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Autore: Rhye and Embrido    28/09/2006    10 recensioni
Siamo tornate con una nuova One Shot ovviamente sui Green Day...ormai quei tre poveri pazzi sono la nostra fonte di ispirazione!! La storia, incentrata particolarmente su Billie, si ambienta in un periodo di crisi del nostro cantante preferito e di tutta la sua famiglia...è un po' più seria rispetto ai nostri standard abituali, ma speriamo che comunque riesca a tenervi incatenati allo schermo! E' stata scritta come regalo di compleanno ad un amica speciale...beh?! che aspettate?! Correte a leggere!!
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Billie J. Armstrong
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Al mio Cetriolo,

Alla persona più speciale di questo mondo:

la mia Chiara,

la migliore amica che ho mai avuto

 e che mai avrò

 

- See What a Fool I’ve Been-

 

Love of my life, don’t leave me

You’ve taken my love, you

 now desert me

Love of my life can’t you see

Bring it back, bring it back

Don’t take it away from me because

 you don’t know

What it means to me

 

You won’t remember

When this is blown over

And everything’s all by the way

When I get older

I will be there at your side to remind you

How I still love you, I still love you

Queen, Love of My Life

 

Billie appoggiò con cautela la sua Blue su di una sedia, girandosi poi a guardare gli altri con aria trionfante dipinta sul bel viso un po’ segnato dalla spossatezza, dovuta al gran lavoro di quei giorni.

“E anche questa è fatta, ragazzi!” esclamò, alzando due dita della mano destra in segno di vittoria: un gesto che serviva a rincuorare più lui che i suoi compagni, anche se non sarebbe stato disposto ad ammetterlo nemmeno con se stesso.

Trè e Jason gli sorrisero di rimando, anche loro un po’ stanchi, mentre Mike si limitò ad accasciarsi svogliatamente sulla sedia, senza proferir parola.

Il moro gli lanciò un’occhiata esasperata, notando il broncio infantile che era apparso sul viso dell’amico: “Tesoro mio, si può sapere che hai? Sembra quasi che ti sia morto il gatto!”

“Ma io non ho un gatto” rispose atono il biondo, il cui sguardo vagava su qualunque cosa tranne il che sul suo migliore amico.

“Mike, era una battuta”

“Non si capiva nemmeno, che era una battuta”

Billie emise un sospiro che rasentava la disperazione, guardando negli occhi prima Jason e poi Trè con espressione interrogativa: il batterista scosse le spalle in un gesto di assoluta impotenza, segno evidente della sua impossibilità di capire cosa passasse nella mente contorta del loro bassista.

“Non hai risposto alla mia domanda, in ogni caso” insistette Billie, che non intendeva arrendersi. Sospettava in modo un po’ vago la ragione dello strano comportamento di Mike, anche se stavolta il desiderio di essere nel torto era più forte che mai. Una delle pochissime volte, anche perché lui era un tipo che voleva sempre aver ragione.

Di sicuro c’è sotto qualcosa di serio, ci posso scommettere qualsiasi cosa. Non è come quelle volte che si sveglia male ed è incavolato tutto il giorno, assolutamente no, anche perché, se così fosse, a quest’ora ci avrebbe bistrattato tutti e tre, e in ogni modo. Lui è il classico tipo che se gli piglia male di mattina appena sveglio, ce l’ha con il mondo per tutta la giornata, e guai a chi si trova a stretto contatto con lui! In effetti, in questi casi, la soluzione migliore da prendere sarebbe quella di prendere armi e bagagli e scappare nel punto più lontano possibile, fuori dalla sua portata. Peccato che non si possa sempre avere questa simpatica possibilità.

Ricordo perfettamente, qualche tempo fa, quando dovetti accompagnarlo in macchina da una parte, anche se sinceramente non rimembro il luogo. Era di cattivo…ma no, che dico, era di pessimo umore, e praticamente stette tutto il viaggio a dirmi, in maniera MOLTO aggressiva: “Mi raccomando, arrivato lì gira a destra…Oh, ma ricordati di girare a destra” e così via, tanto che a un certo punto non ne potevo più.

 Alla fine, girai per l’appunto a destra, e lui mi urlò nell’orecchio: “Ma cosa fai, ti avevo detto che dovevi girare a sinistra!”. Inutile aggiungere che, dopo quell’uscita, ne avevo proprio le tasche piene: mi fermai e lo feci scendere.

Ecco, il Mike che conosco è proprio così: ma questo che mi sta davanti è strano, un po’ triste e molto apatico, ed io sospetto che il problema che lo affligge sia lo stesso, oppure molto simile, alla questione che riguarda me personalmente e mi angoscia da qualche tempo…ma mai come questa volta ho desiderato di sbagliarmi così nettamente.

“Beh, che ti devo dire, Billie…tu festeggi come una pasqua, dicendo che finalmente anche questa è finita…ma io non credo che tu ti renda conto dell’enormità della cosa!” esplose Mike, alzandosi e cominciando a percorrere a grandi passi la stanza, evitando miracolosamente i cavi elettrici che ingombravano il pavimento.

“L’enormità di cosa?” fece il cantante, cercando di apparire più confuso di quanto non lo fosse, perché in cuor suo sapeva dove il biondo volesse andare a parare.

“Sveglia, Billie Joe! Forse te non te ne sei accorto, ma siamo solo alla seconda canzone del cd, e ci abbiamo messo quasi due mesi per registrarle…e non due mesi così, per dire, ma due mesi intensi, lo sai anche tu, che si viene qua alle nove di mattina e si esce alle due di notte! E abbiamo ancora da fare come minimo una decina di canzoni!”

In effetti, fino a quel momento, i tempi di registrazione si erano dimostrati di una lentezza esasperante; avevano cominciato il lavoro verso i primi di gennaio, e adesso che erano quasi giunti a marzo erano quasi senza forze. Avevano passato un’abnorme quantità di tempo chiusi negli studi, per lunghe ore nelle quali c’erano stati momenti divertenti e di gioia, ma anche giornate dove tutti litigavano e si guardavano in cagnesco, giornate tristi e grigie dove nessuno aveva voglia di fare niente. Quello era veramente un periodo critico, ma che sicuramente non poteva essere paragonato ai giorni successivi all’uscita di Warning, quando i rapporti tra loro si erano fatti sempre più tesi e l’idea dello scioglimento del gruppo era rimasta sospesa sulle loro teste, come una spada di Damocle.

Il moro fece per dire qualcosa, ma finalmente, per la prima volta, gli occhi del moro incontrarono quelli di Mike, e a lui non piacque affatto quello che vi lesse dentro: in quegli occhi azzurri, solitamente allegri e spensierati, c’erano adesso sconforto e stanchezza, emozioni che mai si erano riscontrate nel bassista, e che mai avrebbe pesato di poter trovare in uno come lui.

Billie, forse sconvolto dal monologo di Mike, o forse perché capiva fin troppo bene le emozioni dell’amico, non disse niente e la parola fu presa da Jason, che in genere riusciva sempre a calmare i bollenti spiriti degli altri tre: “Scusa Mike, ma il lavoro duro non ti ha mai spaventato, anzi…e poi, credevo che ti piacesse” affermò, nel suo solito tono pacato.

Mike abbassò un po’ la voce, rendendosi conto di aver un po’ esagerato: “Sì, mi piace, ma non quando è così stancante”

Trè, che fino a quel momento era rimasto stranamente in silenzio, finalmente espresse la sua opinione: “Ma c’è qualcos’altro che non va, vero, Mike?”

Il batterista aveva capito subito quello che Billie aveva solo sospettato; non aveva partecipato alla discussione e aveva osservato le reazioni di Mike e di Billie, e si era accorto del comportamento strano di entrambi. Ovviamente il più lampante era Mike, che aveva sempre l’abitudine di buttar fuori quello che sentiva, e anche questa volta non si era smentito: ma Trè avvertiva chiaramente che i motivi della sua disperazione erano molto più profondi di quelli che aveva loro rivelato.

Quanto a Billie, il discorso era diverso: lui non era come il biondo, che se non approvava qualcosa lo diceva oppure lo mostrava con il suo comportamento. Il cantante era più chiuso, raramente informava gli altri delle sue beghe, anche se si fidava di loro in maniera assoluta, e in genere anche le sue reazioni e i modi di fare non lasciavano trasparire i suoi tormenti interiori.

Ma Trè, che conosceva i suoi polli, non si era lasciato ingannare dalle apparenze: sentiva che anche Billie era angosciato da qualcosa, ma non avrebbe saputo dire cosa.

Il biondo guardò l’amico un po’ interrogativo, forse chiedendosi come avesse fatto a capire che c’era dell’altro, poi si decise a rispondere, a voce bassissima, tanto che gli altri tre dovettero avvicinarsi per sentirlo chiaramente: “Con tutto il tempo che passo qui, non riesco a stare più con la mia famiglia”

Il cuore di Billie sprofondò: capiva benissimo cosa significasse, e riusciva a capire tutto ciò che l’amico non aveva detto. Sicuramente era Sarah, il problema: Mike doveva aver litigato con la fidanzata, per altri motivi, forse, ma poi era saltato fuori il discorso “non sei mai a casa”. Sì, doveva essere proprio così, anche perché la famiglia di Mike si riduceva a lei e alla figlioletta, Estelle, che non poteva affatto essere la causa dei malesseri del biondo. Ciò che dava a Billie la quasi assoluta certezza di questo era la consapevolezza dell’affetto che legava la piccola al padre, che pur di stare con lei probabilmente avrebbe anche ucciso. Quindi, se nei ritagli di tempo Mike stava con Estelle, ben poco spazio rimaneva a Sarah, e questo, molto probabilmente, non le era andato molto a genio, visto che, oltretutto, erano sposati da pochi mesi.

“Forse dovremmo prenderci un periodo di pausa, magari per questo weekend” propose Jason dopo un bel po’, rompendo il silenzio che si era impadronito della stanza dopo le parole del bassista. Infatti, ognuno si era perso nei propri pensieri profondi, sconfortati, e per qualcuno anche un po’ foschi.

“Credo che sia un ottima idea, ci farà bene un po’ di relax” sorrise soddisfatto Trè, cominciando a radunare la sua roba per potersene andare alla svelta. Anche Mike sorrise leggermente, riponendo il basso nella custodia e dicendo: “Speriamo che serva a qualcosa”

“Vedrai che si risolverà tutto” lo incoraggiò Jason dandogli delle pacche amichevoli su una spalla.

Occupati com’erano nelle loro faccende, nessuno dei tre si accorse della strana espressione di Billie: un insolito sguardo gli illuminava gli occhi verdi, uno sguardo che a prima vista sembrava quasi di terrore.

***

Si frugò nelle tasche alla ricerca delle chiavi, che naturalmente erano lì anche se lui non riusciva proprio a trovarle: il tasso di alcool che circolava nel suo corpo era così elevato che non riusciva neanche a tenersi ritto in piedi, e dovette appoggiarsi allo stipite della porta.

Stava ancora cercando quelle maledette chiavi (Ma dove diamine si sono andate a cacciare?) quando la porta si aprì di scatto, facendolo finire disteso sulla soglia di casa. Resosi conto, dopo un po’, che la sua posizione non era più verticale ma orizzontale, alzò leggermente gli occhi e il suo sguardo incontrò un paio di ciabatte di pelo tutte colorate.

Ridicole pensò, tentando disperatamente di alzarsi.

Una voce femminile, probabilmente proveniente dalle banchise polari (o almeno così gli pareva) lo distolse dai suoi patetici sforzi di rimettersi in piedi: “Billie, sei ubriaco”. Non era una domanda.

“No, ma ti pare” bofonchiò lui, riuscendo finalmente nel suo intento. Si ritrovò davanti una donna non bella ma affascinante, un po’ bassa, con occhi e capelli scuri: sua moglie Adrienne.

“Beh, sì, mi pare proprio” fece la donna, sempre più fredda, invitandolo ad entrare in casa. Billie si diresse subito verso la camera da letto, dove diverse volte provò ad aprire la porta: inutile, era chiusa a chiave.

“Ma cos…” esordì, alquanto perplesso, prima di essere interrotto da Adrienne, che era apparsa dal nulla proprio dietro di lui.

“Tu stanotte dormi sul divano, Billie” fece, indicando con un gesto della mano le scale che portavano al piano di sotto, e quindi al salotto.

Il moro non discusse, anche se la sua espressione si era fatta fosca e un po’ alterata; girò i tacchi e si trasferì in salotto, dove si buttò a peso morto sul divano. Si addormentò immediatamente.

“…Come tutte le notti, ormai” aggiunse sottovoce Adrienne, entrando nella propria camera: una lacrima solitaria le solcò il viso, guardando quella stanza che le sembrava sempre più vuota, ultimamente, una stanza che non ospitava Billie da…non si ricordava nemmeno quando era stata l’ultima volta che avevano dormito insieme. Forse, poco dopo l’inizio del nuovo Cd.

Adrienne si sedette sul letto, pensando a quell’ultimo mese che era stato un vero inferno, per i bambini, ma soprattutto per lei. Nei primi tempi, Billie di giorno non era mai a casa, se ne andava la mattina presto e tornava quasi sempre la sera tardi, dopo le dieci: rimaneva comunque un po’ di tempo per stare con lei, anche se era stanco e non era esattamente di gran compagnia. Ma ad Adrienne questo bastava, anche la sua sola presenza conferiva a tutta la casa un aria diversa, e quando c’era Billie con lei, stava bene, sentiva di poter far fronte a qualsiasi cosa, se avesse avuto lui al suo fianco. Lui la faceva sentire amata, riverita, quasi come una dea; lui la faceva sentire…viva, come nessun’altro uomo o ragazzo era mai riuscito a fare. Aveva scritto un sacco di canzoni che celebravano il suo amore per lei, e altrettante gliele aveva dedicate: molte di queste erano dei Queen, che lei apprezzava, anche se non aveva l’adorazione sconfinata che Billie nutriva per loro. Il loro era un rapporto che sembrava non potersi incrinare mai, ed entrambi avevano creduto fortemente nella fiaba del “Ti amerò per sempre e saremo felici e contenti per l’eternità”, una fiaba che in quei giorni sembrava sempre più incredibile, quasi come un racconto mitologico.

Erano convinti di poter passare tutto il resto delle loro vite amandosi proprio come la prima volta, senza mai avere grossi litigi e problemi di coppia e, fino a due mesi prima, era stato proprio così; ma adesso, tutto era cambiato.

Billie si era fatto sempre più teso e stanco, e aveva cominciato a rientrare sempre più tardi, praticamente a notte fonda, e ogni volta si sentiva che aveva bevuto.

E, inevitabilmente, erano scoppiati i litigi: Adrienne non riusciva a capire assolutamente per quale strano motivo suo marito avesse iniziato a bere così tanto, e sotto sotto sospettava che neanche lui stesso ne fosse a conoscenza. Probabilmente dipendeva molto dallo stress accumulato nell’ultimo periodo, in quel Cd Billie stava mettendo veramente l’anima e il corpo.

Ma perché non si confidava, non si sfogava con lei? Perché si teneva tutto dentro, e si consolava con i fumi dell’alcool?

Adrienne non aveva alcuna risposta a quelle domande, e non ne aveva nemmeno una vaghissima idea. Suo marito era diventato un’enorme punto interrogativo, nell’ultimo periodo… e pensare che lei era sempre riuscita ad indovinarne i pensieri e gli stati d’animo anche solo dandogli un’occhiata poco accurata.

Non so proprio dove andremo a finire, di questo passo…

E con questo ultimo pensiero, la mente di Adrienne sprofondò in un sogno senza sogni.

 

I raggi del sole proruppero nel salotto con prepotenza, colpendo l’uomo addormentato profondamente sul divano. Billie emise una specie di grugnito, e si girò bruscamente senza aprire gli occhi, cercando di sfuggire da quella luce fastidiosa: cadde a terra con un tonfo, svegliandosi di colpo e completamente. Ci mise un po’ a capire per quale motivo fosse nella sala e non nella sua camera, nel suo caldo lettuccio che divideva con Adrienne. Fu travolto da un’ondata di tristezza: ancora una volta era tornato a casa ubriaco, e sua moglie lo aveva giustamente mandato a dormire sul divano. Era già tanto che non l’avesse ancora buttato fuori di casa, e in effetti Billie pensava che prima o poi lei lo avrebbe fatto: tutti hanno un loro punto di rottura, e a giudicare dall’espressione che compariva ogni volta negli occhi della donna, il suo era molto vicino.

Il moro si alzò e si diresse in cucina, dove cominciò a prepararsi un bel caffè forte, per svegliarsi per bene.

“Buon giorno” fece una voce atona, facendolo girare di scatto. Adrienne si era appena alzata e nonostante si fosse sistemata un po’, dava comunque l’impressione di una persona che non ha dormito granchè, con gli occhi assonnati, e le occhiaie scure che risaltavano nel viso pallido, troppo pallido, in effetti.

“ ‘Giorno” bofonchiò Billie, rimanendo un po’ sulle sue. Da un po’ di tempo a quella parte la presenza di Adrienne lo faceva invariabilmente diventare scorbutico: non sapeva assolutamente il motivo di queste sue reazioni, anche perché amava sua moglie proprio come il primo giorno che l’aveva vista.

Adrienne lo guardò torva: come tutte le mattine, si era svegliata con il mente il nobile proposito di perdonare il marito, ma questa sua determinazione era svanita dopo aver visto l’atteggiamento scostante di lui. Aveva detto soltanto una semplice parola, ma in quell’ unico vocabolo si era potuta sentire tutta la sua scontrosità verso il mondo in generale e verso di lei in particolare: era un “buongiorno” che in realtà stava a significare “Okay, buongiorno, ma adesso vattene e lasciami in pace”.

“Vedo che non ti sei preoccupato di preparare qualcosa anche per me o i tuoi figli” affermò con sarcasmo la bruna, non riuscendo a tacere sulla negligenza del marito. Le altre mattine era stata zitta, aveva lasciato perdere su ogni comportamento discutibile di Billie, ma adesso non ce la faceva più: i suoi nervi si stavano pericolosamente logorando, e ormai aspettava la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso.

“Sei tu che cucini, non io” replicò acido lui, girandosi a versare il caffè nella sua tazzina. Ovviamente non la stava guardando.

“Ma tu non sei impedito, mi sembra, e come puoi farti il caffè, potresti tranquillamente mettere a scaldare il latte per i bambini” insistette la donna, con un tono di voce sempre più tagliente.

Billie fece per replicare qualcosa di altrettanto pungente, ma fu interrotto dall’arrivo di Jakob e Joseph, che irruppero in cucina strillando: smisero subito di fare confusione vedendo le occhiate infuocate che Adrienne e Billie avevano appena lanciato in loro direzione, e si sedettero rumorosamente ai loro rispettivi posti. Gli occhi di entrambi andavano con sguardo perplesso dall’uno all’altro genitore, che continuavano a guardarsi piuttosto in cagnesco.

Joseph, che forse tra i due era quello che intuiva un po’ meglio la situazione tra di loro, ruppe quel pesante silenzio con un allegro: “Allora, babbo, ci fai la colazione?”

“Certamente, piccolo” rispose Billie sorridendo ai suoi figli. Un sorriso che sembrava più che altro una smorfia di sofferenza immensa dipinta sul viso di un condannato a morte, e che tra l’altro spaventò alquanto i due poveri pargoli, che si guardarono terrorizzati, non capendo assolutamente niente dello strano comportamento del padre.

Adrienne prese i biscotti alla marmellata per i figli e fece una carezza sulla testa ad entrambi, per tranquillizzarli leggermente, poi si sedette anche lei, lanciando uno sguardo indecifrabile alla schiena del marito.

La colazione si consumò nel più perfetto silenzio: si sentiva soltanto il masticare intento di Joseph e Jakob e Billie che sorseggiava rumorosamente il suo caffè. Tutti erano presi dai loro pensieri, e ognuno di loro non vedeva l’ora di finire di mangiare per far cessare quella tortura che ormai era diventata la colazione, l’unico pasto che da due mesi consumavano tutti insieme.

Il primo a finire fu il moro, che si alzò in piedi di scatto, quasi come se fosse stato punto da un’ape, ripose tutti i ciottoli nel lavello e si precipitò fuori dalla stanza.

“Billie, dove vai? Oggi è domenica!” urlò Adrienne, leggermente seccata.

Billie riapparve sulla soglia della cucina: “E allora? Non sono libero di uscire di domenica?”

La bruna inarcò un sopracciglio e disse tra i denti: “Certo che sei libero di uscire, che discorsi”

“Bene, allora vado” e detto questo, si girò e sparì dall’uscio della stanza. Pochi secondi dopo, sentì la porta sbattere.

“Mamma, dove è andato il babbo?” chiese, in tutta la sua innocenza, Jakob.

“Sarà andato dallo Zio Mike o dallo Zio Trè…” inventò lì per lì Adrienne, con aria così poco convinta che pensò di non aver rassicurato affatto il figlio, almeno a giudicare dalla sua espressione.

A dire la verità, sapeva quasi perfettamente dove sarebbe andato il marito.

***

Stava spolverando i soprammobili dell’ingresso, quando sentì le chiavi entrare nella serratura, e dopo vari tentativi, aprire la porta. Guardò stupita l’orologio, mancava soltanto un quarto alle sei, si era aspettata di vederlo comparire molto più tardi.

Billie finalmente entrò in casa, con andatura un po’ barcollante, ma non in maniera eccessiva: evidentemente, non avendo trovato pub aperti (di giorno e di domenica era un po’ difficile, d’altronde) aveva ripiegato su un paio di birre comprate al supermercato.

Il moro degnò la moglie di un’unica, lunga occhiata, che valeva più di mille parole, (“Lasciami stare”, diceva quello sguardo) poi si accomodò, o meglio si lanciò, sul solito divano, che ormai era diventato il suo rifugio per la notte e per i momenti di crisi.

 Ma la sala era già occupata dai suoi figli, che, vedendo lo stato in cui versava il padre, decisero di abbassare notevolmente il tasso di confusione del loro gioco. Di cambiare stanza, neanche per sogno: quella era la nave della Marina che stavano assaltando, non l’avrebbero abbandonata per niente al mondo. Dopotutto, erano dei pirati, loro!

Il moro decise di provare a sopportare la presenza dei suoi marmocchi per più tempo possibile: un conto era arrabbiarsi con Adrienne e trattarla male, e un conto erano i suoi bambini.

Si sdraiò lentamente, tenendosi la testa che pulsava tormentosamente ad ogni suo movimento. Maledisse mentalmente tutti i pub della città che quel giorno erano impietosamente chiusi, e lo avevano fatto rincasare così presto. Sapeva perfettamente che sbagliava nel continuare a bere, ma non ci poteva fare niente: aveva ricominciato da poco, e l’alcool lo aveva immediatamente irretito, ancora una volta. Era come una droga, una volta provata per un paio di volte, non si riesce più a smettere, a meno di avere un grandissima forza di volontà. E lui, in quel momento, tutta questa determinazione non ce l’aveva. Aveva ricominciato in un periodo di crisi artistica, quando la realizzazione del nuovo Cd sembrava lontana e difficoltosa in un maniera incredibile: e si era accorto che, inverosimilmente, sotto l’effetto dell’alcool riusciva a creare melodie e parole molto migliori rispetto a quello che aveva fatto fino a quel momento. Per questo motivo era diventato sempre più assiduo nel frequentare pub dopo essere uscito di studio, e nei primi tempi, quando si limitava nel bere, si era sentito molto meglio, sia fisicamente che creativamente. Aveva scritto tre canzoni del Cd, anche se poi, per trovare la musica con gli altri ci era voluto tantissimo tempo, tanto che erano ancora alla seconda canzone.

Ma le cose erano andate peggiorando: si era fatto prendere la mano, e ogni volta beveva sempre di più, tornando a casa quasi sempre ubriaco fradicio. Di conseguenza, anche il suo carattere si era fatto sempre più irascibile e collerico, anche se, per qualche oscuro motivo, questa sua intrattabilità si rendeva evidente solo con la sua famiglia, e quasi mai in studio. Forse dipendeva dal fatto che, mentre lì era occupatissimo, sempre intento a cercare suoni decenti per le canzoni, in casa era relativamente in ozio, e la sua vena irritabile trovava libero sfogo sui figli e soprattutto sulla moglie.

“Ah! Li abbiamo uccisi tutti, adesso la nave è nostra!” urlò Joseph con la sua voce squillante, facendo prendere un coccolone al padre. Il bambino, trascinato dal gioco, si era dimenticato di fare piano per non disturbare Billie, e aveva annunciato a tutti la loro schiacciante vittoria sugli inglesi.

Billie tentò di contare fino a dieci nel tentativo di recuperare il controllo, ma fallì miseramente: “La volete smettere di fare tutta questa confusione? Forza, filate in camera vostra!” urlò fuori dai gangheri, afferrando con forza il polso di Joseph per invitarlo poco gentilmente ad uscire dalla stanza. Il bambino lo guardò sconvolto, e con un accenno di lacrime negli occhi, mentre intanto il fratello aveva già aperto i rubinetti, essendo un bambino più sensibile ai rimproveri dei genitori. E tra parentesi, il povero Jakob non aveva neanche combinato nulla, visto che quello che aveva urlato era Joseph.

“Babbo, mi fai male…” singhiozzò piano Joseph, tentando di divincolarsi dalla stretta di Billie, che lo strava trascinando fuori dalla sala.

“Billie Joe, che cosa stai facendo?” Adrienne si era parata davanti al marito e ai due figli in lacrime con aria molto minacciosa.

Il moro non disse nulla, ma si limitò a lasciare la presa: Joseph emise un piccolo gemito di dolore, e abbassando contemporaneamente lo sguardo, Billie e Adrienne poterono notare chiaramente il segno viola lasciato dalle forti dita di Billie.

Con un cenno della testa, Adrienne congedò i due bambini, che fuggirono su per le scale a velocità supersonica. Al livido di Joseph ci avrebbe pensato successivamente.

“Billie, dobbiamo parlare” esordì la donna, scrutando il marito con occhi gelidi e impenetrabili.

“Non vedo di cosa dovremmo parlare. Non ho fatto niente di così grave” ribatté lui, immediatamente sulla difensiva, mentre rifuggiva quasi con terrore lo sguardo della maglie.

“Hai fatto un livido a tuo figlio, Billie Joe” questo sì che è un brutto segno, pensò Billie, sentendo il suo nome per intero: Adrienne vi ricorreva solo quando era davvero arrabbiata “…per non menzionare poi il tuo comportamento, ultimamente…Sei sempre ubriaco, scontroso, decisamente detestabile!”

La voce di Adrienne si era alzata progressivamente, fino a raggiungere quasi toni da crisi isterica: “Sono stata anche troppo clemente con te, ho sopportato in silenzio quando avrei potuto tranquillamente andarmene di casa e lasciarti nel tuo brodo, ma non l’ho mai fatto perché credevo in te, perché credevo che ti saresti ripreso, prima o poi! Ho tollerato tutte le tue angherie nei miei confronti, ma non posso assolutamente permettere che tu faccia del male ai miei bambini!”

“Joseph se lo meritava, avrebbe dovuto pensarci un po’ di più prima di strillare a quel modo!” urlò Billie, tentando, con scarsi successi, di mantenere un po’ di autocontrollo. Il mal di testa se ne era andato, e in quel momento era molto più lucido di quanto lo fosse mai stato negli ultimi tempi.

“E’ un bambino, Billie, proprio non riesci a capire? Ha solamente otto anni!”

Nessuna risposta, Billie continuava a guardare da tutt’altra parte, con la mascella contratta e le mani strette a pugno.

“Billie, guardami”

Il moro alzò lo sguardo, incontrando gli occhi castani della moglie, quegli occhi scuri che, tanto tempo prima lo avevano incantato e che adesso gli facevano provare soltanto rabbia, un’ira incontrollabile che neanche lui sapeva da dove venisse: pensava che le sue reazioni così eccessive fossero dovute all’alcool ingerito durante la giornata.

Ma era perfettamente lucido, quando alzò la mano e la abbatté con violenza sullo zigomo sinistro di Adrienne. La sua fu un’azione deliberata, a mente fredda, eppure inconscia: non avrebbe mai saputo spiegare, né in quel momento né in futuro, quale fosse il motivo di quello schiaffo.

Si guardò stupefatto la mano, mentre la moglie lo guardava con un’espressione ferita e prossima alle lacrime, accarezzandosi la guancia offesa.

“Io…scusa Adrie, io non…” balbettò Billie, tentando di scusarsi, ma subito fu interrotto dalla bruna. La sua voce, se possibile, era ancora più gelida, e vi si poteva leggere molto chiaramente tutta la rabbia repressa in quei terribili giorni.

“Non tentare di discolparti, Billie, è inutile. Questa è stata proprio la goccia che ha fatto traboccare il vaso: me ne vado da mia madre, e porto con me i bambini. Quando ti sarai accorto che la tua condotta porta solo alla perdita delle persone più care e all’autodistruzione di te stesso, allora potrai anche venire a chiedermi perdono…anche se non so se riuscirò a graziarti”

“Tu non puoi farlo!” esplose Billie, avvicinandosi alla donna con fare minaccioso, quasi come se volesse colpirla di nuovo.

“E perché non potrei? Forse perché, se me ne vado, ti mancherà una valvola di sfogo? Sinceramente ho di meglio da fare che stare qui a farmi maltrattare da un ubriacone!” urlò lei, dando uno spintone al marito che lo fece quasi finire lungo disteso.

Billie ci mise un po’ per riacquistare l’equilibrio, e con la mente ottenebrata dalla rabbia, gridò: “E allora vattene, hai capito? Vattene, è solamente colpa tua se sono in questo stato! Senza di te andrà tutto benissimo!”. Ormai non sapeva nemmeno che cosa diceva, da tanto era furioso.

“Colpa mia?!? Colpa MIA?!? Come se te lo avessi ordinato io, di bere ettolitri di birra!” ribatté Adrienne che, stanca di quell’inutile litigio, girò i tacchi e si diresse verso la camera dei suoi bambini.

“Che cosa credi di fare?! Torna qui!!” sbraitò Billie, senza ricevere risposta dal piano di sopra. Era ancora più arrabbiato, e ciò che lo aveva fatto più infuriare era stata la spinta che Adrienne gli aveva dato: non se lo sarebbe mai aspettato da lei. Ciò che il moro in quel momento non capiva, era la motivazione di quel gesto: autodifesa, certo, ma anche rabbia e disperazione, causati solo dalla sua stoltezza. Ma era talmente convinto di essere nel giusto, che proprio non riusciva a riconoscere che, se erano finiti in quella situazione, era quasi esclusivamente per causa sua.

Sentì la moglie che si affannava, probabilmente alla ricerca di una valigia e dei vestiti, e le voci dei suoi figli, che presumibilmente si informavano dell’accaduto.

Rimase a guardare con sguardo vuoto la porta del salotto per diverso minuti, che a lui parvero secoli, poi sentì dei passi affrettati scendere le scale, e la moglie che passava armata di due grosse valigie, seguita dai due marmocchi che facevano di tutto per non scoppiare in singhiozzi disperati.

Adrienne era già sulla soglia, quando sentì la voce del marito chiamarla: “Che c’è, ancora?” chiese, senza girarsi.

“Vedi di non tornare” sussurrò spietatamente Billie, appoggiato allo stipite dell’ingresso.

 “Provvederò, non preoccuparti” controbatté lei con dignità, facendo uscire Jakob e Joseph e uscendo lei stessa. Sbatté la porta con così tanta veemenza che uno dei quadri appesi nell’ingresso si schiantò fragorosamente al suolo.

Il cantante sospirò di sollievo, contento di essersi finalmente liberato della moglie: raccolse il quadro caduto, lo riappese e tolse tutti i vetri che erano rimasti per terra: poi tornò in salotto e si sdraiò sul divano. Peccato che calcolò male la traiettoria del suo corpo, perché, contrariamente a quanto doveva accadere, la sua testa colpì violentemente il duro bracciolo del divano.

Maledetto bracciolo di legno! Fu il suo ultimo pensiero, prima di sprofondare nel buio.

***

Le otto e quarantacinque…bene, diciamo che sono in orario, per una volta… pensò Billie guardando l’orologio, mentre si accingeva ad entrare negli studi di registrazione.

Quella mattina aveva fatto davvero presto, grazie anche alla strana assenza di Adrienne e i bambini: chissà perché, ma quella mattina non aveva trovato nessuno in casa. Non che gli dispiacesse, certo, aveva evitato tanti litigi in più con Adrie e soprattutto non aveva dovuto fare la coda per entrare in bagno: era quello infatti il motivo dei suoi continui ritardi.

In ogni caso, l’assenza della moglie gli era sembrata sospetta, tanto più che non si ricordava assolutamente nulla della giornata precedente: colpa della birra, probabilmente. Ogni tanto gli capitava di avere dei piccoli vuoti di memoria, ma addirittura un intero giorno…

Forse Adrienne aveva da fare qualche commissione, prima di portare Joseph e Jakob a scuola, e se li era portati appresso, ovviamente per evitare di lasciarli a lui. Sì, doveva essere andata proprio così.

La voce allegra e spensierata di Trè, che era appena giunto, lo riscosse bruscamente dai suoi pensieri: “Ciao, Billie!! Che bell’aspetto che hai!!”

“Spiritoso…guarda, ho un mal di testa tale che sembra che mi si spacchi in due il cranio da un momento all’altro…” gemette il cantante, massaggiandosi la nuca, dove, chissà come, si era andato a formarsi un bel livido.

“Di sicuro perché oggi ti sei svegliato troppo presto…non ti abbiamo mai visto apparire così di buon ora!” si intromise Jason, affacciandosi dalla porta della stanza dove facevano le prove.

Billie sorrise senza dire niente ed entrò, aspettandosi di trovare tutti al gran completo: e invece Mike era ancora assente all’appello.

“Strano che Mike non sia ancora venuto…in genere è lui il primo ad arrivare” mormorò il batterista, come se gli avesse letto nel pensiero.

“Mah, per una volta, può anche aver dormito un po’ di più” ipotizzò Jason, sedendosi su di una sedia e afferrando la chitarra elettrica.

I tre ragazzi aspettarono ancora un po’ l’arrivo del loro amico, poi si decisero a cominciare senza di lui: se i loro tempi di realizzazione per quel Cd erano così lenti, allora non c’era tempo da perdere, anche perché avrebbero dovuto pubblicarlo verso settembre - ottobre di quello stesso anno.

Erano ormai quasi le dieci, quando la porta dello studio si spalancò e sulla soglia apparve un Mike Dirnt piuttosto scarmigliato: entrò e bofonchiò un “’Giorno”, sedendosi al tavolo accanto a Jason. Aveva proprio l’aria di uno che non dormiva da un’eternità, gli occhi rossi e cerchiati, la faccia tirata.

“Certo che tra te e Billie fate a gara a chi è più brutto, stamani” commentò sarcasticamente Trè, con gli occhi azzurrissimi che andavano dal cantante al bassista.

“Per favore, non infierire” ribatté il biondo, scoccandogli un’occhiata tra l’esasperato e il minaccioso.

“Mamma mia, come siamo suscettibili…” fischiò il batterista alzando le mani in segno di resa. Come risposta, ottenne solamente un ringhio sommesso.

“Mike, come è andato il weekend?” chiese, in tutta innocenza, il povero Jason, ricordandosi della difficile situazione del bassista con la moglie.

“Un disastro” fu l’amara replica di Mike, che mise le braccia sul tavolo e vi nascose la testa dentro.

“Come, un disastro?” fece stupito Trè, che era convinto che, dopo un intero fine settimana passato con Sarah, lei si fosse un po’ calmata.

“Sarah mi ha lasciato definitivamente” continuò Mike in tono cupo “ha detto che passavo troppo tempo in studio, che non avevo mai un momento per lei, e che anche quando ce l’avevo era come se lo facessi per dovere e non perché ne avevo voglia”

“Ah” fu l’unico commento di Billie. Brandelli di frasi e immagini terribilmente familiari stavano attraversando la sua mente come un lampo.

“E il problema è che aveva anche ragione…preferivo molto di più stare con mia figlia che con lei, ma in ogni caso, qualche momento da passare con Sarah l’ho sempre trovato”

“Ma dai, vedrai che le passerà! Magari con un bel mazzo di fiori…” Trè, ottimista come sempre, cercò di tirare un po’ su di morale l’amico. Vedere Mike in quello stato era una cosa più unica che rara, ed era una cosa che faceva veramente male al cuore: mentre se da Billie una disperazione del genere ci si poteva aspettare, dal biondo proprio no. Era un tipo troppo orgoglioso per mostrare a quella maniera le sue debolezze, e se lo faceva, significava che era praticamente sull’orlo della disperazione.

 “Un mazzo di fiori, come no…ha fatto richiesta di divorzio all’avvocato” rispose sarcastico il bassista, sempre senza alzare la testa.

Senza dire nulla, Billie circondò la vita del migliore amico con un braccio, per fargli sentire che lui gli era vicino, e fu presto imitato sia da Trè che da Jason. Rimasero così, uniti attorno a Mike e stretti in un enorme abbraccio, per diverso tempo, finché uno di loro propose di fare festa per quel giorno, tanto non sarebbero riusciti a produrre niente, ridotti in quello stato di tristezza.

***

Scese le scale piano piano, reggendosi saldamente al corrimano. Era appena stato nella sua camera, che adesso appariva spoglia e disabitata, senza più i vestiti di Adrienne appesi nell’armadio, senza tutte quelle piccole cose che rendevano palese la presenza di una donna nella stanza. Per non parlare della camera di Jakob e Joseph, stranamente ordinata; qualche gioco era addirittura sparito, insieme ai loro abiti. Era andato a controllare che tutto quello che aveva ricordato non fosse solo frutto dell’alcool e della sua immaginazione: ma avrebbe potuto anche risparmiarselo, perché in quella casa qualsiasi cosa sembrava ricordargli l’assenza della sua famiglia.

Mosso dalla forza della disperazione, si diresse verso la cucina, per verificare la presenza di qualche altra bottiglia di birra sfuggita ai suoi occhi. Non poteva essersele scolate tutte.

Dette un’occhiata nel frigo e gioì nel vedere che un misera birra era sopravvissuta, nascosta dietro alla fruttiera: la afferrò e chiuse rumorosamente lo sportello. Ondeggiando leggermente, si sedette al tavolo di cucina con la bottiglia davanti a sé. Non l’aveva ancora aperta, continuava a guardare le bollicine che vagavano nel liquido con aria molto assorta.

Grazie, o per meglio dire, per colpa del racconto di Mike, gli era tornata la memoria. Piano piano, con lentezza esasperante, i suoni e le immagini della sera prima erano ricomparse a fargli visita, riempiendolo dapprima di rabbia e poi di un tremendo senso di colpa.

La sgridata fatta a Joseph, il livido, il litigio con Adrienne, lo schiaffo e lo spintone, le urla, e infine quelle due frasi

(“Vedi di non tornare”

“Provvederò, non preoccuparti”)

che continuavano a lampeggiarli nella testa, in tutto e per tutto simili a grosse scritte al neon.

Adesso lo capiva. Era tutta colpa sua, soltanto colpa sua. Sua moglie e i suoi figli se ne erano andati, e tutto questo era solo da imputare a lui, alla sua stoltezza, al suo caratteraccio, alla sua debolezza che gli aveva permesso di cadere nuovamente nell’alcolismo.

Era stato veramente uno stupido, e dubitava che ci potesse essere qualcuno di più ottuso di lui a questo mondo.

E adesso? Che avrebbe potuto fare? Adrienne probabilmente non l’avrebbe mai perdonato, tanto valeva non provarci nemmeno.

Aprì finalmente la bottiglia di birra, e se la scolò nel giro di cinque secondi. Avrebbe dovuto finirla, lo sapeva, suo moglie non lo avrebbe mai riaccettato se prima non avesse smesso di bere. Ma era più forte di lui, e in quel momento era l’unica cosa che lo alleviava leggermente da tutta quella disperazione.

La sua mente incominciò a vacillare: abbandonò la boccetta, che rotolò fino ad infrangersi per terra, e appoggiò la testa sul tavolo, godendo della freschezza del legno. E lì, in questa scomoda posizione, si addormentò.

E sognò.

Vide una ragazza, con occhi e capelli scuri, che gli sorrideva, a braccetto con il suo fidanzato, un giovane con il quale aveva avuto qualche piccolo diverbio. In quel momento aveva capito che lei, e solo lei, avrebbe parto fatto parte della sua vita, con lei avrebbe gioito e sofferto, avrebbe diviso tutto, finché, come si dice nei matrimoni, la morte non gli avrebbe separati.

Sognò.

Un giorno di pioggia, due ragazzi che si tenevano stretti mentre le gocce d’acqua gli tempestavano: il loro primo bacio, intenso, anche se un po’ timido e colpevole, specialmente da parte di Adrienne, che era ancora fidanzata. E poi, dopo vari problemi, finalmente il loro fidanzamento: lui le aveva regalato un anellino, praticamente minuscolo e pagato pochissimo, e lei ne era stata contentissima e lo aveva abbracciato con foga.

Sognò.

Il loro matrimonio, semplicissimo, una cerimonia durata solo cinque minuti, tanto che lui aveva pensato di andarci con jeans e maglietta invece che con il vestito elegante. Ma la sua futura sposa aveva tanto insistito, e lui non avrebbe potuto negargli niente. Il loro bacio davanti all’altare, davanti a tutti i loro amici, con Trè e Mike che non erano riusciti a stare seri nemmeno quella volta e avevano urlato: “Dacci dentro, Billie!!” facendo scoppiare tutti a ridere.

Sognò.

La sala d’attesa di un ospedale, Mike e Trè seduti tranquillamente su due sedie, ed infine lui, che andava su e già per la stanza, con la barba sfatta, gli occhi stralunati, mentre si fumava una sigaretta dopo l’altra. Una porta che si apriva e un dottore che gli faceva gentilmente cenno di entrare. E lì aveva visto sua moglie, stanchissima ma radiosa, che teneva in mano un piccolo fagottino urlante: il suo Joseph.

Sognò.

La nascita del suo secondo figlio, Jakob, alla quale aveva assistito personalmente; Adrienne l’aveva pregato di non abbandonarla, quella volta, perché il parto si prospettava più difficile del previsto. Le urla della moglie, che gli stringeva convulsamente la mano, risuonavano nella stanza. E alla fine, con qualche difficoltà, era nato anche Jakob: gliel’avevano depositato tra le braccia dopo averlo lavato, un bambino perfetto e tranquillissimo che scrutava tutto con curiosità.

Sognò.

Sua moglie che lo abbracciava e lo consolava, mormorandogli all’orecchio che tutto si sarebbe sistemato, dopo un altro dei debilitanti litigi tra lui, Mike e Trè nel periodo immediatamente successivo all’uscita di Warning.

Sognò.

Il suono dello schiaffo che risuonava nella stanza, Adrienne che si portava una mano alla guancia, stupita da quel gesto. Parole e urla confuse, e poi quello spintone…

“NO!” urlò il moro, svegliandosi di soprassalto. Non voleva rivivere nuovamente quell’incubo, non voleva assolutamente. Ma quel sogno, quelle immagini, erano servite a fargli capire quanto fossero importanti per lui sua moglie e i suoi figli; lui non poteva vivere senza di loro, e solo adesso lo aveva capito. Proprio come uno stupido, aveva capito la vitale importanza di qualcosa che aveva appena fatto di tutto per perdere.

Billie si coprì gli occhi con le mani cercando di calmare il respiro affannoso. Nella sua gola, i singhiozzi premevano per uscire.

Pianse, come non aveva mai pianto in vita sua.

***

Una bella villetta a due piani, circondata da un rigoglioso giardino, si ergeva davanti a lui. Billie ridacchiò tra sé e sé: non gli era mai piaciuto andare lì, ma almeno una volta alla settimana vi era obbligato dalla moglie, mentre adesso ci era andato di sua spontanea volontà, ed era disposto anche a baciare i piedi della madre di Adrienne pur di entrare lì dentro. Era una cosa piuttosto comica, a pensarci bene.

Si ricompose leggermente, cercando di apparire il più rispettabile possibile, poi avanzò: gli sembrava che ad ogni suo passo trascorressero dieci minuti.

Finalmente, dopo quella che gli era sembrata un’eternità, si ritrovò a fronteggiare la porta di legno scuro e finemente intarsiato.

Prese un bel respiro, come per prepararsi ad una dura lotta, e suonò il campanello.

 

 

PS: E rieccoci qua, tornate in tutto il nostro splendore con questa piccola One- Shot, nella speranza che questa non sia disertata dalle recensioni come invece è accaduto all’ultimo capitolo della nostra fanfic Extraordinary Girls…Vi prego, voi ragazze che ci leggete, non abbandonateci così! Senza il vostro sostegno non riusciamo ad andare avanti!

Dunque, implorazioni a parte, abbiamo qualche piccola precisazione da fare riguardo a questo raccontino. In primis, vorremmo scusarci con tutte coloro che si aspettavano una fine nel vero senso della parola, ma avevamo voglia di sperimentare la tecnica del “racconto che non finisce”: in ogni caso, anche se nel testo non è specificatamente detto, la vicenda si ambienta durante la registrazione dell’ultimo CD dei Green Day, American Idiot, quindi potete tutti immaginare come sia andata a finire la storia!

In secondibus, vorremmo specificare che, da come si può dedurre anche dalla dedica, questa fic è stata scritta da una soltanto di noi, ovvero io, Rhye, ed è dedicata all’altra, Embrido, come regalo di compleanno. Ci terrei a sottolineare che, anche se è stata ideata e stesa solo da me, questa appartiene anche ad Embrido, perché se lei non ci fosse stata, l’idea non mi sarebbe mai venuta e in ogni caso non sarei mai riuscita a scriverla.

E quindi la ringrazio di tutto il cuore, per essere la mia migliore amica in assoluto e per avermi sempre sostenuto e capito: ti voglio veramente tantissimo bene!!

 

 

 

 

 

 

 

  
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