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Autore: broken wings    21/02/2012    2 recensioni
Era il periodo degli Inspiral Carpets e delle prime chitarre, il periodo delle droghe, del sesso, dell'alcohol, il periodo di una madre preoccupata, di un padre violento, di una fidanzata trascurata e di un'amica che torna.
Era il periodo fine anni '80 ed inizi '90, e a viverlo sono soltanto degli ingenui e sognanti adolescenti.
Genere: Fluff, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Yesterday, love was such an easy game to play.

Questo è l'ultimo capitolo dell'introduzione alla fanfiction, dal terzo capitolo comincerà la storia ambientata nella fine degli anni ottanta, dove Liam e Grace saranno quindicenni, e Noel un ventenne.
Grazie per le recensioni, accetto sempre consigli, spunti ed idee per uno svolgimento :) 


 


But say that you'll stay.
 
 

Dopo quattro giorni lei trascinava la piccola rossa valigia lungo il viale di Burnage, lui scostò la leggera tenda biancastra, rovinata e consumata dal tempo, e la vide di nascosto cercando di non farsi scoprire. Non voleva che lui la vedesse andar via. Lei appoggiò con fatica il bagaglio accanto la macchina, lui credette che partisse senza neanche dare un'ultima occhiata al giardino dove giocavano da sempre, al cancello dove ogni volta si erano dati appuntamento, alla porta di casa dove per lei era successo il disastro. Ma proprio quando credette che la bambina si fosse già dimenticata di lui, ecco che il suo volto velocemente si girò verso la finestra di casa sua, la stessa dove in quel momento la stava spiando. Lei lo fissò, lui la fissò, nessuno sorrise, nessuno pianse, nessuno si salutò, ma entrambi sapevano che si sarebbero mancati da morire.

Il giorno dopo l'accaduto, Grace lo aveva aspettato in fondo alla strada: non di fronte casa sua, come avevano sempre fatto. Quella mattina, quando Liam uscendo dal giardino scorse la figura della bambina in attesa di lui in un posto leggermente più lontano da quello solito, cominciò a farsi qualche domanda. Ben presto decise di lasciar stare, credendo che non fosse in fondo nulla di rilevante. Era eccitato dall'idea di avere la sua prima fidanzata e riguardo gli avvenimenti della giornata precedente già non ci pensava più. Non era una novità la presenza di Tommy, e la violenza che lo accompagnava era divenuta quasi familiare, scioccante sì, ma pur sempre familiare.  
- Ieri ho acceso e spento le luci della camera per due volte come mi avevi detto tu, però non è successo nulla.
Mormorò la bambina, senza neppure salutarlo o accennargli il perché di quello spostamento. Lo guardava ancora con lo stesso sguardo spaventato che aveva ieri, probabilmente aveva dormito poco a causa degli incubi, e a sentire la sua voce insicura e tremolante, Liam si sentì improvvisamente catapultato a sua volta in quelle cattive sensazioni. 
- Mi dispiace... io già dormivo.
- Avevi detto che se avevo paura dovevo farlo, e tu avresti rimediato. 
Grace si voltò e cominciò a camminare più velocemente del solito, il bambino la seguì in silenzio, non sapeva cosa dire e si sentiva imbarazzato. Provava a guardarla negli occhi ma aveva i capelli che le coprivano il viso, così si ritrovò a dover abbassare lo sguardo sulle vecchie scarpe bucate che indossava, neanche fossero un gran bello spettacolo. 
- Ma te la sei presa?
- No, affatto. Non è quello.
Liam annuì, e solo poi, le chiese:
- Allora cosa c'è?
Lei cominciò a mangiucchiarsi le unghie, lo faceva sempre quando era in ansia e lui l'aveva imparato a forza di osservarla quando le maestre la interrogavano di fronte la classe intera. 
- Ma niente.
- Non è vero. Cos'è successo?
- Ho soltanto sonno.
- E sei ancora la mia fidanzata?
- Certo.
- Va bene. 
Ma quella mattina non si presero per mano, non passarono assieme la ricreazione, lei non si sedette vicino a lui e sopratutto, al suono dell'ultima campanella sgattaiolò via dalla classe prima che lui potesse dirle qualcosa. Liam si sbrigò nel rifare lo zaino, prese la cartellina e neanche controllò che ci fosse tutto il materiale necessario per i compiti a casa, uscì di corsa, attraversò il lungo corridoio facendo a spintoni tra gli altri alunni per poi ritrovarsi all'uscita dell'edificio da solo, vagando con lo sguardo in cerca del suo viso sorridente nascosto chissà dove. Dov'era finita Grace? Si avvicinò arreso al cancello, inizialmente tentato ad aspettare il fratello. Rimase sconcertato con se stesso, quando si ricordò che neanche lui era lì: "aveva chiuso con la scuola", gli aveva detto. Doveva andare a casa da solo? Non lo aveva mai fatto in quei suoi dieci anni di vita, mai, neppure una volta. 
"Fatti coraggio" pensò, nel preciso istante in cui una macchina blu gli passò proprio di fronte. Era un modello di vettura che vedeva praticamente sempre, non era appassionato di automobili, ma quel modello... quel modello gli ricordava qualcosa. Alzò lo sguardo e cercò di focalizzare meglio l'immagine, così si accorse presto che nel finestrino posteriore c'era la mora coda di cavallo della sua amica, e che quella alla guida doveva essere sua madre. Perché c'era stato bisogno di tornare a casa in macchina, quando erano sempre andati insieme?
" Si è arrabbiata perché non sono stato sveglio con lei, ieri, dev'essere stato questo. " 
Arrivò anche la mattina seguente e Grace era sempre lì, in fondo alla strada. Quando lui la salutò da lontano, lei sorrise e comprese che i problemi degli altri giorni dovevano esser stati già dimenticati e sorpassati. 
- Stanotte sono stato sempre sveglio, ma tu hai dormito. Non hai acceso e spento alcuna luce!
Disse lui con entusiasmo ed enfasi, prima ancora di augurarle una buona giornata. 
- Già. E' bello che tu sia rimasto sveglio per me.
- Già. Perché ieri sei sparita con la macchina? Il pomeriggio ti ho suonato in casa ma non mi ha risposto nessuno, dov'eravate andati?
Grace cominciò a sgranocchiarsi le unghie, lui pensò che prima o poi, quando le unghie sarebbero finite, lei avrebbe cominciato a mangiarsi dita intere. A quel punto non avrebbe più potuto prenderla per mano, così le diede un leggero schiaffo, togliendole le dita dalla bocca e lei ricambiò con uno sguardo di rimprovero.
- Quante domande, Liam!
- Rispondimi però. Oggi vieni con me a casa?
- Non posso.
Lui rimase in silenzio e mormorò un "ok". Quella notte non sarebbe di certo rimasto sveglio per lei.
Arrivò la terza mattina: niente occhiaie, niente sbadigli, niente notti in bianco. Era sveglio, carico e sopratutto competitivo. Perché sì, ormai era diventata una sorta di competizione: doveva mostrarsi indifferente, impassibile e duro, proprio come lei. A dirla tutta, aveva preso lezione da Noel, che in quel periodo si vantava con il fratellino di aver lasciato dopo soltanto due mesi la fidanzata con cui aveva scopato per la prima volta. 
- Pomicia da far schifo e quando me la faccio, devo metterle un sacchetto in testa per godere davvero. 
sentì dire ad un suo amico, una volta. 
- Ciao. 
- Ciao Liam!
Silenzio. 
- Allora, quand'è che finirai anche di aspettarmi prima di andare a scuola?
- Che intendi?
- Ah, giusto, e quand'è che finirai anche di salutarmi?
- Liam..
- Magari potresti avvertirmi, così non rimango indietro.
- Liam, io..
- Non possiamo stare insieme. 
Appena chiuse la bocca al termine della frase, si avviò quasi correndo verso la strada per la scuola e nel frattempo pensava che una volta tornato a casa, sarebbe andato dal fratello e gli avrebbe detto: "Io ho baciato sulla guancia una ragazza dopo soltanto un giorno e l'ho lasciata dopo due settimane, impara da me!" Sarebbe stato un grande. Era stato un grande.
Questa volta fu infatti lui ad ignorare totalmente Grace, a sedersi in classe vicino al primo compagno che si era già sistemato, ad evitare di stringerle la mano, a fuggire durante la ricreazione, ma lei era più insistente di lui: riuscì a strapparlo dalle grinfie del football e a spingerlo violentemente in un angolo del cortile. 
- Abbiamo chiuso, fattene una ragione.
Esclamò Liam ridendo. In realtà avrebbe voluto fare tutt'altro che ridere, avrebbe voluto che tutto fosse come prima, perché per quanto facesse finta di non capire, sapeva che dietro a quei problemi c'erano soltanto Tommy e Peggy. 
- Adesso tu mi ascolti, William. 
La guardava con quegli occhi marroni, che sembrava stessero prendendo fuoco dentro la pupilla. Ebbe quasi paura di lei, e cercò di sopprimere il tutto urlando:
- Non ci torno con te!
- Non ce n'è bisogno!
- Certo! Dici così perché sei orgogliosa!
- Io mi trasferisco, vado da un'altra scuola e cambio anche casa! E sai di chi è la colpa?!
Grace sputò le parole dalla bocca, senza neanche poterle controllare. Lo sapevano entrambi di chi fosse la colpa, non c'era neppure bisogno che lo dicesse, ma ormai Liam la stava sfidando.
- Di chi è? Su, dillo, forza! Vediamo dove arriva la tua cattiveria. 
- E'... è... è mia... Non avrei dovuto dirlo ai miei... tu, tu me l'avevi detto... Ma mamma lo sapeva che c'era qualcosa che non andava... lei... lei ha indovinato subito... ma io non l'ho negato, perché sai... ero sconvolta...
Si era seduta nella terra bagnata del cortile, aveva le spalle al muro e la testa piegata, non aveva neppure il coraggio di guardarlo in faccia. 
E nonostante tutto, il primo pensiero a cui Liam pensò fu sua mamma Peggy. Se avesse saputo tutto questo, sarebbe rimasta delusa, abbattuta, scoraggiata. Lui doveva proteggere sua madre, lei non ne avrebbe dovuto sapere niente, costasse quel che costasse.
- Va bene, non importa. Quando partite?
Le sue parole uscirono aspre, dure da sentire nella bocca di un bambino qualunque. Ma William Gallagher non era mai stato un bambino qualunque, non con le esperienze che aveva avuto, almeno. 
- Domani sera... Scusa Liam, mi mancherai tanto.
Domani sera Peggy avrebbe dovuto fare qualcosa, fuorché guardare dalla finestra la famiglia di Grace andarsene a causa loro. Lui la abbracciò forte, perché le si leggeva in viso che era tutto ciò di cui aveva bisogno. 
- Non piangere, magari un giorno ci incontreremo di nuovo.
- Davvero?
- Te lo prometto. Burnage non è poi così grande.
   
 
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