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Autore: mac86    23/02/2012    3 recensioni
One shot facente parte di un 'concorso' indetto da un sito su Jag ancora anni fa..chiunque poteva scrivere una ff ma come elemento doveva esserci il SALE. Questa è la mia versione.
Genere: Angst, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harmon 'Harm' Rabb, Harriet Sims, Sarah 'Mac' MacKenzie
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I personaggi non sono miei ma appartengono a Donald P. Bellissario, alla sua casa di produzione ed alla Paramount.
Io qui 
li uso senza permesso, ma anche senza scopo di lucro. 

Fatemi sapere che ne pensate! Manuela. 

 

Sapore di sale – manu 

 

Ogni volta che lo vedo il tempo torna indietro e sento le farfalle nel mio stomaco. Dio quanto mi 

manca…non credevo di potermi legare così tanto a lui. Soprattutto, pensavo che sarei riuscita ad andare 

avanti, e invece eccomi qui, anche oggi, anche dopo quasi un anno, sono qui che penso a lui. 

Mi sento caduta in basso, ma allo stesso tempo non capisco come possa lasciarlo andare. 

L’altra settimana, mentre facevo il cambio dell’armadio ho ritrovato un suo maglione, e dentro me si è mosso 

qualcosa. Ricordo bene quel maglione che lui ha sempre odiato, gliel’ha regalato Renè,  ma lui l’ha sempre 

negato perché non voleva che fossi gelosa. 

“Dovrei essere gelosa di un maglione? Per piacere, Harm…” gli ho risposto, ma ora mi rendo conto che 

questo indumento di un giallo-fastidio è l’unica cosa che mi è rimasta di lui. 

Eh, già, perché ha portato via le sue cose ancora mesi fa, quindi deve esserselo scordato per forza. Pazienza, 

ormai non ha più tanta importanza. 

Però lo metto lì, sul comò, così quando avrò occasione di vederlo potrò restituirglielo. Sempre se non mi 

metto a piangre come l’altra volta. 

Sciocca sentimentale. 

Ormai è finita, e l’ho voluto io! Come al solito mi sono chiusa in me stessa quando invece lui mi tendeva la 

mano per aiutarmi. D’altronde, eravamo una famiglia… 

Cerco di non pensarci, mi concentro su qualcosa di più utile che piangersi addosso e vado in cucina a fare la 

lista della spesa. Primo nella lista c’è il sale, continuo a dimenticarlo e non ho mangiato piatti molto saporiti 

questa settimana. 

Finisco la lista, mi metto il giaccone ed esco. Il supermercato è poco lontano, e l’aria è frizzante, l’autunno 

sta lentamente cedendo il passo all’inverno. Adoro questo periodo, perciò decido di fare  a piedi il tratto di 

strada, anche se non è poco. Entrando saluto Maria, la cassiera, credo sia messicana, ma non ne ho la 

certezza, lei ricambia affabilmente, come le altre volte. 

Non le piace fare il turno di notte, mi ha detto una sera, ma se vuole mantenersi gli studi l’unica cosa che può 

fare è lavorare e solo in questo turno, perché durante il giorno deve badare ai suoi fratelli e alla casa. Penso 

che il suo sia un comportamento ammirevole, mentre prendo il cestino e inizio a riempirlo di ciò che mi 

serve. Dopo una mezzora arivo alla cassa e mentre sono lì mi ricordo del sale. 

“Arrivo subito Maria, aspetta un attimo!” le dico mentre una ragazza sui trent’anni vestita Louis Vuitton 

dietro di me inizia a sbuffare. La fulmino con lo sguardo e cammino velocemente verso la corsia del sale. 

Svolto e lo vedo. 

 

“Ciao..” 

“Ciao.” Dice salutandomi. Sembra sorpreso…anch’io a volte faccio la spesa! 

“Mi serve il sale.” Dico risoluta, ma non capisce dove voglia arrivare. 

“…eh?” 

“Ci stai davanti, me lo passi?” ribatto secca, per fargli capire che sta imbambolato proprio lì davanti e non mi 

permette di prendere l’unica cosa che mi importa di più in quel momento, il sale. 

“Oh certo, scusami…ecco” dice porgendomelo. E’ arrossito, mentre io tremo un secondo perché mi ha 

involontariamente sfiorato la mano, e tutta una serie di ricordi e fantasie ricompaiono nella mia mente. 

“Ok…allora..” sto per salutarlo, quando una voce acuta interrompe il nostro pseudo-dialogo. 

“Tesoro, sei qui!” compare miss Vuitton che ancheggiando visibilmente si avvicina ad Harm. Se ancheggia 

ancora penso che l’anca le uscirà definitivamente. 

“Euh..sì, sono qui…” risponde, poi mi sussurra “Mi dispiace Mac..” 

“Come..?” non capisco dove voglia arrivare, ma realizzo tutto quando miss Vuitton gli cinge la vita con il 

braccio e noto lu sue unghie lunghe e rosso fuoco tamburellare sull’addome di Harm. Allora non era sorpresa 

quella di prima, ma imbarazzo… 

“Mac, lei è Minnie.” Die presentandomi un esemplare di quella specie di donna che Harm ama tanto: le oche.

“Minnie, lei è…è Sarah, la mia ex-moglie.” Ahi, quest’ultima parte potevi anche evitarla, per me almeno. 

Non mi piace essere chiamata “l’ex moglie”, ma resisto stoica, te la farò pagare il prima possibile. 

“Ma tu l’hai chiamata Mac!” esclama Minnie in un acuto talmente forte da far male alle orecchie. 

“E’ un soprannome…” risponde sospirando il mio ex-marito…tiè. 

“Ah..e come mai proprio Mac?” è una domanda plausibile, e mi appresto a rispondere. 

“E’ per il mio cognome, Mackenzie.” 

“Mackenzie?” ripete lei non capendo dove voglia arrivare. E’ peggio di quanto pensassi. 

“Ok, vi lascio, così avrai tutto il tempo per spiegarglielo…” sbrigatela tu, che sei più paziente. 

“Ciao!” urla felice Minnie quando mi sono già voltata e diretta verso la cassa. Maria se la ride sotto i baffi. 

“Non dire niente per favore…” 

“Non è necessario parlare in certe occasioni Colonnello! Ecco qui, sono 18 dollari e 57 cent.” 

Le do i soldi “Tieni il resto. Ci vediamo.” 

“Buonasera!” 

 

Cammino veloce ed entro in casa quando fuori si sta alzando il vento. Appoggio le borse in cucina e vado ad 

alzare il termostato. Ritorno in cucina e inizio a mettere via la spesa, e quando termino mi accorgo che non 

trovo il sale. L’ho lasciato al supermercato…mentre un’esclamazione poco fine esce dalle mie labbra squilla 

il telefono. 

 

“Colonnello Mackenzie.” 

“Buonasera Mac.” 

“Harriett! Ciao, come stai? Che piacere sentirti!” 

“Sto bene Mac, ho chiamato perché volevo sapere come stavi tu…non ti vediamo da un po’ al centro..” 

“Ho solo saltato qualche incontro Harriett, non è successo niente.” 

“Sei incontri Mac, non qualche, sono sei…appena abbiamo perso la piccola Sarah mi sono obbligata ad 

andarci sempre, anche se non ne avevo la forza..” 

“Ci vado agli incontri davvero Harriett, è che ultimamente non sono molto in vena di vedere e parlare con 

donne che…” 

“…che hanno perso un bambino? E‘ questo che intendi? Non vuoi condividere il tuo dolore? Ti fa bene 

parlare con persone che hanno vissuto la tua stessa esperienza…se non sono io allora qualcun altro, di certo 

non mi arrabbio, ma devi parlarne con qualcuno.” 

“Lo farò, ok? E poi ne ho già parlato tanto, troppo. Ora voglio solo andare avanti.” 

“Mac…posso essere franca? Non ne hai parlato con nessuno, è per questo che il tuo matrimonio è finito.” 

“Ok, penso che metterò giù adesso…” 

“Rifiuti di affrontare la realtà, non ti fa bene!” 

“Senti, se proprio ti fa star meglio, ci andrò, da domani non salto neanche un incontro, va bene?! Ora devo 

andare, buonanotte.” 

 

La detesto quando fa così. E’ vero, è stato un aborto spontaneo, era molto probabile con la mia malattia; è 

vero, non ne ho parlato con Harm e mi sono chiusa in me stessa; è vero, ho sbagliato, ma ora che posso fare? 

Anche stavolta lui è riuscito ad andare avanti, magari non in maniera lodevole come con Mattie, ma forse il 

suo scopo è far diventare alafabeta Minnie…forse è una pretesa troppo grande. Decido di prepararmi 

qualcosa da mettere sotto i denti e i pensieri vagano a ciò che è successo ormai un anno fa…eravamo 

felicissimi quando l’abbaimo saputo, mi sentivo una donna realizzata, finalmente potevo creare qualcosa. 

Poi, una mattina, quasi al terzo mese, mi sono sentita male e sono svenuta in ufficio. Harm era alle 

qualificazioni di volo, e non si è mai perdonato per questo. Sono stata portata al Bethesda e lì mi hanno detto 

che avevo avuto un aborto spontaneo, che nella mia condizione era altamente possibile, poteva essere per lo 

stress, il troppo lavoro, o anche senza nessun motivo, poteva essere destino. 

Non l’ho detto ad Harm per tutta la settimana seguente, e non ho voluto che né Bud bè Harriett, gli unici a 

sapere, ne facessero parola con lui. Ovviamente poco dopo è arrivato il momento della verità. 

Lui si è arrabbiato, ha urlato, mi ha definita falsa, bugiarda, che mi tenevo tutto dentro e non volevo che lui 

mi aiutasse, e siamo andati avanti così per un bel po’ di mesi, poi lui è andato ad abitare da Sturgis, portando 

tutta la sua roba, finchè il mese scorso è arrivata la richiesta di separazione. 

L’ho firmata e ho aggiunto un post-it con scritto 

 

“Posso capire che non mi ami più, anche se è difficile per me accettarlo. Ma almeno, ti prego, perdonami.”

 

Non ha risposto e non si è fatto sentire. Finchè siamo in ufficio riesco ad evitare il peso del suo sguardo, ma 

se lo incontro fuori quello sguardo diventa insostenibile. Bèh…forse un giorno le cose cambieranno. 

D’altronde, c’è una canzone che dice “love is a losing game…”, il nostro probabilmente era così. 

Decido di prepararmi una zuppa, ma, di nuovo, non ho il sale e l’esclamazione poco educata di prima 

riappare. Bussano alla porta. Se è Harriett, fingo di non essere in casa, giuro. 

 

“Mi sa che ti serve questo se vuoi cenare.” Averlo visto con un’altra non era già abbastanza imbarazzante? 

Doveva anche portarmi la spesa? 

“Grazie, devo averlo scordato alla cassa.” Rispondo mentre afferro il sale e vorrei sprofondare sotto il 

tappeto d’entrata che ha la scritta “welcome”. 

“Eh già…fortunatamente c’ero io…” risponde sorridendo mentre rimane appoggiato allo stipite con il 

braccio teso. Per parlarmi si è avvicinato a me e sento il suo profumo che mi inebria tutta e un tremolio 

scende per tutta la schiena. Non farmi anche questo, non n un’unica serata, per lo meno. 

“Minnie dov’è? Al parco giochi?” dico cercando di far tornare la conversazione su un livello che posso 

controllare più facilmente, mentre lascio la porta aperta e mi distanzio un po’. 

“Sarah…” dice in tono paternale mentre entra in quella che fino a poco fa era anche casa sua, lasciando la 

porta aperta. 

“Concedimela ti prego…è quasi peggio di Renè…e io che credevo che lei fosse già oltre al limite!” 

“Non voglio parlarne ora.” Dice duramente. 

“Bèh, se non c’è altro da dire allora…” e io subito mi metto sulla difensiva, cosa che lo fa imbestialire. 

“No Mac, c’è altro da dire! C’è così tanto da dire che potremmo parlare per giorni senza fermarci! Come fai 

ad essere così, dannazione!” 

“Allora parla, sentiamo, cosa devi dirmi?!”  urlo di rimando incrociando le braccia. 

“Voglio che ci sediamo e parliamo…dimmi quello che senti, cos’hai provato, dimmi perché non me ne hai 

parlato subito, perchè non mi hai chiamato dall’ospedale…dimmi perché hai firmato le carte per la 

separazione.” Esclama mettendo le mani sulle mie bracia, il primo contatto da mesi. 

“Ma se sei stato tu a spedirmele!” ribatto alzando le braccia arrabbiata. 

“E quel biglietto? Perché l’hai scritto?” 

“Volevi che ti dicessi come mi sentivo, no? Ti ho scritto quel biglietto per fartelo capire, e tu non hai 

neanche risposto!”  continuo a gesticolare quando mi accorgo che ho ancora la scatola del sale in mano. 

“Sono qui, mi pare!” 

“Ora sei qui, perché prima mi hai vista al supermercato, ma se non fosse successo?” 

“Mac lavoriamo insieme tutti i giorni, non c’entra niente stasera!” 

“E perché non sei venuto prima?” ops…mi sono tradita…non volevo che mi vedesse come la donzella 

impaurita e sofferente! Dannazione, sono un Marine!! 

“Perciò volevi che tornassi, vero?” insinua lui avvicinandosi. Ha quello sguardo che noto sempre in aula, 

quando un teste si è appena contraddetto e lui è pronto a tirargli il colpo di grazia. 

“Non l’ho detto…” cerco di negare l’evidenza. 

“Ma lo pensi? Ti prego, dimmi che è così…” cambia improvvisamente tono, diventa serio, quasi triste e gli 

occhi diventano rossi e lucidi. 

“Vorresti che lo pensassi?” 

“Mac, non fare giri di parole solo per confondermi.” 

“Sì, lo volevo…presumo di sì.” 

“Lo volevi?” 

“Ultimamente mi ritrovo spesso a pensare d’aver fatto un errore con te…non eri tu quello sbagliato, ero io.” 

Sussurro guardando a terra e giocherellando col piede. 

“Io…io non riesco a perdonarmi d’averti lasciata sola quando sei stata male. Forse eri nervosa per le mie 

qualificazioni, so come ti senti quando sono su un Tomcat. Mi sento in colpa.” Confessa lasciando spazio 

alle lacrime, che finalmente possono scivolare giù lungo le sue guance. Metto le mie mani nelle sue. 

“Harm…non è stata colpa tua. Ho capito da tanto cosa significa volare per te. Semplicemente…doveva 

succedere…forse dovevo stare più a riposo…ma ora non è più importante…” ed incredibilmente mi 

abbraccia, stringendomi forte; e, altrettanto incredibilmente, io stessa mi lascio abbracciare, come non 

succedeva ormai da tanto tempo. 

“E invece lo è, e proprio perché non ci siamo detti queste cose che ci siamo allontanati fino a diventare quasi 

due sconosciuti.”

“E’ questo che siamo, ora?” chiedo timorosa mentre rimango con la guancia appoggiata al suo petto 

ascoltando il suo cuore battere. Prima di rispondere mi alza il mento con l’indice per permettermi di 

guardarlo negli occhi. 

“Tu eri un libro aperto per me, Sarah. E vorrei che fosse così di nuovo.” E senza lasciarmi il tempo di 

rispondere avvicina di più il mio mento e mi bacia appassionatamente, stringendo le braccia intorno al mio 

corpo, come ormai si vede solo nei film hollywoodiani anni ’50. 

“Vuoi riprovarci? E questo che intendi?” domando scostandomi appena da lui, perché al momento fatico 

perfino a respirare, e la mia aria è lui. 

“Solo se lo vuoi anche tu.” Dice pssando il pollice sulle mie labbra. 

“…e me lo chiedi anche?” rispondo sorridendo, facendo finalmente comparire il suo magnifico sorriso. 

“Non ho smesso di amarti. Io ti amerò per sempre.” 

“Non sai quant’è bello sentirtelo dire…” 

 

In questo momento un bacio è d’obbligo, no? 

 

“Mac…metterai giù quel sale prima o poi?” 

“Sì, ora vado…tu chiudi la porta intanto.” 

 

Vado in cucina ad appoggiare il sale e guardo la scatola ridendo, se non fosse stato per il sale… Harm intanto 

ha chiuso la porta, e mi guarda maliziosamente. So dove vuole arrivare, non sarò certo io a tirarmi indietro, 

ma prima che faccia qualsiasi cosa gli dico a fior di labbra: 

“Bentornato a casa, amore.” 

“Bentornata a te, tesoro.” Risponde allegro mentre mi prende in braccio ed insieme varchiamo la soglia della 

camera da letto, come due novelli sposi, ed ciò che siamo, in questo momento. 

 

“Ah…Sarah…appena puoi fa’ sparire quel maglione, ti prego!” 

 

FINE

   
 
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