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Autore: rafuth    19/02/2012    0 recensioni
Cosa poteva mai legare un ragazzo dai capelli corvini e dagli atteggiamenti fin troppo femminili ad uno dai rasta biondini che incarnava il sexgott per eccellenza?
L'amore? Non di certo.
Nonostante fossero completamente diversi potevano rappresentare la doppia faccia di una stessa medaglia: entrambi volevano distruggere l'altro.
Genere: Erotico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Leader.

 




Leader, ecco cos’erano.

Due ragazzi, uno l’opposto dell’altro.
Due gruppi sotto il totale comando dei loro leader.
Bill Kaulitz e Tom Trumper: egocentrici, arroganti e maledettamente sexy.
Due ragazzi, uno androgino e l’altro hip hop.
La doppia faccia di una stessa medaglia. 
Una sola cosa in comune: distruggere l’altro.
 
Ma… se l’amore s’intromettesse in questa storia?!
E se uno dei due lo rifiutasse?
Se quel moro, ferito nell’orgoglio, decidesse di rifiutare l’altro?
O se il rasta, troppo sicuro di sé, decidesse di rifiutare i suoi sentimenti?




 

Un nuovo anno.

 
Il suono della sveglia gli entrò fin dentro il cervello, e con nervosismo il moro disteso sul letto, spense quell'aggeggio perdendosi di nuovo nel mondo dei sogni. No! Quel giorno la voglia di alzarsi proprio non c'era, sarà che erano appena le 7 del mattino, sarà che era il fatidico primo giorno di scuola, ma l'ipotesi di svegliarsi l'aveva già esclusa. Il ragazzo strinse forte a sé il cuscino, quasi come se in questo modo si sentisse protetto e cercò di ricominciare a dormire quando però mille pensieri iniziarono a frullargli in testa. Il primo giorno lui doveva esserci. La febbre, il temporale, la neve, il sonno, la voglia di non fare assolutamente niente quel giorno erano tutte in secondo piano. Doveva tornare perché aveva una reputazione da mandare avanti. Doveva tornare perché anche quell'anno il leader doveva essere lui. Sbuffò stanco già di quella situazione e stropicciandosi delicatamente gli occhi si scoprì alzandosi dal letto. Fissò la sua immagine riflessa nello specchio per minuti interminabili, quando lo squillo del telefonino lo fece sobbalzare. Prese quello strumento, che sapeva usare pochissimo e di cui avrebbe fatto volentieri a meno, quando vide che gli era arrivato un messaggio.
 
- Hey Kaulitz ci vediamo fra mezz'ora sotto casa tua. Daniel. -
 
Appena finì di leggere, strabuzzò gli occhi e corse a prepararsi: aveva trenta minuti di tempo e stava ancora a niente! Si fiondò nel bagno, e subito sotto la doccia. Lasciò scorrere per qualche minuto l'acqua gelida sul suo esile corpo, poi velocemente iniziò ad asciugarsi. Prese i vestiti sistemati accuratamente la sera precedente. Il primo giorno voleva essere semplice, quello che doveva colpire era la sua nuova acconciatura. Scelse un pantalone aderentissimo nero e sopra una maglia a mezze maniche rossa, con disegni neri particolari. Si guardò allo specchio e sorrise soddisfatto dell'abbigliamento e del fatto che in questo modo si vedeva un tratto della stella tatuata sul bacino. Si diresse nuovamente in bagno quando sentì il cellulare squillare: un nuovo messaggio.
 
- Leader, sto giù da te. ESCI!-
 
Dalla fretta quasi gli scappò il cellulare da mano, ma questo era poco importante, ora doveva concentrarsi solo sul viso.
Si pose davanti allo specchio gigante del bagno e iniziò a formare quella da lui considerata opera d'arte. Sorrise per lo stupido nome che aveva dato al suo nuovo taglio. Erano sempre neri con delle ciocche bianche, ma stavolta li preferì sparati in aria, quasi a leoncino. Gli davano quell'aria da eterno bambino che era, ma allo stesso tempo riusciva ad essere maledettamente attraente. Posò quella che considerava una delle amiche più care che aveva, la sua amata lacca, e per finire concentrò tutta la sua attenzione sul viso e sul trucco da usare. Prese la matita e la passò piano intorno agli occhi, sfumandola poi quasi a ombretto. Amava l'aria tenebrosa che emanava quando usciva così. Prese la giacca di pelle nera e rossa e dopo aver scelto gli accessori da abbinare al tutto finalmente scese giù in cucina. Incrociò lo sguardo della madre per pochi istanti e sorrise teneramente, poi rabbrividì al saluto del padre. Girò piano il volto mutando radicalmente la sua espressione. C’era odio, rancore, dolore, sofferenza, incomprensione. C’era tutto tranne che amore. Il moro uscì da casa sbattendo forte la porta e facendo sussultare i genitori all’interno. Camminò velocemente lungo il viale mentre l’aria fresca gli scompigliava leggermente i capelli, dandogli un senso di assoluta libertà. Vide in lontananza la macchina dell’amico fare la sua comparsa accanto al portoncino e Bill si stupì quando notò che Daniel l’aveva cambiata per l’ennesima volta. Stavolta però la scelta non era stata male, aveva preso una Ferrari rosso fuoco con sedili di pelle nera e ovviamente decappottabile. Bill saltò velocemente in macchina, salutando amorevolmente l’amico e complimentandosi per il suo nuovo acquisto. Daniel non era un semplice amico, era il suo migliore amico. Uno dei pochi che conosceva il vero Bill, quello di un paio di anni prima, quel Bill tenero e dolce. Quello che purtroppo però tutti prendevano in giro. Quello che tutti torturavano senza un reale motivo. Daniel guardava avanti a sé, fissava la strada con uno sguardo indecifrabile, e questo insospettì non poco Bill, che per rompere quello strano e insolito silenzio accese la radio sperando che qualche canzone lo risvegliasse da quello stato si trance in cui era finito. Il moro decise di accendersi una sigaretta, sperando di calmarsi un po’ e aspettando quella domanda, che sapeva benissimo che gli avrebbe posto. Chiuse gli occhi mentre scene che gli facevano male gli passavano nitide davanti agli occhi, nonostante erano passati degli anni. Poi sussultò quando Daniel poggiò la mano sulla sua gamba, e poco dopo iniziò a parlare.
 
- Allora, Bill… - cominciò con voce tremante, odiava parlare del carattere di Bill a scuola, lui lo conosceva e in quegli atteggiamenti non rivedeva il suo dolce e tenero amico. – è difficile parlarne, lo sai, ma devo. – strinse forte il volante, e fece attenzione a non incrociare mai lo sguardo dell’altro. Poi tutto di un fiato riprese a parlare. – Hai intenzione di continuare quello che avevi cominciato l’anno scorso? Stiamo all’ultimo anno, lo sai benissimo. Ci sarà l’esame e tu stai crescendo. Non hai bisogno più di quella stupida maschera. Tu sei un angelo, e non riesco ancora a capire perché ti comporti come se fossi un diavolo. Tu hai un cuore immenso, sei buono dentro l’anima eppure lì dentro non c’è nessuno che non ti teme sempre perché metti in mostra questo tuo lato che non esiste. Bill, non…- si zittì appena vide una lacrima solitaria scorrere sulla guancia del moro. – Senti mi dispiace, davvero. Non voglio farti star male, per favore sorridi. – terminò supplicando.
 
Bill lo guardò teneramente e poi abbassando lo sguardo e torturandosi le unghie sempre perfette rispose pacatamente all’amico.
 
– Dan, sai quant’è difficile, no? Io ho vissuto nell’inferno per i primi tre anni, e mi sono riscattato. Sono loro che mi temono, io non ho mai messo una mano addosso a nessuno, non ho mai imposto di prima persona qualcosa a qualcuno, ordinavo semplicemente a quelli che dipendevano inspiegabilmente da me. Io non so cosa sia successo, non so cosa sono diventato, e non so come finirà quest’anno… ma ho paura, sì. – singhiozzò appena – Paura che possano farmi di nuovo del male, paura che mi possano portare via qualcun altro d’importante. Io non lo reggerei, non ce la farei. Mi capisci? – domandò con gli occhi gonfi all’amico che gli stava accanto.
 
Daniel sospirò appena pentendosi subito di aver messo quell’argomento in mezzo, poi si voltò verso l’amico e cercò di rassicurarlo con un sorriso, però non gli avrebbe mai detto che lo capiva perché proprio non ci riusciva. Non capiva da cosa si difendesse, cos’era successo quei primi tre anni di Liceo, cosa aveva dentro che lo faceva soffrire così. Erano amici, anzi migliori amici, ma Bill non aveva mai avuto il coraggio di parlare del suo passato. Guidò velocemente e in poco tempo arrivarono a scuola, entrando nel cortile sotto gli occhi invidiosi di tutti. Passò accanto ad un gruppo, quel gruppo, e istintivamente si voltò verso Bill, che aveva lo sguardo fisso e impassibile davanti a sé. Sbuffò appena prevedendo già le tarantelle che ci sarebbero state quell’anno.
Parcheggiò la macchina e i due ragazzi si avviarono verso il centro del cortile, dove ad aspettarli c’era il gruppo Kaulitz, nome preso proprio dal cognome del loro leader. Sì, perché Bill Kaulitz era il leader di quel gruppo, e tutti dipendevano da lui, qualunque cosa voleva la otteneva, obbedivano a tutto ciò che il capo ordinava, e ne andavano entusiasti. Bill, con il suo metro e novanta, si alzò sul muretto, in modo che tutti potessero vederlo. Attirò l’attenzione di tutti e con un sorriso falso e bastardo, annunciò che anche quell’anno chiunque si fosse comportato male con lui o con uno del suo gruppo l’avrebbe pagata amaramente. Stava per scendere quando una voce gli arrivò all’orecchio, gelandogli all’istante il cuore.
 
- Kaulitz, non dimenticarti che il leader resto io. – Disse un ragazzo, dai rasta biondi.
 
- Trumper, evita di dire stronzate. – Tagliò corto.
 
 Non aveva voglia di discutere, non ora. Quel ragazzo gli aveva detto solo una cosa, e si era già irritato parecchio. Ormai la lotta tra lui e Trumper andava avanti da qualche tempo e nessuno sapeva se sarebbe mai finita. Ma questo era importante? No. L’anno prossimo, nessuno avrebbe visto nessuno. Loro due se mai si fossero incontrati non si sarebbero di certo salutati. E… forse il moro poteva tornare quello di un tempo.
Bill scese abilmente dal muretto e mentre camminava per entrare nell’istituto, sentiva gli occhi addosso che curiosi lo scrutavano fin dentro l’anima. La sua nuova capigliatura stava già facendo parlare, e questo lo rendeva dannatamente orgoglioso. Sorrise beffardo, mentre si avvicinava alla sua nuova classe: un nuovo anno cominciava. Seguito da Dan e dal suo gruppo si sentiva protetto. Lui era il leader e quel Tom non avrebbe avuto alcuna possibilità di superarlo. Eppure quella voce dura e forte lo spaventava ancora, proprio come qualche anno prima.
Strinse forte i pugni: stavolta sarebbe stato diverso. Stavolta gliel’avrebbe fatta pagare… amaramente. Si girò lentamente verso i compagni che lo guardarono straniti, era raro che il loro leader gli parlasse così a faccia a faccia, generalmente lasciava parlare sempre Dan, che inspiegabilmente capiva tutti i pensieri di Bill.
 
- Ascoltatemi bene. – Cominciò incrociando lo sguardo di tutti, uno a uno. – Quest’anno le regole cambiano. Il primo, compreso Trumper, che farà del male a me, o a uno di voi, dovrà pagarla cara. Chi vuole restare nel gruppo dovrà aver il coraggio di far del male anche alla propria famiglia, se mai sarà necessario. Chiaro? Altrimenti potete benissimo andarvene. – completò guardando istintivamente Daniel.
 
Bill sperò immensamente che non uscisse dal gruppo, ma lo sguardo severo e sorpreso di Daniel, gli fece capire la delusione che in quel momento provava. E per questo Bill stava davvero male. Non avrebbe mai voluto deludere il suo migliore amico, ma aveva paura e quando si trattava di quel Trumper, i suoi neuroni non funzionavano più.
 
- Per me va bene, Bill. – Rispose con coraggio David, uno degli amici del gruppo. Il moro ricambiò sorridendo, cosa che emozionò il ragazzo già che era ancora più raro che il loro leader li degnasse di attenzioni, figuriamoci di un sorriso.
 
- Ovviamente lo stesso vale per me. – Risposero in coro gli altri sorridendo al moro. Bill guardò Daniel aspettando una risposta.
 
- E tu, Daniel? – I minuti di silenzio furono infiniti, o almeno così sembrarono a Bill.
 
- Io non ho mai fatto parte del tuo gruppo, Kaulitz. E per questo non farò del male a nessuno. Se vuoi allontanarmi da te puoi farlo benissimo, ma sappi che le tue condizioni io non le accetto. – Rispose sfidando il moro con lo sguardo.
 
- Daniel Roth, sei pregato di andartene. – Urlò stringendo i pugni, e sentendo il cuore accelerare il battito inspiegabilmente. No, non doveva dirlo, o almeno non doveva farlo davanti agli altri. Lui agli occhi di tutti non valeva né più né meno del resto del gruppo, e così doveva essere. Lui doveva mantenere la sua reputazione da leader.
 
- E’ questo che vuoi Bill? – gli chiese sorpreso e, di nuovo, deluso. – Voi altri fatemi il piacere di andarvene. Io devo parlare solo con Lui. – terminò freddo guardandoli uno a uno. Bill abbassò lo sguardo, per poi prendere parola.
 
- Iniziate a entrare in classe. Io voglio l’ultimo posto. Occupatelo! – Ordinò, sbruffone.
 
- Quel posto è di Trumper da anni. – gli ricordò amorevolmente Dan.
 
- Beh quest’anno sarà mio. – tagliò corto.
 
Bill aspettò che gli alti entrassero per abbandonare quella finta faccia da duro e tornare ad avere lo sguardo tenero e dolce di un bambino. Si girò verso Dan e non tardò a chiedergli scusa. Se n’era pentito subito dopo, ma non poteva mettere a repentaglio la sua reputazione e s’infuriò un po’ con Dan che scoppiò a ridere guardando le espressioni strane di Bill. I due si guardarono pochi istanti negli occhi e Bill forse per la prima volta agì d’istinto, si avvicinò velocemente all’amico stringendolo in un forte abbraccio. Dan rimase sorpreso, ma subito dopo ricambiò amorevolmente con un sorriso sincero sulle labbra. Amava il profumo di Bill, amava questo suo carattere dolce, amava quando lo sorprendeva anche con semplici gesti. Lo staccò da lui e insieme entrarono in classe. Bill si posizionò all’ultimo banco, quest’anno sarebbe stato suo e del resto non gli importava. Sorrise pensando allo sguardo incredulo di Trumper quando l’avrebbe visto al “suo” posto. Lui gliela voleva semplicemente far pagare.
   
 
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