E’ il seguito della fanfic “Il riposo del guerriero”. Spero che anche questa mia piccola storiella vi piaccia!! Il capitolo iniziale non ha nessuna funzione, ma serve solo per rendere la fic un po’ più originale.
Buona lettura!
UNA LUNGA RICERCA
CAPITOLO 1: Kyoto 2002
“Mamma!!!! Dove cavolo devo cercare??” urlò una ragazzina dall’alto di una ripida scala di legno all’indirizzo della madre.
Questa, guardandola dal basso un po’ spazientita le rispose
“Non lo so. Prova nelle casse che ha portato il nonno. Forse li troverai qualcosa di utile”.
“OK!
Non riuscì a finire la frase, interrotta da un rumore ben conosciuto, quello del suo cellulare, che trillava a tutta carica.
“Mamma, io esco” strillò scendendo le scale di corsa.
“Hai trovato qualcosa?”.
“No, ma posso sempre controllare stasera o domani” fu la risposta.
“Sicuri?”.
A questa frase, detta con tono finto serio, la ragazza rispose ridendo
“Parola di Rieko Shinomori!”.
“E la tua ricerca come va Rie?”
“ Insomma…” rispose Rieko all’amica accanto a lei “Secondo mio padre dovrei cercare tra le cose che mio nonno ha portato dalla campagna. Ci ha riempito di così tante scatole che qualcosa dovrei trovare sicuramente…cose sui miei antenati e simili. Anzi, perché non sali a casa mia e mi aiuti a cercare?”.
“Meglio di no, vado a studiare, domani Shigeura m’interroga in matematica”
“Beh, allora ci vediamo a scuola!”.
Salutata l’amica, Rieko aprì silenziosamente il cancello della sua villetta, accolta dall’abbaiare festoso del suo cane.
“Sono a casa!” disse verso la cucina “Mamma, ci sei? Mamma?”
“Sono qui” rispose una voce dalla soffitta “Forse ho trovato qualcosa di interessante”
“Arrivo subito” disse Rieko, salendo velocemente la scaletta di legno che pendeva dal soffitto.
La mamma era seduta in mezzo ad una moltitudine di carte, stoffe polverose, ed intorno erano numerose casse aperte.
“Rieko, dai un’occhiata tu, io vado a cucinare!”
“Affermativo!” esclamò la ragazza, sedendosi per terra, respirando con aria poco felice le nuvole di povere che si alzavano a tutti i lati.
“Coraggio Rie, forse prenderai un bel voto” disse a se stessa afferrando un pacco di carte legato da uno spago.
La ricerca proseguì per un paio d’ore. Dapprima fu poco entusiasmante, poiché le prime due scatole contenevano solo una serie di documenti relativi ad un ristorante chiamato Aoiya, che pare sorgesse nel centro di Kyoto.
“
In effetti, suo padre, professore universitario di storia
giapponese, le raccontava spesso storie riguardanti la sua città “
Altre due casse, stavolta di legno, erano invece piene di polverosi stracci, di un colore che doveva essere stato blu.
“ Dentro una delle due casse, sotto i vestiti, erano delle
armi, che Rieko non aveva mai visto. E Dei piccoli coltelli, ancora affilati nonostante il tempo
trascorso. “Ma tu guarda!” esclamò a voce alta, tentando di
spostare un’altra cassetta, più piccola e leggera delle altre. Questa si rivelò di gran lunga più interessante delle
precedenti. Conteneva, infatti, una buona quantità di oggetti interessanti:
fotografie, quaderni, nastri, tutto piuttosto scolorito ma ancora in buono
stato. Rieko ora era elettrizzata. Non aveva mai pensato che tutte
le vecchie cose provenienti dalla casa di campagna di suo nonno potessero essere
così interessanti. “Rie, è pronto!”. La voce della mamma che la chiamava la
distrasse per un attimo. “No, scendo dopo!” rispose, ormai decisa ad andare fino
in fondo nella ricerca. “A noi!”. La piccola cassetta che si accingeva a svuotare prometteva
davvero un ricco bottino. Rieko iniziò a guardare le fotografie; erano circa una
decina, con date che andavano dal 1878 in poi. La prima che vide rappresentava
un giovane molto alto ed affascinante, seduto accanto ad una ragazzina con una
lunghissima treccia. In un’altra erano i due, insieme ad un signore anziano e
a due ragazzi e due giovani donne, ambedue molto carine. La terza foto ritraeva
l’ingresso di un ristorante, dinanzi il quale si trovava la ragazzina con la
treccia. Nelle altre vi erano sempre le stesse persone, da sole o in
gruppo. Quella che colpì Rieko più di tutte fu l’ultima immagine, più
recente delle altre. Era datata 1882 e vi erano ritratti il giovane della prima
foto, la ragazza con la treccia e un neonato seduto in terra. Sul retro, solo dei nomi: Aoshi, Misao e Nenji-chan. Rieko riguardò le foto più volte, incuriosita da quei volti
sconosciuti appartenenti al passato e le mise accuratamente da parte. Rimanevano da analizzare i due quaderni. La ragazza sciolse
con calma i nastrini che avvolgevano il primo e lo aperse con cautela,
sfogliandone pian piano le pagine ingiallite e ricoperte da una grafia tonda ed
un po’ irregolare. “Vediamo se riesco a leggerlo” si disse la ragazza
aprendo la prima pagina -Diario di Misao Makimachi- -Non so se dovrei ringraziare Kaoru per avermi suggerito di
iniziare a tenere un diario, ma credo che mi sarà in ogni modo utile, o almeno
lo spero- CAPITOLO 2: il diario di Misao Sembra strano cercare di ricordare tutto quello che mi è
successo negli ultimi mesi, visto che non è mai stata mia abitudine vivere
guardando il passato. Eppure penso che fare un esame di quest’ultimo periodo
possa in qualche modo essere un’esperienza positiva. Dal giorno della battaglia con Shishio sono trascorsi
lentamente, inesorabilmente tanti giorni. Subito dopo la fine di quell’avventura, quando Himura e gli
altri erano tornati a Tokyo, per un po’ mi ero illusa che tutto sarebbe potuto
tornare come prima. L’Aoiya era stata ormai ricostruita, e il nonno e i ragazzi
seguitavano le loro vite di sempre, indaffarati nel loro doppio lavoro. Vivere una vita normale pur essendo degli Oniwabanshu. Per
loro poteva essere facile, erano ormai abituati da anni. E in fondo anche per me
non avrebbe dovuto essere difficile. Solo che non riuscivo a fare bene i conti con i miei
sentimenti. La persona che avevo cercato disperatamente per anni ed anni
ora si trovava vicino a me. Aoshi-sama abitava con noi all’Aoiya…o per lo meno così
era in teoria. Passavano intere settimane senza che ci vedessimo, poiché, dalla
fine di quella maledetta battaglia, quando lui e Himura erano tornati, passava
tutte le sue giornate chiuso al tempio, immerso in eterne preghiere. Noi sapevamo che sarebbe trascorso del tempo prima che
potessimo riprenderci, ma intanto i giorni passavano e tutti noi avevamo ripreso
le nostre vite. Solo Aoshi-sama non riusciva a riprendere i contatti con la
realtà. I fantasmi del passato lo perseguitavano ancora. Hannya, Shikijo,
Beshimi e Hyottoko e le loro morti gli pesavano ancora, vive e pressanti. E il
dolore per aver tradito i compagni rimasti lo vessava senza pietà. Così, nel tentativo di sanare le ferite del cuore, impiegava
le giornate al tempio, tornando a casa a sera inoltrata. I primi tempi lo aspettavo spesso all’uscita, poi smisi
quando capii che era completamente inutile. La mia presenza stessa era inutile,
nel suo cuore non c’era nessun posto che io potessi occupare. I vivi non
avevano importanza per Aoshi-sama, la sua unica compagnia erano i suoi
tormentati pensieri. Così a poco a poco mi ero rassegnata all’evidenza. Smisi
di sperare e cercai di continuare la mia vita, fingendo che mai nulla fosse
successo. Agivo come se lui non ci fosse mai stato, ignorando la sua presenza,
pure così tangibile vicino a me. Ogni sera lui tornava a casa ed ogni sera reprimevo la
tentazione di andare ad accoglierlo con un abbraccio. Cercavo di resistere
quando sentivo i suoi inconfondibili passi sulle scale, mordendomi le labbra per
non urlagli “ti voglio bene”. Poche volte trasgredii a quegli ordini che mi ero imposta,
limitandomi in ogni caso ad aprire la porta della mia camera, non appena lo
sentivo arrivare, e richiuderla subito, rimproverandomi per la mia debolezza. Da quel periodo così ricco di avvenimenti, alla fine avevo
solo ricavato una costola rotta ed una serie di amarezze senza fine, mentre
trascinavo stancamente la mia gloria di eroina salvatrice di Kyoto. Ma a che mi era servito? Era molto meglio prima, quando
giravo per il Giappone alla ricerca di Aoshi-sama, nella speranza di poterlo
rivedere un giorno, vivendo con l’orgoglio di essere un membro dei gloriosi
Oniwabanshu. Eppure tutti i miei compagni avevano tutti ricavato qualcosa
oltre alle ferite. I ragazzi avevano potuto di nuovo combattere dopo anni di
inattività ed il nonno si era divertito come non mai. Inoltre un nuovo
frequentatore si era aggiunto all’Aoiya. Un certo Seijuro Hiko, che spesso
veniva qui solo per il piacere di farsi versare il sakè. Il maestro di Himura,
infatti, apprezzava molto, perfettamente ricambiato, la compagnia di Ochika. Così ora tutti erano di nuovo felici e contenti, mentre io
trascorrevo le ore a scrivere lunghe lettere, che poi inviavo ai miei amici di
Tokyo. Ed il tempo se n’andava. Eravamo ormai in estate, la stagione che più amavo. La cosa che più mi piaceva di quel periodo era una festa
religiosa che si svolgeva ogni anno. Per quell’occasione il piccolo tempio,
quello dove Aoshi-sama andava sempre a pregare, veniva addobbato e tutto il
quartiere partecipava ai festeggiamenti. CAPITOLO 3: Notte Anche quell’anno la tradizione sarebbe stata rispettata.
Così tutti si preparavano allegramente per l’evento. Li per li non mi preoccupai più di tanto della festa, nello
stato d’animo in cui mi trovavo, non mi sentivo proprio di andarci. Gli altri
invece erano entusiasti; Omasu e Ochika avevano persino tirato fuori i loro
abiti migliori per l’occasione, mentre il nonno pregustava già le bevute che
avrebbe fatto. Io decisi di rimanere all’Aoiya e lasciai che gli altri
andassero a divertirsi, nonostante i ragazzi avessero tentato di convincermi ad
andare con loro. “Ufff” esclamai a voce alta, osservando i miei compagni
che si allontanavano lungo la strada. Una volta tanto avevo l’intero edificio
tutto per me. Non solo la casa, ma persino il ristorante era chiuso quel giorno.
Insomma, deserto pieno. Non sapevo che fare, così indossai un leggero kimono da casa
ed uscii nel cortile. La serata era molto bella, tranquilla, e silenziosa. Solo in
lontananza si sentivano i rumori esterni, ma mi giungevano ovattati, come se
fossero lontani anni luce. Mi sedetti sotto il porticato, e rimasi un po’ li, ferma,
con gli occhi chiusi, a sentire il canto delle cicale. “ “Ma che m’importa?” dissi a voce alta alzandomi in
piedi. Iniziavo un po’ a pentirmi di non essere uscita con gli altri. Forse mi
sarei distratta e non avrei pensato a lui. Chissà cosa stava facendo, chiuso nella sua camera. Se non
dormiva, di certo leggeva quei suoi difficili libri occidentali, pieni di parole
che non capivo. O forse era perso nelle sue riflessioni…. E meno male che avevo appena detto che non avrei pensato a
lui. Era inevitabile purtroppo. E lo sapevo perfettamente. Per me
in questo mondo c’era solo lui. Avrei dovuto arrendermi all’evidenza, ma non ci riuscivo.
Mi era troppo difficile smettere di sperare. Anche se, a dir la verità non
sapevo in cosa sperare ormai. “Basta Misao!” mi dissi “Non è degno di te lagnarti
così!”. Mortalmente annoiata decisi di uscire e cercare il nonno e gli altri.
Stare in casa da sola non aveva alcun senso e chissà, forse avrei anche estorto
un bel regalo al mio buon vecchio Jiya*. Presa la mia decisione, chiusi gli occhi e saltai per
rimettermi in piedi. Fu un affare di pochi secondi, ma quando li riaprii mi trovai
davanti Aoshi-sama. “Aoshi-sama!” esclamai. “Scusami, ti ho disturbata….mi dispiace” disse lui,
accingendosi ad andarsene. Per un attimo rimasi smarrita, ma riacquistai subito il mio
sangue freddo. Dovevo trattenerlo, anche a costo di commettere una stupidaggine. “Come mai sei qui fuori?” gli chiesi, sedendomi
nuovamente. “La mia camera era troppo calda” “Ah, capisco” mi rispose. Li per li pensai che stesse per andarsene. Invece si sedette
accanto a me. Il mio cuore iniziò a battere all’impazzata, ma non mi
mossi di un solo millimetro. Non potevo…avevo aspettato quel momento per così
tanto tempo che adesso non mi sembrava vero. “Non sei andata con Okina e gli altri?” mi chiese. “No, non n’avevo voglia” risposi. Avrei voluto dirgli tantissime cose, ma le parole mi morivano
in gola appena tentavo di pronunciarle. Come per paura di dire qualcosa di
sbagliato. Così tacqui, tormentandomi le mani in silenzio. CAPITOLO 4: guarigione “Si sta bene qui, vero?” disse, sedendosi accanto a me. “Si…io odio il caldo” “Ah…e come va la tua costola?” “Ormai è guarita…e da parecchio tempo anche” risposi,
aggiungendo un lieve tono di rimprovero nella mia voce. “Mi dispiace…io…”. Aoshi-sama pronunciò queste
parole con lo sguardo chino verso il basso. “Lascia stare…”. “No…” mormorò “No….”. “Non ti preoccupare, davvero. Ormai è passata. E poi
dovrei essere orgogliosa di avere un ricordo della battaglia” sorrisi. “Già, sei l’eroina che ha salvato Kyoto dall’incendio”. “Ah, ne hai sentito parlare anche tu?” “Si…” “Beh, come nuovo Okashi…” iniziai, accorgendomi appena
in tempo dell’errore che stavo per compiere. “E’ vero…non sono più il capo adesso” disse. La sua voce mi parve colma di tristezza. Avevo commesso una
grossa stupidaggine a dire quella frase, ed ora non sapevo come rimediare. “Non è vero…tu lo sei ancora. Io ti ho solo sostituito
per un po’. E ora ti cedo di nuovo la carica”. “Misao…come puoi ancora parlarmi come se nulla fosse
successo?” “Perché?” gli chiesi. Sapevo bene di cosa parlava, ma non riuscii a rispondergli. Era strano persino che avesse rotto il suo isolamento e si
trovasse li con me. In quel momento però non m’importava per quale ragione
Aoshi-sama fosse li. C’era, e volevo che mi rimanesse sempre accanto. Mi alzai in piedi e lo guardai negli occhi. “Aoshi-sama….una volta dissi a Himura che non volevo che
si accollasse lui tutte le responsabilità, ma che poteva dividerle con gli
altri”. “Misao…”. “Per quanto il dolore delle ferite possa essere
insopportabile, per quanto tu ti senta in colpa, ora è tutto passato. E loro…loro
non vorrebbero mai vederti in questo stato”. Finalmente le parole che volevo dirgli, erano uscite dal mio
cuore. Ora si trovavano sospese nell’aria, tremanti come piccole lucciole.
Nessuno di noi parlò; e rimanemmo li, immobili, nel buio cortile dell’Aoiya,
leggermente illuminato da un raggio di luna. Fu lui a rompere il silenzio. Con una frase semplice, breve,
ma che per Aoshi-sama aveva tanti significati. “Misao…tu li ricordi ancora?”. “Come potrei non ricordarli? Beshimi…che per farmi
divertire mi raccontava le storie del suo paese…Hyottoko…di lui ammiravo l’abilità
di mangiafuoco…Shijiko….era così alto che agli occhi di una bambina
sembrava una montagna…e poi Hannya, il compagno della mia infanzia, il mio
maestro….” Aoshi-sama non rispose…ma chinò il capo stancamente,
velando lo sguardo con i suoi capelli scuri. Non capivo cosa stesse succedendo, ne sapevo cosa avrei
dovuto dire. La risposta arrivò pochissimo dopo…quando Aoshi-sama alzò la
fronte. Mormorò solo una parola….”grazie”, e poi mi chiuse in
un abbraccio che mi lasciò senza fiato. Mentre mi stringeva, potei sentire le sue labbra, insieme al
sapore delle sue lacrime che scendevano leggere, mischiate alle mie. E compresi che era l’inizio della guarigione…….. FINE!