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Autore: SanjiReachan    19/02/2012    4 recensioni
Salve a tutti! Presento questa storia. Come avrete capito, è su NCIS.
Appariranno, bene o male, tutti i personaggi principali della serie, ma è incentrata su uno in particolare: Timothy McGee.
In realtà, sulla coppia McGee/Dinozzo, che si viene a formare tramite alcuni eventi. Se volete saperne di più, vi invito a leggere. Ecco un pezzo estratto dal testo:
"Non voleva accettare il fatto che la causa dei suoi dubbi e problemi fosse la persona più imprevedibile dell’universo: Anthony DiNozzo.
Non capiva a fondo il perché, ma ogni volta che lo vedeva preoccupato o interessato a Ziva, gli si contorceva lo stomaco. Perché poi? Erano anni che sapeva che a Tony piaceva Ziva. E forse era anche ricambiato, anzi, quasi sicuramente. E li vedeva, ogni mattina, battibeccare davanti alla sua scrivania, nascondendo in quegli atteggiamenti gelosia e malizia. Sapeva che stravedevano l’uno per l’altra. Ed era proprio in questi momenti che McGee faceva finta di lavorare al computer, di completare un lavoro o di guardare altrove."
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salve lettori! Volevo dirvi due parole prima di iniziare:
Chiariamo che questa è una fan fiction sulla coppia Timothy McGee/Anthony DiNozzo.  Saranno presenti tutti i personaggi principali ed è ambientata nell’ultima stagione (8°-9°), per farvi capire un po’ i personaggi, ecc…
Parla principalmente di McGee, che attraverso alcune serie di eventi si ritroverà ad approfondire certi sentimenti, come il sentirsi escluso, e comincia a dubitare della sua squadra, che ha sempre considerato come una famiglia. Ma qualcosa di molto potente riesce a fargli aprire gli occhi. Amicizia e amore sono sentimenti molto importanti.
Cercherò di essere più IC possibile e spero proprio di non andare a finire nell’OOC. Anche se dovete capire che non è una cosa semplice considerando questa trama.
So che non si trovano molte fiction su questa coppia, perciò ho deciso di scriverne una io. Chissà, magari vi spronerà a scriverne di vostre.
Vi avverto che i miei tempi di pubblicazione sono lunghi, ma cercherò di postare uno o due capitoli alla settimana.  Detto questo, spero che vi piaccia la storia e che vi divertiate a leggerla quanto io mi diverto a scriverla.
Buona lettura ^^ E mi raccomando, lasciate una recensione! V.v  Baci
 By Rea-chan x3

 

Family

Capitolo 1: Cloe 

Il telefono squillò varie volte quella domenica mattina. McGee sembrò non sentirlo. Non sentì nemmeno gli svariati messaggi nella segreteria telefonica. Dormiva davvero profondamente, era stata un’orrenda settimana di lavoro e nemmeno una bella dormita gli sarebbe bastata per dimenticarla. McGee si rese conto di essere sveglio quando sentì i tenui raggi di sole che penetravano dalla finestra semi aperta sfiorandogli il volto. Aveva ancora gli occhi chiusi, come per tenerli al riparo dalla fioca luce che c’era nella stanza, cercando di riaddormentarsi nuovamente, ma quando Jethro entrò dalla porta abbaiando capì che non c’era modo di prolungare il suo riposo. Dapprima si mise seduto, era ancora indeciso se ignorare il suo cane e tornare a dormire oppure iniziare una giornata che sarebbe andata persa davanti al computer. Con una mano si stropicciò gli occhi e gettò una rapida occhiata alla sveglia che aveva sul comodino alla sua sinistra. Segnava le otto e mezza.
-Oh, andiamo!- borbottò ricadendo pesantemente sui cuscini, convinto di potersi riaddormentare.
La sua convinzione, però, si dimostrò sbagliata quando di nuovo Jethro si mise a due zampe sul letto leccandogli le caviglie.
-D’accordo, ho capito, mi alzo!- disse Timothy con una voce a metà tra l’arrabbiata e tra la divertita.
Chissà perché Jethro lo aveva svegliato così presto. Di solito la domenica lo portava a spasso sempre un po’ tardi. Non che si svegliasse esageratamente tardi (non si chiamava mica DiNozzo!) ma un po’ più tardi di tutte le altre mattine. Magari il suo cane soffriva di incontinenza quella  mattina. Perché proprio quella domenica?!
Comunque sia, decise di alzarsi cosciente del fatto che non era ancora del tutto sveglio. Si avviò verso il corridoio quando notò qualcosa di veramente strano.
Il suo cane, il suo pastore tedesco, stava a due zampe sul tavolino dove c’era il telefono. Anzi, sbaglio o stava indicando proprio il telefono? No… forse era solo assonnato, per vedere cose che in realtà non esistevano. Probabilmente lo stava solo odorando. Che ci trovava di così interessante?
-Jethro! Togli il muso dal telefono!- disse stancamente Tim, cercando con le dita il grosso muso del suo cane e spingendolo via con poca forza.
Nel farlo evidentemente schiacciò per sbaglio il tasto delle chiamate, perché la sua segreteria telefonica iniziò a dire con voce elettronica:
-Ci sono nuove chiamate. Hai cinque chiamate perse. Ci sono nuovi messaggi. Hai tre nuovi messaggi.-
Tim si cominciò giusto a chiedere di chi fossero quando un lungo “bip” risuonò nuovamente dal telefono.
-Tim, sono Cloe. Disturbo?-
L’agente speciale ridacchiò sentendo la voce della sua cara amica.
-Cloe, tu non disturbi mai.- disse sapendo che non poteva sentirlo.
Andò in cucina e aprì il frigo per preparare la colazione.
-Senti, quando hai un po’ di tempo… potresti venire qui, all’ospedale Ryan C. Hauber? Lo so che sono un po’ di ore di guida ma ho pensato che ti avrebbe fatto piacere vedermi. A me farebbe piacere…- continuò la voce di Cloe attraverso il telefono.
McGee, che stava prendendo il cartone del latte dal frigorifero, si bloccò all’istante. Si stava davvero iniziando a preoccupare dal tono di voce che aveva l’amica. Così… teso, impaurito, così diverso dal solito.
La voce registrata fece una breve pausa, prima di continuare.
-So che non è bello dirtelo così, per telefono. Ma non rispondevi alle mie chiamate. Questa potrebbe essere l’ultima volta che potrai vedermi. Non mi resta più molto tempo. Ti spiegherò tutto appena arrivi. A presto.-
Tim, lasciò cadere il cartone per terra. Dentro di lui si stava svolgendo una feroce lotta. Rimase per una manciata di muniti con occhi sbarrati a fissare lo sportello bianco del suo frigorifero. Cominciava a sentirsi male. Nel petto il cuore si strinse in una morsa, tanto che McGee pensò davvero che avesse smesso di battere. No… Cloe! Non era possibile! Non ora!
In un baleno mollò tutto quello che stava facendo e fece il percorso inverso dalla cucina alla sua camera correndo. Si fermò a metà strada quando sentì un altro “bip” del telefono.
-Timmy, sono Sarah… Dove sei finito? Perché non rispondi alle chiamate? In più hai il cellulare spento. Non importa, senti, solo… corri in ospedale. Io ci sto andando in questo momento. Ti aspetto lì fratellino.-
Un altro “bip” e poi un altro messaggio.
-Tim, sono Casey. Ti chiamo dall’ospedale. Cloe ti sta aspettando. Vieni appena puoi amico.-
Quando la voce registrata informò un’ultima volta, prima di spegnersi, che i messaggi erano terminati, McGee si era già vestito e lavato ed era passato davanti all’apparecchio per spegnerlo.
Era alla guida già da tre estenuanti ore, quando arrivò all’idea di doverne fare ancora due per arrivare all’ospedale. Chissà se avrebbe fatto in tempo. Aveva lasciato Jethro da un vicino ed era corso in auto. Stava facendo più in fretta che poteva. Cioè, se di solito guidava rispettando i limiti, cosa ovviamente giusta da fare (non a parere di Tony, che lo considerava una lumaca), quella volta stava guidando molto di fretta e non si sarebbe meravigliato se gli avessero fatto una multa per eccesso di velocità. Tuttavia Tim non si sarebbe fermato nemmeno se un auto della polizia avesse cercato di fermarlo. Non oggi, non adesso che era importante. La sua Cloe… la sua migliore amica, da quando aveva cinque anni o poco più. Si trasferì a casa sua, con la sua famiglia ai tempi delle elementari. Tim e Cloe avevano subito fatto amicizia, c’era una specie di… feeling tra loro. Facevano di tutto insieme, la ragazza gli aveva perfino insegnato a schiacciare a canestro. Loro erano sempre stati molto legati. Ma la loro relazione non era mai andata oltre l’amicizia. Non che non volesse, ma col passare degli anni Cloe era diventata come una specie di seconda sorella… chi si metterebbe mai con la propria sorella? Anche Sarah ci era parecchio affezionata, anche se era piuttosto piccola.
Purtroppo però, alle medie i due si erano dovuti separare. Cloe si trasferì ancora una volta, e rimasero divisi finché non terminò il liceo. Anche se, tecnicamente, non avevano mai smesso di sentirsi. Chattavano, si telefonavano, a volte Tim la andava a trovare. Si confidavano sempre tutto. La distanza non bastava a separarli.
Una volta, mentre era particolarmente giù di corda, la ragazza gli chiese cos’era successo. Timothy non voleva dirle nulla. Non poteva. Neanche lui riusciva a capire come mai si sentisse così male dentro. O meglio, forse non voleva accettarlo. Non voleva accettare il fatto che la causa dei suoi dubbi e problemi fosse la persona più imprevedibile dell’universo: Anthony DiNozzo.
Non capiva a fondo il perché, ma ogni volta che lo vedeva preoccupato o interessato a Ziva, gli si contorceva lo stomaco. Perché poi? Erano anni che sapeva che a Tony piaceva Ziva. E forse era anche ricambiato, anzi, quasi sicuramente. E li vedeva, ogni mattina battibeccare davanti alla sua scrivania, nascondendo in quegli atteggiamenti gelosia e malizia. Sapeva che stravedevano l’uno per l’altra. Ed era proprio in questi momenti che McGee faceva finta di lavorare al computer, di completare un lavoro o di guardare altrove. Cercava di non guardarli, di farsi gli affari suoi, di essere naturale come al solito, ignorando il fatto che il suo cuore aumentava di velocità, lo faceva sudare freddo e mandava chiari messaggi che prontamente venivano ignorati dal cervello: uccidere Ziva David.
Per carità, a lui piaceva Ziva. Era simpatica e la considerava una specie di alleata in campo contro il Tony-bambino. Quello degli scherzi irritanti, delle battutacce fuori luogo e delle imitazioni dei film.
In fondo, non poteva farci niente. Qualunque cosa avesse fatto, non sarebbe servito a niente. Non a sentirsi parte di qualcosa che non avrebbe mai potuto avere con Tony. Non a essere considerato qualcosa di più di un pivello qualsiasi. McGee non ci pensava quasi più ormai. Buttava nel cestino questi pensieri quando emergevano a galla, e anche le emozioni che riuscivano a sovrastare la sua incontrastata ragione. Anche se quelle erano un po’ più difficili da cestinare.
Ovviamente con Cloe tutto questo non era servito a niente. E come faceva? In una serata gli rivelò tutto quello che aveva dentro da secoli. Del fatto che era perdutamente innamorato della sua migliore amica Abby, ma che aveva capito non avrebbe funzionato, anche per via del suo completo disinteresse. Del fatto che non poteva confidarsi con lei delle strane sensazioni che aveva in presenza di Tony, poiché avrebbe rovinato il loro rapporto. Anche se, e questo lo sapeva, Abby non aveva mai avuto pregiudizi. Né nei suoi confronti, né in quelli di nessun altro.
Ma in quella sera, un altro grande segreto venne a galla: Cloe aveva il cancro.
E lo sapeva già da parecchio tempo. Non glielo aveva mai detto e Tim poteva immaginare perché.
Ricordava ancora come si era sentito. Un orribile sensazione di vuoto lo aveva pervaso, come se tutto quello su cui si era sempre poggiato fosse sparito all’improvviso e lui stesse quasi per precipitare giù da un dirupo. Sapeva che prima o poi sarebbe finito tutto.
McGee lasciò stare quei pensieri quando si accorse che gli occhi gli iniziavano a bruciare. Voleva evitare di pensare al peggio. O almeno finchè non se lo sarebbe ritrovato di fronte.
Tenne lo sguardo fisso sul parabrezza, che a poco a poco si stava riempiendo di piccole gocce d’acqua che schizzavano prepotenti su di esso. Il cielo si rannuvolò di nubi tetre e scure, ed il rumore di tuoni e fulmini attirò la sua attenzione. Tutto intorno a lui sembrava gridare tristezza, come il suo mondo sarebbe stato senza Cloe.
Tim buttò uno sguardo all’orologio sul cruscotto. Mostrava le due meno un quarto. A tentoni, cercò il cellulare nella tasca dei jeans, e quando lo trovò notò che era spento. Tenne premuto il tasto con la cornetta rossa e ogni tanto ci gettava un occhio per controllare se si fosse acceso completamente. Quando la schermata ben nota dello sfondo si fece avanti, vide che aveva sei chiamate perse. Si chiese se era meglio chiamare per avvertire che era quasi arrivato. Ma decise che era inutile quando si accorse che la strada che stava percorrendo lo stava portando al grosso edificio bianco che era l’ospedale.
Trovò parcheggio lì vicino, poi corse verso l’entrata. Appena dentro trovò il classico odore sterile degli ospedali, più un paio di infermiere e persone che camminavano tra i corridoi. Si diresse verso il grosso bancone in fondo alla sala, dove un’infermiera con i capelli ricci e neri lo accolse sorridendo.
-Salve. Come posso esserle utile?- domandò dirigendo la sua attenzione verso un computer lì accanto.
-Ah… salve.- rispose un po’ impacciato Timothy. – Sto cercando una certa Cloe Livingstone. Mi può dire dove posso trovarla?- continuò con più sicurezza.
-Lei è un suo parente?-
-Un amico… molto stretto.- ci tenne a puntualizzare.
-Capisco… attenda un attimo.-
Tim annuì impercettibilmente, mentre la ragazza si allontanò. La vide alzare la cornetta del telefono e parlare. Poi l’infermiera si allontanò il ricevitore dal viso e gli chiese:
-Nome, prego?-
-Emh… Timothy McGee.-
Non sapeva perché ma quando pronunciava questa frase gli veniva sempre spontaneo aggiungere: “Agente speciale, NCIS”.
Sorrise a quel pensiero e quando alzò lo sguardo vide che la ragazza era tornata di fronte a lui.
-Si, Cloe Livingstone, sesto piano, stanza 124. Da quella parte c’è un ascensore.- disse in fine sorridendo cordialmente.
-Grazie.-
McGee seguì l’indicazione andando nel corridoio alla sua destra. Lungo il muro, trovò in effetti le porte di un ascensore che si stavano per chiudere. Guizzò dentro, tenendole aperte giusto il tempo per passare. Vide, per la sua felicità, che all’interno non c’era nessuno, quindi premette il pulsante col numero “6” e aspettò che arrivasse a destinazione.
Quando le porte si aprirono Tim sbucò in un corridoio bianco, lungo le pareti c’erano varie stanze, tutte numerate da un cartellino posto alla destra di ogni porta. C’erano anche alcune sedie e panchine, dove un paio di persone erano sedute o in piedi. Notò che nell’aria c’era una pesante atmosfera di agitazione, ma decise che era solo una sua impressione e si avviò a piccoli passi nel corridoio contando le stanze che stava sorpassando.
 Arrivò in fondo al corridoio, in un tratto particolarmente vuoto. C’erano solo alcune piante e sedie sparse qua e là. Trovò anche una macchinetta per il caffè, e una dell’acqua poco lontane.
Continuò ancora per qualche passo, quando vide una ragazza che camminava nervosamente avanti e in dietro. I capelli castani-rossastri, mossi, si muovevano su e giù sulla schiena ad ogni passo. Portava le dita alle labbra, e se le mordicchiava ogni tanto per via della tensione.
-Sarah.- la chiamò McGee.
-Tim? Per fortuna sei qui!- disse la ragazza bloccandosi un momento prima di camminare velocemente incontro al fratello.
-Va tutto bene?- chiese quest’ultimo abbracciandola.
-Io sto bene… ma Cloe…-
Tim la tenne stretta un altro po’, prima di lasciarla andare e guardarla intensamente nei suoi occhi castano scuro.
-Dov’è Cloe?- chiese lui preoccupatissimo.
-Dentro, con Casey.- rispose lei indicando la porta alle sue spalle.
Tim posò lo sguardo sul cartellino blu accanto alla porta, e sopra era scritto “124” in numeri bianchi.
Percorse la breve distanza che lo separava dalla porta, tenendo sempre gli occhi fissi sul cartellino. Quasi non si accorse di essersi ritrovato davanti al legno marrone scuro dello stipite. Strinse la maniglia dorata con la mano, insicuro sul da farsi. Quando trovò il coraggio di entrare, bussò prima un paio di volte, poi l'aprì. 

  
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