricciolino castano-rossiccio dalla fronte e ti stiracchiasti sbadigliando. “Tanti auguri” sussurrasti a te stesso, sorridendo. Cominciasti poi a zampettare allegro verso la cucina, incespicando nelle gambe del pigiama azzurrino, troppo grande per te, che ti avevano passato i tuoi fratelli maggiori.
-Tanti auguri!- Esultò la famiglia intera vedendoti entrare, per poi addossarti: tua madre prese a scompigliarti i capelli, disordinandoli ancor più di quanto già non fossero, i tuoi fratelli a pizzicarti le guanciotte e a ridere del tuo sorriso dal quale mancavano due o tre denti qua e là. Ma tuo padre rimase indietro. Ti chiedesti perché. Dopo qualche minuto la calca di familiari in assetto da placcaggio di football si diradò, tornando ognuno alle proprie faccende: tua madre si mise a ricoprire di zucchero a velo che a te ricordava tanto la neve la tua torta, le tue sorelle uscirono dalla cucina per andare a levarsi il pigiama e a prepararsi per la scuola e i tuoi fratelli presero un pallone e uscirono a giocare. Rimase solo tuo padre.
-Piccolo mio..- cominciò. Tu ti chiesi cosa stesse succedendo. In parte avevi già capito: si trattava del regalo, ma non riuscivi ad arrivare al perché ti così tanto mistero, di solito te lo posava in mano subito, sorridendoti e dandoti un leggero pugnetto sulla guancia, ma oggi era diverso. Dietro la schiena teneva qualcosa che ti sembrò più del solito pallone o trottolina, del solito vestito o giocattolo vecchio ereditato da qualche tuo fratello. Forse  speravi che fosse tanto la sua maglia da football blu con il numero 27 stampato sopra, ma nel tuo cuore c’era qualcosa che sentivi che desideravi di più.. ti chiedesti se non potesse essere quello. Pregasti perché potesse esserlo, ma tentasti di non illuderti troppo.
-vedi, quest’anno è un compleanno davvero speciale, e non solo perché compi dieci anni. Quest’anno il tuo regalo non è un regalo come quello degli anni precedenti, può valere il tuo futuro, se sei bravo ad usarlo. Io, tua madre e i tuoi fratelli abbiamo deciso di unire i soldi per comprarlo: non è certo cosa da poco. Ci siamo impegnati, ma ne è valsa la pena..- sorride e sospira, e sia il sospiro che il sorriso sono stanchi, sfiancati, ma non ai tuoi occhi, tu, piccolo innocente bambino di dieci anni.
-Cos’è?- Chiedi, ma forse la risposta te la sei già data da solo, e non ci vuoi, non ci PUOI credere.
-Bè.. insomma.. ah, diamine, prendi- disse sorridendo e porgendoti il tanto atteso regalo. Era esattamente cosa aveva immaginato. Era di color azzurro chiaro e bianco, il legno del manico, il ferro più o meno sottile delle corde, la sua pesantezza, cose con cui ormai avevi dimestichezza, cose che amavi nello strumento che stringevi fra le mani. Una chitarra. La tua chitarra.
-Questo regalo porta essere il tuo futuro, se vorrai- ti disse Andy, ma tu lo ascoltasti distrattamente, così preso come eri da quel piccolo miracolo. Dal tuo personale, piccolo miracolo.
-Blue-
-Come scusa?-
-Papà, la chiamerò Blue- sussurri piano, per poi abbracciare forte tuo padre.
 
Non potevi sapere che quello sarebbe stato il suo ultimo regalo,  e non potevi capire quanto valesse, non potevi sapere che ti aveva regalato il tuo futuro, non sapevi altro oltre che Blue sarebbe stata con te, sempre. Come, ne eri convinto, anche tuo padre, il vecchio Andy.
 
17 / 02 / 2012
 
Sei sveglio, ma decidi di non degnare ancora il mondo della luce dei tuoi meravigliosi occhi verdi, non vuoi rovinare la magia ovattata da cui sei sommerso, immerso nella calma e nella serenità della mattina. Allunghi una mano alle tue spalle, cercando i morbidi fianchi di tua moglie ma lei non c’è. Non perdi tempo a chiederti perché, il profumo di vaniglia e cioccolato aleggia intorno alla tua testa e leggero continua a vagare per la casa, scivolando fuori dalla cucina. È il 17, il 17 di Febbraio, è il tuo compleanno. Il tuo quarantesimo anno di vita. Provi a riassumere brevemente la tua vita fino ad adesso ma non ci riesci, così ti perdi nella tua mente, nei tuoi ricordi. Riparti dal regalo di tuo padre: Blue. Aveva ragione: avrebbe fatto il tuo futuro, e ora era ancora lì, al tuo fianco, a ricordarti le tue origini, a ricordarti chi sei e chi eri. Il momento in cui hai incontrato Mike, e quello si che è stato magico. Indescrivibile. E tutt’ora lui è lì, e come tu l’hai amato e continui ad amarlo, anche lui ama te, come fratello, amico, amante, come compagno, e tutto ciò che siete stati l’uno per l’altro. Un legame indescrivibile e indissolubile. Come credevi fosse la vita di Andy. Ripensi alle vostre chiacchierate, alle vostre sbornie, a come è bello il sesso con lui, a i vostri abbracci, ai vostri concerti. Riprendi alla prima canzone, al primo disco, al primo concerto. A tutte quelle canne e birre  vuote buttate nel tuo nuovo buco di appartamento che amavi chiamare casa. Ricordi Al che lascia il gruppo, ricordi di aver conosciuto Trè. Ricordi quanto ti faceva ridere e quanto non sia cambiato. Ricordi le sue facce strane, le vostre risate, la sua fissa per la marijuana, il suo continuo parlare di porcherie a letto, il suo carattere così solare,  il suo fottutamente perfetto modo di suonare la batteria. Tu e la perfezione non siete mai andati d’accordo, ma quella era una perfezione.. diversa. La perfezione dell’imperfetto. Non riuscivi a spiegarlo neanche a te stesso. E tutt’ora non ci riesci. Ripensi a quando hai conosciuto Adrienne, a quanto l’hai amata, a tutti quei caldi sorrisi che riservava solo a te, alla prima volta che ci hai fatto l’amore. Ripensi alla nascita di Joseph, nel 95, ripensi al tuo esser stato padre e marito, ripensi alla nascita di Jacob, al tuo matrimonio, hai figli dei tuoi compagni e ai loro matrimoni. Ripensi alla tua vita che scorreva, a tutti i dischi fatti, i concerti, il live di Mylicon Kins, i tour, le giornate passate a fumare e a bere, l’essere Gesù dei sobborghi. Ricordi come ci si sente. Ricordi com’è essere nessuno, essere un Dio rifiutato da se stesso, prima che dagli altri. Ricordi come ci si sente ad essere abbandonati, ricordi come ti sentisti TU ad essere abbandonato, tutte le volte che successe. La tua vita ora è lì, scorre davanti ai tuoi occhi e tu, spettatore di un film che  hai recitato dall’inizio alla fine, vuoi solo che non finisca mai. Quarant’anni. Sei vecchio, il tuo corpo si avvia verso l’autodistruzione, ma hai promesso che non accadrà, hai promesso che non cambierai, non diventerai il vecchio bisbetico seduto su una vecchia poltrona che alza il culo solo per comprare un pacchetto di sigarette e una birra. Quarant’anni di vita, ma non vuoi essere vecchio. E ora non lo sei. Ora ne hai soli venti di anni, il tuo cuore batte sotto il peso di quaranta, ma non lo ascolti. Ne hai venti, sei un ragazzo, vuoi ancora vivere come allora. E prometti che continuerai a farlo, prometti che non ti arrenderai. Sarà finita solo quando sarai sotto terra. Sarà finita solo dopo che sarà troppo tardi. E piano sussurri un grazie. Grazie a Mike, che ti ha amato, che tu hai amato, che ti ha sostenuto e che ti è stato accanto, a Trè che ti ha fatto ridere ogni giorno di più, che ti ha tirato su il morale, che ti ha portato a vivere al massimo, più di quanto tu già non facessi. Ringrazi tua moglie per esserci sempre stata, per averti sempre amato con tutta se stessa, per esserti stata accanto e per averti regalato due bellissimi figli. Ringrazi la tua piccola Blue, e tutti coloro che hai amato e che ancora ami.
E ringrazi tuo padre.
Per averti regalato un futuro.
Per avere salvato al tua vita.
Ora apri finalmente gli occhi, il cui verde risplende contro la totalità del bianco della tua stanza, li apri ad un nuovo giorno, ad una nuova età, li apri al mondo, regalando quello sguardo al cielo, regalando quello sguardo degno di un Dio ai fottuti mortali che ti circondano.
Ti alzi ancora una volta con l’argento vivo addosso, ti alzi e lo prometti: se cent’anni hai ancora da vivere li vivrai così, fra la tua musica, la tua famiglia e i tuoi amici.
Li vivrai al meglio. Li vivrai fino all’ultimo respiro, fino all’ultimo battito.
È una promessa.
 
Lo stai promettendo.
 
Oggi è nato Billie. È impossibile che io mi sia ricordata di un compleanno, cosa che non succede mai, è incredibile. È una settimana che mi preparo e non riesco a dire nulla di quello che volevo dire, merda. Oggi è nato quel fottutissima idiota che è riuscito a darmi qualcosa di incredibile, mi ha insegnato, con le sue canzoni, con le sue parole a essere una minoranza, mi ha insegnato a essere me stessa e ad essere felice di esserlo. Quarant’anni, sta invecchiando. Tu, Billie Joe Armstrong, stai invecchiando, o per lo meno non è vero, lo so, so che non cambierai, che non diventerai mai il vecchio scorbutico che resta seduto su un divano a sprecare ciò che resta della sua fama e della sua musica, so che continuerai a suonare, a cantare e a scrivere, che resterai nei Green Day, che continuerete a suonare e cantare insieme, ma la paura resta, cristo. Volevo solo ringraziarti però, alla fine, anche perchè non sono un così gran genio con le parole, o forse perché adesso non mi escono, e non riesco a dirti tutti quello che dovevo dirti, perciò semplicemente grazie per tutto ciò che hai fatto finora e, cazzo ti prego continua a farlo fino alla fine!
 

  
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