Era evidente, che lui gli voleva bene
Era notte, l'una
passata ormai.
C'era la più totale quiete, la via sulla quale le
varie villette davano finalmente era silenziosa: non passava una
macchina, non c'era una singola persona fuori, probabilmente tutti
dormivano.
Quel silenzio era interrotto appena dal volume basso
della televisione che rischiarava il salone assieme alla piccola
lampada accesa sul mobile dell'entrata.
Albert era sdraiato sul
divano, stava di lato con un braccio a penzoloni che teneva ancora il
telecomando. Si era addormentato nel tentativo di attendere William
tornare dal laboratorio ma aveva fallito miseramente... Difatti
indossava ancora i pantaloni neri ed una camicia bianca. Non che di
solito usasse un vero e proprio pigiama ma per lo meno aveva la
decenza di cambiarsi e mettersi una maglietta qualsiasi ed un paio di
pantaloni, qualsiasi anche quelli.
William girò la chiave nella
toppa della porta, aprendola piano. Si sentì un lieve
cigolio che si
arrestò non appena entrò e se la richiuse alle
spalle senza far
rumore. Notò la luce accesa ed Albert ormai assopito sul
divano. Lo
scienziato appoggiò le chiavi sullo stesso mobile sul quale
v'era la
lampada, all'entrata. Aveva alcune cartelle sotto braccio che
appoggiò sul tavolino basso di fronte al divano, una volta
raggiunto. Osservò Albert per alcuni istanti: quando dormiva
non
sembrava assolutamente l'uomo che minacciava l'intera
umanità con un
virus in grado di rendere chiunque un mostro senza volontà,
anzi,
sembrava quasi tenero ed indifeso... Beh, senza esagerare.
Si
chinò piano per raccogliere il telecomando dalla sua mano
semi-aperta, non appena glielo sfilò, Wesker
mugolò appena
voltandosi con la schiena contro il divano e portando un braccio
sull'addome, mentre l'altro rimaneva giù a penzoloni.
William
arrestò ogni movimento per un istante, guardandolo: temeva
di
svegliarlo. Una manciata di secondi dopo, notando il respiro lento e
regolare e appena più pesante, capì che ancora
dormiva. Si tirò su
e spense la tv. Appoggiò il telecomando sul tavolino e
tornò a
guardare il collega... Si era addormentato ancora una volta con gli
occhiali. Un lieve sorriso gli si dipinse sul volto e –
lentamente
– si chinò su di lui ed allungò le mani
per afferrare le
stecchette e sfilarglieli piano. Un altro lieve mugolio
sfuggì alle labbra del biondo che arricciò appena
il naso mentre lo
scienziato appoggiava l'oggetto, tanto prezioso per Wesker, sul
tavolino.
Birkin rimase a guardarlo ancora per qualche istante,
dopodiché si voltò e riprese le cartelle che
aveva lasciato lì. Si
avviò al piano di sopra salendo le scale e facendo
attenzione a far
poco rumore e, una volta su, entrò nella sua stanza ed
accese la
luce. La camera non era piccola: c'era lo spazio per un letto
matrimoniale, due comodini, un tavolino ed un armadio. Il pavimento
era rivestito da una moquette verde, un verde profondo, mentre i muri
davano su un azzurrino chiaro.
Will si chiuse la porta alle
spalle, era stanco da morire ma voleva finire il lavoro che non aveva
portato a termine in laboratorio. Lui sì che era un gran
lavoratore!
Si avvicinò alla scrivania sulla quale v'era una
gabbietta contenente un topolino bianco, una cavia. Per William non
era assolutamente una cavia da laboratorio, si era affezionato tanto
a quell'animaletto. Era lui che gli teneva compagnia nei momenti
più
brutti, con cui poteva confidarsi e parlare, oltre Albert.
Beh,
c'era anche da dire che molto spesso quel topolino sembrava capirlo
meglio e interagire di più di quanto non facesse quel
burbero di
Albert, quando ci si metteva. Sì, Wesker era decisamente un
cafone
qualche volta, anzi, molto spesso.
Se lo scienziato gli raccontava
qualcosa, gli chiedeva consiglio o aiuto, se lo vedeva giù o
notava
che qualcosa non andava era in grado di sbattersene altamente.
Sembrava che non gliene fregasse mai nulla, sempre così
dannatamente
cinico e distaccato, sempre così freddo ed impassibile.
Albert era
così: un uomo indifferente, insensibile, spesso spietato e
di tanto
in tanto anche sadico. Non aveva idea di cosa significasse coltivare
un rapporto sociale con qualcuno, aveva la sensibilità di
uno
sciacallo che si avventa contro la madre di un cucciolo d'agnello...
Con il piccolo lì presente, oltretutto.
Eppure William lo sapeva,
da una parte dentro di sé ne era certo: Albert gli voleva
bene.
Voleva bene a quello scienziato pazzo, voleva bene a quell'uomo che
quasi ogni mattina gli faceva trovare la colazione in tavola, voleva
bene a quella persona che lui affermava sempre essere una palla al
piede o una spina nel fianco ogni qual volta gli si presentava
l'occasione, ogni volta che lo scienziato azzardava un po' di
più,
ogni volta che diceva, faceva, osava , o scherzava con quell'uomo
così asociale e scontroso.
Era sicuro, oltretutto, che Albert non
avesse mai lasciato avvicinare nessuno quanto aveva lasciato fare a
William. Vivevano nella stessa casa, oramai, lavoravano insieme e
passavano la maggior parte del tempo a stretto contatto, ma non si
trattava solo di una vicinanza fisica, no. Si trattava anche di una
vicinanza più profonda, quasi spirituale, qualcosa che
andava oltre
la semplice fisicità.
Birkin lo sapeva, sapeva anche questo: era
certo che Albert era a conoscenza del fatto che lui sarebbe sempre
stato disponibile e presente per lui. Sapeva anche che un giorno,
quando quell'uomo così schivo e pieno di sé ne
avrebbe avuto
bisogno, se mai sarebbe accaduto, la prima persona da cui sarebbe
andato era lui... Quello scienziato che affermava di non sopportare
poi così tanto ma di cui, in realtà, sarebbe
stato perso senza. Era
a lui che doveva, ora, il suo briciolo d'animo e buon cuore. Solo a
lui... Glielo doveva, o forse glielo rimproverava.
Lo scienziato
appoggiò le cartelle sulla scrivania, aprì la
gabbietta del suo
piccolo amico peloso: era tutto bianco e a differenza dei classici
conigli o topolini bianchi, questo non aveva gli occhi rossi ma
bensì
scuri. L'animaletto non appena aveva sentito William arrivare si era
precipitato al bordo della gabbietta, una volta aperta fu libero di
uscire e di scorrazzare per la scrivania, cercando un contatto con
l'umano. Lui sorrise e lo accolse nella sua mano dopodiché
raggiunse
la porta e la chiuse prima di lasciare il topolino libero sul
pavimento. Era successo, una volta, che aveva dimenticato la porta
aperta e quella bestiolina era uscita dalla stanza, Albert non ne era
stato affatto entusiasta.
Bene, era ora di mettersi al lavoro.
Senza indugiare oltre Birkin raggiunse nuovamente la scrivania alla
quale si sedette ed aprì le varie cartelline tirandone fuori
documenti che attestavano l'avanzamento dei lavori con il virus.
Sentiva gli occhi pesanti e stanchi ma voleva comunque finire di
lavorare.
Era mattina, i flebili raggi di sole mattutini
filtravano attraverso le finestre: la giornata era iniziata.
Albert
riaprì piano gli occhi, sbattendo le palpebre un paio di
volte:
aveva una completa – e poco interessante – visuale
sul soffitto
del salone. Si tirò appena su, sui gomiti, e si
guardò intorno. Non
si ricordava di essersi messo a dormire la scorsa notte, doveva
essere proprio crollato dal sonno.
Si accorse di non avere gli
occhiali sul naso solo quando li notò lì, sul
tavolino. Anche la tv
era spenta: strano, non si ricordava di averlo fatto. Beh,
sì, era
inutile ignorarlo, sicuramente era stato William rincasato a notte
fonda.
Il biondo si passò una mano tra i capelli per
riordinarseli per via della sua solita fissazione maniacale e, una
volta seduto, afferrò gli occhiali inforcandoli nuovamente e
coprendo le iridi rosse. Inspirò e si alzò,
svogliatamente,
raggiungendo le scale. Aveva voglia di un caffè ma prima
voleva
vedere se quello strambo di uno scienziato aveva fatto tutta una
tirata fino al mattino, per lavorare, anche questa volta.
Arrivò
fino alla porta della sua camera, chiusa. Non si curò di
bussare in
quanto se William stava dormendo lo avrebbe sicuramente svegliato.
Appoggiò la mano sulla maniglia e, facendo una lieve
pressione, aprì
la porta. Si ritrovò davanti Birkin che dormiva beatamente
con le
braccia conserte sulla scrivania e il capo appoggiato sulle
mani.
L'uomo sospirò: non se ne stupiva se di giorno in giorno le
occhiaie dello scienziato diventavano più profonde e
marcate, di
certo non poteva continuare su quella strada, non gli faceva bene
né
alla salute fisica né a quella mentale. Albert se ne
preoccupava, ma
perché diavolo lo faceva?!
Entrò piano e con passi silenziosi
raggiunse il letto, notò ovviamente quel fastidioso topolino
che
scorrazzava per la stanza. 'Che odio.' Pensò.
Per lui quelle
bestiole stavano bene solo chiuse dietro le sbarre e acquistavano
fascino solamente quando assumevano sembianze poco
'naturali'.
Afferrò la coperta di pile ripiegata sul letto e
dopodiché arrivò fino alle spalle di William,
appoggiandovela.
Questi bofonchiò qualcosa di confuso ed ancora
ad occhi chiusi chiese, “Che ore sono...?”
Albert solo in quel
momento si rese conto che nemmeno aveva guardato l'ora, una volta che
si era svegliato, così tirò su la manica e
guardò l'orologio. “Le
sette e mezzo del mattino.” Mormorò appoggiando
una mano sullo
schienale della sedia sulla quale stava lo scienziato e l'altra sulla
scrivania. “Non dovrebbe continuare così, dottore,
o si prenderà un malanno e il suo corpo non
reggerà più.”
Silenzio. “Forza William, va a dormire...”
Mormorò. Lui non
rispose, era ricaduto nuovamente in un sonno profondo. Wesker
sospirò
e deglutì, scuotendo appena il capo, che tipo.
Gli succedeva a
volte di dargli del 'lei' e parlargli in modo formale, chiamandolo
'scienziato' o 'dottore', forse per sembrare più distaccato
e
dimostrare la sua autorità o forse solo per scherzare e
provocarlo.
Volse il capo verso la porta, facendo poi per
avviarsi, quando notò il topolino che fuggiva nel corridoio.
Sospirò
pesantemente e controvoglia andò a recuperarlo. Che nervi il
contatto con quel corpicino peloso.
Lo ripose nella gabbietta
accanto a William, richiudendola. Il suo sguardo cadde nuovamente per
un istante sullo scienziato stremato, gli faceva un po' pena, un po'
tenerezza. “Sei un idiota dottore, ti stai facendo del
male.” Gli
sfuggì dalle labbra a bassa voce prima di voltarsi ed uscire.
Will
rinsavì appena sentì la porta chiudersi. Quando
gli aveva chiesto
l'ora neppure se n'era accorto... Eppure sentì il calore
della
coperta sulle spalle e con lo sguardo riuscì a scorgere il
topolino
nella gabbietta. Richiuse piano gli occhi mentre un sorrisino lieve
gli si dipingeva sul volto.
Ecco, questo era ciò che lo rendeva
così certo. Queste erano le piccole cose che dimostravano
che Albert
gli voleva bene. Seppur minime, per lui erano tanto... E per Albert
anche, colui che non avrebbe mosso nemmeno un dito, per nessuno, con
lui lo faceva.
Era con lui che si era cominciato a sciogliere il
suo cuore di ghiaccio, con William Birkin, e con nessun altro.
Omg, prima one-shot sulla coppia Albert x William, ansia da prestazione!
Hahahaha!
Vabbè, non è nulla di yaoieggiante, non voletemene... E' più una cosa boh, sentimentale ma carina.
Mi è venuta voglia tutto d'un botto di scriverla e l'ho buttata giù così, grazie anche a Gemini_No_Aki per avermi spronata a farlo! :)
Eeee... Niente boh, che dirvi, che magari sarà la prima di una lunga serie (poveri voi!).
E magari le prossime saranno anche più sentimentali! x°D
Vabbè, ringrazio la Moja che tanto so già che leggerà e recensirà...
E ringrazio tutti i lettori e quelli che avranno cuore (^o^ fa sempre piacere una recensione! :P) di recensire!
Vi saluto e spero che sia di vostro gradimento!
Alla prossima!!! :)