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Autore: Oscar_    19/02/2012    2 recensioni
Tutti nascondono dei segreti; anche Sherlock Holmes. Nulla si sa del suo passato, né degli incontri che l'hanno portato a divenire chi è attualmente. Se John si trovasse in condizioni di dover conoscere quei segreti? Se dovesse scavare a fondo nella memoria del tanto conosciuto investigatore, per portare alla luce segreti che, forse, sarebbe stato meglio lasciare celati?
( Il rating rimane verde finché non descrivo scene hot; diviene AU negli spostamenti dei personaggi durante i capitoli )
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Lestrade , Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Secrets






2. Memories and changements





Come facesse a continuare la vita ordinaria senza praticamente uno straccio di notizia del compagno d’indagini, era poco chiaro anche a lui medesimo. Le ore e i giorni scivolavano lenti lungo un ritmo che non aveva tracciato. Passava intere giornate da solo, in casa, fissando il soffitto, attendendo qualcosa che non arrivava mai. Mangiava poco e male, non usciva. La signora Hudson più volte l’aveva paragonato a Sherlock. E quelle allusioni altro non facevano che alimentare la sua tristezza.
Una tarda mattinata, a distanza di due settimane dalla partenza del coinquilino, si decise a uscire. Si fece una bella doccia, si rase la barba, indossò i suoi miglior vestiti ed adottò la sua più convincente espressione d’indifferenza. Volle fare un giro a Scotland Yard, chissà che non vi avrebbe trovato proprio Sherlock, a litigare con Anderson o con chiunque altro avesse urtato le sue opinioni, palesemente esatte.
Mosso il primo passo nel grande edificio, la suoneria del cellulare lo destò dai suoi pensieri. Il nome sullo schermo lo fece sussultare. Voltò le spalle al chiasso regnante sovrano nella stazione di polizia ed uscì nuovamente, col cuore in gola. Il perché di tutta quell’agitazione era un altro conto.
« Pronto? » Rispose nervoso, torturando uno dei bottoni della giacca.
« Ciao John. » Sempre la stessa risposta. Sempre lo stesso tono. « Ti ho disturbato? »
« No, non facevo niente di particolarmente interessante. » Che conversazione stupida, pensò il dottore. Ma era già tanto se riusciva ad averne una.
« Se non è nulla di interessante, come mai sei a Scotland Yard? » Quella domanda gli fece perdere la parola per qualche secondo.
« Per noia. Pura e semplice noia. Ma come hai...? »
« Sento il fruttivendolo che urla e le porte automatiche dell’edificio. » John rimase interdetto, benché dovesse esserci abituato.
« Okay, la prossima volta non te lo chiederò. Senti, mi vuoi dire chi hai portato con te al posto mio, per favore? » Si decise a domandare, mordendosi immediatamente dopo il labbro inferiore. Una pausa gli fece credere che la chiamata si fosse interrotta, tanto da portarlo a controllare più volte il display del cellulare. Forse sarebbe stato meglio che fosse caduta la linea.
« Non ho portato nessuno, sono venuto da solo. Ora vado, ci sentiamo. »
« Aspetta! » Stranamente non udì lo scatto della conclusione della chiamata. « Stai... Stai bene? » Si sentì un idiota ad avergli chiesto una cosa simile. Ebbe l’impressione che all’altro capo del telefono, Sherlock stesse sorridendo.
« Sì, non preoccuparti. Mi sembrava di avertelo già detto. » John annuì; realizzò qualche istante dopo d’aver fatto una cosa sciocca, visto che l’altro non c’era.
« Hai ragione. Beh, allora a presto. » Sembrò più cupo di quanto non volesse apparire. Non ebbe risposta, solo la conclusione della chiamata e le parole atone del compagno d’indagini lo accompagnarono negli uffici caotici della stazione di polizia. Si sentì più solo che mai.
 
« Oggi ho fatto le pulizie, dottor Watson, e ho trovato questo... » Accolse John la signora Hudson, mostrandogli un quaderno scuro dall’aria logora e vecchia. Egli lo scrutò perplesso, indeciso se prenderlo tra le mani o meno, col sentore che se l’avesse sfiorato, esso gli si sarebbe frantumato fra le mani. « Non ho mai frugato nella roba del signor Holmes, ma siccome accumulava parecchia polvere ho deciso di- »
« Certo signora Hudson, non penserei mai che è un’impicciona. Questo, se non le spiace, lo trattengo io. » Propose il medico, prendendo finalmente tra le mani l’oggetto, che aveva tutta l’aria di essere un diario. Anche se aveva la certezza che Sherlock non ne scrivesse. Si avviò al piano superiore, con tutta l’intenzione di iniziare a leggere quel piccolo reperto misterioso. Si sedette sulla poltrona su cui solitamente sostava Sherlock, aprendo il quaderno e leggendone l’appartenenza.
“Diario di Sherlock Holmes”, dettava la prima riga in alto a sinistra. In seguito c’era segnato un indirizzo in cui John rammentava sorgesse un’industria. Voltò pagina ed iniziò a leggere, assolvendosi totalmente nella scrittura netta e precisa del compagno d’indagini.
 
15-3-1986
 
Caro diario,
Non mi piace lasciare tracce di quello che penso e che faccio, ma i miei genitori hanno molto insistito a riguardo, commentando che certamente mi avrebbe giovato trattare dei miei pensieri in questo determinato periodo della mia vita. Ma a me questo periodo pare uguale al resto. L’unica cosa che cambia è che lui è partito. Sto parlando di Oskar, quel ragazzo che ho conosciuto l’anno scorso quando siamo andati a Dublino per il pic-nic del primo maggio. È andato in Afghanistan con la famiglia. Papà e Mycroft dicono che non lo rivedrò più. Ogni volta che quello stupido di mio fratello me lo ripete, gli rinfaccio tutte le cose che ha accidentalmente distrutto, ovviamente davanti alla mamma, così lo sgrida. Mi domando come faccia a condividere dei geni con quello lì, è insopportabile. Mamma e papà dicono che per avere dieci anni mi comporto troppo da adulto; mi dicono sempre che dovrei uscire a giocare come gli altri bambini e non stare in casa a leggere come fanno i filosofi e gli intellettuali. E se io volessi essere uno di loro? Hanno una mente così chiusa, mamma e papà...
 
20-3-1991
 
Caro diario,
È passato molto tempo dall’ultima volta che ti ho scritto, precisamente cinque anni e cinque giorni. Il cinque è il numero della data di nascita di Oskar. Oggi l’ho sentito di nuovo dopo tanto tempo. Dice che si trova bene laggiù, ma nell’ultima lettera ha scritto che gli manco. Mi manca anche lui, a dire il vero. Peccato che non ci sia la possibilità di rivederlo.
A scuola vado benissimo, dice papà, ma quelle materie sono noiose, specialmente la letteratura. Che bisogno c’è di studiare le vite di tutti quegli autori se sono morti? Le opere che hanno lasciato? Le trovo futili e noiose. Piuttosto mi piace la chimica. Ho già letto tutto il libro. Ho anche chiesto al professore di prestarmene uno dei suoi, ma ha detto che è troppo complesso per me. Allora gli ho disegnato delle formule da università alla lavagna e lui è sbiancato, mormorando che ci avrebbe pensato. Sto ancora aspettando.
 
7-10-1995
 
Caro diario,
Non riesco ad essere continuo nello scriverti, abbi pazienza. Soprattutto ora che ho cambiato casa. Papà e Mycroft erano diventati insopportabili, fortunatamente ho compiuto diciott’anni, perciò posso andare dove voglio. I soldi non mi mancano. All’insaputa di tutti ho accettato tempo fa un impiego come “professore” di ripetizioni in chimica e matematica. Ha fruttato molto ed ora ho un bel gruzzolo. Mi sto dedicando al lavoro come libero professionista in campo investigativo, inizio a credere di poter aiutare Scotland Yard visto che straccio le loro teorie scritte sul giornale in pochi secondi. Penso che presto ci farò un salto.
Ho smesso di ricevere lettere da Oskar, dice che sono tempi difficili e che non c’è abbastanza carta nemmeno per soffiarsi il naso. Io attendo, scrutando ogni giorno il furgone del postino che indugia davanti al mio indirizzo e poi riparte, dopo aver consegnato qualche bolletta ai vicini. Sono tempi difficili anche qui.
 
29-9-2011
 
Caro diario,
Possibile che non riesca a scriverti una pagina almeno due volte all’anno? Il punto è che ormai sono troppo impegnato, le indagini mi rubano molto tempo, se non tutto. Ti ho ritrovato in mezzo ai libri dopo il trasloco, eri sotterrato sotto il tomo di chimica. Ora il tuo volume è almeno due volte inferiore a prima.
Ho trovato un individuo che vuole convivere con me nell’appartamento di Baker Street. Ci siamo trasferiti proprio l’altro giorno. È una persona simpatica, un dottore sulla quarantina, ex militare. Lo trovo una persona un po’ insicura, molto legato al passato e ai ricordi. Ma con ciò non intendo criticarlo. È il tipo di persona a cui è difficile mentire, ti basta guardarlo negli occhi e ti viene automatico confessare la verità.
Ho ricevuto un’altra lettera di Oskar dopo tantissimi anni. Scrive che la guerra li sta distruggendo, che sono agli sgoccioli e che non gli rimane praticamente nulla. Ho deciso di andare a fargli visita. Non porterò il mio coinquilino, credo, lui ha combattuto proprio su quel fronte, sarebbe da insensibili costringerlo a rivedere quei luoghi. Andrò da solo, in fondo l’ho sempre fatto fin’ora.

 
Conclusa la lettura del “diario” verso l’una di notte, il dottore si appisolò, sognando Sherlock e Oskar seduti sulla riva del fiume dentro cui tanti suoi compagni erano annegati in guerra, immaginandoli sorridenti che si tenevano la mano, indifferenti a tutto e a tutti.
 
Il risveglio fu più duro dei precedenti. Non fu la luce a svegliarlo, ma la signora Hudson che preoccupata piombò nel salone, ansimando. Dovevano essere più o meno le sei del mattino.
« Dottor Watson! Mi rincresce destarla dal sonno, ma ho una notizia terribile da darle! » Siccome John rimaneva stordito e parzialmente incosciente, la padrona di casa si decise a dargli il movente di quella così tremenda notizia. « Riguarda il signor Holmes. » E subito il medico sussultò sulla poltrona, guardandosi attorno, sperando forse, ancora mezzo addormentato, di scorgere la figura longilinea a lui tanto conosciuta. Ma non scorse nessuno all’infuori della signora Hudson.
« Che... Che è successo a Sherlock...? » La donna non prestò attenzione alla confidenza che certamente regnava fra i due. Prese un lungo respiro e, dopo essersi sistemata nervosamente i capelli, si decise a raccontare.
« In Afghanistan è scoppiata una bomba, di recente, una grossa bomba. E io... Ultimamente ho sentito dalle sue conversazioni con l’ispettore quand’è venuto qui, e mi rincresce d’aver origliato, che il signor Holmes si trova proprio lì! Perciò mi sono preoccupata e, insomma, mi sembrava giusto avvertirla... » John balzò in piedi, sistemandosi alla bell’e meglio i capelli e tirando fuori da un ripiano piuttosto celato tutti i suoi risparmi. Sarebbero bastati a comprare due biglietti per l’Afghanistan, uno d’andata e uno di ritorno. Sospirò, indeciso sul da farsi. Poi, mordendosi il labbro così forte da rischiare di farlo sanguinare, annunciò rapidamente la partenza alla signora Hudson e corse fuori, dopo aver recuperato la valigia fatta due settimane prima, ancora intatta affianco all’ingresso. Era veramente troppo. Sherlock avrebbe potuto esprimere il suo disappunto quanto voleva, avrebbe trovato pane per i suoi denti. Come gli era saltato in mente di andare da solo in un posto del genere? Poi con ancora la guerra in corso! Sarebbe stato lui a strillargli, non il contrario.
In pochi minuti raggiunse l’aeroporto, comprando il primo biglietto buono per la meta prevista, benché fosse in seconda classe e il volo non fosse della miglior compagnia. Salì sul mezzo e si sedette. Fortunatamente esso non impiegò molto a partire. Gli era andata bene.
 
“Si pregano i signori passeggeri di non muoversi dalle proprie postazioni, stiamo per atterrare”, annunciò la voce della hostess dagli altoparlanti dell’aereo. John si guardò attorno, stordito dal sonnellino appena schiacciato. Il paesaggio che scorse dal finestrino lo fece rabbrividire. Dopo così tanto tempo era tornato lì, al fronte. Ma non per combattere né per medicare, stavolta. Solo per recuperare una certa persona e fargli un bel lavaggio del cervello.
L’aereo atterrò poco dopo. L’aria che si respirava lì, era sostanzialmente differente da quella di Londra. Sapeva di polvere da sparo e odio. Quanto avrebbe voluto che fosse solo un incubo. Quanto gli sarebbe piaciuto trovarsi ancora all’appartamento di Baker Street, a discutere con Sherlock riguardo a quanto le casse automatiche del supermercato fossero inutili e dannose per coloro che in precedenza le sostituivano.
Si diede una mossa e s’incamminò per le paludi secche del posto, guardandosi attorno e riconoscendo a tratti dei punti in cui si era nascosto per evitare di farsi sparare. Si ricordò di un giorno in cui l’ufficiale di turno gli aveva detto d’aver udito delle urla in un punto poco lontano; si ricordò di quanto false fossero quelle parole, di come in realtà fossero i fatti, e cioè che v’erano nascoste delle truppe nemiche. Si ricordò di come miracolosamente evitò di finire fucilato. E si ricordò di come, una volta fatto ritorno alla base, aveva sparato a quell’ufficiale.
Senz’accorgersene si fermò in mezzo alla strada sterrata, su cui continuamente passavano jeep con militari o turisti; che razza di persone regredite potevano venire in un posto del genere in un periodo del genere? Cretini, ovviamente. Od aspiranti suicidi. Una delle grandi jeep era sul punto di andargli addosso, quando qualcuno lo spinse sull’erba secca, facendolo tornare padrone dei propri pensieri, in parte. Alzò lo sguardo verso il salvatore, constatando che altro non era se non un giovane dai tratti chiarissimi e piuttosto insoliti per uno del posto. Chissà, forse anche lui era un militare. Eppure era così giovane! Forse era inglese. Ma i tratti suggerivano un irlandese. Qualcosa però, gli stuzzicava la memoria in maniera estrema, portandolo a diffidare di quel ragazzo.
« Sta bene, signore? » Domandò il ragazzo, scrutando la figura di John con dei bellissimi occhi verde smeraldo. Quegli occhi erano magnetici. Ma il dottore si concentrò sull’accento del giovane. Aveva ragione: irlandese.
« Sì, non preoccuparti. Ed anzi, grazie. » Rispose John, continuando ad osservare quel ragazzo così particolare che stonava eccessivamente in quel paesaggio misero e desolato. I capelli erano color paglia, un poco sporchi di terra e polvere. La corporatura molto esile, alquanto diffamata all’apparenza. Vestiva con indumenti semplici e quasi poveri. Quando sorrise, al dottore venne automatico da fare lo stesso.
« Un turista o un militare? » Domandò il giovane, alzandosi e porgendogli la mano per aiutarlo. Egli l’accettò, tornando in piedi e ripulendo dagli abiti già logori la terra.
« Diciamo entrambi. Come ti chiami, ragazzo? »
« Oskar, signore. Sono un irlandese in servizio militare. » Non avrebbe potuto rispondergli con termini peggiori. Finalmente capì cosa quei dati gli rammentassero. Quello era il giovane che Sherlock aveva descritto nel diario. Il ragazzo per cui era tornato in Afghanistan, rischiando la vita. Per quell’individuo era andato quasi dall’altra parte del mondo.
Una fredda rabbia lo invase. Abbassò lo sguardo, annuendo impercettibilmente. Oskar lo osservava perplesso, col capo appena inclinato. Forse si domanda se sto bene, pensò John.
« Ottimo, anch’io alla tua età ero in servizio, proprio qui. » Mormorò il dottore, alzando nuovamente lo sguardo e mostrando un sorriso forzato. Oskar ricambiò, lasciandosi andare a una leggera risata.
« E se ha concluso il servizio, come mai è tornato? » John non rispose, fissando in silenzio quei tratti così delicati sul viso del ragazzo. Sembrava così giovane. Eppure aveva già testato gli orrori della guerra. Il suo sguardo era quello di un vecchio. Si immaginò Sherlock che scrutava quegli stessi occhi verdi.
« Mi rincresce, non volevo risultare invasivo... Senta, nei dintorni non sono presenti alberghi di nessun genere, perciò è mio dovere informarla che dovrà albergare con noi in caserma. È chiedere troppo? » Mormorò Oskar, dopo qualche secondo di riflessione. Il dottore scosse piano il capo, abbandonandosi a un sospiro assorto. Sicuramente avrebbe incontrato Sherlock.
Il giovane si avviò rapidamente per il sentiero su cui John stava per essere investito, attendendo che l’altro lo seguisse, cosa che fece poco dopo. In una manciata di minuti giunsero a una grande caserma color verde mimetico, di quelle in cui albergava John tanto tempo prima. Sussultò nel ricordare tutto quell’orrore.
Appena entrati nel luogo, notò con dispiacere misto a perplessità che era vuoto, se non per qualche medico che operava in anfratti molto nascosti. Oskar lo condusse in un lato dove c’erano delle brandine.
« Questa dovrebbe andar bene. Era di un altro soldato, ma ormai sono settimane che non torna, l’abbiamo dato per- »
« Io credo non sia il caso di gettare giudizi. Attendiamo ancora un po’. Per il momento dormirò dove capita, ci sono abituato. » Rassicurò il medico, tornando a mostrare quel sorriso forzato che utilizzava probabilmente per convincere sé stesso.
« Come preferisce... Ad ogni modo, mi è lecito conoscere il suo nome, signore? »
« Mi chiamo Frank Young. » Non seppe bene nemmeno lui perché mentì. Forse non voleva che Sherlock sentisse che era lì. Ma se c’era venuto apposta. A volte era proprio stupido. Il nome usato era quello dell’ufficiale che aveva ucciso. Nel pronunciarlo lo colse un attacco di tosse.
« D’accordo Frank. Dunque si accomodi, per ciò che le è possibile. » Invitò il giovane con un sorriso gentile, allontanandosi verso gli angoli della caserma in cui i medici operavano.
John si domandò se quel soldato che non si faceva sentire da settimane non fosse proprio Sherlock. Ma no, non era possibile. Se aveva azzeccato riguardo al rapporto che c’era fra lui ed Oskar, quest’ultimo certamente sarebbe corso a cercarlo alla minima insicurezza riguardo la sua salute. Si sedette comunque sulla brandina, osservando che non era poi così dura e scomoda come rammentava fosse la sua.
Ora che era lì che avrebbe fatto se non cercare Sherlock per ricondurlo a casa? Aveva forse preso una decisione per nulla? Non ne aveva idea. Non sapeva più che fare. Gli capitava spessissimo di ritrovarsi abbattuto da attacchi d’ansia, come accadde in quel frangente. Gli sarebbe piaciuto avere affianco Sherlock, magari abbracciarlo e rendersi ridicolo più del solito, per una volta. Chissà che non avrebbe risolto qualcosa nella sua vita.


***




Cara gente! Non mi accade mai di scrivere un secondo capitolo dopo un giorno D: Il merito è certamente vostro, complimenti ù.ù Vi ringrazio vivamente per questo sostegno, mi sento molto motivata, continuate così ;) Mano mano allungherò i capitoli, come avete notato, tutto dipende dalla piega che le idee prendono. Continuate a recensire, anche per criticare o puntualizzare, siete i benvenuti.
Al prossimo capitolo!~
   
 
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