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Autore: Shu    27/09/2006    16 recensioni
Dopo la conclusione di “Death Note”, in un cimitero… pensieri per chi se n’è andato, e per chi resta. Ovviamente, più SPOILER di così, non si può. Non leggete se non avete finito il manga!!
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Near
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Vento, alberi, aria pulita, e lunghe file ordinate di pietre bianche.

Cammino sul vialetto di ghiaia, scanso qualche fiore appassito finito ai bordi del sentiero, un vaso trascinato lontano dalla corrente. Cose così concrete e misere, in quello che chiamano un posto sacro.

E’ ora di andare. Fuori, mi stanno aspettando. Sono stato qui fin troppo, da solo, a non fare nulla, davanti ad una tomba bianca per cui non ho portato niente.

Una tomba tutta bianca, senza nessuna scritta, nessun ritratto, nessuna data.

E’ triste che nemmeno adesso lui possa avere un nome, che neppure adesso abbia diritto a quella che è la cosa più naturale per ogni persona, però, in fondo… mi sembra che questo bianco ricordi lui più di quanto avrebbe potuto fare un nome sconosciuto.

Questo marmo rispetta il suo ultimo segreto.

E tacerà per sempre il nome del detective più famoso del mondo.

Ci sono alberi che fanno ombra, vicino alla sua tomba, ritagliandola quasi in un angolo diviso dal resto del cimitero. I fiori sono quasi tutti seccati, e c’è disordine di foglie e rametti spezzati sopra il marmo, ma non ho toccato niente.

Mi ricordava qualcosa.

Ma adesso, è ora di andare. In fondo al viale, le figure nere delle mie guardie del corpo, i volti nascosti dietro gli occhiali da sole e dietro le sbarre del cancello, aspettano diligenti che anche questo mio ennesimo capriccio sia finito.

Cammino.

Mi guardo solo un attimo intorno.

Maledizione.

Tu.

 

Nel punto più luminoso del cimitero, davanti alle cappelle del secolo scorso, splendenti di vetri e di stucchi, proprio al lato della strada principale…

Sapevo che ti avrei trovato qui.

 

 

Yagami Raito…

Io ti odio.

Non provo nessuna rabbia, nessun rancore a questo pensiero.

So solo che ti disprezzo dal più profondo del mio animo.

Guardo la tua foto sorridente sulla lapide, e ti odio.

Guardo la tua foto sulla lapide, il tuo sorriso appena accennato per l’obbiettivo, la giacca e la cravatta ben abbinate, l’aria da bravo ragazzo in carriera. E’ con questa faccia che hai ingannato tutti quelli che ti stavano intorno? E’ per questa faccia che L, il vero L ha perso la sua partita?

Guardo quegli occhi, sulla foto, scintillanti d’intelligenza, di troppa intelligenza, e mi chiedo come abbia fatto chi ti vedeva ogni giorno a non capire chi eri. Forse è facile, ora che è tutto finito, eppure ogni particolare di questa foto mi sembra dire Kira, Kira e solo Kira.

Hai gli occhi di un assassino.

La prima e unica volta che ti ho visto… l’ho capito. Il tuo viso era la prova.

Troppo perbene, troppo elegante, troppo perfetto, Yagami Raito… tu eri semplicemente troppo. Tu hai raggiunto il limite più estremo di un essere umano. A un passo da te, c’era solo il collasso.

E ogni cosa che hai fatto da quel maledetto giorno che hai ottenuto quel quaderno, ne sono sicuro, ti ha portato sempre più vicino a quel passo.

Io ti ho soltanto dato l’ultima spinta.

E’ passato del tempo da quando quella storia è finita, ma non sono mai venuto qui. Pensavo che vedere la tua tomba ordinata, ornata di fiori, accanto a quella di tuo padre, con una foto sorridente dietro a un vetro… come se tu fossi stato un ragazzo qualsiasi, morto per qualche incidente… incontrare tua madre che parlava a una lapide, magari, o un passante che si fermava catturato dal tuo viso e dalla tua giovinezza, mormorando qualcosa contro il destino crudele che si porta via un ragazzo di quell’età… Pensavo che avrei avuto voglia di fare a pezzi la tua fotografia, e gridare al mondo chi era veramente Yagami Raito.

E invece… non me ne importa niente. Non mi importa cosa pensi la gente di te, cosa pensi di Kira, di tutta questa storia. E’ meglio così. E’ meglio che siamo solo in pochi a sapere, e che per tutti gli altri il tuo nome cada nell’oblio. Resterai nelle pagine polverose di qualche registro di scuola, nei voti delle tue pagelle perfette, nei record dell’università, magari, o nelle memorie rammaricate dei tuoi vicini di casa. Ma nessuno ti ricorderà come il presunto Dio di un mondo nuovo. Non entrerai nei libri di storia, Yagami Raito.

E il tuo mondo perfetto, costruito sui fili del terrore, è già crollato.

Hai fallito, in tutto.

Ho voluto, ho desiderato profondamente farti assaggiare il tuo fallimento, ho fatto di tutto perché nel momento della tua fine tu avessi questo sapore amaro in bocca. Perché te lo meritavi. Ma adesso, di te, non me ne importa più niente.

L’unica cosa che mi è rimasta è lo spontaneo salire dell’odio a guardare questa tua fotografia.

L’ultima domanda che ho è perché non ti abbia sconfitto lui.

L.

Di lui, ho studiato ogni indagine, letto tutti gli incartamenti sui suoi casi sempre risolti, fino a poter essere in grado di capire quale fosse il suo modo di ragionare, di prevedere, persino, come avrebbe agito in una data situazione. Eppure, di lui, della sua persona… ho solo ricordi scoloriti, impressioni sfuggenti di quelle pochissime volte in cui l’ho visto. Ricordo la sua figura nel corridoio dell’orfanotrofio, alle sue spalle la luce dorata del pomeriggio fuori del portone, il pulviscolo nell’aria e il suo modo strano di camminare, una macchia scura di capelli disordinati. Mi ricordo di averlo guardato da lontano, stringendomi forte a un peluche –forse era reverenza, forse era timore, so solo che non volevo, non volevo conoscerlo, eppure avevo mille domande da fargli.

Ci sono state altre occasioni, poi, altri incontri, anche se rari. E sì, ci sono state anche le conversazioni, e quell’ultima, in cui lui mi promise che avrebbe catturato Kira, con la sua solita fermezza distratta. Ma sono come incontri con un fantasma. Lui era lì, davanti a me, e pochi minuti più tardi già mi sembrava di aver parlato con un sogno, come dentro ad un sogno, sulle soglie malsicure del dormiveglia.

Mi trovavo più a mio agio tra le carte che parlavano di lui, mi sembrava di conoscerlo meglio che non in quei dialoghi stentati, in cui mi sentivo come se non avessi nulla da dire.

Cosa possono dirsi due persone che vivono perennemente nascoste agli occhi del mondo?

Da sempre abituati a stare nell’ombra, ci nascondevamo anche fra di noi, anche nell’unico momento in cui non ce ne sarebbe stato bisogno.

Mi trovo più a mio agio davanti alla sua tomba bianca.

Qui finalmente, ora che le parole non servono più, tutto quello che lui è stato per me vola alto e chiaro. Ora è tutto così semplice. Non ho la pretesa di capire chi lui fosse e nemmeno perché non sia riuscito a realizzare l’ultimo obbiettivo della sua vita, non voglio più giudicare se sia stato un perdente o no, mi sembra solo, adesso, che ci siamo conosciuti un po’ meglio.

Una tomba bianca. Mentre tu, Yagami, ancora guardi il mondo dalla tua fotografia, ancora imponi ad ogni passante il tuo nome, il tuo orgoglio in lettere elaborate sulla pietra.

Davvero, mi chiedo cosa pensassero di te quelli che ti vivevano intorno ogni giorno. Mi chiedo come tu abbia fatto a nasconderti tra la gente per tutti quegli anni. Qual era la tua arma, solo il tuo viso da bravo ragazzo, solo la voce posata e sicura, solo i tuoi sorrisi?

Sono bastate queste cose a giocare il detective migliore del mondo?

C’era anche la tua intelligenza, lo so. E dovrei dedurre che era superiore a quella di L, se tu allora hai vinto, e lui ha perso la sua partita e la sua vita. Questo ho pensato, quando ho saputo che era stato ucciso. Eppure adesso, forse, un po’ ho cambiato idea.

C’era la tua intelligenza, d’accordo. Ma forse la questione non era se tu fossi migliore di lui. Forse era che la tua intelligenza l’ha colpito. Agli altri bastavano il tuo carisma e i tuoi modi di fare, ma quello che lui può aver visto in te era… una persona incredibilmente vicina a se stesso.

A chi è sempre stato solo.

Ho sentito tante volte dire che io e lui ci assomigliamo, che io ricordo lui molto da vicino. Può darsi che non sia così vero. Io non sono lui. Forse lui non era come me, forse in fondo non era fatto per la solitudine, e avrebbe voluto avere qualcuno con cui confrontarsi. E tu eri il primo all’altezza di questo che lui avesse incontrato.

E’ possibile che lui avrebbe scelto te, e non me, come suo successore. Magari vedeva in te la scintilla del genio che avrebbe desiderato trovare nei bambini del suo orfanotrofio, una scintilla non nata nella solitudine e nell’abbandono, ma in una casa calda, tra le braccia di una vera famiglia, le cene tutti insieme intorno alla stessa tavola e la divisa della scuola.

Quello che noi non abbiamo avuto mai.

E tu, Raito, avevi tutto questo, avevi ogni dote che un essere umano potesse desiderare, ogni fortuna…

E hai guardato ancora più in alto, hai desiderato l’unica cosa che un essere umano non può raggiungere.

Diventare Dio.

Forse dovrei dire che ci sei andato molto vicino, ma sono stanco di riconoscere le tue doti, di non sottovalutarti, di osservare ogni tua mossa, e in questo momento mi rendo conto che mi sto rivolgendo a te mentre penso e ti maledico anche per questo.

Adesso è tutto finito.

Oggi, domani comincerà un altro caso, un altro mistero da sciogliere, perché questo è il mio lavoro, ma il tuo è chiuso per sempre.

Adesso davvero di te non me ne importa più niente.

E ti dirò l’ultima cosa, sai che cosa sto pensando adesso? Che sono contento che almeno la tomba di un’altra persona sia lontana, lontana chilometri e chilometri da qui. Da te, il suo assassino, ma anche da L, da una persona che sentivamo tanto vicina ma che era sempre inevitabilmente troppo distante.

Mello è lontano da qui, dalle vostre sfide, dalle vostre somiglianze e dalle vostre opposizioni. Io e Mello siamo diversi –fra di noi, certo, ma anche da voi.

Perché noi ci conoscevamo davvero, e ci dicevamo in faccia le nostre verità.

E tu, Yagami Raito, tu che hai segnato per anni il mondo intero, che hai ucciso migliaia di persone senza sporcarti le mani, tu per me sarai sempre di meno non solo di Mello, ma anche di quella bambina che mi tirava sempre i capelli all’orfanotrofio, e dell’amico che ogni tanto componeva i puzzle insieme a me, e di Lester, Ridner, e di tutti i miei uomini.

E purtroppo anche tu, L, sarai sempre qualcosa di meno delle persone che non ammiro come ammiro te, ma che sono sempre accanto a me nella mia realtà.

Sono solo, sono distaccato e non ho nessuno che io ami. Così eri anche tu, Raito. Eppure, io non sono come te.

Ci sono le mie guardie del corpo che mi osservano laggiù, nel vento, dal viale del cimitero. E quel gesto che una di loro mi fa adesso, quel gesto è per me.

Io so dire grazie, Yagami Raito.

Le persone che sono accanto a me, io le vedo.

Le vedo.

Resto in silenzio, ma rispondo a quel gesto. Sento il vento che mi agita la camicia, e intorno a me ci sono fiori, uomini persi nella sincerità del dolore, l’erba di un colore solo, e il cielo su cui corrono nuvole sempre diverse.

E non lo dico a nessuno, però…

E’ così bello.

 

 

 

 

 

 

 

[Questa fic mi sembra come uno di quei miei disegni buttati giù un po’ così, confusamente, le prime volte che tento di prendere confidenza con i tratti di un personaggio. Infatti, è la prima volta che cerco di studiare da vicino Near, una figura sicuramente più semplice da rendere che non L o anche lo stesso Raito –ma le cose si fanno più complicate se cerchi quello che c’è dietro la sua impeccabile razionalità. Io ci ho solo provato. Per me quello che lui ha dentro è qualcosa di meravigliosamente delicato, appena accennato, quel tocco d'infanzia rimasto in un ragazzino cresciuto troppo in fretta –la stessa cosa che lo fa gingillarsi con tutti i suoi giocattoli mentre pensa a come catturare il serial killer più pericoloso della storia dell’umanità.

E’ stato solo un tentativo, e basta. Comunque sia, vorrei intanto ringraziare Harriet per l'affetto meraviglioso che ha dimostrato per questa piccola fic, e poi  vorrei dedicare la storia a Mia (scusandomi della scarsa qualità del “dono”) –non solo perché assomiglia tantotanto a Near con suoi capelli da attorcigliare tra le dita, ma anche perché ho pensato anche un po’ a lei mentre scrivevo.]

 

     

   

   
 
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