Fanfic su artisti musicali > KAT-TUN
Ricorda la storia  |       
Autore: taemotional    23/02/2012    1 recensioni
[Seguito di BLOSSOM] "Tanaka Koki era ormai in carcere da 5 mesi per tentato omicidio. Dopo essere stato giudicato colpevole in seguito a un processo, ora non scontava più la sua pena a Parigi: lo Stato del Giappone aveva chiesto l’estradizione per il concittadino e dopo appena due mesi era stato trasferito nella prigione di Sugamo, situata in un distretto della sua città natale, Tokyo."
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Junnosuke, Koki, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Commento: eccomi con BLOSSOM 2!!! Un anno fa, mentre la scrivevo, pensavo sul serio che me la sarei portata dietro per chissà quanto tempo xD e infatti poi è pure arrivata una piccola BLOSSOM 3 x°D A parte questo... devo dire che l'ispiraizone per questa trilogia mi è stata data da D'Annunzio, in particolare dalla lettura del "Piacere" ^o^ Chissà, chi l'ha letto può anche capire perché xD Bando alle ciance! Sara, spero ti piaccia come ho deciso di mandarla avanti ^^

----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

 


<< Dentro di te, stai piangendo da molto tempo, non è vero?
Ma lo nascondi, in questo non sei cambiato.
 
Sorridevi solo nel momento in cui ci incontravamo, non è vero?
Sono sicuro che stavi mentendo, dolcemente, e fingevi di essere forte con tutta la tua volontà. >>


 
Tanaka Koki era ormai in carcere da 5 mesi per tentato omicidio.
Dopo essere stato giudicato colpevole in seguito a un processo, ora non scontava più la sua pena a Parigi: lo Stato del Giappone aveva chiesto l’estradizione per il concittadino e dopo appena due mesi era stato trasferito nella prigione di Sugamo, situata in un distretto della sua città natale, Tokyo. La mia stessa città, rifletté a quel punto Ueda.
“A cosa pensi?” domandò d’un tratto Kamenashi continuando involontariamente a massaggiarsi le gambe, mentre l’aereo decollava in quel secondo. Sul suo viso era stampato un enorme sorriso.
Ueda lo osservò un secondo, poi l’occhio gli cadde sul finestrino al fianco dell’altro. Ecco, si disse Ueda, sto tornando proprio nella mia città. Poi gli sorrise.
“Penso che mi farà piacere rivedere il caos disinteressato di Tokyo”
“Ma credo che al tuo manager non farà piacere”
“Quando scoprirà della nostra partenza sarà ormai troppo tardi!”
“Poveretto...” commentò Kamenashi ridendo e prese a pizzicarsi le gambe.
Ueda non poté fare a meno di continuare a sorridere. Perché ora Kamenashi sentiva sensibilità nelle gambe -“La smetti di torturarle?” lo rimproverava sempre fingendo una fermezza nella voce che non gli apparteneva- e ora era tornato a camminare. Dopo un anno in cui non aveva fatto altro che portarlo in giro su quella fredda sedia a rotelle, un dottore si era proposto di operarlo secondo una nuova tecnica. Ueda non ci aveva capito molto, ma Kamenashi volle provare. “Peggio di così non può comunque andare”,  gli disse per rassicurarlo, mentre le mani di Ueda tremavano. Gliele prese e sorrise.
E poi per fortuna era andato tutto bene.
La riabilitazione sarebbe dovuta durare un semestre ma Kamenashi si impegnò moltissimo e riuscì a tornare a camminare senza stampelle nel giro di qualche mese.
“Ancora un po’” diceva sempre in quel periodo, mentre Ueda si sentiva affaticato per lui e voleva farlo tornare disteso.
“Kazu, basta per oggi...”
“No, ti ricordi la promessa? Dobbiamo tornare in Giappone insieme” rispondeva e continuava incessantemente a sforzare i suoi tendini. Ueda sospirava. Una promessa non va dimenticata, e lui gli aveva promesso che, una volta guarito, sarebbero tornati insieme a casa.
“Non stare qua con me”, “Non sentirti in colpa”, “Non sprecare il tuo tempo”, “Odi questo paese, torna in Giappone” gli ripeteva Kamenashi prima dell’operazione, come una litania. Ma Ueda non poteva andarsene e lasciarlo solo. Gli fece quella promessa, irrealizzabile al tempo. E invece ora eccoli lì, su un aereo, la primavera successiva.
Cosa avrebbero fatto una volta arrivati?
Ueda non lo sapeva. Di sicuro Kame sarebbe voluto tornare dai suoi genitori. E lui cosa avrebbe fatto? Dopo essere stato spinto fuori di casa e mandato senza tante cerimonie in Francia, con che faccia si sarebbe ripresentato dai suoi dicendo: “La mia carriera da modello è stata un totale fallimento”?
Sospirò. Forse, leggendo i giornali, se ne erano già accorti da soli...
Kame ripeté la domanda: “A cosa pensi?”
L’aereo intanto continuava la sua inesorabile salita e, passando attraverso un banco di nuvole spesse, si avvicinava sempre più al sole. Lo stomaco di Ueda iniziò a dargli fastidio.
“L’aereo non mi aveva fatto questo effetto la prima volta” disse chiudendo gli occhi. Kame lo guardò interrogativo: continuava a deviare e a non rispondere sinceramente alle sue domande.
Gli prese una mano e iniziò a guardare fuori dal finestrino. L’aereo si stabilizzò e una voce annunciò che era ora possibile togliere le cinture.
“Tutto bene?” chiese allora Kamenashi.
Ueda annuiva, eppure continuava a tenere gli occhi chiusi. In effetti, stava meglio, ma la mano dell’altro che teneva la propria lo aveva reso improvvisamente agitato.
Dopo quella notte, non era più successo nulla tra i due, se non che Ueda aveva iniziato a voler bene all’altro in una maniera che nemmeno lui stesso avrebbe creduto possibile.
Eppure non fece mai nulla per far capire all’altro quel suo mutamento di sentimenti. Kamenashi dopotutto era stato già ingannato una volta, e Ueda temeva un suo rifiuto esplicito. Aveva deciso di non dire nulla, e quell’istinto represso e fastidioso diventò il modo per espiare le colpe passate.
“Posso provare ad amarti” gli aveva detto. Ma era già innamorato, e non se ne era nemmeno reso conto.
Aprì gli occhi e sfuggì discretamente al tocco dell’altro.
Kame notò quel suo movimento ma fece finta di nulla e sorrise. Devo smetterla di volerlo, pensava continuamente, e invece tornava ogni volta a cercare un qualche contatto. Anche visivo. Gli bastava poco. E Ogni volta che Ueda gli sfuggiva, sorrideva rassegnato. E’ stato già abbastanza gentile con me quella notte seppure non mi amasse, pensò, ma perché mi hai fatto quella promessa? Sono già abbastanza legato a te...
“Me ne vado solo se tu potrai venire con me, camminando” gli aveva detto Ueda. E Kame, per vedere realizzato il suo desiderio di andarsene dalla Francia il prima possibile, fu disposto a vivere tre mesi insostenibili, lacerato dal dolore alla schiena, sforzando i suoi muscoli fino allo sfinimento, piangendo silenzioso la notte, solo per poter andarsene da lì, e portare Ueda con sé.
Ma non era stata una costrizione, quella di lasciare la città in cui era nato, se questo significava rendere felice l’altro. Perché Ueda non lo sapeva, che Kamenashi era nato lì, a Parigi.
“Torniamo a casa?” aveva chiesto Kamenashi dopo una settimana in cui poteva camminare senza sentire più dolore. Era pronto ad andarsene. E continuava ad illudersi.
Cosa avrebbero fatto una volta arrivati?
Kamenashi non lo sapeva. I suoi genitori non vivevano certo a Tokyo, aveva solo i nonni paterni là, e non poteva certo presentarsi da loro dicendo: “Sono vostro nipote illegittimo, e vostro figlio mi ha avuto dopo essere scappato in Francia con la parigina che voi odiavate tanto”. Ueda invece? Lui non si sente certo affezionato a me. Quindi se ne sarebbe andato, magari sarebbe tornato dai suoi genitori. Lui aveva una casa in cui tornare.
“Ancora ti senti in colpa?” chiese allora Kamenashi, perché voleva sapere, illudersi un altro po’. Ma conosceva già la risposta.
Ueda lo guardò. Il ronzio dell’aereo non era fastidioso.
“Sei sempre stato così diretto, anche quando ti sei dichiarato, ricordi?” Kamenashi arrossì di botto, e Ueda si morse la lingua. Ma cosa gli saltava in mente? Perché era tornato con la mente a quel momento?
“Ah! Scusa...” continuò “E’ che...” E’ che, forse, il suo inconscio voleva tornare sull’argomento.
Kamenashi scosse la testa. Ueda lo stava prendendo in giro, era evidente. E lui era stato così ingenuo in quel momento di quasi un anno fa... e continuava ad esserlo ogni secondo.
“Non dovevo venire...” sussurrò poi e Ueda iniziò ad agitarsi.
“Perché no? La promessa...” e solo in quel momento comprese il perché di quelle parole passate. Quella promessa era stata la prova tangibile del voler restare vicino a lui in ogni momento, sia che Kame avesse camminato, sia che fosse rimasto immobile su quella sedia a rotelle per sempre. Ma perché non poteva dirglielo? Perché non poteva dirgli che sarebbe restato, soffocandosi in quella città straniera, pur di rimanere con lui?
“La promessa è stata solo una frase detta perché ti sentivi in colpa, e ora stai bene, e anche io sto bene...” disse Kamenashi e si voltò dall’altro lato per evitare che Ueda potesse vedere i suoi occhi velati. Poteva esserci un modo per dimenticarlo? Sarebbe dovuto restare a Parigi. Kame era sicuro che, a quel punto, dopo la sua completa guarigione, Ueda sarebbe potuto andare anche da solo. Non si sentiva più in colpa. Era stata la promessa a fargli dire: “Ho prenotato due biglietti per Tokyo”, perché Ueda era gentile con lui, e non poteva rimangiarsi la parola data. Anche in quel momento, era la promessa che gli permetteva di stare là seduto al suo fianco. Ueda avrebbe preferito riavere la sua vita, dopo due anni sprecati a spingere la sua carrozzina, ad aiutarlo a entrare nella doccia, a pulirgli l’appartamento.
E avrebbero dovuto separarsi. E tutto sarebbe potuto tornare come prima. Se non per il fatto che, a quel punto, Kamenashi avrebbe vissuto un’esistenza vuota...
“Kazu!” sussurrò Ueda con forza prendendolo per le spalle e fissandolo negli occhi “Non posso più vederti piangere... ogni notte, ogni momento, anche mentre sorridi, soffri vero?”
Kame non disse nulla.
“La mia promessa...” continuò “Non l’ho detta a causa di un senso di colpa, né per potermi espiare dalle colpe. Invece sono stato egoista, perché in questo modo pensavo di poter restare con te per sempre. E invece ti faccio soffrire, perché di sicuro, dopo quello che ti ho fatto, te non vorresti più nemmeno vedere la mia faccia. Sei stato costretto a venire a causa delle mie parole, ma non ti incolperò se una volta arrivati vorrai andartene per la tua strada. Io andrò per la mia... ma non piangere...”
Kamenashi accusò ogni colpo. Cosa stava dicendo? Non voglio più vedere la sua faccia? Restò ammutolito, con la mente che tentava di capire il perché di quelle parole.
“Volevo solo restare con te per sempre” rimbombò nelle sue orecchie, e forse Ueda lo aveva ripetuto.
Kame assorbì quelle parole.
“E ora? Cosa vuoi ora?” soffiò. Le mani di Ueda strinsero più forte le sue spalle, un’hostess passò veloce lungo il corridoio interno dell’aereo senza notare nulla. Kame sbarrò gli occhi e trattenne il fiato. Ueda continuava a premere le labbra contro quelle dell’altro. Poi le socchiuse appena, intrappolando il suo labbro inferiore.
“So quello che ti ho fatto” sussurrò Ueda senza lasciare la sua bocca “Ma non posso lasciarti andare. Una volta arrivati a Tokyo, continuiamo a vivere insieme.”
Le palpebre inebriate di Kamenashi si chiusero e le labbra ricambiarono il bacio.
“Dove vivremo?” chiese riprendendo fiato. Ueda aveva iniziato a carezzargli le guancie.
“Anche sotto un ponte”
Kame rise.
“Mi posso permettere un hotel, che dici?”
“Si può fare... io tenterò di ricominciare la mia carriera di modello... qualcuno potrebbe pagarmi come un tempo... e magari riusciremo ad affittare un appartamento”
Kame sorrise. Era tutto vero? Non stava sognando? Il dondolare dell’aereo non lo aveva fatto addormentare?
“Dammi un pizzico”
Ueda gli morse il collo.
“Ahi!”
“Scusa...” commentò Ueda ridendo “Ma non stai sognando, se è questo che pensi”
Perché riusciva a capire ogni suo pensiero quando lui invece doveva chiedergli ogni volta: A cosa pensi?
“Tu a cosa pensi?” chiese.
“Ti amo”
Kame avvampò di colpo. Quelle due parole non erano false. Non era stata quella maledetta promessa a farglielo dire.
“Perdonami... per questi mesi”
Kame tentò di ricollegare il cervello e scosse violentemente la testa.
“Non ti ho mai incolpato per quello che è successo. Tu sei stata la cosa migliore che mi sia capitata nella vita” e quella frase fu come avergli risposto: Ti amo anche io.

---


Junnosuke Taguchi era sempre rimasto fedele alla sua abitudine di annotare quotidianamente qualcosa della sua vita sul diario. Era stata la sua dottoressa a dargli l’idea quando ancora era un ragazzino, quando si divertiva a dar fastidio ai suoi compagni di classe a scuola, e, anche dopo essere stato arrestato e mandato in carcere per tentato omicidio, continuava ancora a scrivere e scarabocchiare quell’agenda color cremisi.

<<>> 

28 Dicembre - Domani avrò i provini per la parte! Non vedo l’ora! Mi sono allenato duramente, ce la farò di sicuro. Non so se in questa settimana riuscirò a scrivere ancora! Semmai, buon anno!
**
3 Febbraio - Ho davvero avuto paura quando ho visto quell’uomo rotolare fino in fondo alle scale. Ero stato davvero io a spingerlo? Sono rimasto immobile, mentre le orecchie si laceravano per quei lamenti che ancora provenivano dalla sua bocca socchiusa. Ho atteso l’arrivo della polizia senza fare nulla, senza aiutarlo, senza scappare. Ero stato davvero io a spingerlo? Continuavo a chiedermi dentro. L’invidia mi aveva accecato. Quell’uomo mi aveva negato un posto che mi spettava di diritto. Quel ruolo da primo ballerino doveva essere mio, altrimenti a cosa erano serviti tutti i miei sforzi e sacrifici durati ben 11 anni? Era pazzesco, scandaloso. Aveva avuto la fine che si meritava, e non possono rinchiudermi in carcere. Io devo ballare, come farò? Voglio uscire, è soffocante stare in questa cella da solo, quando ci sono due letti. Perché è come se lo spirito di quel vecchio risiedesse in quel posto vuoto e continuasse a puntarmi il dito dicendo: “Quel ruolo non può essere tuo, l’altro ragazzo mi ha pagato e tu non hai un soldo”. Insopportabile.
**
Notte - Dalla finestra barrata della mia cella riesco a vedere la luna. C’è una strana stagnazione nell’aria, un silenzio irreale. Mi sono calmato, e pentito. Come faccio a dimostrarlo ai carcerieri? Vorrei uscire: non lo farò più. Non tenterò più di far del male alle persone. Come faccio a dimostragli la mia conversione? Due anni qua dentro non li reggo. E non è ancora passato nemmeno un giorno. Forse andrò a dormire.
**
Non riesco ad addormentarmi... che ore sono? Perché mi hanno tolto l’orologio? Voglio scandire il mio tempo. Rischio di dimenticarmi quanto dura un secondo. Solo i battiti assordanti del mio cuore ritmano il passare dei minuti. E non è ancora finito il primo giorno.
**
4 Febbraio - Cercherò di scrivere sempre, cercando di non dimenticarmi mai nemmeno di un giorno. Non posso rischiare di arrivare al momento in cui compirò 20 anni inconsapevolmente. Fra una settimana poi, sarà anche il suo compleanno... come farò a farle gli auguri? E cosa penserà lei del fatto che mi trovo in prigione? Sensei, mi dispiace... ora vorrei sentire la sua voce.
**
Pomeriggio -  Se non leggessi la data che ho scritto sopra, potrei dire di trovarmi qui dentro da un anno. Fuori dalla mia cella c’è trambusto in questo momento. Cosa è successo? Non posso vedere nulla, perché la porta grigia ha solo una piccola fessura che può essere aperta esclusivamente dall’esterno. Continuo a fissare quel rettangolino sfilabile. E’ da là che poco tempo fa qualcuno mi aveva passato da mangiare. Ma non avevo fame, ho lasciato il vassoio sul piccolo tavolo della cella. Se alzo gli occhi vedo un penetrante cielo blu là fuori. Eppure è inverno... le guardie fuori dalla porta continuano a discutere... sento che parlano dell’estradizione di un criminale. Verrà trasferito nel carcere questa sera. Cavoli, la vita qua dentro è così noiosa... ieri su un palco, oggi in una prigione... domani cosa farò?
**
5 Febbraio - Ieri sera è successa una cosa inaspettata: il ragazzo di cui parlavano le guardie è stato trasferito proprio nella mia cella. Non conosco ancora il suo nome, lui non mi parla. In questo momento è semplicemente disteso sul suo letto e fissa il soffitto con occhi ridotte a fessure, come se si sforzasse di vedere attraverso i muri, e la sua fronte è corrugata: una vena sporgente la taglia verticalmente. Sembra pulsare. Secondo quello che dicono le guardie è stato anche lui accusato di tentato omicidio. Il suo sguardo in effetti è fermo, rigido, freddo. I suoi occhi potrebbero essere quelli di un assassino... eppure se lo osservo meglio leggo tristezza nel suo sguardo. Una tristezza velata da rancore, forse? Vorrei sapere di più su di lui. Tenterò di farlo parlare. Ma forse non parla più giapponese, viene dalla Francia.

-----------------------------------------------------------------------------------------------------------

Continua...
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > KAT-TUN / Vai alla pagina dell'autore: taemotional