Fanfic su artisti musicali > Arashi
Ricorda la storia  |      
Autore: Hika86    25/02/2012    1 recensioni
"... poi si gettò in mare e sentì che il suo corpo si scioglieva in schiuma.
Il sole sorse alto sul mare, i raggi battevano caldi sulla gelida schiuma e la sirenetta non sentì la morte
" [H.C. Andersen "La Sirenetta"]
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jun Matsumoto, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

'Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo'

Pioveva talmente forte che usare i tergicristalli era utile quanto in una giornata di sole. Il fatto che quel giorno il loro passaggio spostasse l'acqua non sembrava renderli più funzionali: il secondo successivo il vetro era nuovamente coperto d'acqua torrenziale e si tornava a non vedere nulla. «Merda» imprecò il guidatore a denti stretti piegandosi sul volante e stringendo le palpebre per concentrarsi sulla strada
«Rallenta, è meglio» consigliò il passeggero al suo fianco che teneva le mani artigliate al sedile
«Ho già rallentato!» esclamò spazientito «Più lenti di così ci fermiamo»
«Sssst» sussurrarono dai sedili posteriori «Abbassa la voce»
«Scusa, scusa...» sospirò spostando le mani dal volante, erano completamente sudate «Sta dormendo?»
«Sì, da una quindicina di minuti credo» risposero da dietro dove una seconda voce si intromise
«Sentite, essere quasi fermi in mezzo alla strada non è sinonimo di sicurezza. Perchè non accostiamo e aspettiamo che si calmi un po'?»
«Hai ragione anche tu... mi fermo lì avanti, credo di vedere uno slargo abbastanza grande per levarci dalla strada». La Toyota rossa lentamente si avvicinò ad uno spiazzo sulla sinistra e si fermò con le quattro frecce lampeggianti.

Velours
Il cellulare era squillato alle nove di mattina. Non era un orario strano, ma la sera prima lui era stato sveglio fino a tardi per provare con il gruppo e poi si erano fermati a parlare tutti insieme davanti agli studi: erano dieci anni che lui e gli altri si conoscevano ed erano dieci anni che si vedevano un giorno si e uno no eppure ancora avevano qualcosa da dirsi, possibile? Per questo la chiamata di Kintaro era una sveglia che non avrebbe mai puntato a quell'ora e per questo si era parecchio infastidito, ma era riuscito a parlare normalmente e si era accordato con l'amico per la serata: sarebbe arrivato in ritardo, doveva solo avvisare i ragazzi che quella sera non avrebbe provato e dire a sua madre che non sarebbe stato con lei per cena. Era normale che disdicesse un impegno non troppo importante (e non riguardante il lavoro) il giorno stesso, quindi nessuno si sarebbe lamentato: lui era una di quelle persone che ne conosceva mille altre e che, pur di non escludere nessuno, si destreggiava tra gli impegni nella continua ricerca di tempo per tutti. A volte però si dimenticava di sé stesso.
Lui e Kintaro si erano conosciuti ai tempi del liceo, una scuola dedicata principalmente a giovani talenti destinati al mondo dello spettacolo (frequentata, tra l'altro, da molti Johnny's Junior), ed erano subito diventati grandi amici. Era una delle poche persone non famose che conosceva: si era iscritto lì solo per rimorchiare! Ormai l'amico frequentava l'ultimo anno di università, un corso di specialistica, e lui invece era completamente assorbito dal lavoro e dagli Arashi perciò si vedevano raramente, ma una delle occasioni che non si perdevano mai per incontrarsi erano i loro compleanni.
Raggiunse l'appartamento verso mezzanotte e mezza e gli aprì la porta proprio il suo amico, raggiante. «Tanti au...» fece per dirgli non appena lo vide, ma poi non ebbe più fiato
«Jun!» esclamò quello abbracciandolo forte in una presa d'acciaio «Credevo che non ce l'avresti fatta, sono felice che tu sia qui!» esclamò invitandolo poi ad entrare ed aspettando che si togliesse le scarpe nell'ingresso, prima di accompagnarlo fino in salotto
«Giochi ancora a basket?» domandò Jun sistemando le calzature in linea con quelle degli altri e poi seguendolo
«Si, si! Anche dopo l'ultimo incidente sono rimasto nella squadra dell'università e ho continuato. Avresti dovuto vedere che canestri che ho fatto nello scorso torneo! Peccato che abbiamo perso nella finale per le qualificazioni nazionali» spiegò con una punta di rammarico. Al liceo, nonostante lui non c'entrasse nulla con lo spettacolo, Kintaro si era distinto nell'ambiente scolastico per la sua altezza e la sua bravura sportiva. L'attività universitaria lo aveva aiutato a sviluppare un fisico solido in quel delicato passaggio dall'adolescenza all'età adulta: le sue spalle erano larghe quasi il doppio di quelle di Jun ed era molto più alto di lui. «Spero non ti dispiaccia se siamo andati in giro per Shinjuku senza di te» disse l'amico, nonostante sapesse che era la cosa migliore averlo fatto prima del suo arrivo dato che lui doveva evitare luoghi del genere «Siamo stati all'apertura di un nuovo club e siamo arrivati da poco, se suonavi dieci minuti fa in casa non c'era nessuno» spiegò con una risata «Gente! Lui è Matsumoto Jun, Matsujun per gli amici» lo presentò quindi agli invitati, una volta che raggiunsero il piccolo salotto. Alcuni erano ancora un po' brilli, altri si sporsero dalla cucina dove stavano preparando i rinfreschi, altri alzarono lo sguardo dai propri bicchieri osservandolo dal divano, dalle poltroncine o dalle sedie ammassate nel piccolo soggiorno del bilocale di Kintaro, per l'occasione sgombrato di tutta la mobilia inutile. Normalmente una persona si sarebbe sentita in imbarazzo ritrovandosi improvvisamente sotto gli occhi di così tante persone, fissata con curiosità, stupore o incredulità. Jun no. Era abituato: il pubblico era una costante nella sua vita. «Sono Matsumoto Jun, piacere di conoscervi» disse a voce alta e chiara mentre toglieva il cappello ben calcato sulla testa. Fece un inchino accompagnando le sue parole e sorridendo tranquillo. «Che bestia che sei Kinta kun!» esclamarono alcuni ragazzi alzandosi dal divano «Allora è vero che lo conosci!». Alcune ragazze entrarono in agitazione: certe lo spiavano dall'angolo dove parlavano tra loro, altre ancora dalla cucina dove stavano dando una mano. «Non ti credevano?» domandò Jun con un sorrisino di scherno verso Kintaro
«E no eh... non ricominciare, impiastro!» esclamò quello mettendogli un braccio sulle spalle e stringendoglielo intorno al collo, per torturarlo scherzosamente «Ti rovino la permanente altrimenti!»
«Fallo pure» rise divertito lui cercando di liberarsi «Nessuno crederà mai che mi conosci. Sono anni che ci provi e ogni volta tutti pensano che stai raccontando una bugia»
«Aaah... ma smettila!» cercò di metterlo a tacere scompigliandogli i riccioli neri fin quando non gli sfuggì dalle braccia come un'anguilla «Sono anni che vai avanti a dirlo!»
«E te lo ripeterò all'infinito» ribattè Jun piegando il capo per ringraziare un ragazzo che gli porgeva una lattina di birra appena aperta «Nessuno crederà mai che un ragazzaccio come te conosca uno del mio calibro» pronunciò solenne, prendendo un sorso di birra
«Non state a sentirlo» sbuffò l'altro «Si sta solo atteggiando»
«Siete suoi compagni di corso?» domandò Jun verso gli altri ragazzi che ridevano di loro «Ve l'ha raccontato cosa faceva al liceo? Adesso ve lo dico io: a fine serata Kintaro sarà un altro» rise divertito.
Passò una prima metà di serata particolarmente piacevole, le persone con lui erano simpatiche e alla mano: nessuno, nemmeno le ragazze (anche se ci misero un po' più dei maschi a farsi avanti e parlargli), lo trattò in maniera strana. Era quello che adorava delle feste di Kintaro: dato che si circondava sempre di gente simile a lui, che era una persona semplice e spigliata, ogni volta Jun trovava piacevole parlare con i suoi amici. Negli anni, però, aveva imparato a riconoscere che era anche grazie a se stesso se riusciva a legare con le persone. Sapeva conquistarle anche senza la risata e l'allegria di Kintaro e senza la sua parlantina tipica della regione del Kanto. Jun era il suo opposto, aveva sempre avuto un carattere pacato e tranquillo, ma era una vera e propria calamita: il suo carisma attirava le persone che rimanevano affascinate da lui e dalla sua piacevole tranquillità, dalla sua capacità di ascoltare con pazienza e dalla sua disponibilità, per cui raramente negava l'aiuto a qualcuno.
«Jun! Puoi venire un secondo?» domandò Kintaro ad un certo punto della serata, spuntando da dietro una porta. Non si era nemmeno accorto che si fosse allontanato «Me lo lasciate, vero ragazzi?» scherzò ancora vedendo come gli altri lo avessero circondato man mano che avevano continuato a chiacchierare. Risero tutti e Jun si alzò dalla poltrona, pronto a seguirlo «Che succede?» domandò incuriosito da tutto quel mistero
«Almeno è rimasto qualcosa da bere?» domandò una voce femminile, mentre si apriva una porta in fondo ad un corto corridoio. Jun rimase senza fiato: era la donna più bella che avesse mai visto. Era bassa e forse un po' troppo magra, quasi asciutta di fisico, ma aveva la pelle candida come porcellana. I capelli, lunghi fino alle spalle e scalati sul davanti, erano neri, perfettamente lisci e spazzolati. La frangetta era fissata di lato da una semplice molletta color perla che ben si abbinava alla fascia bianca che dava al vestito blu notte il caratteristico taglio all'imperiale, stringendolo appena sotto il seno. Il viso liscio, dai lineamenti delicati e la pelle chiara, era attraversato da un'espressione di fastidio che venne improvvisamente rimpiazzata da stupore. «Coca cola, Mitsuya, della Pocari e delle lattine di Sapporo» rispose Jun dopo i primi secondi ad osservarla senza fiato
«Oh...» fece lei, sbattendo le palpebre, sorpresa. Le risate di Kintaro lo fecero riprendere «Che stai dicendo? Tutto ok? Non sarà che la birra t'ha fatto male?» ridacchiò Kintaro, prendendolo in giro «Jun, questa è la mia ragazza, Shiori» disse presentandogliela
«Piacere, il mio nome è Kumagawa Shiori» disse lei in un lieve inchino ed un cenno del capo. Jun si inchinò a sua volta «Matsumoto... sono Matsumoto Jun» farfugliò
«Mi fai un bicchiere di Pocari?» domandò quindi la ragazza a Kintaro, arricciando il naso
«Sicura che non ti faccia male?» domandò quello, in apprensione
«Ma piantala» si strinse nelle spalle superando i due uomini. Mentre gli passava accanto, nello stretto corridoio, la ragazza alzò gli occhi per fissarli nei suoi. Neri, profondi. Ricambiò il suo sguardo trattenendo il fiato. Sentì frusciare la seta del suo vestito, mentre camminava al loro fianco, ed ebbe come l'impressione che il suo cuore fosse stato accarezzato da morbidissimo velluto. «Se dico che voglio berlo significa che voglio e posso. Fammelo eh?» concluse lei, smettendo di fissarlo. Sparì entrando in sala. Kintaro sospirò e si avviò lungo il corridoio, così Jun lo seguì riprendendo a respirare: per un attimo aveva quasi sentito l'impulso di seguirla attaccando discorso con una qualsiasi scusa. Ma era stato un attimo: era la ragazza del suo amico. Infatti fu lui che seguì, in cucina. «Che caratterino» commentò con nonchalance, respirando a fondo e prendendosi da bere da solo
«Oh beh... sì, è un po' capricciosa» annuì lui sorridendo leggermente. Ripensandoci, l'espressione scocciata della ragazza non era proprio quella di una che parlava con il fidanzato, né le sue parole erano state particolarmente cortesi come invece il suo aspetto delicato avrebbe suggerito. «Dispotica, se posso permettermi» suggerì prendendo un sorso e osservò la reazione dell'amico. Un tipo accomodante come Kintaro, dove l'aveva pescata una così irritante? «Va bene anche così» spiegò mesto «Sai... è una delle più carine di tutta l'università. Lo sai che ho un debole per quel tipo di donne...»
«Affiscinanti, bellissime e impossibili? Oh sì che lo so!» esclamò Jun, ricordando quante volte l'amico ci avesse provato al liceo, ricevendo solo due di picche
«Ecco! Poi, proprio quando avevo deciso di rivedere le mie pretese e abbassare il tiro... è spuntata lei» spiegava con gli occhi sgranati, come se stesse riaccadendo in quel momento
«Te l'ha chiesto lei?» domandò appoggiandosi al davanzale della finestra per mettersi in ascolto
«Non pensavo che mi avrebbe mai considerato e...»
«Kintaro?» venne interrotto dal richiamo di lei dal salone
«... e portale da bere, giuro che ti concederò dieci minuti del mio prezioso tempo per ascoltare la tua storia» ridacchiò Jun accennandogli alla porta perchè si sbrigasse a soddisfare la principessa con cui si era fidanzato.
Però non trovarono un momento libero. Cominciarono un gioco di gruppo, mangiarono tutti insieme e guardarono un film finendo solo alle quattro di notte. A Jun parve facile inquadrare la ragazza che era stata chiusa in camera di Kintaro per metà serata -un malessere, aveva spiegato lei evasiva. Tutti i ragazzi la trattavano con i guanti di velluto, probabilmente abbagliati dalla sua bellezza e contenti del solo fatto che lei rivolgesse loro una sola sillaba, alcune delle ragazze le stavano al fianco e le parlavano come amiche, ma in realtà erano solo felici di ricevere a loro volta attenzione, mentre le rimanenti si tenevano a distanza, forse perchè invidiose. La cosa che probabilmente faceva loro più rabbia era che Shiori non veniva minimamente intaccata dai loro sguardi malevoli: avrebbero potuto passare tutta la serata a parlare male di lei ad alta voce oppure avvicinarsi e fare le carine come tutte le altre, che a lei non avrebbe fatto differenza. Era chiaro che non le interessava essere odiata o amata da quelle persone. Dal canto suo Jun era rimasto stregato dai suoi occhi neri, profondi ed espressivi, ma si era tenuto a distanza perchè aveva intuito che Kintaro, nonostante non dicesse nulla, non sopportava le moine che gli altri facevano alla sua ragazza. Probabilmente il motivo per cui non si opponeva era che le parole degli uomini, così come quelle delle donne, sembravano scivolare addosso a Shiori come l'acqua su un impermeabile: per quanto fiato sprecassero lei sembrava avere occhi solo per se stessa.
«Grazie per essere venuto, quanti appuntamenti hai fatto saltare per essere qui stasera?» domandò Kintaro sulla porta di casa
«Oh, solo un paio di servizi fotografici, una registrazione e l'uscita con una bella conduttrice della NTV» gli rispose facendo spallucce. Scoppiarono entrambi a ridere. «Ascolta» cominciò quello, improvvisamente in imbarazzo «So che non dovrei, ma... se ti do un foglio puoi fare uno strappo alla regola e lasciarmi un autografo?». Per la sorpresa Jun non seppe se cadere a terra, slogarsi la mascella o perdere gli occhi per averli spalancati troppo. Non accadde niente di tutto ciò, ma comunque rimase di sasso: l'amico sapeva perfettamente che non gli era permesso fare autografi e dopo tutti gli anni che si conoscevano quella era la prima volta che glielo chiedeva, la prima volta, anzi, che lo trattava come un personaggio famoso... proprio Kintaro, che invece lui adorava perchè non aveva mai messo distanza tra loro. «E' una richiesta strana, come mai così d'improvviso?» domandò lentamente
«Oh io... non è per me. Ecco, è Shiori che mi ha pregato di chiedertelo»
«E perchè non viene a domandarmelo di persona?» improvvisamente si sentì irritato: ma quella tipa era così dispotica e cattiva da avere il cuore di piegare a proprio piacere la pazienza e la bontà di una persona così squisita come Kintaro? «Pensava che a me forse avresti detto di sì» spiegò lui tenendo gli occhi bassi
«Eppure tu sai che la mia risposta è sempre la stessa, chiunque me la ponga. Non è questione di affetto: da contratto io non posso» non avrebbe mai immaginato di doverlo spiegare proprio all'amico
«Lo so, lo so» annuì «Ma ha tanto insistito perchè ci provassi almeno una volta che ho dovuto accontentarla purchè smettesse di chiedermelo» spiegò avvilito. Jun fece un sospiro, misto di rabbia e delusione: Kintaro non aveva mai dovuto abbassare gli occhi davanti a lui e Jun stesso si stava sentendo improvvisamente diverso da lui, distante... era come se dall'amicizia fossero passati improvvisamente al freddo rapporto idol-fan. Era insopportabile. Si tolse nuovamente le scarpe e si fece spazio per tornare in casa «Che co...» fece l'altro spaesato
«Kumagawa san!» esclamò Jun riaffacciandosi al salotto dove rimanevano ancora pochi invitati tra cui Shiori che li salutava come fosse la padrona di casa: probabilmente sarebbe rimasta a casa del fidanzato dato che era la notte del suo compleanno. La giovane si voltò guardandolo nuovamente dritto negli occhi «Posso parlarti un attimo?» domandò facendo un passo indietro e tornando nel corridoio. La sentì che si scusava con gli altri lasciandoli soli e la vide raggiungerlo nello stretto passaggio del corridoio. Lo fisso e non disse nulla, in attesa. «Se hai qualcosa da chiedermi puoi farlo direttamente, non costringere un'altra persona a domandare favori se non se la sente» spiegò pacato Jun
«Non ho costretto nessuno» replicò Shiori fingendosi confusa «Gliel'ho chiesto e mi ha detto che ci avrebbe provato. Non pensavo si sentisse a disagio nel parlare con un amico di vecchia data» concluse facendo la gnorri
«Kintaro kun sa che non posso rilasciare autografi, sono anni che lo sa e mi ha visto dire "no" a tante persone. Dirò "no" a chiunque, ad un amico come ad uno sconosciuto: non posso per contratto»
«Capisco» annuì lei abbassando lo sguardo: voleva farlo sentire in colpa per averle negato l'autografo? Quella ragazza recitava? Tentava di fare la carina anche con lui per ottenere gentilmente ciò che capricciosamente pretendeva. «Bene» sospirò: che persona si era trovato Kintaro? «La prossima volta avrei piacere di sentire le tue richieste direttamente da te... se ricevere un rifiuto non ti fa stare troppo male, chiaramente» concluse tirandole quell'ultima frecciatina e facendole il sorriso più falso del suo repertorio
«Oh certo, starò più attenta» rispose lei con un sorriso che, ci avrebbe scommesso, era altrettanto di circostanza.
Tornò a casa in taxi ripromettendosi di trovare un pomeriggio per Kintaro e per la sua storia, ma non troppo presto: in quel periodo era pieno di impegni, se si trattava solo di ascoltare la storia di una coppia poteva aspettare.Quella ragazza poteva sembrare carina, ma in definitiva era terribile, non gli era piaciuta nemmeno un po'.

«Non accenna a smettere» fece osservare il guidatore. Erano ormai quindici minuti che stavano fermi attendendo che qualcosa cambiasse per potersi rimettere in moto. «Rischiamo di fare tardi?» domandarono da dietro
«No, no... siamo partiti in anticipo apposta. Abbiamo tempo»
«Meglio»
«Non se lo perdonerebbe mai se facessimo ritardo proprio oggi» sospirò il passeggero a fianco del posto di guida, prima di voltarsi a guardare gli altri «Non capisco, ma quando è cominciata questa storia? Io non ne sapevo nulla»
«Nessuno ne sapeva niente. Non ha mai accennato alla cosa e non c'è stato alcun cambiamento che facesse intuire alcunché»
«Credo che abbia detto qualcosa di molto vago ai manager della Johnny's una volta, ma anche loro poi non hanno saputo nulla» un silenzio pesante seguì quelle parole. Era una giornata veramente brutta.

Masque
«Tu?» domandò lei stupita, osservandolo con gli occhi spalancati. Quel giorno indossava un vestito a fiori, lungo fino al ginocchio, sopra una maglietta bianca a mezze maniche e un paio di sandali chiari. Aveva arricciato i capelli di modo che le scendessero in morbidi boccoli ai lati del viso e teneva la frangia di lato con una molletta con un piccolo fiocco rosso. «Sono sorpreso quanto te» replicò Jun con una smorfia: chiaramente non era felicissimo di incontrare nuovamente quella ragazza sgradevole.
Erano passate due settimane dal compleanno di Kintaro, e Jun era stato assorbito dal lavoro come al solito: doveva imparare le proprie parti per le canzoni del nuovo album e cominciare a pensare al suo solo. Ovviamente non l'avrebbe scritto lui, non era un bravo paroliere, né avrebbe composto la musica, non ne era capace, ma ormai erano uno dei gruppi di punta della Johnny's e potevano permettersi il lusso di decidere “cosa” esprimere nei loro pezzi, anche se poi a fare il lavoro erano altri. Ammirava Sho kun che scriveva i pezzi di rap da sé o Nino che aveva suonato il pianoforte e la chitarra per le loro canzoni o per i suoi pezzi da solista, le sue cover alla radio poi erano spettacolari. Inoltre era impossibile non riconoscere come Aiba chan riuscisse a riversare tutti i suoi sentimenti positivi e tutta la sua allegria in ogni cosa che cantasse, o che facesse! Per non parlare di Ohno che, per quanto silenzioso e riservato, metteva anima e cuore ogni volta che stavano sul palco: indubbiamente il miglior ballerino tra loro, e forse di tutta l'agenzia. Lui invece cos'aveva nel suo arsenale? Una bella faccia. Che gran soddisfazione!
Guardò fuori dalla finestra della sala relax degli studi televisivi, mettendosi la matita dietro l'orecchio: era una meravigliosa giornata d'autunno con gli alberi traboccanti di colori caldi sulle morbide foglie che presto sarebbero seccate per poi cadere. Stava esagerando, lo sapeva. Tanti professionisti invidiavano gli Arashi per avere Jun tra i membri per le sue capacità organizzative, per l'esperienza che si era fatto nel trattare con tecnici, conduttori e direttori di qualsiasi tipo, per il suo gusto nel preparare ogni cosa alla perfezione e... beh per la sua fama, indubbiamente superiore a quella degli altri quattro. Però quel giorno era in vena di autocommiserarsi e di sentirsi una schifezza: era sempre così quando si trovava davanti ad un foglio bianco, che fosse per la canzone di un album, per una campagna pubblicitaria o per l'allestimento di un concerto. Sbuffò e decise di andare a farsi un giro per i fatti propri dato che per quel giorno aveva finito le riprese. Mandò una mail a Sho avvisandolo che non sarebbe tornato in camerino, ma che li avrebbe raggiunti il giorno dopo in sala registrazioni, declinò gentilmente l'invito a pranzo di un registra suo conoscente che incrociò all'uscita degli studi e poi prese al volo un autobus, accomodandosi sul fondo, incrociando le braccia.
Osservò le vie di Tokyo da dietro gli occhiali da sole: erano colorate e piene di suoni, ogni cosa sembrava più chiara e visibile dopo che l'afa estiva era scomparsa e il freddo faceva sembrare l'aria più tersa, trasparente e pulita. Era tanto immerso nei suoi pensieri che dimenticò di scendere alla fermata che stava esattamente davanti al dipartimento dove studiava Kintaro. Scattò in piedi, ma era troppo tardi, le porte si chiusero e l'autobus ripartì. «'fanculo» imprecò a bassa voce, mordendosi il labbro inferiore, poi schiacciò il pulsante per prenotare la fermata successiva. Scese con uno sbuffo di fastidio e stava per avviarsi quando, mentre si chiudevano le porte alle sue spalle, sentì un urlo. «ASPETTI!» era il grido più soffocato e sofferto che avesse mai sentito. Raramente qualcuno faceva qualcosa del genere per strada quindi Jun volse lo sguardo per vedere chi fosse stato e individuò una figura che, una volta ripartito l'autobus, rallentò e si fermò piegandosi in due per il fiatone. Era probabilmente una studentessa. Sospirò, e avrebbe cominciato ad avviarsi verso la fermata precedente se quella non si fosse accasciata al suolo. Era ora di pranzo perciò non c'era molta gente in giro, erano tutte a qualche lezione -diabolicamente programmata in quell'orario- o nei locali vicini. Si decise quindi ad avvicinarsi di persona «Ehi, tutto bene?» domandò raggiungendola. Quella non rispose, fece solo un segno affermativo con la testa: era inginocchiata, con le braccia strette ai fogli che portava con sé e la borsa in tela, con i libri, abbandonata a terra dopo che le era scivolata dalla spalla. Continuava a respirare affannosamente e Jun si preoccupò perchè sembrava preda di un attacco d'asma. «Chiamo qualcuno?» chiese piegandosi a mettere una mano sulla spalla della ragazza «Non sembra che tu stia bene, ti accompagno da qualche parte... siamo davanti al dipartimento di medicina, avranno un infermeria» riflettè guardandosi intorno e vedendo le scritte sugli edifici universitari davanti alla fermata dell'autobus. Nuovamente ricevette un movimento del capo in risposta, stavolta di diniego, ma subito dopo vide il busto della studentessa piegarsi in avanti, improvvisamente, come se stesse per cadere a terra. Allungò un braccio per passarglielo davanti alle spalle e bloccare la caduta «Ehi, ehi... tu non stai bene!» ribattè cominciando a preoccuparsi sul serio. I fogli le caddero dalle mani, le aveva allungate per fermare la caduta, ma si avvinghiarono invece al suo braccio. Jun si risolse ad appoggiare un ginocchio a terra e mettere l'altra gamba, piegata, dietro di lei. «Mi senti? Respira a fondo ok? Con calma, intanto puoi appoggiarti a me. Va bene?» disse lentamente prima di far forza con il braccio per sollevarle il busto e riportarla lentamente in posizione eretta e poi leggermente all'indietro, così che si appoggiasse alla sua gamba e all'altro braccio, pronto a tenerle la testa se ce ne fosse stato bisogno.
«Tu?» fu la prima cosa che la studentessa riuscì a dire quando si appoggiò a lui: aveva ripreso un minimo di controllo sul proprio respiro. Era Shiori, la ragazza di Kintaro. Era gracile ma bellissima anche quel giorno, con il rosso dei fiori del vestito che ben si intonava alla stagione che avvolgeva la città, i boccoli neri che sembravano copiare l'arricciatura della gonna. «Sono sorpreso quanto te» replicò con una smorfia. In un primo momento aveva sentito riaffiorare i sentimenti spiacevoli che aveva provato per lei la sera della festa, poi il respiro ancora faticoso della ragazza lo fece riflettere rapidamente: che gli piacesse o no, quella donna aveva bisogno di un aiuto. «Come ti senti? Ti stai riprendendo o devo andare a cercare qualcuno?» la osservò chiudere gli occhi. Erano talmente vicini, talmente a contatto, che avrebbe potuto baciarla e farlo passare per un incidente, una perdita di equilibrio, un movimento mal calcolato. Scacciò quel pensiero e seguì i movimenti della giovane che tentava di rimettersi dritta e mantenersi da sola. «No, adesso mi rialzo» rispose con un soffio di voce. Lentamente, in tre buoni minuti e con il suo aiuto, tornò in piedi. «I fogli» la ascoltò lamentarsi mentre guardava a terra con una smorfia
«Lascia stare, te li prendo io se mi dici che riesci a stare in piedi senza che mi debba preoccupare di acchiapparti al volo» la rassicurò Jun: fingeva perchè voleva che li raccogliesse lui o quell'aria sofferente era autentica? Lei annuì e lui si abbassò a raccoglierli. «Grazie, scusa...» non l'aveva mai sentita ringraziare nessuno la sera che si erano conosciuti. Jun per primo era una persona riservata quindi raccolse i fogli senza far caso a cosa fossero, ma quando si accorse che alcuni erano lastre non potè fare a meno di incuriosirsi. «Ma non studiavi storia?» domandò riconsegnandole il tutto
«Sì, perchè?» chiese quella con voce tremante. Doveva ammetterlo: in tutto quel discorso non c'era ancora una frase che gli sembrasse costruita come quelle che le aveva sentito dire alla festa. «Scusa, è solo che ho visto delle lastre e pensavo di aver capito male, che facessi medicina e non storia» e a quelle parole la vide stringere nuovamente i fogli, una luce di paura e d'ansia le attraversò gli occhi neri. «Non sono affari miei» concluse Jun, messo a disagio
«Credo che mi siederò alla fermata ad aspettare il prossimo autobus. Scusami ancora» azzardò un lieve inchino e coprì con passo incerto lo spazio tra lei e la banchina dell'autobus. La osservò sistemare i fogli sulle gambe e tirare fuori un maglioncino arancione dalla borsa mentre ci passava sopra una mano per ripulirla dopo la caduta. Si appoggiò alla panchina della fermata e, respirando profondamente, strinse ancora i fogli al petto, rimanendo immobile. Sembrava un quadro o una foto per pubblicizzare... l'autunno! Era bella.
Tornò due minuti dopo porgendole un bicchiere «Prendilo dai bordi, scotta» le intimò guardandola corrucciato. Non era propriamente d'accordo con la parte di se stesso che aveva deciso di continuare ad aiutarla. «Cos'è?» domandò lei arricciando il naso
«Latte macchiato con molto zucchero: se hai avuto un capogiro ti farà bene qualcosa di dolce» spiegò, sempre più contrariato, ma dando al suo tono più neutralità possibile
«Non mi piace il caffè» ribattè lei girando lo sguardo dall'altra parte, chiaramente rifiutando la gentilezza che lui invece stava cercando di mostrarle a fatica «Era meglio un te»
«Vedo che stai meglio a sufficienza per riacquistare quell'atteggiamento snob e capriccioso che ancora non ti avevo visto usare oggi» la accusò non riuscendo a trattenersi davanti a quella scortesia
«E tu hai finalmente mostrato la tua insofferenza nei miei confronti. Non ho bisogno della tua ipocrisia» replicò quella a tono, volgendosi di nuovo a guardarlo. Quelle parole dure furono un'autentica sorpresa per Jun, era convinto avrebbe continuato a fingersi carina e a fare i capricci invece si era appena mostrata esattamente per ciò che era. Nei suoi occhi neri brillava una luce che rivelava una forza incredibile racchiusa in quel corpo sottile. «Non sono ipocrita» fece Jun, sbalordito ma sempre irritato
«Uno che fa il gentile con chi gli sta antipatico io lo classificherei proprio così: ipocrita» puntualizzò Shiori
«Allora sei l'ultima che può rimproverarmi una cosa del genere: tu sei costantemente ipocrita» si vendicò lui, ancora con il bicchiere caldo tra le dita
«Come scusa?» arrossì in viso
«Tratti bene la gente intorno a te, ma non ti interessa di loro, vuoi solo sfruttarla per qualcosa: farti versare da bere? Far aprire la finestra? Approfitti del tuo bell'aspetto e del fatto che tutti i ragazzi farebbero qualsiasi cosa per te» le spiegò pacato «Oh stai tranquilla! Lo nascondi benissimo, si potrebbe dire che i tuoi sorrisi siano sinceri, le tue parole gentili e genuine e il tuo interessamento per gli altri autentico» cominciava a prenderci gusto a schernirla in quel modo, soprattutto ora che, davanti a quella verità, chinava il capo e sembrava abbassare le orecchie come un cagnolino sgridato. «Dubito che Kinta kun se ne sia reso conto comunque. Io invece... non so... sono sempre stato molto sensibile: sono bravo ad intuire la natura delle persone. E adesso prendi questo accidenti di bicchiere prima che mi bruci le dita!» ordinò con forza nella voce, esasperato dal calore attraverso il cartone. Inaspettatamente la ragazza ubbidì e prese il bicchiere senza ribattere. Con un sospiro Jun le sedette accanto: forse aveva esagerato, infondo era una sconosciuta per lui e non aveva il diritto di accusarla su come si comportasse quotidianamente, eppure non poteva sopportare che una così meschina stesse al fianco di una brava persona come Kintaro. Per quanto fosse di buon cuore non poteva anche essere così sprovveduto da non vedere il poco riguardo con cui la sua fidanzata trattava lui e quelli che aveva intorno! Ma nessuno lo notava, né le amiche, né i ragazzi... era brava. «Le ragazze che mi si avvicinano solo per interesse sono migliori di me?» domandò improvvisamente lei, ancora non aveva toccato la bevanda «E quelle che mi sono amiche solo per essere notate al mio fianco? O i ragazzi che tentano di prendermi le mani, toccarmi i vestiti, solo per potersene poi vantare... mi fanno schifo» spiegò con una smorfia «Ma tu... tu sei peggio di tutti. Chi ti credi di essere per permetterti di giudicarmi? Oh già... Matsumoto Jun» pronunciò il suo nome con tono disgustato prima di versargli il latte macchiato caldo sulla gamba e lanciargli addosso il bicchiere vuoto. Salì al volo sull'autobus che era arrivato in quel momento mentre Jun rimase senza parole, in parte perchè quell'aggressività l'aveva spiazzato, in parte perchè era rimasto scottato dal latte. Osservò l'autobus finchè non lo vide svoltare un angolo: la ragazza non si girò mai a vedere la sua reazione. Probabilmente non le interessava nemmeno, era soddisfatta semplicemente di avergli risposto a tono e di aver avuto l'ultima parola!
Minuti dopo, mentre tornava a casa in taxi, dato che non poteva girare con i pantaloni e la scarpa gocciolante, gli squillò il telefono. «Pronto?»
{Ciao Jun, sono Kintaro}
«Ciao! Oggi ero passato dall'università per venire a trovarti, ma alla fine non ci sono riuscito»
{Sì, ho saputo} fece quello con voce greve. Non era un buon segno «Ti ha chiamato Kumagawa san?» domandò laconico
{Sì, mi ha raccontato tutto}
«Senti Kintaro kun... mi dispiace. Ho esagerato con lei, mi spiace sul serio. Non si ripeterà più e comunque credo che non ci saranno molte occasioni di incontrarla, quindi puoi stare tranquillo»
{Sì... non c'è da preoccuparsi} gli rispose blando
«Però siamo amici. Mi spiace doverlo dire, ma non capisco cosa ci fai con una così. Non posso dire di conoscerla, chiaramente, ma, scusami, non ci vogliono mesi di frequentazione per capire che non è una persona sincera con gli altri» gli disse, dentro di sé ancora sperava che Kintaro si rendesse conto del tipo di persona con cui stava: a Jun non serviva frequentarla per capire che non era adatta all'amico. {Senti Jun, lei non è come credi tu. So cosa le hai detto, ora è arrabbiata, ma la calmerò io. Tu però credimi: lo so che sembra una persona strana, che sembra...}
«Sembra indossare una maschera, Kintaro!» esclamò esasperato «Ma nessuno se ne accorge, possibile che nemmeno tu la veda?»
{No, Jun, la vedo benissimo. Per quello non dico niente} gli rispose quello dall'altro capo del telefono
«Non ti capisco allora»
{Tu meglio d'altri dovresti sapere che le persone portano più di una maschera, spesso una sopra l'altra}
«C'è dell'altro che non so?» domandò sempre più confuso
{Ha... ha i suoi motivi, Jun. Non giudicarla, per favore. Ora devo andare, ci sentiamo} spiegò mentre delle voci dietro di lui lo chiamavano
«M-mh» mugugnò semplicemente, prima di chiudere la conversazione. “Tu meglio d'altri”. Kintaro era uno dei pochi a saperlo: Jun ai tempi della scuola era diverso da quello che era diventato dopo l'incontro con il gruppo, era il ritratto vivente di quello che poi era diventato il personaggio che gli era stato assegnato da impersonare davanti al grande pubblico in veste di Matsujun, degli Arashi. Quel personaggio era magnetico, silenzioso, riservato, ma anche scorbutico e ombroso. Al tempo però non era una finzione, era lui che si comportava così con tutti: era un Johnny's Junior, la gente lo avvicinava per quello e non per altro e così aveva assunto quell'atteggiamento per allontanare le persone che in realtà non erano interessate a lui ma solo al suo successo, al suo futuro sotto i riflettori. Anche se solo un ragazzino aveva capito che non poteva mostrarsi sgarbato, rischiando di influenzare negativamente il suo pubblico, quindi aveva indossato una maschera di fredda gentilezza e di pura circostanza oltre la quale la gente percepiva una seconda maschera, silenziosa, scostante e sfuggevole, dalla quale non si poteva percepire nulla della sua vera personalità. Sotto ancora si era nascosto un Jun ragazzino alla disperata ricerca di qualcuno che lo apprezzasse semplicemente come essere umano e non per quello che rappresentava o avrebbe rappresentato. Solo gli Arashi e pochi altri erano arrivati fino a quello “strato” di sé. Con Kintaro inizialmente erano diventati amici proprio perchè non era mai stato interessato a scoprirlo, ma solo ad avere un amico, indipendentemente dal suo essere famoso o meno, e lo trattava come tanti altri: allora gli aveva dato l'illusione di aver trovato qualcuno che finalmente lo capisse, ma inizialmente nemmeno Kintaro aveva percepito le sue maschere. Con gli anni si erano conosciuti meglio e l'amico si era reso conto di non conoscerlo affatto, così, con pazienza, aveva scavato in lui fino a scoprire il vero Matsumoto Jun.
“Tu meglio d'altri”. Significava che anche quella ragazza stava nascondendo altri sentimenti dietro il disprezzo per chiunque che, a sua volta, era nascosto sotto una falsa gentilezza?

«Oh, si è mosso» ridacchiarono sui sedili posteriori
«La pioggia è diminuita» li ignorò il guidatore «Sta anche tornando il caldo infernale. Odio la stagione delle piogge» sbuffò rimettendo in moto
«E' vero. Ti illude che farà più fresco con tutta l'acqua che vien giù, poi appena smette torna ad esserci caldo torrido e vorresti strapparti di dosso la pelle» concordò il passeggero al suo fianco. La macchina tornò nel silenzio mentre usciva dalla piazzola e si rimetteva in strada, entrando nelle pozzanghere con cautela riprese ad andare sull'asfalto bagnato. «Questo tipo di cerimonie non sono adatte all'estate» osservarono da dietro
«Preferisci quelle che si tengono in inverno?»
«No» negò subito, per poi riflettere «No, neanche in inverno. Ma nemmeno in autunno o in primavera»
«Sai cosa?» chiese quello di fianco a lui «Non credo che ci sia una stagione adatta a questo genere di cose, quindi semplicemente facciamolo. Almeno per lui» e infatti continuarono a correre sulla statale senza fermarsi, finchè la pioggia lo permetteva.

Secret
Dalla cabina di regia gli fecero segno e Jun capì che erano pronti a cominciare. Si mise le cuffie sulla testa e sistemò il collo della maglietta nera, come se si sentisse strozzato. Scrollò appena le spalle e ascoltò la musica che partiva. Era così abituato a sentire le canzoni con le voci di tutti, che incidere un pezzo da solista gli faceva sempre uno strano effetto, era come se mancasse qualcosa: uno spazio vuoto o della distanza tra la musica e le sue parole. Ma era solo una sensazione, tutte le volte che ascoltava il prodotto finale si sentiva soddisfatto e quel divario spariva. Era sempre felice, perchè quello era il suo lavoro, la bravura di Matsumoto Jun messa a confronto con tutti gli altri: non erano gli Arashi, era lui, la sua voce, le sue capacità. Quando prese fiato per cominciare a cantare sperò dal profondo del cuore di arrivare presto al momento in cui si sarebbe sentito meglio, in quel momento invece non gli restava che mettercela tutta.
Incisero dodici volte la prima strofa, continuava a partire con poca grinta, e venti il ritornello, ma quello perchè era lui a non essere convinto di come gli veniva. Si passò la mano tra i capelli mossi scompigliati -non si era pettinato granchè quella mattina, dopo la registrazione doveva andare ad un programma televisivo, ci avrebbero pensato lì ad acconciarlo- e sospirò rumorosamente. Era talmente sfatto che dopo due ore di prove in quella stanzetta insonorizzata si era tolto la giacca e quasi sudava nonostante le maniche corte. Non lo fece apposta, ma in cabina di regia lo sentirono sospirare tramite il microfono, che pure era lontano dalla sua bocca, così Jun li sentì parlare nelle cuffie. {Matsujun, facciamo un po' di pausa, va bene?} domandarono al di là del vetro. «Si, grazie. Scusatemi molto» rispose inchinandosi profondamente. Quando rialzò lo sguardo potè constatare che non era l'unico ad aver bisogno di una pausa, anche gli altri erano disfatti. Si tolse le cuffie e le appese al leggio su cui stava il testo della canzone con i suoi appunti in matita, poi uscì dalla camera. «Jiro san va a prendere delle birre, ne vuoi una?» domandò uno dei tecnici
«Mmmh» mugugnò lui scuotendo il capo «Vado a prendere una boccata d'aria e mi cerco un distributore. Ho voglia di Mitsuya» rispose rimettendosi la giacca sulle spalle e indossandola mentre usciva «Quanto tempo ho?»
«Quindici minuti» ridacchiò uno di loro
«Masaru san!» lo rimbeccò il capo di regia «Si avvicina l'ora di pranzo, ci riposiamo quindici minuti, facciamo una riunione per fare il punto della situazione e poi ci mangiamo qualcosa insieme,ti sta bene? A che ora cominci alla Fuji?»
«Alle tre»
«Allora abbiamo il tempo di provare ancora qualcosina dopo pranzo. Ora vai a rinfrescarti le idee, siamo tutti a pezzi». Senza farselo ripetere, Jun si allontanò. La stanza era invivibile con tutto il fumo che c'era: dopo tutti quegli anni non si spiegava come mai nessuno avesse ancora denunciato le cabine di regia come la peggior fonte di cancro ai polmoni del Giappone. Anche per lui, che pure fumava, era insopportabile. Si avviò lungo il corridoio ed evitò l'uscita sulle scale antincendio, perchè molti tecnici e artisti andavano ad accendersi la loro consolazione bianca anche lì. Decise piuttosto di scendere le scale e se ne andò per l'uscita principale. La strada su cui affacciava il palazzo era una viuzza stretta e tranquilla dove si trovavano anche altri studi di incisione: la calma che regnava lì era paradossale se si pensava al rumore che si sviluppava in ognuna delle cabine di registrazione e ancora di più se si immaginava il "rumore" che ogni disco e pezzo musicale avrebbe diffuso poi nel mondo. Pioveva e, mentre rifletteva su tutto questo, si mise a correre per raggiungere il distributore dall'altra parte della strada, un po' lontano dall'entrata. Socchiuse gli occhi alle gocce, per guadare cosa scegliere, e scorse del caffè caldo in lattina. Si frugò nelle tasche dalla giacca alla ricerca di monetine e le infilò nella fessura prima di premere il pulsante, ma non successe nulla. «Mh... beh?» borbottò premendo ancora. La macchinetta ancora non diede segno di volergli dare quello che gli spettava. «Si è rotta» sospirò mordendosi le labbra e si strinse nelle spalle sentendo le gocce che gli entravano nel colletto della giacca «E si tiene anche centocinquanta yen»
«Centotrenta» sentì dire mentre improvvisamente smetteva di piovergli sulla testa «Hai dimenticato di metterne venti» una mano introdusse le monete mancanti e premette il pulsante: il distributore emise un ronzio e il violento rumore della lattina che cadeva ruppe il silenzio della via. Al suo fianco c'era Shiori con un ombrello in mano, lo teneva alto per coprire anche lui. «Non lo vuoi più?» domandò lei vedendo che non si chinava a prenderlo: effettivamente era rimasto imbambolato e stupito a guardarla. Di tutti i posti dove poteva essere in quel lunedì di pioggia, a due settimane dall'ultima volta in cui si erano visti (o insultati?), perchè proprio lì? «Grazie» disse prima di piegarsi a recuperare la lattina di caffè caldo «Come mai da queste parti?» domandò raddrizzando la schiena
«Mi sono domandata la stessa cosa di te quando ti ho visto uscire» spiegò lei. Nella sua voce non c'era traccia di risentimento o rabbia, aveva un tono tranquillo, pacato e morbido. Indossava un vestito color crema lungo fino al ginocchio di lana leggera, oltre l'ampia scollatura dovuta al collo morbido si vedeva una camicia rosso scura. Anche la giacca che indossava era rossa, come il fiocco sulla molletta che aveva tra i capelli. Se li era arricciati anche quel giorno e quei boccoli neri ben spiccavano sul colore intenso del tessuto su cui dondolavano quando camminava. La invitò ad entrare nella hall «Kintaro kun mi ha detto che oggi aveva delle faccende da sbrigare da queste parti e mi ha chiesto di incontrarci qui per pranzo» spiegava la ragazza mentre oltrepassava la porta e chiudeva l'ombrello trasparente
«A me ha chiesto di vederci a pranzo in università da lui» replicò Jun, tanto sbalordito che quasi si strozzò con il caffè «Ma dato che oggi incido fino alle due e alle tre ho una registrazione alla Fuji TV mi ha proposto di vederci qui... che significa?» aggrottò le sopracciglia
«Ah, ho capito» sospirò lei scuotendo il capo «E' tipico suo. Sono settimane che non fa che parlarmi di te, delle tue buone qualità, del fatto che dovrei chiederti scusa e conoscerti meglio. Insiste col dire che non sopporta che io non vada d'accordo con un suo caro amico»
«Con me ha fatto lo stesso parlando di te!» esclamò sbalordito il ragazzo. Non era solito sentire spesso una persona che non lavorava con lui, eppure dal suo compleanno non faceva che sentire Kintaro al cellulare un giorno sì e un giorno no: si era fissato che dovevano fare pace, dovevano andare d'accordo, e quell'ultimo tranello per farli avvicinare era decisamente troppo. «Che idea assurda!» sbottò buttando la lattina in un cestino vicino all'entrata «Arrivare a fare questa farsa solo per farci incontrare»
«Mi dispiace per il suo comportamento» rispose lei facendo un lieve inchino
«Kumagawa san» fece lui in tono ironico «Puoi anche abbandonare i tuoi modi perfetti, non ne hai alcun bisogno perchè su di me non attaccano» ogni volta che si accorgeva della facciata perfetta e forzata della ragazza si sentiva il sangue alla testa
«Giusto, come ho potuto dimenticarmene» fece lei con una smorfia
«Adesso lo chiamo» fece spazientito: quella tipa era snervante, non poteva incantarlo con il suo aspetto meraviglioso e disgustarlo non appena diceva qualcosa. Era il classico tipo che era carino finchè non apriva bocca. «Lascia stare, faccio io» ribattè lei, piccata, con già in mano il cellulare. Pigiò la combinazione di tasti per chiamare Kintaro in automatico e spostò il peso su una gamba sola mentre attendeva di sentir rispondere. «Imbecille!» esclamò non appena ci fu qualcuno dall'altra parte della linea «Come ti vengono in mente questi giochini da bambino delle medie?»
«Elementari» la corresse Jun
«Medie» ribattè lei fulminandolo con lo sguardo, ma contro di lui serviva a poco: non avrebbe mai abbassato gli occhi, non gliel'avrebbe mai data vinta. «Non mi interessa cosa pensavi tu, io penso che sia un'idiozia! ... e invece mi sono arrabbiata, guarda un po'! Stammi bene a sentire: siamo persone adulte e civili, se vogliamo risolvere un problema lo sappiamo fare da soli, non abbiamo bisogno delle tue trovate di cattivo gusto... sì che mi ha dato fastidio, Kinta kun, e parecchio!» spiegava guardando fuori dai vetri delle porte d'entrata, spostando ogni tanto il peso da un piede all'altro «E se invece fosse proprio quello che vogliamo? La gente ha tutto il diritto di stare sulle palle ad altra gente sai?» era la prima volta che la sentiva parlare in maniera così scurrile, a pensarci bene, si disse Jun, alcuni modi e gesti, seppur completassero il quadro della ragazza "meravigliosa, deliziosa e irraggiungibile", sembravano originali suoi: aveva sempre un comportamento pacato e in un certo modo tranquillo anche quando i suoi sentimenti erano estremi. «No, stai semplicemente zitto e non farti sentire finchè non mi passa» concluse così la telefonata e allungò il braccio verso di lui per porgergli il cellulare «Se hai qualcosa da dirgli...». Prese il telefono bianco e lo portò all'orecchio {... ma Shio chin, non fare così!}
«Sono io» disse Jun per avvisarlo che aveva cambiato interlocutore
{Oh, ciao! Senti, ma sei arrabbiato anche tu? Non volevo irritarvi...} si scusava l'amico, aveva ancora quella voce da ragazzo sottomesso alle prepotenze della fidanzata
«Non dubito della tua buona fede, ma non farlo più»
{Ascolta Jun... prova a parlare con lei, sono certo che vi somigliate più di quanto non credi. Potreste andare d'accordo} provò ad incoraggiarlo l'altro
«Kintaro, non ho bisogno dei tuoi suggerimenti per instaurare delle amicizie o una qualsiasi altra relazione con qualcuno. Magari sei tu che sbagli non credi? Tu pensi, anzi, speri, desideri, che la tua fidanzata e i tuoi amici vadano sempre d'accordo, ma a volte capita anche che le cose non vadano come vogliamo» provò a spiegargli con pazienza, dopo la strigliata di Shiori non se la sentiva di riversargli addosso la frustrazione che aveva sentito all'avere a che fare di nuovo con quella donna «Non hai di che preoccuparti, io e te ci incontriamo una volta al mese se va bene, quindi anche se io e Kumagawa san non andiamo d'accordo il tuo rapporto con noi non si guasterà. Ora lascia che ci pensiamo noi, ok?» e dopo la risposta chiuse la conversazione e riconsegnò il cellulare alla proprietaria. In quel momento comparvero delle persone nell'ingresso «Matsujun, ti stavamo cercando» dissero questi: erano i tecnici, i quindici minuti dovevano essere passati. «Scusate, arrivo subito» rispose chinando il capo
«Oh...» «Ooooh, che carina!» «E' amica tua Matsujun?» «E' la tua fidanzata?» domandarono quelli non appena videro Shiori vicina a lui
«Ehm...» fece il moro, colpito dall'effetto immediato che faceva la ragazza sugli altri
«Come si chiama? Ce la presenti?» «Io sono Matsuo, lui è Taro»
«Scusate il disturbo» rispose composta Shiori, facendo un inchino elegante «Sono Shiori Kumagawa. Io e Matsumoto san siamo solo conoscenti e ci siamo incrociati per caso» spiegò con un sorriso gentile, quindi spostò gli occhi su di lui comportandosi come se fino a quel momento non si fosse arrabbiata nemmeno una volta «E' stato un piacere incontrarti, Matsumoto san. Scusa per averti trattenuto, buona giornata» e chinò il capo per poi afferrare l'ombrello con decisione, segno che in capo a tre secondi sarebbe uscita di lì senza voltarsi indietro nemmeno una volta. «Aspetta» pronunciò quindi Jun accorgendosi di aver aperto bocca solo nell'atto di richiuderla, dopo aver già parlato. Lo sguardo sbalordito e stranito di lei lo confuse ancora di più: cosa doveva dirle ancora? Perchè chiederle di aspettare se entrambi, senza ombra di dubbio, non volevano parlare l'uno con l'altra? «Sei venuta qui per pranzo e Kinta kun non c'è, giusto?» domandò a bassa voce, avvicinandosi a lei perchè gli altri non sentissero: era gente abbastanza adulta e seria da non lanciarsi su una bella donna appena la vedevano, quindi erano rimasti a distanza. «Si» rispose, ma il tono era di domanda, nemmeno lei capiva dove volesse andare a parare Jun con quel discorso
«Hai tempo quindici minuti? Ho una riunione prima di pranzo con lo staff, poi avrei dovuto mangiare anche io con Kintaro, ma lui non c'è» spiegò con voce ferma, ma dentro di sè era piuttosto confuso e si chiedeva cosa stesse dicendo il secondo dopo aver parlato «Piuttosto che mangiare soli andiamo insieme da qualche parte?» domandò. Era l'ultima cosa che avrebbe voluto fare e probabilmente anche lei avrebbe preferito sedersi sola al tavolo piuttosto che in sua compagnia, ma prima che potesse ritirare la sua offerta si ritrovò ad aggiungere «Offro io» consapevole del fatto che una come lei, che faceva di tutto per ingraziarsi gli altri di modo da ottenere qualcosa, avrebbe difficilmente detto di no ad un pasto gratis ottenuto senza sforzo da un idol di prima classe. «E dove dovrei stare mentre ti aspetto?» domandò stranita: stava accettando quindi?
«Può stare in regia con noi» azzardò uno degli altri, Shiori non aveva abbassato la voce nel rispondergli «Abbiamo arieggiato la stanza» rassicurarono gli altri per sottolineare che non c'era fumo che potesse ostacolare l'arrivo di una ragazza così carina. Jun sospirò, si era cacciato in quella spiacevole situazione da solo: forse alla fine era rimasto anche lui stregato dai suoi modi e dalla sua bellezza? La consapevolezza di tutta quella finzione lo aveva aiutato a lottare contro la tentazione fino a quel momento, poi doveva aver ceduto. «Quindici minuti» sillabò lei lentamente. Si girò per seguirli e gli fece un sorriso di scherno quando la sua copriva la vista del suo viso agli altri. Nei suoi occhi vide una specie di lampo di trionfo e questo lo fece ribollire di rabbia, mentre una metà, silenziosamente, gioiva di poterla tenere ancora vicina quando meno se l'aspettava.
La riunione durò meno di quindici minuti, ma il giovane, una volta messosi seriamente a pensare al suo lavoro, si dimenticò completamente di lei e chiese di fare un'ultima incisione di prova. Aveva sufficientemente ossigenato il cervello fuori da lì, la bevanda gli aveva scaldato la gola -oltre che lo stomaco- e la pioggia autunnale gli aveva dato una svegliata: mise le cuffie ed attese paziente l'inizio della base. Oltre il vetro, ora che guardava verso la parete di fondo della regia, vide la figurina di Shiori appoggiata al muro. Si era tolta il cappotto e l'aveva appeso ad un braccio. Stranamente non aveva aperto bocca nonostante, se ne accorse solo allora, stessero sforando i minuti che si era raccomandata di farla aspettare. Sarebbe stata la sua ripicca per quello sguardo di trionfo che gli aveva rivolto. Arrivò il momento di cantare e prese un profondo respiro prima di tirare fuori tutta la voce che aveva. Sentiva le parole vibrargli in gola, la forza del suo respiro, profondo e calcolato con le pause della canzone, lo isolava da altri pensieri e lo aiutava a concentrarsi: esistevano solo le parole, la musica e quel senso di vuoto che tornava ad attanagliarlo, ma la potenza che metteva nelle parole sembrava spingerlo verso le note nel tentativo di colmare lo spazio che sentiva dividerlo dalla canzone stessa. Quando finì il primo ritornello, da dietro il vetro vide il regista e il suo aiuto fare degli applausi, che non poteva sentire da là dentro, quindi rise ai gesti insulsi dei più giovani: amava il suo lavoro, amava la musica.
Pochi minuti dopo stava seduto allo sgabello alto di un piccolo locale dove una coppia di anziani cucinava ramen di tutti i tipi. «Allora, perchè mi hai invitata?» domandò lei quando arrivarono i loro piatti, dopo aver ascoltato con finto interesse le parole della moglie del cuoco che si era rivolta a loro parlando di argomenti che non interessavano a nessuno dei due. Mentre Jun avrebbe dato a vedere che non aveva voglia di ascoltare lei aveva assecondato la signora che poi si era complimentata per le buone maniere e la bellezza della sua "fidanzata". «Per lo stesso motivo per cui tu hai accettato» rispose, elusivo
«Ossia?» insisté lei spezzando le bacchette
«Perchè lo chiedi a me? Non sai cosa ti ha spinto ad accettare?» volle prenderla in giro nel tentativo di girare il discorso a suo favore
«E tu cosa ne sai del mio "perchè"?» fece quella storcendo il naso «Vedi, è questo tuo atteggiamento da superiore che mi dà ai nervi: nessuno è alla tua altezza, niente di tocca e se lo fa, fai di tutto per dissimulare e dimostrare il contrario. Devi essere mister perfezione, il tipo "bello e dannato"»
«A me sembra che tu stia descrivendo te stessa» replicò lui risucchiando rumorosamente i primi spaghetti tirati su con le bacchette «Sei tu che ti comporti da snob, ma sei anche peggio di così perchè il tuo snobismo è ancora più evidente tutte quelle volte che dimostri un po' di attenzione per gli altri, esseri inferiori rispetto a te. Gli dai la tua pietà come a dimostrare che sei buona e caritatevole, tu che dall'alto della tua perfezione puoi addirittura permetterti dei sentimenti per gli altri»
«Aaaah, che stress!» esclamò allora Shiri appoggiando un gomito al tavolo «Non arriveremo da nessuna parte se continuiamo ad insultarci» fece lei tristemente
«Vorresti farmi credere che quasi-quasi saresti interessata ad avere a che fare con me per non sentire più il tuo petulante fidanzato che insiste nel vederci amici?» domandò sorpreso, lanciandole un'occhiata. Il vestito color crema staccava sulla camicia a maniche lunghe, rossa come il cappotto. Era un rosso scuro, profondo. Chi indossa simili colori non può essere una persona fredda come lei invece sembrava. Kintaro aveva accennato a delle maschere tempo prima. «Ma mi credi così antipatica? Magari sto seriamente pensando di provare a vedere chi è l'amico del mio fidanzato» mordicchiò metà del naruto che galleggiava nel brodo del suo piatto
«Oh... ok» fece perplesso, prima di vederla alzare lo sguardo verso di lui, serissima. Come facevano a nascere al mondo donne così incantevoli? «Scherzavo!» scoppiò lei a ridere «Volevo solo vedere se ci cascavi» nascose la bocca dietro le mani mentre gli occhi si piegavano in due piccole mezzelune
«Oh perfetto» rispose risentito «Sei veramente stronza allora» e guardò il suo piatto imbronciato. Lo aveva preso in giro crudelmente eppure era la prima volta che la vedeva ridere così: dopo il quasi soffocamento di qualche settimana prima, quello sembrava il secondo vero sentimento che mostrava davanti a lui. Caddero nel silenzio mentre lei conteneva le risate che pian piano scemavano. «Perchè Kintaro?» domandò Jun dopo un po'
«Intendi dire "perchè hai scelto proprio Kintaro"?» precisò mentre cercava con le bacchette gli ultimi spaghetti rimasti nel brodo, prima di berlo «Perchè è sincero, è spontaneo. E' una persona sempre allegra» si portò la ciotola alle labbra e finì il contenuto «Lui ha un dono meraviglioso, una capacità che io non ho... non l'ho avuta fino ad oggi e non l'avrò mai»
«Sarebbe?» provò ad insistere
«Lui attira le persone, ma non ha bisogno di pensare a cosa dire o come fare. Se lui vuole conoscere qualcuno va da quella persona e comincia a parlare: il giorno dopo li vedi arrivare in università insieme e si sono già scambiati due CD o qualche videogame, libri o manga. Non importa se siano maschi o femmine, più grandi o più piccoli... lui non si fa problemi, si presenta per com'è: allegro, spontaneo; e le persone rimangono al suo fianco desiderando di rimanere in sua compagnia senza che lui... beh, senza che debba lottare per tenersele»
«Tu invece sei così terribile come persona che devi fingerti un'altra e studiare degli atteggiamenti particolari per attirare l'attenzione?» domandò finendo a sua volta la ciotola
«No» ribattè risentita «Non ho bisogno di fare niente per richiamare le persone. Lo hai visto benissimo anche tu che i ragazzi mi si avvicinano subito per avere le mie attenzione e le ragazze che non mi invidiano decidono di diventare mie amiche per guadagnarci qualcosa. No, anche io attiro le persone»
«E allora non capisco. Se la gente viene da te di sua spontanea volontà perchè ti fingi un'altra persona?»
«Ma mi stai ascoltando?» chiese lei arrabbiata, abbassando la voce e girandosi sullo sgabello per guardarlo in faccia da vicino «Vorresti avere intorno a te solo persone che vogliono sfruttarti per guadagnarci qualcosa?»
«B... beh no» farfugliò colpito da quell'improvvisa vicinanza, quasi un segno di confidenza tra loro che poche ore prima si sarebbero volentieri insultati in pubblica piazza
«Appunto... ma le persone sensibili capiscono che il mio carattere è una finzione e non mi vogliono. Credo che alla lunga anche i meschini si accorgerebbero che non hanno niente da guadagnarci a stare con me e si allontanerebbero, anche loro mi lascerebbero da sola» abbassò lo sguardo sistemando le maniche della camicia che aveva arrotolato per non sporcarle mangiando. «Ne deduco allora che fingere non ti porta da nessuna parte. Quindi ancora mi sfugge il motivo per cui lo fai» Jun aggrottò le sopracciglia: che discorso stavano facendo? A lui cosa importava di Shiori? Ma tutto sommato gli era stato detto che c'erano delle motivazioni vere dietro il suo atteggiamento e lei sembrava aver cambiato atteggiamento, perciò non sarebbe stato cortese continuare a fare lo scontroso: era la ragazza di Kintaro, poteva darle un'altra possibilità. «Si?» domandò lei, piano «E' così difficile? Lo faccio per evitare che si allontanino»
«Ma è gente meschina, lo hai detto tu stessa che non la vorresti intorno. Perchè allora fingi per tenerla vicina?» gli stava venendo il mal di testa
«Perchè sono le uniche persone che ho!» esclamò con la voce tremante «Sono le uniche e allora possono essere terribili quanto vogliono, io non sono da meno, ma preferisco tenermele piuttosto che rimanere sola» erano parole tristissime, si aspettava le lacrime da un momento all'altro invece quando la guardò in viso vide che non aveva nemmeno gli occhi lucidi: se fosse stata una messinscena anche quella avrebbe simulato un pianto per intenerirlo, invece aveva l'espressione dura, gli occhi asciutti che fissavano immobili la scatola dei tovaglioli sul bancone. C'era qualcosa di terribilmente triste e angosciante in quella non-tristezza. «Io... Kumagawa san...» improvvisamente tutti i suoi atteggiamenti prendevano una piega diversa alla luce di quelle ragioni «Ma Kintaro non è una di quelle persone, io lo so. Significa che puoi attirare anche persone che sono buone e... beh... che vogliono stare con te anche se... se sei quella che... sei» non sapeva come spiegarsi senza offenderla, non si sarebbe fatto scrupoli pochi minuti prima, ora sì: la sua impassibilità davanti a quel discorso triste lo inquietava e lo spaventava. «Kintaro è una pecora nera. Uno tra cento e io...» inspirò per poi trattenere il fiato «... io non ho tempo di aspettare di incontrare altri come lui»
«Mh?» sembrava gli avessero tirato un tegola in testa o che gli avessero venduto uno scoiattolo al mercato del pesce: che cosa stava dicendo? Cosa c'entravano quelle parole con tutto il discorso?
«Il tuo tempo a disposizione è scaduto, tra poco dovrai andare, quindi torno a casa anche io» annunciò lei dandogli le spalle rapidamente per scendere dallo sgabello e prendere il cappotto
«Oh... si, si... hai ragione» guardò l'orologio, erano le due e mezza e doveva ancora chiamare il taxi. Shiori lasciò delle monete sul bancone e Jun la guardò stranito mentre stava ancora cercando il suo portafoglio nelle tasche della giacca. «Ho promesso che avrei offerto io» le ricordò. Lei si strinse nelle spalle «Non voglio essere in debito con te» rispose recuperando l'ombrello. Si ostinava a rispondergli in quel modo tagliente anche dopo la sua confessione! Inoltre aveva pagato per entrambi e non solo per se stessa: era lui ad essere in debito ora.
Una volta fuori compose il numero per i taxi e si mise in attesa mentre lei apriva l'ombrello e copriva entrambi «Che fai?» gli domandò curiosa. Gli occhi completamente limpidi con cui lo guardò sembravano abbattere definitivamente il muro che si era creato tra di loro «Oh.. beh... chiamo il taxi» rispose, era ancora spiazzato da quel repentino cambiamento di rapporto tra loro e ora che l'aveva vista esprimersi in modo più sincero, comportarsi più naturalmente, sembrava un po' meno lontana e, se possibile, più bella di prima. «Lascia stare» sospirò lei allungando la mano e chiudendogli il cellulare quasi sull'orecchio: bene, era dispotica di natura a quanto poteva constatare. Gli lasciò l'ombrello in mano e la osservò fare una rapida corsa sui tacchi fino al bordo del marciapiede. Shiori si strinse nel cappotto non abbottonato e incassò la testa delle spalle per poi mettersi in punta di piedi e alzare il braccio quando un taxi comparve nella via. La macchina si fermò all'istante al suo fianco. «E' libero?» la sentì pigolare dopo aver aperto la portiera. Il guidatore spense subito la luce, segno che stava andando a recuperare qualcuno per una corsa prenotata «Dipende da dove vai, signorina» gli rispose quello
«Alla sede della Fuji TV, Odaiba» rispose passandosi le mani sui boccoli che si allungavano mentre la pioggia li appesantiva
«Va bene, va bene» ridacchiò quello, dopodiché lei fece segno a Jun di avvicinarsi. «Trucchi che i begli idol in incognito non possono permettersi» ridacchiò riprendendosi l'ombrello
«Come?» domandò Jun ancora spaesato
«E' il tuo taxi, sali, se chiami ora e aspetti che arrivi non ce la farai mai in tempo: devi lavorare tra venticinque minuti giusto?» aveva registrato nella sua mente tutti i dettagli che si era detto con gli altri in sala di registrazione? Poteva comportarsi da capricciosa egoista, ma era anche una che faceva molta attenzione agli altri. «Io torno in treno. Grazie del pranzo»
«Ma l'hai pagato tu» ribattè girandosi per entrare nel taxi
«Tu l'hai proposto» disse lei decisa, quindi gli sorrise divertita, sinceramente divertita e si voltò per andarsene. La osservò fare qualche passo «Cosa significa?» le domandò a voce alta, perchè lo sentisse
«Cosa significa "cosa"?» fece lei fermandosi e guardandolo da sopra una spalla, girandosi appena
«Che non hai tempo» aveva l'impressione di aver rotto una sola barriera tra loro, quel giorno, ma spessa quanto dieci sia per lui che per lei. Quella domanda probabilmente era troppo e rischiava di andare a toccare muri che ancora era bene non sfiorare ed abituarsi piuttosto alla libertà nuova che c'era tra loro, ma Jun era curioso e non riusciva a trattenersi. La vide alzare uno sguardo verso l'alto, verso le gocce che cadevano dalle stecche dell'ombrello trasparente, quindi prese il respiro e rispose: «Segreto» con il viso serio, ma non arrabbiato, prima di incamminarsi nuovamente.

La macchina finalmente parcheggiò davanti al cancello di entrata delle mura di un tempio. La pioggia aveva temporaneamente smesso di cadere, ma il cielo rimaneva grigio e nuvoloso, segno che avrebbe ripreso. Stava solo concedendo un attimo di tregua. «Siamo arrivati?» domandò il passeggero che aveva dormito fino a quel momento
«Che tempismo!» fecero notare gli altri
«Si, siamo arrivati. Sgranchiamoci le gambe e tu datti una sistemata, hai dormito in una posizione impossibile» si raccomandò il guidatore tirando il freno. Tutti i cinque ragazzi scesero dal mezzo e si stiracchiarono: ci sarebbe voluta una brezza fresca per farli riprendere, ma non si muoveva una foglia e faceva un caldo spietato. Sospirarono e si scambiarono qualche rapida parola, mentre i loro passi scricchiolavano sulla ghiaia. Un monaco comparve oltre il cancello e si inchinò verso di loro con un mezzo sorriso sul volto. Risposero tutti, rimanendo seri. «Siete ospiti della famiglia Kumagawa?» domandò avvicinandosi
«Si, siamo qui per la cerimonia» risposero confusamente
«Non potete lasciare qui la macchina, abbiamo solo questo parcheggio e lo riserviamo per i genitori della ragazza» gli spiegò compito «Dietro la curva c'è uno spiazzo dove altri invitati hanno lasciato la loro vettura. Ah ma voi siete...» si bloccò subito dopo, riconoscendo uno di loro
«Ehm... si» questo arrossì vistosamente abbassando lo sguardo «Loro sono amici»
«Allora lasciatela pure qui, andiamo forza. Fortuna che siete in cinque: i genitori della ragazza sono in ritardo e abbiamo bisogno di qualcuno che intrattenga gli ospiti nell'attesa. Prego, seguitemi». Il gruppetto si sistemò giacche e cravatte e si avviò alle spalle del monaco per seguirlo all'interno del piccolo parco dove era costruito il tempio. Le gocce di pioggia residua scivolavano sulle foglie e picchiettavano sui sassi cadendo a terra, ma nessun uccellino cantava sui rami. Era veramente segno che il brutto tempo non era finito.

Raison
Allungò una mano a toccare quella di Sho. I palmi delle loro mani, incontrandosi, fecero un rumore secco coperto poi dalle loro risate. «Ottimo lavoro» pronunciavano quelli dello staff e Jun si inchinava di nuovo, mentre batteva un cinque anche a Nino
«Grazie per il lavoro svolto» salutava Aiba inchinandosi, mentre si dirigeva con tutto il gruppo verso i camerini. Fecero tutti un ultimo saluto verso il pubblico presente alle registrazioni di quel giorno e poi si allontanarono per il corridoio. «I programmi dove siamo ospiti sono quasi più divertenti dei nostri» rifletteva Ohno allentandosi la cravatta
«Patteggi per il nemico?» domandò Jun ridendo
«No, nel senso che... è più bello lavorare senza sapere cosa ti aspetta no? Nei nostri sappiamo già cosa ci accadrà»
«Lo saprai tu! Io quando gioco con gli ospiti di "VS Arashi" ho sempre il cuore a mille» spiegò Aiba aprendo la porta del camerino «Non so chi vincerà o meno e non so se tifare per noi o no»
«Cosa significa? DEVI tenere per noi... per te stesso!» esclamò Sho ridendo sbalordito
«Lo so! Ma non mi sembra leale»
«Tsè! Non gli sembra leale... ma lo senti?» domandava Nino scuotendo il capo mentre si buttava distrutto sul divano
«Cioè pensaci, se vincessimo sempre noi la gente non avrebbe più interesse nel guardarci, no? Ma io voglio che le persone si divertano guardandoci quindi a volte spero di non vincere» rise prendendo un sorso d'acqua «Tipo, se vinciamo una puntata quella dopo spero di perdere, ma se perdiamo più di una volta di fila allora voglio vincere»
«E' bravissimo a simulare impegno anche quando vuole perdere, vero?» scherzò Jun che raccoglieva le sue cose rapidamente
«Per me si impegna sempre» ribattè Ohno
«Certo che mi impegno sempre! Siete la mia squadra! Io mi impegno, ma a volte spero che non basti» si zittì per qualche secondo, pensieroso «Vabbè non importa. Ahahahah! Non so nemmeno io cosa sto dicendo»
«Visto?» e risero tutti. Era venerdì pomeriggio tardi, la sera si avvicinava: benedetto venerdì sera! Jun aspettava sempre quel momento della settimana con impazienza. Era la sua serata, poteva scegliere in piena libertà cosa fare: rimanere in casa a fare nulla, uscire con gli amici, seguire qualcuno del gruppo da qualche parte, farsi una birra con altri colleghi, andare in famiglia e tanto altro. Quando riaccese il cellulare trovò tre chiamate perse, due di conoscenti sul lavoro e uno da un numero sconosciuto. Come se il suo sguardo corrucciato avesse preteso un chiarimento, il telefono squillò ed era esattamente quel contatto anonimo. «Pronto?» domandò a mezza voce
{Matsumoto san?} domandarono dall'altro capo del telefono
«Chi è?» domandò ancora, deciso a non dire chi fosse finchè non si fosse accertato dell'identità del suo interlocutore
{Mmmh... sono Kumagawa, Kumagawa Shiori. La ragazza di Endo Kintaro} sentì rispondere infine. Per un attimo sentì il panico assalirlo, gli succedeva tutte le volte che chiamava qualcuno a cui non era stato lui a dare il numero. «Ah si, ciao» fece lanciando uno sguardo ai quattro che, facendosi i dispetti, cominciavano a cambiarsi per lasciare gli studi «Dimmi pure»
{Hai da fare stasera?} la sua voce suonava normale, stranamente calma e senza alcuna inflessione. Non pareva felice come ci si sarebbe aspettati da qualcuno che propone di uscire il venerdì sera, ma nemmeno triste come ci si potrebbe aspettare da qualcuno che tenta di sfuggire ad una serata solitaria e noiosa. «Non ancora. Come hai avuto il mio numero?» domandò subito dopo, Nino alzò lo guardo su di lui, stranito da quella sua frase
{L'ho estorto a Kinta kun} ammise candidamente
«Kumagawa san... questo numero è un numero privato che non possono avere tutti» sospirò Jun appoggiandosi con la spalla alla finestra per dare le spalle agli altri. Contemplò il paesaggio di Tokyo che si scuriva rapidamente «E lui lo sapeva benissimo. Cosa gli hai fatto per...»
{Vuoi proprio saperlo? Sarebbero cose private tra fidanzati} rispose lei sbrigativa. Jun arrossì e ridistribuì il peso sulle gambe, imbarazzato.«Mi prendi in giro... perchè ha fatto chiamare te per organizzare un'uscita? E' successo qualcosa?»
{Nessuno ha fatto chiamare nessun'altro e Kintaro sta benissimo} specificò lei {Sono io che ti sto chiedendo di uscire}
«Come scusa?» fece sbalordito «Non mi sembra il caso di...» abbassò la voce avvicinando la bocca al cellulare «... di uscire con la ragazza di un mio amico» spiegò infastidito
{Quanto la fai lunga: me l'avrebbe potuto dare solo lui il numero, no? Quindi lo sa benissimo che ti sto chiamando: non è che se un uomo e una donna escono insieme stanno per forza flirtando. E poi lo so che mi detesti, quindi non ci sono rischi} a sorpresa, una volta che la si conosceva meglio, diventava più schietta. O forse era meglio definirla "priva di tatto"? {Se non vuoi uscire dimmi solo "no" e finiamola qui} concluse lei non sentendolo rispondere. In realtà Jun ci stava ancora riflettendo, ma a quella frase rispose di getto «Allora, no»
{Va bene, scusa il disturbo} sospirò Shiori e semplicemente riattaccò. Jun sbattè le palpebre e fissò il cellulare aperto con la scritta "Chiamata terminata Durata: 7:43 min" sul display luminoso. Aveva chiuso senza ricamarci troppo su, senza cercare di supplicarlo ed intenerirlo. Eppure, da quel che aveva detto, avrebbe voluto avvicinarsi a persone che riuscivano a stare con lei anche dopo aver riconosciuto che la "prima" Shiori era solo una facciata. E lui era uno di quelli no? No, forse lui si riteneva tale, ma non le aveva dato la prova di esserlo. Ormai erano passati due mesi da quando erano andati a mangiare ramen insieme. Con Kintaro e il suo gruppo era uscito solo un paio di volte per via degli impegni, com'era abituato a fare, e Shiori era sempre stata lì. Pur non avendola sopportata in un primo momento si era ritrovato a trovare in lei una compagnia divertente quasi più di tutti gli altri amici del gruppo. Certo erano simpatici, nessuno si comportava in maniera strana anche se tendevano a lasciare una certa distanza, un contegno tra loro e lui, e a Jun andava bene così. Con Shiori non era lo stesso, lui e Kintaro erano le persone con cui lei parlava di più, ma mentre con il fidanzato aveva la libertà di fare i capricci e dare ordini senza sentirsi dire di no, da lui riceveva più rifiuti che altro: si ribellava al suo gioco da bimba viziata, non ci stava e spesso le lanciava frecciatine per il solo gusto di vederla infastidita. Il più delle volte scherzavano entrambi, ma Jun percepiva che tra loro si era creato un equilibrio e non sapeva come facevano a farlo resistere: ogni tanto temeva che Shiori si offendesse seriamente oppure sentiva il rischio di essere infastidito da lei una volta per tutte. Sospirò e si tamburellò la fronte con l'angolo del cellulare aperto, riflettendo sul da farsi. «Aaaaaah...» sentì sussurrare alle sue spalle «Ha sospirato: giuro che l'ho sentito sospirare!» Nino alle sue spalle doveva aver ascoltato parte della conversazione
«Che fai, impiccione?» domandò storcendo le labbra e abbandonò l'apparecchio per finire di raccogliere le sue cose
«Non ti metti mai in un angolo a parlare sottovoce al cellulare se siamo solo noi cinque» lo accusò
«Nell'angolo ci si mette sempre, in realtà» sottolineò Aiba
«Sì, ma il tono di voce è normale! Non è che stiamo tutti ad ascoltare i cavoli suoi, ma solitamente non si fa problemi a dire qualcosa davanti a noi» continuò il più basso «Una donna?» domandò andando subito al sodo. La domanda fu così diretta che, nonostante fosse abituato alla schiettezza tra loro, Jun non potè fare a meno di arrossire: pessima reazione. Qualcuno ridacchiò, Ohno sgranò lo sguardo e Nino si preparò a tempestarlo di domande, ma prima che potesse farlo Jun aveva già raccolto tutto nella borsa. «Ma quali donne?» disse simulando indifferenza «Ho di nuovo problemi con i miei ed era mia madre che voleva che ci incontrassimo per chiarire» spiegò infastidito. Gli altri tornarono seri, sapevano che lui aveva un buon rapporto con i suoi, ma aveva sempre preferito rimanere da solo e questo la famiglia non l'aveva mai preso bene. L'argomento era causa di liti che ciclicamente si ripresentavano ogni mese, in un momento in cui o lui o loro erano particolarmente stressati e avevano bisogno di una valvola di sfogo. Era un sentimento che a Jun non piaceva raccontare agli altri, lo aveva sempre fatto sentire infantile, più piccolo. E tra tutti era effettivamente il minore, ma spesso riusciva ad essere più serio e responsabile della maggior parte di loro che, pure se più grandi, si affidavano a lui per molte cose. Questo lo faceva sentire bene, i litigi spiacevoli in famiglia no.
Un paio d'ore dopo era vestito con una mise mediamente elegante -jeans, camicia semplice e giacca di completo, senza cravatta- e attendeva in macchina davanti ad una stazione dei treni. Shiori entrò trafelata in macchina, guardandosi costantemente intorno. Indossava dei pantaloni neri e da sotto la giacca intravedeva una maglia bianca dal taglio tipicamente cinese, con i bordi neri, i bottoni e i passanti rossi. «Smettila di guardare a destra e a manca» la rimproverò mentre metteva in moto «Dai ancora di più nell'occhio che muovendoti normalmente»
«E se qualcuno dovesse vederti perchè io non faccio attenzione?» domandò nervosa, facendosi piccola sul sedile del passeggero: inutile, Shiori era già piuttosto asciutta di fisico, quasi gracile. «Solitamente la gente non ha macchine fotografiche con sè ogni secondo, quindi non potranno provare proprio niente se pure dicessero in giro di avermi visto con una ragazza» la tranquillizzò accendendo il navigatore «Allora dove...»
«Ti metto l'indirizzo» lo interruppe Shiori e lui ridacchiò «Cosa?» domandò sgranando gli occhi
«No niente, fai pure» rispose fissando la strada: cominciava a trovare quasi tenero quel suo modo di imporsi, a volte prepotente a volte disperato, come se non volesse perdere il controllo della situazione.
Quella sera Shiori aveva piastrato i capelli fino a renderli perfettamente lisci, anche la frangetta era stata tagliata per essere alla pari e andarle sulla fronte senza infastidirle gli occhi. Il moro non aveva potuto fare a meno di notare come gli fosse impossibile non puntarle gli occhi addosso, un po' come tutti gli uomini intorno a lei. La osservava tanto da ricordare perfettamente come si fosse vestita tutte le volte che l'aveva vista (cinque in tutto, non molte per la verità). Seguendo le indicazioni sullo schermo del navigatore arrivò davanti ad un ristorante cinese «E' questo?» domandò guardando oltre il finestrino
«Sì, è lui!» annunciò lei raggiante slacciandosi la cintura. Parcheggiò e si avviarono all'ingresso. Fortunatamente il locale era piccolo e le persone dentro sembravano soprattutto cinesi. Le tenne aperta la porta per farla passare e sorrise tra sè quando notò lo sguardo sorpreso di Shiori mentre oltrepassava la soglia. Si accomodarono ad un tavolo sedendosi a terra, sui cuscini e Jun maledì di aver messo i jeans. Il menù, così come gli interni, non erano pretenziosi, era tutto molto semplice e poco lussuoso, aveva quasi l'aspetto che lui si immaginava avrebbe avuto un ristorantino di una via di Nánjīng o Taipei. «Se i clienti hanno scelto, posso prendere le ordinazioni?» domandò il cameriere vestito in abiti tradizionali
«Buona sera Zhang san» salutò con un sorriso Shiori, richiudendo il menù di scatto «Prendo il solito»
«Co... sei già stata qui?» domandò Jun che aveva appena finito di leggere solo la prima pagina
«Kumagawa san è una cliente abituale» rispose il cameriere con un sorriso compiaciuto «Hai messo la camicia dell'altra volta, te l'avevo detto che ti sarebbe calzata perfettamente» commentò verso la ragazza, ignorandolo completamente. Si vedeva lontano un chilometro che era l'ennesimo uomo cotto di lei e così si spiegava anche i sorrisi fin troppo larghi dei due giovani all'entrata, un altro cameriere e un cassiere. Non poteva credere che lei lo avesse portato nel covo dei suoi spasimanti. Chiuse di scatto il menù, facendo apposta un rumore secco con le pagine plastificate per richiamare l'attenzione. «Prenderò la stessa cosa» concluse pur di mandarlo via alla svelta
«Va bene, torno subito» e Jun sperava vivamente di no «Non credevo conoscessi il posto» osservò poi
«Sono io che ti ho invitato fuori, Matsumoto san, mi sembrava più corretto portarti in un posto di cui fossi sicura della cucina e dell'ambiente. Nessuno chiamerà alcun fotografo qui e poi i clienti sono per la maggior parte cinesi di una certa età»
«Il personale no» fece notare, i camerieri erano probabilmente più giovani di lui di un paio d'anni e quindi anche di Shiori
«Ma se glielo chiedo io tengono la bocca chiusa» specificò passando il dito sul bordo del bicchiere di vetro
«Oh certo... dimenticavo le tue abilità da seduttrice» fece il moro, acido, incantandosi ad osservarle le lunghe dita affusolate
«Detta così è fraintendibile, io sorrido e sono gentile. Tutto qui» ribattè punta sul vivo, ritirando la mano
«E indossi magliette regalate dai camerieri» specificò
«Non mi ha regalato nulla!» ribattè sgranando gli occhi «Non accetterei un regalo dal genere dato che sono fidanzata» e quella fu la prima volta che il ricordo di avere davanti la ragazza di un suo amico gli fece male al cuore «Sua sorella è arrivata da poco in Giappone, ha due anni meno di me e abbiamo passato una serata piacevole a chiacchierare. E' stato interessante vedere il Giappone attraverso gli occhi di una straniera. Comunque era interessata alla moda di Tokyo e alla fine abbiamo deciso di fare uno scambio: un mio indumento per uno suo, tipicamente cinese. Zhang san ci ha aiutato a decidere cosa lei avrebbe dato a me e abbiamo seguito il suo consiglio che era questa camicia» spiegò passandosi i polpastrelli sulle maniche. Dopo cambiò discorso. Succedeva sempre così: gli piaceva ascoltarla raccontare aneddoti, la seguiva nel continuo cambio di argomento e si dimenticava immediatamente se aveva detto qualcosa di fastidioso o se la stava prendendo in giro pochi minuti prima. Il menù che aveva preso aveva qualcosa di piccante e Shiori non lo avvisò apposta per prenderlo in giro dopo il primo boccone. Tutti i cibi erano piuttosto particolari, non di quelli che venivano offerti di solito in altri ristoranti e si divertì ad assaggiare quei nuovi sapori, anche se ogni volta temeva di fare una figuraccia che lei gli avrebbe rinfacciato.
Non le lasciò pagare il conto quella volta, anche se era stata lei ad invitarlo, e tornarono verso la macchina. Nonostante si fosse divertito parecchio durante la cena era particolarmente stanco, probabilmente quella sera se ne sarebbe rimasto volentieri a casa steso a leggere un libro o si sarebbe fatto un bagno caldo nell'ofuro prima di telefonare a qualche amico per passare la serata. Ma c'era stata la telefonata di Shiori e lui una volta fuori dagli studi l'aveva richiamata: che fosse stato il desiderio di dimostrarle che di lui poteva fidarsi? O forse era semplicemente che la prospettiva di passare una serata con lei, da soli... scosse il capo: a queste cose non doveva nemmeno pensare. Lui la detestava, come aveva detto Shiori al telefono quel pomeriggio. Osservò la sagoma del suo corpo in controluce davanti ad una vetrina di una sala da pachinko dall'altra parte della strada, particolarmente luminosa e rumorosa. L'aveva notato più volte, Shiori non era magra era gracile. Nonostante ciò il suo essere così cocciuta e la sua maniera di imporsi la facevano sembrare più forte di quando non dava a vedere.I primi tempi si era chiesto se non fosse una di quelle fissate con la dieta o che scioccamente tentavano di vomitare ogni volta che mangiavano per non ingrassare. Invece era a posto, l'aveva vista mangiare normalmente anche dei dolci. Ne derivava che quel corpo che pareva fragile non aveva delle belle curve, come si sarebbe potuto invece vedere in una donna in carne, sembrava anzi che non fosse ancora maturato del tutto, ma che fosse ancora quello di una diciassettenne.
Si sedettero in macchina e Jun si prese qualche attimo per respirare a fondo, sentendo la stanchezza che cominciava anche a fargli venire il mal di testa: non era la serata adatta per uscire. «Ti riporto a casa se mi dici dove abiti» propose
«Casa?» domandò lei chiudendo la portiera «Ma cosa dici? Andiamo a vedere un film da qualche parte»
«Un film?» sospirò, per il mal di testa in arrivo non era la cosa più indicata «Ma vuoi ancora stare fuori? Dai torniamo»
«No, no! E' presto per tornare! Andiamo al cinema forza, non fare il vecchio che va a letto per le 10 di sera» lo prese in giro lei mettendosi la cintura
«Non faccio il vecchio. Io ho lavorato, Kumagawa san» precisò a denti stretti. Una parte di sè chiaramente voleva solo stendersi sul divano e riposare, un'altra smaniava a quell'occasione, la prima, per uscire loro due da soli. Sospirò nuovamente, sospirava un sacco ultimamente. «Al cinema mica devi faticare» spiegò lei stringendosi nelle spalle e cominciando a pigiare i tasti del navigatore
«Piuttosto beviamo qualcosa da qualche parte, con la musica poco alta» tentò di mediare
«No, voglio vedere un film» insistè lei «Non è che ce n'è uno tuo nelle sale? Sarebbe divertente andarlo a vedere insieme» ridacchiò. Jun le spense il navigatore con un gesto spazientito «Ehi ma...»
«Non ci sono miei film e non voglio andare al cinema» disse lapidario «Smettila adesso. Ti porto a casa»
«Io non voglio andare a casa! Se proprio non ti va lasciami alla stazione allora» rispose lei incrociando le braccia, altezzosa, e guardando fuori dal finestrino. L'atmosfera tra loro poteva essere bella e diventare tesa e insopportabile il secondo successivo, era quello il loro equilibrio? Sempre da un estremo all'altro senza mai arrivare a toccare il fondo di nessuno dei due? Toccare il fondo della rabbia era ormai impossibile ora che si conoscevano abbastanza e che avevano imparato a rispettarsi, mentre arrivare all'estremo della felicità era escluso dato che Kintaro era... «Si può sapere perchè mi hai chiesto di uscire?» domandò stizzito e infastidito da tutti i suoi pensieri di quella sera. Mise in moto, nervoso. «Così» fece spallucce
«Non me la bevo» rispose con sicurezza «Dov'è Kintaro? Perchè non sei uscita con lui oggi?»
«Ho le mie ragioni» rispose ancora, evasiva
«Che scuse sono, Kumagawa san? La smetti di comportarti da bambina capricciosa e mi fai parlare con una donna matura e con la testa sulle spalle?» esclamò spazientito. Svoltò bruscamente nella via principale al termine della quale stava la stazione «A volte mi sembra di essere uscito con una sorella minore e di dover fare da balia»
«Piantala di prendermi per il culo» sbottò arrabbiata seriamente
«Ah, io ti prendo per il culo?» domandò sollevando le sopracciglia, sorpreso e incredulo «Smettila di menare il can per l'aia: vuoi spiegarmi il perché di questa serata? Perchè non vuoi tornare a casa? Perchè non sei con Kintaro?»
«Non posso uscire con gli amici invece che con il mio fidanzato? Mica viviamo in simbiosi» fece lei irritata
«Certo che no, ma...»
«Ti irrita così tanto essere usciti da soli?» domandò scuotendo il capo
«No» farfugliò, ma lei continuava a parlare come se non lo sentisse
«Visto che ti piaccio e che hai appena finito una settimana di lavoro pensavo ti facesse piacere uscire in piacevole compagnia» non potè fare a meno di domandarsi, con ironia, se la "piacevole" compagnia fosse lei. «Ma probabilmente mi sbagliavo. Sei uno che si fa troppi viaggi mentali e allora devi passare tutta la serata a domandarti del perchè e del percome, il fatto che io voglia semplicemente cambiare compagnia non è sufficiente per te»
«Se quella fosse la vera ragione del tuo comportamento me l'avresti detta fin dall'inizio» la interruppe alzando la voce. Shiori gli aveva appena sbattuto in faccia il fatto che lui era innamorato di lei (dopo che al telefono aveva detto l'esatto contrario: che lui la detestava), insomma lo aveva punto sul vivo con un argomento che da circa un mese evitava di affrontare con se stesso per non complicare la situazione. Lei invece aveva buttato tutte le carte in tavola come se niente fosse! Ma era chiaro, a Shiori cosa importava? Lei era fidanzata con Kintaro, quello che ora doveva fare i conti con il suo cuore era lui. «Se invece ti ostini a non volermelo dire, significa che c'è dell'altro»
«Senti, piccolo Sherlock dagli occhi a mandorla, accosta che alla stazione ci vado a piedi» sbottò già aprendo la portiera. Non se lo fece ripetere due volte, frenò anche per paura che scendesse mentre erano ancora in corsa. Nemmeno lo salutò, scese dalla macchina e si allontanò da sola. Jun si appoggiò al volante, ancora scosso e attonito: cosa era successo? Improvvisamente non voleva parlare di Kintaro e non voleva dirgli cos'era successo. Aveva evitato il discorso per tutta la serata saltando tutti gli argomenti e i discorsi che lo riguardassero. Li aveva tagliati fuori dalla sua sfera d'interesse tanto abilmente quanto eludeva molte delle domande personali che le aveva fatto tutte le volte che si erano incontrati. A due mesi che la conosceva ancora non sapeva dove abitasse, con chi, come fosse composta la sua famiglia, se avesse amici -di quelli veri, fidati- o cos'avesse fatto nella sua vita fino a quel momento. Raccontava sempre avvenimenti sporadici, di poco conto, come quello della camicia cinese. Cosa faceva nella sua vita? Quando non si vedevano dove andava, che gente frequentava? L'università com'era? Studiava e poi? Lavorava magari? Incrociò le braccia sul volante, stringendosi nelle spalle, sconsolato. Si sentì un nodo in gola che non lo fece respirare per qualche secondo: si era innamorato? Sì. Di una ragazza dal carattere orribile? Sì. Fidanzata con un suo carissimo amico? Maledizione, sì.
Dopo qualche minuto passato in silenzio a riordinare le proprie idee si tirò su e riallacciò la cintura per mettere in modo e andare a casa. In quel momento qualcuno andò addosso al cofano della sua macchina, ridendo a più non posso. Probabilmente era qualcuno di particolarmente ubriaco, ma dato che non pareva volersi levare da lì Jun abbassò il finestrino del passeggero e spense la luce interna della macchina. «Ehi! Dovrei ripartire» avvisò la ragazza che accompagnava il tizio steso sulla sua macchina. Era stretta in un elegante abito da sera. Quello era un bel corpo: non poteva farsi piacere una con un po' più di seno, per esempio? Si faceva pena da solo: cercava di trovare i mille difetti di Shiori per convincersi a farsi passare la cotta? «Scusi, scusi, adesso ci togliamo» fece lei con un inchino cortese per poi raggiungere quello che doveva essere il fidanzato «Ehi, ti senti bene? Andiamo dai, stai dando fastidio»
«Cinque minuti» farfugliò quello, Jun avrebbe giurato di averlo visto accomodarsi meglio sul cofano
«No, andiamo adesso. Su» sospirò lei. Poveraccia, a giudicare da com'erano vestiti erano andati in un ristorante e lui doveva aver bevuto troppo vino o magari non lo reggeva affatto. Lei gli mise il braccio sulla spalla e cercò di sollevarlo a fatica «Dai... dai, non vedi che stiamo dando fastidio? Muoviti!» diceva imbarazzata dalla situazione
«Ehi amico, solo due minuti. Due e mi riprendo!» esclamò quello alzando lo sguardo verso di lui «Dai Himiko, lasciami un attimo» farfugliò baciando la fidanzata sulla guancia. Jun si slacciò la cintura e scese al volo dall'auto, appoggiando le mani sul cofano e osservando il ragazzo dall'altra parte con gli occhi sgranati. «Kintaro?» domandò spiazzato.

Seguirono il monaco che camminava a passo sicuro lungo il sentiero. «Adesso ci tocca fare da intrattenitori?» bisbigliò uno di loro
«Ne dubito» commentarono gli altri «Comunque io non sono dell'umore adatto per improvvisare un qualsivoglia numero»
«Un tempio buddhista non è lo scenario adatto ad fare un ballo. Immaginaci a cantare "Allergy"» e alcuni ridacchiarono
«Con delle verdure giganti in mano? E' proprio l'ideale» ma dovettero abbandonare quello stupido discorso quando arrivarono in prossimità del tempio. Gli ospiti erano tutti vestiti eleganti e chiacchieravano tra di loro anche se con poco brio data l'afa incontenibile di quel pomeriggio: sfiancava chiunque e faceva passare la voglia di impegnarsi in qualsiasi attività. Anche parlare era stancante e si sudava persino a stare fermi. «Potete attendere qui con gli altri?» domandò il monaco «Lei vuole venire con me dentro nel frattempo?» aggiunse con un sorriso sereno. Il ragazzo annuì timidamente e lo seguì.
L'intero tempio profumava di legno dato che l'acqua ne aveva bagnato le colonne e il tetto, mentre l'odore di erba bagnata gli riempiva le narici tutte le volte che si volgeva a guardare la foresta intorno. «Prego» fece quello aprendo una porta scorrevole e lasciandolo entrare da solo nella sala decorata, dopo che si fu tolto le scarpe. Si guardò intorno osservando la sala addobbata e perfettamente immobile: era difficile pensare che entro pochi minuti sarebbero entrate lì tutte le persone che stavano fuori. Si avvicinò ad una delle finestre e l'aprì lentamente, dato che risultava dura da far scorrere,: non si muoveva una foglia, l'aria era immobile. Così ferma che sembrava essersi fermato anche il tempo.

Rendez-vous
Osservava il paesaggio tokyota dietro le vetrate dell'alto edificio a più piani, sede della JS, l'etichetta. Teneva la fronte appoggiata al vetro e il suo bel profilo dai tratti morbidi rivelava un'espressione triste e pensierosa insieme. Un paio di ciocche ondulate nere si piegavano in morbide onde arrivando a dondolargli davanti agli occhi. Teneva le mani nelle tasche dei pantaloni ed la silhouette della sua figura magra spiccava contro il blu del cielo di quella tersa giornata autunnale. Migliaia di donne si sarebbero sciolte alla vista del bel ragazzo, malinconico e pensieroso: i raggi del sole lo investivano in pieno accentuando i colori degli abiti, illuminando il suo viso, ma rendendo anche più evidente l'ombra delle sopracciglia corrucciate. Nessuno le avrebbe viste, comunque, dato che era rivolto verso il vetro. Erano trascorsi due giorni da quando aveva incontrato Kintaro in giro con un'altra donna e da quella sera l'amico non si era più fatto sentire. A voler essere sinceri nemmeno Jun aveva voglia di sentirlo. Non ce l'aveva con lui, ma era profondamente turbato.
«Eeeeh? Matsujun?!» esclamò la ragazza i cui occhi, se fosse stato possibile, sarebbero facilmente saltati fuori dalle orbite tanto era sbalordita
«Sssssh, sei pazza?» domandò Kintaro mettendole una mano sulla bocca, ma senza premere, era troppo sbronzo per farlo
«Per favore non urliamo» fece il moro, più diplomatico «Kintaro, cosa ci fai qui?» domandò in un primo momento, poi però ripensò alle priorità e scosse il capo. «Ti aiuto a metterlo in macchina» disse quindi alla giovane prima di fare il giro intorno alla macchina e alzarlo dall'altro braccio. Lo sollevarono entrambi e lo lasciarono accasciarsi sui sedili posteriori. «Lo riporto a casa, tu stai bene?» domandò alla ragazza
«Oh si, io sto bene. Kintaro kun mi aveva detto di conoscerti, ma non gli avevo creduto» balbettò lei confusa. Gli venne da sorridere a quella frase, ma non era quello il momento giusto per prenderlo in giro con quel discorso. «Ascolta, vai a casa. Non credo che andrà da nessun'altra parte stasera» le spiegò indicandogli l'amico in macchina con un cenno del capo
«Oh veramente... non so dove siamo» quella ragazza non era brava come Shiori a mentire, si vedeva bene che si fingeva sperduta solo per strappare un passaggio a Matsumoto Jun. «Guarda, quella è la stazione» le indicò l'edificio illuminato ad una cinquantina di metri da loro: il rumore dei treni era perfettamente udibile. «Non è nemmeno tardi. Io lo riporto a casa perchè credo che abbia proprio bisogno di un letto, non vorrei che peggiorasse» disse usando l'amico come scusa «Mi spiace»
«Capisco» fece delusa lei. Jun sapeva simulare sincera preoccupazione per convincerla che era una situazione urgente e pericolosa se non lo riportava a casa: era un attore, accidenti! Si salutarono rapidamente, lei gli chiese di stringergli la mano e dopo averla accontentata si mise alla guida. Fece inversione per prendere la strada di casa. «Come al solito sei un genio per liberarti delle fan» commentò dopo qualche minuto Kintaro, stava semi disteso sui sedili posteriori. Poteva vedere il suo viso in un angolo dello specchietto retrovisore. «Grazie» rispose semplicemente, il tono era gelido e in un primo momento se ne stupì persino lui, ma era normale: appena aveva ammesso con se stesso di essersi innamorato di una ragazza fidanzata e si era ripromesso di scordarsene dato che il suo ragazzo era un suo grande amico, aveva scoperto che lui la tradiva! Qualcuno avrebbe dovuto stabilire, per legge, un limite massimo di emozioni a serata. «Mi vuoi spiegare cos'ho appena visto?» domandò lentamente, non sapeva se Kintaro sarebbe stato in grado di parlare
«Solo se tu mi vorrai spiegare perchè ho visto la mia ragazza uscire dalla tua macchina». Strinse il volante in uno spasmo di sorpresa: li aveva visti? «E' presto detto» gli rispose. Di cosa si stava preoccupando? «Kumagawa san mi ha chiamato oggi per chiedermi di uscire dato che "voleva cambiare compagnia"» ripetè le parole della ragazza «E non ha voluto dirmi come mai non usciva con te»
«E quando gliel'hai dato il numero?» domandò spaesato Kintaro, era ubriaco ma riusciva a ragionare, o così sembrava
«Gliel'hai dato tu» rispose preoccupato Jun
«Ma che dici? Lo so da anni che non posso dare in giro il tuo numero di cellulare, ne va della tua sicurezza e della tua privacy. Mi potrebbe supplicare per mesi, ma non lo darei nemmeno a lei»
«Ah no?» domandò sollevando le sopracciglia, incredulo
«Piuttosto l'avrei fatta chiamare dal mio cellulare, ma: no, non gliel'avrei dato»
«A me ha detto che sei stato tu a darglielo» ribattè Jun con decisione: non aveva fatto nulla di male, non doveva dare l'impressione -tra l'altro sbagliata- di essere stato colto in flagrante con Shiori, ne andava della loro amicizia. «Mai fatto. Ne deduco che l'abbia preso da sola dal mio cellulare» sbuffò l'amico sistemandosi meglio sul sedile «Merda... mi gira la testa»
«Io ho risposto alla tua domanda, ora vuoi rispondere tu alla mia?» insistè il ragazzo. In quella storia c'erano sempre meno cose che gli quadravano e voleva cominciare a vederci chiaro. «Hai visto quel che hai visto, Jun» si strinse nelle spalle «Ero in giro a divertirmi con una ragazza»
«Tu sei fidanzato, Kinta» gli disse chiamandolo come si chiamavano ai tempi del liceo dato che aveva cominciato a farlo anche lui «Perchè sei uscito con un'altra ragazza?»
«Anche Shiori è fidanzata, perchè è uscita con un altro ragazzo?»
«Perchè il suo era già occupato, ne deduco. Non so se è a conoscenza del motivo, però. E in ogni caso noi due abbiamo solo cenato e poi ci siamo mandati a quel paese, mentre mi pareva che tra te e quell'altra ragazza ci fosse parecchio feeling»
«Magari sono solo tue impressioni»
«Mi credi fesso?» domandò lanciandogli un'occhiataccia nello specchietto. L'amico deglutì e si fece improvvisamente serio, guardando fuori dal finestrino «Senti Jun... non è facile. Io la amo, d'accordo?»
«Ti riservo il beneficio del dubbio» gli rispose glaciale
«No, sul serio... Shiori chan è bellissima, è una persona intelligente. Si diverte con niente, anche se poi davanti agli altri fa i capricci per ottenere sempre più cose... in realtà sta bene così com'è, non è pretenziosa. E' molto più semplice di tante altre ragazze. La amo, sto bene con lei» spiegò Kintaro, snocciolando ancora una volta tutte le buone qualità della fidanzata
«Ma?» incalzò Jun
«Ma... Jun, siamo tra amici, quindi non mi faccio problemi a dirlo, ma che non esca da qui» specificò rapidamente
«Ho la bocca cucita»
«Non poter andare a letto con la tua ragazza alla lunga ti stanca» ammise quello mordendosi le labbra «Puoi amarla quanto ti pare ma... insomma, c'è bisogno anche di quello no? Intendo, sia per far funzionare una coppia, sia fisicamente. C'è un bisogno»
«Non mi dirai allora che quella di prima era un'accompagnatrice?» chiese sbalordito il moro
«Ma che cazzate dici? Kaori è una mia compagna di corso» si affrettò a specificare «Usciamo insieme da circa un mese. Non è bella quanto Shiori, ma anche lei è una brava ragazza e poi... possiamo divertirci»
«Diamine, Kinta! Ma che idiozie stai cercando di propinarmi per giustificare il tuo tradimento?» disse Jun, pieno di rabbia «Non sono un prete e nemmeno tua madre. Se ti sei stufato e vuoi farti un'altra puoi dirmelo, non sono mica qui a giudicarti, ma risparmiami qualsiasi balla tu possa inventarti e taglia corto: questo discorso ha dell'assurdo»
«Non è una balla Jun, è vero» ribattè quello con decisione «Shiori è malata. E' sempre stata di salute cagionevole e si sapeva che aveva problemi al cuore, poi a Novembre dell'anno scorso, ad uno dei suoi soliti esami di controllo, le hanno diagnosticato un qualcosa... una... una Sindrome di uno francese» spiegò confuso, stringendo le palpebre per ricordare «Boh, un tizio... al tempo le hanno detto che c'era almeno il 50% di possibilità di non sopravvivere per altri due anni»
«Co...» farfugliò l'altro
«Bada bene che non lo sa nessuno in università o tra i nostri amici. Sanno solo che è molto debole e non può fare sforzi» specificò Kintaro. Quel discorso sembrava ancora più assurdo del primo, ma non si sarebbe mai messo a scherzare su una cosa così seria. «L'ha scoperta poco dopo che ci siamo messi insieme. Fino a quel momento io avevo pensato di aspettare qualche mese prima di fare un primo passo con lei... in quella direzione, dico. E poi non mi pareva vero che una come lei avesse accettato di stare con me e avevo paura che correndo troppo avrei fatto brutta figura e mi avrebbe lasciato: in quel caso sarei diventato lo zimbello del corso!» parlava a ruota libera grazie all'alcool «E poi, zack, a due mesi da quando ci siamo messi insieme le dicono sta cosa. Se almeno non avessi aspettato... mi ha anche chiesto di lasciarci sai? Non è che le abbiano detto letteralmente di non andare a letto con qualcuno, ma lei non se la sentiva e capiva che poteva essere un problema. Io però ho pensato che non fosse corretto mollarla solo per... per del sesso. Voglio dire, al massimo sarebbero stati due anni no? Potevano essere gli ultimi due anni della sua vita, quale persona l'avrebbe lasciata da sola? Ho pensato di rimanere al suo fianco e di assecondare ogni suo capriccio per questo periodo, ma ormai è un anno che stiamo insieme e... non credevo, ma non ce l'ho più fatta» sospirò tirandosi su a sedere più comodo «Pian piano il mio amore per lei è diventato affetto, ora la vedo solo come una bellissima amica che ha bisogno di me in un momento difficile, mentre io ho bisogno di altro e poi... poi se dovesse andare male? Le probabilità sono del 50% ma siamo ormai nel secondo anno e la prospettiva che potrebbe morire tra qualche mese mi spaventa». Jun guardava la strada con gli occhi fissi al confine tra la luce dei fari della macchina e il buio della notte nella quale guidava. Era questo che intendeva Shiori quando aveva detto di non aver tempo? «Non voglio...» disse Kintaro con un filo di voce, appoggiando il mento alla sua spalla, piegandosi in avanti. Jun sobbalzò, per poco non gli faceva prendere un colpo! «Non voglio dover accendere l'incenso sull'altare della mia ragazza» ammise prima di mettersi a piangere in silenzio: era passato alla fase triste della sbornia. Dopo i primi minuti di pianto era caduto addormentato, con la testa in bilico sulla sua spalla.
Il telefono si mise a suonare e Jun staccò la fronte dal vetro. «Pronto?» domandò tornando a guardare il freddo paesaggio di palazzi grigi oltre la finestra
{Matsumoto san? Ti disturbo?} era la voce di Shiori. L'aveva sentita al telefono solo una volta e già la riconosceva. Ancora non aveva salvato il suo numero in rubrica, quindi continuava ad apparirgli anonimo «No, dimmi pure» rispose a mezza voce mentre osservava il volo di un uccello alcuni piani più in basso
{Quand'è il tuo primo giorno libero?} domandò
«Non saprei... così su due piedi direi, Mercoledì» riflettè. Non sapeva con che tono rivolgersi a lei «Non so dirtelo con certezza perchè non ricordo tutti gli impegni»
{Va bene, ti mando un messaggio con il mio indirizzo mail allora. Così controlli sulla tua agenda e mi fai sapere quand'è} la sua voce suonava tranquilla, ma come la prima volta che lo aveva invitato non era nè squillante e allegra, nè triste
«Che vuoi fare?»
{Ti sto chiedendo un appuntamento. Ti va?} com'è che non glielo imponeva? Rimase in silenzio qualche attimo. Un "appuntamento" non era un'uscita "per cambiare compagnia", piuttosto un incontro tra "un uomo e una donna che flirtano"... o no? Aveva saputo qualcosa di Kintaro? Lui aveva confessato prima che Jun dicesse qualcosa?
«Andiamo» acconsentì prima di chiudere la comunicazione: il ricordo dell'amico con l'altra ragazza gli cancellò qualsiasi ripensamento. Sarebbe andato. «Ti sei già impegnato eh?» domandò d'improvviso Aiba alle sue spalle
«Ah si... avevi qualcosa in mente?» fece Jun rimettendosi il cellulare in tasca e allontanandosi dalla finestra nel tentativo di cancellarsi quell'aria depressa di dosso
«E' qualche mese che non andiamo a berci qualcosa tutti insieme» disse quello stringendosi nelle spalle
«Mi sono impegnato per la giornata, non per la sera» specificò mettendogli una mano sulla spalla «Birra al Keikarou?» propose con un sorriso
«Andata» ridacchiò furbescamente l'amico «Vado a proporlo agli altri». Avevano cominciato qualche mese dopo il loro primo concerto nel 2000: Aiba si accordava con un cameriere del ristorante dei suoi genitori per farsi lasciare aperta la porta sul retro, dopo che tutti se n'erano andati a chiusura terminata, dopodichè i cinque si intrufolavano silenziosi e si bevevano qualcosa insieme seduti ad un tavolo del ristorante. Passavano tutta la notte a parlare, ecco perchè l'avevano sempre fatto la sera prima di un giorno libero, così da poter dormire la mattina. Con gli anni erano diventati grandi per simili bagatelle e ormai era risaputo, tra lo staff del Keikarou, che ogni tanto ci andavano tutti quanti senza chiedere il permesso a nessuno, ma continuava a non cambiare nulla e a loro rimaneva sempre quel sapore di trasgressione. Jun non beveva, ma quella era una delle poche volte in cui si concedeva una o due lattine di birra. «Pietà...» singhiozzò Sho uscendo in quel momento dalla sala riunioni
«Novità?» domandò preoccupato
«Il servizio di questo pomeriggio è stato maledettamente confermato. Abbiamo due ore e poi dobbiamo andare lì. Come facciamo?» domandò avviandosi verso la sala del piano, dove c'era un piccolo bar per i dipendenti e dove gli altri due li aspettavano. Aiba trottava loro dietro «Nino ha le riprese del film alle quattro ma deve andare prima per il trucco e il costume, Ohno ha un intervista per le tre e mezza, tu devi registrare in radio e la sede è dall'altra parte di Tokyo, mentre io tremo al solo pensiero di tutti i fogli che troneggiano sulla mia scrivania»
«Ancora non hai finito il report per NEWS ZERO?» domandò Aiba alle sue spalle
«Macchè. Non ho nemmeno avuto tempo di leggere il primo foglio. A malapena ho tempo di respirare!» scosse il capo per poi avviarsi al tavolino dove stavano seduti Ohno e Nino. «Ok, la tua faccia mi dice che hanno confermato il servizio» pronunciò infatti quest'ultimo, con la speranza di sbagliarsi che gli vibrava nella voce
«Già» piegò le labbra in una smorfia
«Andiamo adesso» propose Jun, gli altri lo osservarono interrogativi. «Andiamo e cominciamo a prepararci così andremo subito al trucco. Faremo prima le foto di gruppo, poi lavoreranno Nino e il Riida, quindi andrai tu» spiegò a Sho «Io e Aiba chan siamo i più liberi in questo periodo, quindi possiamo anche fermarci di più»
«Ha ragione, lasciate fare a noi gli scatti singoli per ultimi, io non ho problemi» concordò l'altro
«Ma.. e la radio?» domandarono
«E' una registrazione, non è in diretta, quindi possono anche aspettare un po'. Andrò io prima di Aiba chan, a te sta bene?» e quello annuì
«Possiamo chiederlo al fotografo? Quel Hisaya san è uno severo, ci tiene alla sua tabella di marcia» fece osservare Ohno
«Ci parlo io, una volta siamo andati a mangiare qualcosa insieme. So come prenderlo» spiegò Jun, il che gli procurò gli applausi degli altri. «Che drago Matsujun» «Come faremmo senza di te?» «Hai capito il furbastro? Se li lavora fuori dall'orario d'ufficio» «Non abbiamo orari d'ufficio!» ridendo si avviarono tutti verso l'uscita. La sua quotidianità era meravigliosa, il suo presente era pieno di impegni e stimoli, il suo domani era sicuro. Lui stesso lo dava per scontato, non pensava mai che per qualcuno non fosse così. Che vita faceva una persona che, impotente davanti all'inevitabile scorrere dei giorni, sapeva che un giorno non si sarebbe più svegliata, non sarebbe più stata nella vita degli altri?
Il mercoledì, tre giorni dopo, era il suo giorno libero e uscì con Shiori, come promesso. Erano di nuovo loro due e quello aveva più l'aria di un appuntamento, però a lui non risultava che si fosse lasciata con Kintaro. In realtà non sapeva nemmeno se sapesse del suo tradimento. «Guarda com'è grande!» esclamava lei di continuo, rimanendo in bilico sugli scogli a lato della strada. Guidando, Jun aveva seguito la Tokaido per poi girare a sud, verso Enoshima. La macchina era parcheggiata in una piazzola di sosta sabbiosa lungo la statale che seguiva la costa, pochi metri più in là c'era la spiaggia, ma Shiori si era impuntata che voleva salire su uno scoglio nonostante il forte vento. «E' enorme! Ogni volta che vedo l'oceano non posso credere che esista tutta quest'acqua» il vento le scompigliava i capelli leggermente mossi dalla permanente che coi giorni scompariva. Quella era la prima volta che la vedeva indossare una minigonna. Era scozzese, verde e azzurra come se l'avesse scelta per intonarsi al mare. La maglia a maniche lunghe era nera e a collo alto, ma sopra indossava un caldo maglione di lana bianca sottile, intrecciata. Lo aveva chiuso con i bottoni ed era abbastanza lungo da coprirle anche metà della gonna, ma il vento era tanto forte che ogni tanto alcune pieghe si alzavano lo stesso. «Non è oceano, è la Baia di Sagami» spiegò Jun distogliendo lo sguardo da lei per evitare di guardarle sotto la gonna
«Peccato che non si veda il Fuji san oggi» lo ignorò guardando alla sua destra, verso i monti ad ovest oltre i quali si sarebbe dovuto scorgere il monte Fuji, ma che in quel giorno non proprio terso non era possibile vedere. Avevano passato tutto il viaggio -circa due ore- a parlare di cose senza importanza e a cantare le canzoni della radio. Si era particolarmente divertita a sentirlo cantare in diretta canzoni non degli Arashi: non era una loro fan, ma conosceva il gruppo e alcune loro canzoni dato che si sentivano in pubblicità televisive, sigle e spazi radio. «Hai fame?» domandò mettendosi le mani nelle tasche della giacca a vento, tirava una brezza fredda per niente lieve
«Voglio degli ebi-furai*» annunciò Shiori spalancando le braccia «Tanto riso così e una zuppa di miso» ridacchiò «L'aria di mare fa venire appetito. Per merenda cerchiamo un posto dove facciano yaki hamaguri?**»
«Puoi mangiare tutta quella roba?» domandò Jun dubbioso. Lei gli rivolse uno sguardo interrogativo e il ragazzo scosse il capo: cosa ne sapeva lui se i malati di cuore potevano mangiare normalmente o meno? «Mangio quanto e quello che mi pare» rispose lei picchiando il tacco dello stivale sullo scoglio «Tu piuttosto, vuoi venire quassù o no?»
«Fa freddo, Kumagawa san, perchè non scendi? Potresti prenderti qualcosa» le ricordò
«Ma che dici? Che hai improvvisamente da essere così premuroso?» fece lei imbronciandosi, continuava a tenersi i capelli con le mani perché non le andassero davanti al viso. Preda della brezza marina, la sua minuta figura stagliata contro il cielo grigio pallido di quella mattinata era bellissima per lui. «Sono solo preoccupato» si giustificò. Shiori si comportava come se niente fosse, ma Jun era in apprensione per la sua salute ora. La vide distogliere lo sguardo di scatto e poi fare qualche passo per cambiare scoglio e spostarsi su uno più in avanti. Rimasero in silenzio ad osservare il mare per qualche minuto. «Conosci la storia della Sirenetta?» domandò lei dopo un po'
«Ho visto il film da bambino» rispose tirando su la zip della giacca per il freddo
«Dico la fiaba» specificò «Secondo la storia il principe prende in sposa un'altra donna e la sera prima delle nozze la Sirenetta riceve un pugnale dalle sue sorelle: se lo ucciderà, riuscirà ad evitare la morte che al contrario invece toccherebbe a lei. Ma è troppo innamorata di lui e si rassegna alla sua sorte. Si getta nel mare e si dissolve in schiuma»
«E' triste» fece notare Jun osservando i riflessi azzurri e grigi delle onde
«Sì, ma alla fine viene premiata per la sua bontà e si trasforma in uno spirito dell'aria» lei allungò la mano nel vento, come se potesse afferrare la brezza, come se fossero nastri «Una volta, da piccola, ebbi la tentazione di suicidarmi. Ero su una scogliera come questa e volevo gettarmi in acqua per diventare schiuma. "Se sparisco non starò più male, come la Sirenetta" mi dicevo "Non darò più preoccupazioni a nessuno, ma potrò rimanere vicina alle persone trasformandomi nel vento che soffia loro vicino"» abbassò il braccio e fece una smorfia «Che bimba tetra eh?»
«Per un attimo ho pensato che volessi suicidarti ora» borbottò Jun che si era seriamente spaventato al sentirla fare quel discorso «Però era un bel pensiero per una bambina»
«Quello del vento? Sì, quello era bello. Voler morire un po' meno, direi» ammise Shiori con una punta d'amarezza
«Vuoi ancora sparire?» le domandò lentamente, alzando lo sguardo su di lei
«No» rispose dopo un secondo di esitazione. Erano due giorni che se lo chiedeva: cosa passava per la mente di una persona consapevole che le rimane poco tempo da vivere? «Non andare» pronunciò piano
«Cosa?» domandò abbassando lo sguardo e tenendosi i capelli, il vento sembrava aumentato «Non ti ho sentito»
«Non andartene Shiori» ripeté più ad alta voce. Avrebbe voluto saltare sullo scoglio e stringerla a sé con tutte le sue forze per non lasciarla andare da nessuna parte, ma aveva l'impressione che più l'avrebbe trattenuta più sarebbe sfuggita o che si sarebbe dissolta in schiuma, come la Sirenetta. Rimase con i piedi nella sabbia. «No che non me ne vado» gli sorrise e quel tono di voce caldo, quell'espressione rassicurante, era forse lo stesso di una madre che rassicura il figlio che chiede di rimanere al suo fianco tutta la notte: "sì che rimango con te" rispondeva, ma quando il bambino si fosse addormentato lei sarebbe andata a riposare nel suo letto. Era una bugia. Una bugia bianca per rassicurarlo. Shiori scese con cautela dallo scoglio e rimise i piedi a terra, una qualsiasi altra persona forse sarebbe saltata giù. Si sedette vicino a lui, su un masso più basso e si massaggiò le gambe infreddolite. «Ti piaccio, Matsumoto san?» domandò alzando gli occhi scuri su di lui. La guardò a sua volta. Non era una domanda fatta per prenderlo in giro, era seria. Respirò lentamente e lasciò che alcune ciocche dei capelli gli pizzicassero le guance, spostati dal vento, non aveva voglia di tirare fuori le mani dalle tasche per allontanarli. «Ci sono cose che una persona qualsiasi non può capire di me» le rispose «Tutti siamo speciali per qualcuno, tutti abbiamo incontrato, nella nostra vita, qualcuno che si è innamorato di noi. Per quella persona noi siamo speciali e di solito è qualcuno che ci conosce: chi si è innamorato di noi fa parte del nostro ambiente, del nostro gruppo di amici, delle persone che frequentiamo, con cui abbiamo dei rapporti. Ma per me spesso non è così perchè io non faccio una vita normale» scosse il capo «Non è normale. Io sono una persona speciale per centinaia di persone che non so nemmeno che faccia abbiano, cosa facciano nella loro vita, come si chiamino, quale sia il loro colore preferito o il loro hobby. Sono lusingato dal fatto che qualcuno mi trovi bello, sono grato a tutti quelli che ci sostengono, ci seguono nelle nostre produzioni musicali, nei concerti o che guardano i miei film e drama per il solo piacere di vedere me, ma loro non sono nessuno nella mia vita e non potrò mai parlarci normalmente» gli sembrava faticoso articolare le parole, del resto lui non era mai stato uno di molte parole ed era raro facesse discorsi così lunghi «Nessuno sa che a volte sento il peso di queste migliaia di sguardi e non so più se è maggiore la gratitudine o l'odio per coloro che non mi lasciano vivere una vita normale. Spesso nelle mie relazioni manca qualcosa di semplice, di spontaneo e così mi sono convinto, negli anni, che sarebbe stato difficile trovare la persona speciale per me.
Anche se all'inizio non andavamo d'accordo e ci odiavamo non si può dire che quello non fosse spontaneo, naturale. Anche se è cominciata così sono felice ugualmente di non averti sopportato, di aver provato veramente fastidio, di aver sentito da parte tua una repulsione reale. So che suona strano, per quello dico che le persone solitamente non mi capiscono, però l'odio di prima mi fa sentire più reale quello che sento adesso» concluse deglutendo e lanciando uno sguardo alla macchina, per distendersi da quel momento di tensione, per distrarsi controllando se l'auto fosse ancora lì. Si era dichiarato alla ragazza di un suo amico e per quanto lui avesse agito male, tradendola, in realtà non si sentiva in diritto di farlo. A domanda diretta, però, non era riuscito a negare. «Io sto con Kinta kun» pronunciò Shiori lentamente
«Lo so» ammise socchiudendo le palpebre
«Anche se lui mi tradisce» aggiunse subito dopo. Esitò qualche secondo poi sospirò «So anche questo»
«Da quando?» domandò lei, per nulla sorpresa
«Tre giorni. La sera che siamo usciti l'ho incontrato con un'altra»
«Com'è?»
«Cosa?»
«Non "cosa", "chi". La ragazza» lo corresse. Continuavano a parlare senza guardarsi in faccia. Lui non ne aveva il coraggio, si era appena dichiarato e aveva quasi terrore di vedere che espressione avesse lei, nonostante avessero lentamente deviato su un argomento secondario. «Cosa ti importa?» domandò stranito, non capiva perchè gli interessasse con chi la tradiva Kintaro
«Rispondi alla domanda» si impose
«E' una... una sua compagna di corso» spiegò un po' a disagio nel dirle che probabilmente era una persona che conosceva
«Matsumoto san, non ti ho chiesto chi è, dato che già lo so. Volevo sapere tu cosa ne pensavi» spiegò con un sospiro «Lei va bene? E' adatta a Kinta kun?»
«Perchè mi fai queste domande?»
«E perchè ti ostini a non rispondere?» non mollava, voleva le sue risposte «Al tempo pensavi che io non fossi la ragazza adatta, lei invece lo è? Pensi che lo renderà felice?»
«Non devono mica sposarsi» fece notare Jun aggrottando le sopracciglia
«Ma stanno insieme, pensi che si debba stare con qualcuno che ti faccia felice solo se lo devi sposare? Io non mi metterei con qualcuno con cui sto male solo perchè "tanto non devo sposarlo"» ridacchiò prendendolo in giro
«Sì, mi è sembrata una brava ragazza» del resto, era preoccupata per Kintaro quella sera e si stava occupando di tenerlo in piedi anche da ubriaco. Avrebbe potuto abbandonarlo da qualsiasi parte se non le fosse interessato. «Forse sono felici insieme» era una pura supposizione, ma dato che Shiori insisteva col volersi far male allora che si disperasse! Sentì una pressione sul petto e quando girò lo sguardo vide che lei vi aveva appoggiato la tempia tenendo lo sguardo fisso sui flutti, stando in piedi davanti a lui. Non l'aveva abbracciato però. Dopo la prima volta che si erano incontrati e parlati nello stretto corridoio della casa di Kintaro quella era la seconda volta che stavano così vicini. Profumava di shampoo e sale. «Allora va bene così» mormorò lei «Se lo lascio in buone mani sono più tranquilla. Lo controllerai vero?» domandò
«Che discorsi assurdi, non dirmi che intendi lasciarlo» disse, in piccola parte dispiaciuto, ma in gran parte quasi speranzoso: ne era innamorato, la voleva per sè, se si lasciavano non avrebbe avuto alcun ostacolo. «Naturalmente» rispose annuendo, strusciando le fronte contro la sua giacca a vento. Resistere alla tentazione di abbracciarla era difficile: cingerle il corpo con le braccia, nascondere il viso nei suoi capelli, sentirla ancora più vicina. «Mi dispiace» disse poi Shiori
«Per cosa?» abbassò lo sguardo, ma non riusciva a vederla in viso, la frangetta le copriva gli occhi e teneva la testa sufficientemente abbassata perchè lui non potesse scorgere la sua espressione. «Non posso essere la tua persona speciale» gli confessò. Lo stava rifiutando. «Perchè?» domandò piano, tutta la sua speranza stava andando in frantumi
«Non fingere con me» gli intimò Shiori staccandosi e guardandolo seriamente in viso «Lo sai perchè. Ho capito che lo sai. Kinta kun ti ha raccontato tutto, ne sono certa». Jun sentì di non avere la forza di parlare, ma cos'avrebbe dovuto dirle? «Il vento mi ha impastato tutti i capelli» sospirò quindi lei volgendosi e avviandosi verso la macchina «Allora? Ci mangiamo questi gamberi?» chiese quindi allegramente, incitandolo a seguirla.

Dopo qualche minuto suonò la campana del tempio e la porta alle sue spalle si aprì. «Kintaro» disse vedendo che il primo ed entrare era proprio lui
«Ho portato in macchina i genitori di Shiori» rispose con un sorriso, inchinandosi verso di lui, quindi fece spazio ai due signori di mezza età che entrarono nella stanza «Questo è Matsumoto Jun, il fidanzato di vostra figlia» lo presentò con un gesto della mano ad indicarlo. Osservò la coppia stretta nei kimono neri e si inchinò profondamente, arrivando a toccare il tatami del pavimento con la fronte. Avrebbe dovuto spiccicare parola, ma fino a quel momento non era riuscito a dire molto e lì dentro, ora che stava per cominciare tutto, sentiva la gola riarsa e aveva la sensazione che avrebbe perso la voce e la voglia di parlare per il resto della sua vita. Anche la coppia si inchinò rispettosamente, poi si sedette dalla parte opposta della sala, di fronte a lui. Nemmeno loro parlavano, quando li guardò in viso gli sembrò di vedervi riflessa la sua stessa espressione: capì che anche loro sapevano perchè non si erano scambiati nemmeno una parola.
Dopo di loro entrarono gli altri invitati e attesero che tutti furono seduti. I ragazzi gli si sistemarono a fianco e alle spalle, rimanendogli vicini e mantenendo il silenzio ora che si stava per cominciare.
La campana suonò una seconda volta e cominciò la preghiera.

Coeur
Era rincasato tardi quel giorno e si era fatto cogliere impreparato da un prepotente acquazzone che aveva trasformato i marciapiedi di Tokyo in piccoli stagni artificiali. Dopo essersi tolto le scarpe all'ingresso lanciò le chiavi sul bancone in legno della cucina e si fiondò in bagno. Si tolse i vestiti dal primo all'ultimo, lasciandoli stesi sulle tavole che coprivano l'ofuro, e salì sul soppalco portando con sè solo un asciugamano con cui asciugarsi i riccioli neri: erano i vantaggi di vivere all'undicesimo piano di un edificio in un quartiere di case piccole, poteva fare quello che voleva davanti alle finestre e nessuno l'avrebbe visto. Questo comprendeva anche girare nudo per casa, quando ce n'era l'occasione. L'edificio dove viveva era sempre controllato, 24 ore su 24, da una guardia dato che vi viveva un alto numero di personaggi famosi e gli era sembrata la soluzione più comoda: in una casa normale non era protetto da eventuali eccessi di fanatismo (o anti-fanatismo) e i vicini lo avrebbero trattato sempre in una data maniera, lì invece erano più o meno tutti uguali, volevano tutti una vita tranquilla e normale almeno quando erano lontani dai riflettori. In ascensore e sui pianerottoli si accennava poche volte al lavoro, il più delle volte i contatti tra vicini erano per lo zucchero o le uova (quando miracolosamente qualcuno trovava tempo per cucinarsi qualcosa) o per passarsi le circolari. Aveva tentato di convincere anche Oguri Shin, attore e suo grande amico, a prendere un appartamento lì, ma non c'era stato verso: preferiva le case tradizionali a quei complessi più moderni. Anche a Jun piacevano gli ambienti tipici giapponesi, ma era convinto che andassero seguiti, curati e gustati come un giardino, un panorama meraviglioso, e lui non aveva tempo di occuparsi di nulla all'infuori del suo lavoro, della famiglia e degli amici, quindi un appartamento moderno che dava poche preoccupazioni era più appropriato a quel genere di vita. La porta d'ingresso dava su un corridoio stretto che aveva solo la porta del bagno e finiva sull'ampio doppio salone. Era una grande stanza dal soffitto alto con due divani ad angolo, blu notte, cosparsi di cuscini color carta da zucchero. Tra i due mobili, un tappeto color panna copriva il parquet e il quadrato formato era aperto dal lato opposto all'entrata, rivolto verso le ampie finestre a scorrimento che davano sul balcone. Non aveva televisore, solo in un angolo c'era una piccola e bassa libreria color legno, dedicata esclusivamente ad uno stereo e ai dischi. Alcuni erano anche dei vinili e in uno spazio in basso sopravvivevano delle musicassette. Infondo al salone, un quarto dello spazio era occupato dall'angolo cucina al di sopra del quale si trovava il soppalco. Sopra aveva messo il suo futon, l'armadio e una sedia. Le scale in metallo e legno scendevano lungo la parete bianca di sinistra, opposta alle finestre del balcone.
Aprì l'armadio e indossò uno yukata da casa, poteva permettersi di stare vestito leggero perchè teneva sempre il riscaldamento alto, detestava indossare indumenti pesanti anche lì. Chiuse l'obi sui fianchi senza stringere troppo la stoffa sul davanti, quindi scese e mise a bollire dell'acqua in una teiera. Si sedette sul divano per sfregarsi i capelli con l'asciugamano poi appoggiò i gomiti alle ginocchia e rimase con la testa sotto il tessuto, le braccia semi incrociate, piegato in avanti. Ascoltò il suo respiro e il leggero borbottare dell'acqua che cominciava a scaldarsi. Erano gli unici rumori della casa, mentre fuori aveva smesso di piovere quando era scesa la notte. Lei non aveva più chiamato. Lui non l'aveva chiamata. Era passato quasi tutto Ottobre, pochi giorni e sarebbe stato un mese che non aveva sue notizie. Nino era nel pieno delle sue riprese, Sho sarebbe partito in capo ad un paio di giorni per fare un servizio all'esterno, Aiba aveva firmato per uno spettacolo a teatro, Ohno stava riflettendo se accettare o meno la proposta per un drama, ma era probabile che l'avrebbe fatto dato che la base musicale della sigla d'apertura era già stata incisa ed era già stato proposto loro il testo. Entro una settimana usciva il nuovo singolo, mentre i solo del futuro album erano finiti, seppur lentamente, e ora avevano uno stop di un mese. Comunque non avevano fretta, sarebbe uscito dopo molti mesi. Oltre ai soliti, lui non aveva impegni extra, era un periodo di relativa calma e quella era una coincidenza fortunata: da quando era andato al mare con Shiori i suoi sentimenti si erano ghiacciati nell'attimo in cui era stato rifiutato e trovava più piacevole il lavoro alla radio che quello in televisione. Voleva comunicare con le persone solo tramite la sua voce, voleva essere apprezzato per quello che diceva, per ciò che trasmetteva, senza che la gente lo vedesse in faccia e cogliesse di lui solo lo sguardo malizioso che lanciava alle telecamere, o il passo di ballo ben coordinato, il bel viso o il sorriso (peraltro abbastanza falso negli ultimi tempi) che gli piegava le labbra.
Venne risvegliato dai suoi pensieri dal rumore del citofono. «Chi è a quest'ora?» si domandò ad alta voce tanto era sorpreso. Lasciò il divano e andò al citofono. Quando lo accese vide attraverso la telecamera istallata all'entrata che era Shiori ad aver suonato. I ricci neri le cadevano sul petto spuntando fuori dal grosso cappello di lana che si era calcata in testa. {Matsujun?} si sentì chiamare da una voce maschile, era il custode che spuntò al suo fianco
«Tooru san, buona sera» si conoscevano da svariati anni ormai, ma anche se lo chiamava per nome era comunque più anziano di lui e non dimenticava mai di aggiungere il "san" quando gli si rivolgeva. {Ascolta, la ragazza insiste col dire che ti conosce. E' circa un'oretta che sta qui fuori. Diceva che le avevi dato tu l'indirizzo e che vi conoscete... a questo punto non sapevo più cosa fare e allora...}
«Si, grazie Tooru san. La conosco, è un'amica. Puoi accompagnarla all'ascensore e farla salire? Per favore» effettivamente era stato lui a darle il suo indirizzo, il giorno della gita. {Certo, buona serata} rispose quello annuendo, sollevato dalla sua conferma
«Scusa l'incomodo e buona serata» spense il citofono e aprì la porta appoggiandosi all'uscio per attenderla. Cosa voleva a quell'ora della sera, dopo quasi un mese di silenzio? In un paio di minuti le porte dell'ascensore si aprirono e ne uscì lei: camminava incerta guardandosi intorno. «Numero 64» pronunciò indicandole la targa sulla sua porta
«Oh si» annuì distratta, avvicinandosi
«Non ti aspetterai che ti faccia entrare, spero» chiarì subito il ragazzo «Dopo quel giorno, dopo che ti ho dato il mio appoggio e il mio aiuto, nonostante tu mi avessi scaricato...» specificò abbassando la voce «... sei sparita nel nulla per un mese. Ti aspetti che ti dica "quanto tempo!" come se niente fosse?»
«Non vorrai farmi parlare sulla porta, i vicini potrebbero sentire» disse piccata lei, arricciando il naso. Aveva dimenticato quanto era carina la sua espressione quando cominciava a fare quelle smorfiette contrariate. «Quella di sinistra è una modella, la sera è quasi sempre fuori a bere con lo staff di fotografi e truccatrici. A destra vive un giornalista che è partito la settimana scorsa per Kitakyūshū»
«Oh» fece semplicemente, presa in contropiede da quell'imprevisto. Indossava un cappotto pesante a collo alto, un berretto di lana e una gonna lunga fino al ginocchio. Gli stivali erano completamente zuppi di pioggia, doveva aver camminato parecchio. Anche i ricci gocciolavano acqua, ma nel complesso non sembrava aver preso in pieno l'acquazzone come lui. «Per favore» disse a denti stretti «Mi faresti entrare?» chiese abbassando il capo
«No, parleremo qui» rispose deciso Jun, ma Shiori non aggiunse più nulla. Cos'era successo in quel mese? Come mai era lì proprio quel giorno e senza avvertire? Dato che aveva il suo numero avrebbe potuto farlo. «Io e Kinta kun ci siamo lasciati» cominciò Shiori
«Lo so: una settimana dopo la nostra gita. Sono uscito con lui qualche giorno dopo»
«Come stava?» domandò con un filo di voce
«Si sentiva terribilmente in colpa. Ha chiesto all'altra ragazza un periodo di pausa, ma credo torneranno insieme appena gli passa. Tutto sommato era sollevato» le spiegò con schiettezza. Sapeva che non erano parole cattive per Shiori, ma erano esattamente quelle che voleva sentire: tutto stava andando bene nonostante lei non ci fosse più. «Ho saputo che non frequenti più, pensi di smettere gli studi?» domandò cambiando posizione sulla soglia di casa
«In ogni caso avevo cominciato solo per salvare la faccia» spiegò stringendosi nelle spalle
«O per non rimanere sola?» insistè. Aveva avuto di che riflettere in quei giorni, ora gli era tutto più chiaro dopo averci riflettuto su tanto a lungo. «Ti sei iscritta per non finire a fare la malata chiusa in casa, per continuare a vedere persone. Kintaro mi ha anche detto che avevi un'amica al dipartimento di medicina. Ti facevi fare degli esami regolari nel loro centro ricerche?»
«Siamo amiche d'infanzia. E' per quello prendevo l'autobus davanti alla facoltà di medicina e non di storia»
«Mi sono anche spiegato come mai una corsa banale come quella ti abbia dato tanti problemi» annuì Jun passandosi una mano tra le ciocche di capelli ormai quasi asciutte «Mi vuoi dire cosa vuoi?» tagliò corto, ma anche quella volta non ricevette risposta. Aspettò qualche minuto e quando i minuti divennero cinque il rumore dell'acqua che bolliva si fece insistente alle sue spalle, quindi si staccò dallo stipite con un sospiro «Senti, ho da fare e sono stanco morto. Prometto che se mi chiami domani trovo un momento per incontrarci e ascoltarti senza che tu debba farmi delle improvvisate qui per costringermi ad incontrarti. Ora non mi sembra che tu voglia parlare, quindi torna a casa. Chiedi al portiere che ti chiami un taxi, ti ho anche...»
«Non hai chiamato» lo interruppe improvvisamente
«Prego?»
«Non mi hai chiamato» ripetè parlando piano
«Se è per questo nemmeno tu» ribattè infastidito
«Ma ti ho sempre chiamato io» gli fece notare «Ti ho invitato a cena una volta, ti ho proposto la gita... tu non hai chiamato mai invece». Davanti a quella frase dovette ammettere di aver torto. «Ma... ma tu mi hai rifiutato. Se ti avessi chiamato sarei sembrato insistente. Sta all'altra persona far capire se vuole mantenere comunque i contatti» provò a difendersi
«Il fatto che ti abbia invitato tante volte e che mi sia confidata non era sufficiente a far capire che avevo comunque piacere a parlare con te?» domandò premendo le mani sul fondo delle tasche della giacca, tirandone il tessuto. Continuava a guardare a terra. «Questo non spiega perchè tu sia qui oggi» ritentò, scaricarsi la colpa a vicenda non chiariva proprio nulla
«Ma magari può convincerti a farmi entrare» insistè lei
«Io ho il te sul fuoco, ci risentiamo» non voleva cambiare idea e aprì di più la porta per avere lo spazio di girare su se stesso e poi richiuderla. «Ti prego!» esclamò improvvisamente quando si era già girato per metà «Ti prego non chiudere questa porta» lo guardò supplichevole
«Risparmiami queste tragedie greche» borbottò Jun, contrariato. Vedeva le lacrime riempirle gli occhi, era caduta tanto in basso che stava usando i suoi mezzucci pure con lui? «Se la chiudi adesso non tornerò mai più» pronunciò lapidaria «L'acqua sul fuoco sta bollendo, ma non farà altro che evaporare. Apri il rubinetto e ne avrai dell'altra che in cinque minuti sarà calda esattamente quanto quella, tutte le volte che vuoi» gli spiegò posando una mano sulla porta «Chiudi questa e non mi rivedrai mai più. E non esiste modo di riavermi se dovessi evaporare come l'acqua»
«Che cosa stai dicendo?» la osservò confuso. Le dita dalle unghie ben curate e lucide erano a pochi centimetri dalle sue, avrebbe voluto prenderla per mano e trascinarla in casa con sè: si comportava da arrabbiato e scontroso, ma moriva dalla voglia di parlare di nuovo con lei, di scherzare, di prenderla in giro. Voleva tornare a giocare sul filo della loro pazienza, rischiando quel delicato equilibrio che avevano sempre avuto. Ne era ancora innamorato, non c'era dubbio. Sentiva ancora il desiderio di abbracciarla come quella volta sulla spiaggia, anzi era tornato forse più forte di prima. «Pensavo di fare la cosa giusta: "Se devo vivere poco allora voglio avere tutto quello che desidero ogni volta che mi pare, perchè io non ho tempo e gli altri invece sì: potranno lamentarsi quando non ci sarò più" la pensavo così. Era giusto, era corretto che le persone mi dicessero sempre "sì", perchè loro avrebbero avuto il tempo che io non avevo, quindi era mio diritto rubare un po' del loro per vedere esaudita ogni mia preghiera. Sapevo, dentro di me, che in realtà era sbagliato, che stavo diventando una persona odiosa che allontanava la gente sincera e attirava solo altri meschini, ma ero tanto terrorizzata all'idea di rimanere sola che andava bene anche stare con loro... io ero l'ultima che poteva biasimarli. E le persone dicevano sempre sì. "Sì, Kumagawa san", "Certo Shiori chan, tutto quello che vuoi"» gli spiegò appoggiandosi con la mano alla porta, segno che quell'ora passata in piedi fuori da casa sua l'aveva affaticata «Poi sei arrivato tu. Una di tante persone buone che ha subito intuito che razza di persona fossi, ma invece di disgustarti e allontanarti sei rimasto, anche se per il puro gusto di stuzzicarmi, prendermi in giro, cercare di farmi fare brutte figure davanti agli altri e svelare loro la mia meschinità. Hai capito che mi comportavo in quel modo solo per fingere, ma per un motivo o per l'altro hai capito anche che sotto la meschinità c'era solo una persona incapace di farsi amici in maniera diversa e sotto l'incapace si nascondeva una persona sola.
Pochi ci sono arrivati e tanti invece hanno amato solo una maschera, una persona che non ero io, o forse hanno amato solo il mio aspetto. Tu, come Kintaro, ti sei innamorato del mio aspetto ed entrambi, invece di scoraggiarvi una volta scoperto chi ero, avete amato anche tutto il resto. La differenza è che lui ha continuato ad assecondarmi, non è stato al mio fianco ma si è messo più avanti: ha solo detto "sì" e provato pietà. Per pietà è rimasto con me anche dopo la notizia, per pietà ha sofferto e sopportato finchè non ha retto più e ha deciso di tradirmi. Tu invece... Jun, tu hai detto "no". Tu dicevi sempre "no"» ridacchiò leggermente e, per assurdo, fu su quella risata che cominciò a lacrimare «Ti detestavo. Era sempre "no". "Piantala Kumagawa san", "Ma stai zitta scema". Non solo non sei scappato davanti alla mia falsità, ma sei stato uno dei pochi a trattarmi normalmente. Io mi sono sentita normale con te» tirò su con il naso e si passò il dorso della mano sugli occhi. Effettivamente nemmeno lei era mai stata una ragazza loquace, era buffo vedere come avvicinandosi sempre più cominciassero entrambi a buttar fuori fiumi di parole. «Mi fa piacere di essere stato un buon amico per te» pronunciò Jun, lasciando andare la porta e tornando a voltarsi verso di lei «Non l'ho mai vista in quest'ottica ma... sì, penso di aver fatto così» sorrise divertito, sperando di tirarla su di morale con quella frase
«Se una cosa non si può, allora non si può, e non importa che tu debba morire tra due anni o domani: siamo tutti uguali e nessuno ha il diritto di disporre della pazienza e della fiducia degli altri. Mi hai fatto capire questa cosa importante ed è per questo che non ti ho chiamato» spiegò con la voce che tremava per le lacrime «Ti prendevo in giro quando ti ho chiesto se ti piacevo, ma la tua dichiarazione è stata profonda, sincera. E' stata bellissima e mi ha commossa tanto che ho realizzato che, anche se non posso, vorrei essere io. Vorrei essere io la persona di cui parli» gli scappò un singhiozzo più forte degli altri e dovette fare una pausa mentre Jun tentava di seguire il filo di quel discorso straordinario. «Vorrei, ma non posso essere una persona speciale. Questa realtà mi ha fatto tanto male che ho deciso di non sentirti più. Ero tentata di fare di nuovo i capricci, di chiedere di essere mio proprio alla persona che mi aveva insegnato che non ho il diritto di pretendere niente da nessuno. E avevo deciso di non avere più niente a che fare con te perchè sapevo che questo, un capriccio da ostacolare come hai sempre fatto, sarebbe stato invece l'unico che avresti assecondato. Lo vedevo nei tuoi occhi, nell'espressione con cui mi hai sempre guardato, dai tuoi gesti, dalla voce e dalle parole che mi hai detto quel giorno al mare».
L'ascensore ripartì improvvisamente e fece sobbalzare entrambi, ma non bastò a farla smette di piangere. «Vieni dentro» le disse mettendole una mano dietro la schiena e spingendola ad entrare. Il cappotto era umido, non aveva preso tanta pioggia ma forse era comunque troppa per la sua salute precaria. La guardò togliersi gli stivali con difficoltà, data la vista offuscata «Togli anche i calzini, vado a prenderti dei vestiti e te li porto in bagno così puoi cambiarti». Quando la raggiunse aveva posato al lavandino calze, giacca, cappello e maglione. «Ti va bene uno yukata da casa? E' da donna, lo tengo per quando viene a trovarmi mia sorella»
«Sì, va bene» rispose con la voce che ancora tremava, tirando su con il naso «Posso fare una doccia?» domandò prendendo gli indumenti puliti dalle sue mani
«Certo, gli asciugamani puliti stanno in quel mobiletto, prendine quanti ne vuoi» annuì per poi lasciarla da sola. Se ne tornò in salone da solo, a riflettere, osservando la sua sudata tazza di te con lo sguardo perso nel vuoto. Il succo di tutto il discorso, per Jun, era che Shiori si era innamorata di lui. Era ricambiato! E lei aveva ragion: quella notizia lo rendeva talmente felice ed euforico che avrebbe accettato di mettersi con lei senza pensarci su. Anzi no, "di essere suo", come gli aveva detto prima. Gli andò il sangue alla testa: lì per lì si sentiva l'uomo più felice della terra. Forse era normale, dopo un mese passato a rimuginare sul fatto che era stato rifiutato -per la prima volta nella sua vita oltretutto. Quando Shiori uscì dal bagno lo trovò seduto a terra, appoggiato contro i vetri della finestra e il muro, ad osservare le nuvole che cominciavano a diradarsi e a far filtrare la luce della luna calante, alta nel cielo. Prima di raggiungerlo spense le luci del salotto. «Perchè?» domandò lui voltandosi a guardarla mentre si avvicinava a piccoli passi
«Ho gli occhi rossi e la faccia di una che ha pianto per alcuni minuti di troppo, non voglio che tu mi veda» rispose inginocchiandosi in posizione seiza davanti a lui, rivolta verso la finestra. «Ma prima avevi anche il moccolo al naso» la schernì ridendo. Riuscì a bloccarle la mano al volo, prendendola per il polso prima che potesse colpirlo sul ginocchio, in un moto di rabbia a quella presa in giro. «Ah! Cosa speravi di fare?» le domandò con lo stesso tono con cui avrebbe rimproverato una bambino. Le stringeva il polso, a mezz'aria, e Shiori lo fissò seriamente in viso. Quello sguardo lo attirava come la prima volta che l'aveva visto, nel corridoio della cara di Kintaro. Già allora qualcosa di lei lo aveva attirato, seppure la sensazione fosse stata troppo debole per realizzarla. «E tu?» domandò Shiori rompendo il silenzio «Tu cosa speri di fare?» concluse sollevando le sopracciglia, guardandolo dal basso verso l'alto. Strinse la presa su di lei e allungò l'altra mano passandole il pollice dalla tempia a mascella, accarezzandole la pelle. La ragazza continuava ad osservarlo senza battere ciglio, senza mostrare il minimo segno di cedimento. In quel modo non avrebbe potuto dire se quel gesto era gradito o no, continuava a guardarlo seria: era come se stessero ancora bisticciando in silenzio. Lo stava ancora sfidando e i suoi occhi sembravano dire "Forza, vediamo cos'hai il coraggio di fare". Le passò le altre dita dietro la nuca e appoggiò il palmo della mano alla sua guancia, mentre staccava la schiena dal muro chinandosi verso di lei. La costrinse a sollevare il capo, chiudendo le dita e afferrando ciocche dei suoi capelli. Quando premette la prima volta le labbra sulle sue non percepì alcuna reazione e per qualche secondo rimase fermo attendando che facesse qualcosa, ma nulla accadde: quel gioco stava durando troppo. Spazientito Jun si allontanò quanto bastava per guardarla in faccia, pronto a dirle qualcosa per smuoverla, ma quando la vide si accorse che aveva stretto le labbra tra loro, distogliendo lo sguardo. Era imbarazzata! Gli si strinse il cuore a vederla così in difficoltà. «Guardami» le sussurrò piano. Shiori sembrò rabbrividire, poi sbattè le palpebre un paio di volte, gli guardò la fronte, gli occhi e gli fissò le labbra: quella volta era chiaro cosa volesse. Il ragazzo la baciò nuovamente, un bacio completamente diverso dal precedente. Quando si toccarono avevano entrambi le labbra dischiuse, come impazienti di toccarsi, e parvero fondersi quando finalmente entrarono in contatto. Sentiva il sangue scorrergli sempre più rapido in corpo a mano a mano che i secondi passavano e la durata di quel bacio si allungava, la profondità del loro contatto aumentava. Le lasciò il polso quando Shiori mosse la mano per liberarsi: la sentì avvicinarsi, senza mai interrompere quel bacio, e passargli le braccia sulle spalle. Gli abbracciò il collo nel tentativo di stringersi a lui. Dopo pochi minuti, che parvero secoli, si fermarono. «A-aspetta un secondo» sussurrò Jun con voce roca, spezzata dall'eccitazione. La stava solo baciando, ma era bastato poco per sentirsi invaso dalla smania di toccarla. Lei lo osservò con gli occhi socchiusi: doveva essere ancora preda delle emozioni e stordita. «Se continuiamo non saprò fermarmi» spiegò arrossendo «E' meglio smettere»
«Sei stato tu a cominciare» gli fece notare Shiori sciogliendo l'abbraccio, ora era inginocchiata in una posizione più sciolta, rivolta verso di lui. Poteva ancora sentire l'odore del suo stesso bagnoschiuma che le profumava il collo. «Lo so, ma non avevo previsto che facesse questo effetto» deglutì cercando di regolare il suo respiro
«Quale effetto?» trattenne appena una risata: lo sapeva benissimo "quale effetto", si stava prendendo gioco di lui per vendicarsi della sua frase di prima. «Seriamente, Shiori» la chiamò per nome. L'aveva fatto solo il giorno in cui si era dichiarato. «Dato che non si può andare più in là, per il mio bene: fermiamoci»
«Chi l'ha detto che non si può?» domandò raccogliendo le gambe e alzandosi per gattonargli vicino
«Bhe io sapevo...» cominciò Jun confuso, torno ad appoggiarsi al muro e avvicinò le ginocchia al petto quando la vide avvicinarsi, come a proteggersi. «Sì, "tu sapevi" ma non è che me l'ha prescritto il medico» specificò Shiori posandogli le mani sulle spalle e avvicinandosi nel tentativo di mettersi a cavalcioni su di lui, costringendolo così ad abbandonare quella posizione rannicchiata e lasciarle lo spazio di sedersi. Quella mossa era un colpo basso. «Solitamente non posso fare degli sforzi fisici, mi stanco subito e se li prolungo finisco con lo stare male» spiegò accarezzandogli il petto attraverso la stoffa dello yukata «Ma... basta stare attenti»
«Ma a Kintaro hai detto...»
«Lo so cosa ho detto» lo interruppe «Hai ancora voglia di parlare? Oppure, dato che ti ho detto che non ci sono problemi, possiamo rimandare le discussioni a più tardi?» gli sussurrò con le labbra a pochi millimetri dall'orecchio. I suoi capelli, dalle punte ancora umide, gli solleticavano le guance e il collo, la pressione del corpo di Shiori contro suo glii faceva percepire più forti i battiti del cuore. Sentiva le sue gambe stringerglisi intorno ai fianchi e la loro pelle scaldarsi rapidamente a quel contatto intimo. Era sufficiente per lui. Allungò il collo per arrivare a baciarla di nuovo mentre con le mani slacciava l'obi della ragazza. Una sola, semplice mossa che permetteva di aprire lo yukata sotto il quale si indossa solo la biancheria. Voleva quella donna, la desiderava da quando aveva realizzato di amarla, ma ormai non gli bastava più desiderare di abbracciarla: quella piccola smania altro non era che il preludio per una sete più profonda e la paura di vedersela sfuggire dalle braccia era in realtà il timore di non poter appagare quella fantasia.
Tra le pieghe delle lenzuola, mentre alle sue orecchie arrivavano solo i loro respiri affannati e si riempiva gli occhi della visione della pelle bianca della ragazza, dei capelli ondulati sparsi sul cuscino, si gettò alle spalle qualsiasi dubbio: verso cosa stava viaggiando a gran velocità quella notte? Dove sarebbe arrivato? Cosa lo aspettava dopo? Non se lo chiese più. Si immerse dolcemente in quel corpo e sentì le unghie che gli graffiavano la schiena, le stesse che poche ore prima aveva innocentemente osservato posate sulla sua porta. Continuava a baciarla per tornarle vicina, si piegava su di lei per ascoltarle il ritmo del respiro e sentirle i battiti del cuore contro il suo petto.

La nenia del monaco gli rimbombava nelle orecchie in maniera fastidiosa. Non sarebbe piaciuta nemmeno a lei, ne era certo.
Quando fu finita uscirono di nuovo tutti dal tempio, tranne i genitori che rimasero vicini alla foto di Shiori per accogliere uno per uno gli invitati che facevano la fila per portare l'offerta e un ultimo saluto. «Ehi» fece Kintaro avvicinandosi e dandogli una pacca sulla spalla «Ho sentito che sarai impegnato in questo periodo». Jun annuì semplicemente «Immagino non ci vedremo per un po', mi raccomando dai il massimo come sempre». Non ricevette altra riposta che un cenno del capo. I ragazzi lo presero da parte e si allontanarono «Non pare molto in vena oggi» gli dissero con un sospiro
«Ci mancherebbe, ma non credevo sarebbe caduto nel mutismo più assoluto» fece quello perplesso
«Ogni tanto spiccica qualche parola, se è necessaria. Ma il più delle volte solo con noi»
«Non ha nemmeno salutato i signori Kumagawa. Ma del resto anche loro sono poco loquaci oggi» scosse il capo per poi indicare con un cenno Jun, che si apprestava ad entrare nuovamente nel tempio «Magari è il caso che andiate con lui. E' stato un piacere avervi conosciuto dopo tanti anni che sento parlare di voi... anche se l'occasione poteva essere migliore» disse cordiale. I ragazzi non se lo fecero ripetere due volte, lo salutarono cortesemente e fecero per seguire il compagno. Fu Ohno a fermarli sulla soglia della stanza scuotendo il capo. Così rimasero fermi lì vicino, come guardie del corpo, ad attendere che finisse, indisturbato. Dopo aver finalmente scambiato due frasi di convenevoli con i genitori della ragazza, Jun si inginocchiò a terra e fece un profondo respiro. «Ho portato un foglio» lo sentirono mormorare «Non è che non voglia tenerlo, ma lo leggerò perchè tu capisca come mai lo do a te». Si schiarì la voce mentre distendeva la carta che teneva ripiegata nelle tasche.

Cristal
La trovò che sorseggiava un frappè al tavolino vicino alla finestra. «E' molto che aspetti?» domandò togliendosi gli occhiali da sole mentre le si sedeva davanti
«Mmmh» fece lei lasciando la cannuccia e scuotendo il capo «Problemi in studio di registrazione?» domandò
«No, no... sono io che non mi accontento mai. Mi spiace di averti fatta aspettare» spiegò Jun mentre lanciava un'occhiata al menù
«Tranquillo, io e il gelato eravamo felicissimi di aspettarti e ci eravamo appena calati di un meraviglioso stato di fresca beatitudine» ridacchiò
«Com'è andata oggi in università?»
«Tutto bene, era l'ultima lezione, mi sono sentita tristissima. Stavo pensando che mi piacerebbe andare a visitare il museo Edo, non ci sono mai stata. E poi uno di questi giorni passerò in biblioteca a cercare dei libri sui samurai, mi piace quel periodo della storia giapponese. Voglio documentarmi e provare a scrivere un libro» gli spiegò entusiasta
«Ahaha! Ok, ok non correre, prima devi laurearti! Infondo ti manca solo un mese» rise lui «Parlare dell'università ti fa sempre sorridere» indicò alla cameriera la sua scelta sul menù
«Dici? Peccato che sono sempre da sola» rispose Shiori stringendosi nelle spalle «Sono mesi che ho smesso di fare la carina e alcuni mi tengono ancora a distanza. Poche ragazze mi si sono avvicinate in questi mesi e alcune l'altro giorno mi hanno detto che posso essere carina quanto voglio, ma che con il carattere orribile che ho rimarrò sempre sola come un cane» ammise con voce neutra
«Ti hanno detto proprio così?» chiese Jun sbalordito
«Ok, hanno detto "merda" non "orribile", ma il succo è quello» spiegò gesticolando con la mano «Non farci caso, sapevo che ci sarebbero state delle conseguenze, ma è meglio adesso rispetto a prima»
«Se lo dici tu» annuì poco convinto «Se però dovessero farti qualcosa di cattivo dimmelo»
«Qualcosa di cattivo? Non siamo più studentelle, Jun!» esclamò ridendo «Comunque non c'è da preoccuparsi, non rimarrò sola come un cane» si gongolò appoggiando il bicchiere sul tavolo «Sto già con l'idol più ambito del Giappone». Il ragazzo sorrise e ringraziò la cameriera quando gli portò il te freddo.
Dopo la sera in cui lei si era dichiarata, Jun era sparito completamente per una settimana. Non aveva risposto a nessuna sua chiamata e non era nemmeno tornato a casa, rimanendo a dormire agli studi o a casa di qualche collega. Doveva riflettere: aveva agito d'istinto, trasportato dalle emozioni e dall'eccitazione, ma, come aveva fatto Kintaro, doveva riflettere bene se era il caso di mettersi con una persona che aveva il 50% delle possibilità di non sopravvivere ad un'altra manciata di mesi. Quando tornò a farsi sentire dovette parlare con molta franchezza: non era una scelta facile, ma era disposto a farla ad alcune condizioni. Shiori doveva fare degli esami per valutare la possibilità di un'operazione per migliorare la situazione e doveva pensare positivamente al rimanente 50%, e quindi tornare in università per il gusto di studiare qualcosa su cui basare il suo futuro. Chiaramente poi c'erano tutte le condizioni derivanti dal fatto che si stava fidanzando con un personaggio famoso. Lei accettò tutto, senza deroghe. Da quel giorno era passato tutto l'inverno e tutta la primavera, ormai cominciava Giugno e con esso l'estate. I due si vedevano una volta alla settimana, per metà della giornata libera di Jun, si sentivano più o meno tutti i giorni e nelle sere in cui non tornava tardi a casa, Shiori andava a dormire da lui. Facevano l'amore ogni volta, capitava che certe sere arrivassero ad un certo punto in cui lei non si sentiva bene, ma altre andava tutto bene. Era sempre attento e premuroso, tanto che aveva preso l'abitudine di nascondere il viso nell'incavo del collo della ragazza per sentire, tramite la pressione sulle arterie, le pulsazioni del suo cuore.
«Secondo me questo weekend pioverà» asserì Jun con convinzione
«Mmmh, quindi dovrò mettermi una mantella per il nostro appuntamento» osservò Shiori alzando gli occhi al cielo, completamente sereno
«Ma io non ti ho ancora invitato» corrugò la fronte il ragazzo
«L'hai fatto adesso» ribattè con un sorriso angelico: continuava a fare la prepotente e la dispotica, ma aveva imparato il confine da non superare. «Ti va bene che non ho lavori nel pomeriggio di domenica, ma potrei sforare il pranzo. E' un problema?» domandò finendo il te
«Assolutamente» sghignazzò, conoscendola aveva sbirciato nella sua agenda in un suo momento di distrazione per essere certa che non fosse impegnato quel giorno. «Che impiastro che sei!» sospirò «Forza andiamo, dobbiamo ancora fare la spesa per stasera» la incitò pigiandole in testa il cappello con visiera che aveva posato sul tavolo «Cosa vuoi da mangiare?»
«Come si chiamava quel piatto che hai fatto l'ultima volta?» domandò prendendo la borsa e seguendolo ad una certa distanza. La tentazione di prenderlo sotto braccio era tanta, ovviamente, ma era una delle condizioni imposte: in pubblico dovevano stare a distanza di sicurezza. «Gli spaghetti alla matriciana?» chiese lui
«Si quelli! Mi piace quando cucini italiano» asserì, lasciando che Jun pagasse il conto prima di avviarsi insieme verso la macchina.
Aveva torto, quella domenica era soleggiata come il resto della settimana. Jun attendeva Shiori sotto un albero davanti alla stazione vicina a casa sua: non era lui ad essere in anticipo, ma lei ad essere in ritardo. Era più che sicuro che avesse perso tempo a scegliere cosa portare da mangiare. La sera prima la ragazza aveva perso un foglietto a casa sua, sopra vi erano scarabocchiate tante possibilità, tanti cibi adatti ad un picnic come quello che sarebbero andati a fare quella domenica. Se era in ritardo era perchè non sapeva ancora decidere cosa prendere... e poi aveva perso il foglietto perchè ce l'aveva lui! Il sole brillava alto nel cielo e filtrava attraverso le foglie dell'albero facendogli già presagire il caldo afoso di quell'estate. Solo, seduto sul muretto dell'aiuola, si mise a riflettere su quel rapporto. Ancora non ne aveva fatto parola con nessuno al lavoro. Lo sapeva Kintaro, con cui i rapporti erano sempre buoni, e lo sapevano alcuni amici del suo giro, ma dalla parte di Jun nessuno ne era a conoscenza. Nè la sua famiglia, nè gli amici, tanto meno gli Arashi. Aveva avuto raramente fidanzate e il più delle volte non erano mai andate bene a nessuno dei quattro. Voleva aspettare che Shiori facesse l'operazione, la settimana successiva la laurea, per poi presentargliela. Forse stavolta sarebbe andata diversamente: non era una modella, era una ragazza qualunque. Aveva un caratteraccio terribile a primo impatto, ma con un po' di pazienza la si scopriva dolcissima e più sensibile di quanto non volesse dare a vedere. Era una donna con mille difetti, ma col pregio di saperli riconoscere, con la mania di criticare gli altri e la capacità di criticare anche se stessa. Aveva un cuore di cristallo e un'anima di ferro. «Ma è così difficile scegliere tra dei pasticcini e una confezione di sandwich?» si domandò ad alta voce, spazientito. Aveva già venti minuti di ritardo. Compose il suo numero per chiamarla al cellulare e sentì la suoneria alle sue spalle «Alla buon ora!» esclamò alzandosi in piedi
«Scusa, scusa» spiegò lei «Ho perso tempo e sai che non posso correre!» gli disse arricciando il naso.
Poche ore dopo erano sdraiati sul prato di un parco di periferia, dopo essersi abbuffati di salatini «Perchè centro salatini, me lo spieghi?» domandò Jun premendosi una mano sullo stomaco
«Erano in sconto!» ripetè Shiori per l'ennesima volta «I tramezzini erano di meno, ma... non si può dire di no ad uno sconto» scosse il capo
«Ma puoi dirlo ad un indigestione» ribattè il ragazzo
«Quante lagne! Sei uomo: non puoi capire il feeling tra la donna e il supermarket» sbuffò lei scocciata «E comunque la colpa è tua che sei ingordo, potevi portartene un po' a casa per cena e invece te li sei mangiati tutti adesso» si rotolò nell'erba fino ad arrivare al suo fianco per dargli fastidio
«La pianti? Stai ferma» ridacchiò tentando di sfuggire al suo punzecchiarlo «Sento che vomito tutto se mi muovo» spiegò, invano, alla ragazza che moriva dal ridere. «Scusa, scusa... è che sono felice!» si giustificò quella
«E se sei felice devi molestare me, non ho capito?» borbottò volgendo gli occhi al cielo azzurro
«Non so come sfogarmi altrimenti. Sono felice, così felice che non riesco a trattenermi. Quasi quasi mi metto a piangere» esclamò allargando le braccia nell'erba «Vorrei che tutte le persone del mondo fossero felici, anche quelle che mi dicono che ho un carattere orribile»
«"di merda"» la corresse Jun ridacchiando e girandosi su un fianco per osservarla
«Va bene, anche loro» rise lei. Quella primavera si era tagliata i capelli in un caschetto lungo fino al mento e continuava ad arricciarsi i capelli. «Vorrei che la felicità cadesse su tutti quanti senza eccezioni. Che riempisse i cuori delle persone come riempie il mio: se può farcela lui figurati il loro, non pensi?» sospirò con un sorriso. Sembrava più giovane, più fresca, pronta a superare qualsiasi cosa. L'estate, con il lancio del nuovo disco e un drama nuovo da girare, si preannunciava fitta di impegni e difficile, ma gli pareva che con lei al fianco avrebbe superato tutto senza difficoltà. Era come un piccolo portafortuna: con quella piccola donna forte tutto sembrava possibile.

«"L'ultimo giorno che hai passato come essere umano hai espresso un desiderio. Volevi che fossimo tutti felici. Se il tuo cuore poteva contenere tutta quella felicità allora potevano farlo anche gli altri, hai detto. Forse non poteva e ora non ci sei più.
Fatto strano però, dopo la tua morte ho parlato con tante persone e pare che il tuo desiderio si sia avverato sul serio. Ci credi se ti dico che Kintaro sta per andare a convivere con Himiko? Mi sono arrivate le copie delle lettere di persone e professori dell'università: non hai idea di quanti compagni ti hanno scritto. Alcune ragazze hanno sinceramente espresso i loro sentimenti e un paio, che probabilmente non ti hanno mai parlato, hanno scritto quanto ti ammirassero per il tuo coraggio, per lo sforzo di mostrarti per com'eri anche se rischiavi di rimanere sola nell'ultima parte della tua vita. Volevano prenderti d'esempio per avere più coraggio e hanno scritto così: "E' stato bello aver incontrato Kumagawa san, lei mi ha dato indirettamente una grande lezione. Da oggi la terrò sempre nei miei ricordi e farò tutto il possibile per costruire una vita felice". Il tuo professore di politica medioevale, o come si chiama quella materia strana, ha scritto insieme al corpo docenti e poi ha mandato una lettera personale. Diceva che se si potesse vorrebbe consegnarti lo stesso la laurea che avresti conseguito entro pochi giorni, poi ha preso in mano le tue ricerche e cercherà di vedere se tra i tuoi appunti avevi scritto una buona storia. Magari la sua felicità sarà scrivere quel libro che progettavi e fare soldi a palate alla faccia tua."» lesse piano per poi ridacchiare amaramente «"E io sono felice?
Ho sempre amato la mia vita, ma in questi giorni sono pieno di risentimento per quel tuo cuore che non poteva trattenere la gioia che provavi. Mi hai lasciato senza preavviso e le tue ultime parole sono state: Vado io, scemo, tu segui i fornelli o si brucia tutto."» rise di nuovo, ma insieme sentì anche gli occhi che gli pizzicavano «"Maledetta, non potevi essere più carina? Dovevi proprio darmi dello scemo? Se penso che non mi sono nemmeno girato a salutarti e a guardarti mentre uscivi, troppo preso a seguire l'acqua degli spaghetti che bolliva"» fece una pausa e tiro su con il naso. Non singhiozzò, ma passò la mano sul foglio dove gli erano cadute un paio di lacrime. L'inchiostro sbiadì leggermente. «"Sono l'unico a non aver scritto una lettera da spedirti a casa e dar far finire nel mucchio sulla tua inutile scrivania in camera (lo sanno tutti che studiavi sempre sui divani, e non solo sui miei). Questo perchè non so cosa scriverti. L'amore hanno provato a descriverlo i più grandi letterati del mondo e io sono solo "l'idol più ambito del Giappone": non ho le capacità per mettere su un foglio quello che esprimevo meglio ogni giorno che passavo al tuo fianco e che avrei voluto continuare a trasmetterti se solo mi avessi dato più tempo.
Così sono solo riuscito a scrivere questa pagina di diario che non mi sento di tenere per me e ho pensato di usarla come ultima cosa da condividere con te. Sayōnara, Shiori."» fece un respiro e si passò la manica del completo sugli occhi prima di voltarsi verso la porta «Avete un accendino?» domandò ai ragazzi dritti sulla porta: Aiba stava piangendo appoggiato allo stipite della porta e Nino e Satoshi ebbero solo la forza di scuotere il capo. Sho aveva gli occhi lucidi «Un secondo» gli disse con la voce tremante, si stava controllando a stento. Mentre attendeva, Jun prese il piattino in bronzo sotto l'incensiere e tornò a sedersi mettendolo davanti a sè. Sho tornò con un accendino chiesto agli invitati, entrò nella stanza e glielo porse per poi sedersi poco distante, curioso di vedere cosa volesse fare. «Sai che una volta da piccola aveva desiderato morire?» domandò il moro con la voce roca, prendendo il foglio in una mano e l'accendino nell'altra
«Perchè?» chiese l'amico
«Voleva sollevare tutti dalle preoccupazioni che dava loro. Ma siccome li amava e non voleva separarsi da loro aveva deciso che si sarebbe gettata in mare per finire come la Sirenetta» spiegò avvicinando un angolo del suo foglio alla fiamma, lo guardò prendere fuoco
«Schiuma» fece Nino sedendosi al fianco di Jun dall'altra parte rispetto a Sho, il foglio intanto veniva posato sul piattino di bronzo
«E siccome lei era una bambina buona sarebbe poi diventata uno spirito dell'aria. Così avrebbe continuato a stare vicino alle persone che amava per sostenerle.
Forse è successo davvero» disse osservando la carta che si anneriva. Le lettere scomparivano nel rosso della fiamma, scurivano e bruciavano rapidamente fino a sbriciolarsi e diventare parte del mucchietto di cenere che si formava sul fondo del piattino. «Sono sicuro che Shiori ora sia uno spirito dell'aria come aveva sognato e che la felicità che non è riuscita a sostenere in vita l'abbia distribuita, facendola cadere "su tutti noi senza eccezioni", come ha espresso l'ultimo giorno» anche l'ultimo angolo del foglio bruciò e la fiamma si spense
«E come avrebbe fatto?» domandò Satoshi che, con Aiba, rimaneva sulla soglia. D'improvviso dalla finestra aperta arrivò una folata, la cenere leggera che stava sul fondo del piatto venne spazzata via e si disperse: il pavimento però rimase pulito. Jun sorrise osservando la superficie in bronzo completamente lucida. «Con il vento».

*Gamberi impanati
**Vongole grandi alla piastra (una delle specialità di Enoshima)


Questa ff è stata scritta il 1° Settembre 2010 e pubblicata qui pochi giorni dopo. Dato che è stata scritta di getto in una notte, la revisione che avevo fatto era minima così in questio giorni (Febbraio 2012) mi son decisa a rivederla, correggerla e ripostare tutto. Se lo meritava perchè questa è, tra le ff che hos critto, quella che ha un posto speciale nel mio cuore...
La vecchia versione della ff è stata cancellata, ma lascio qui il mio commento che aveva accompagnato la prima versione, del resto ho solo fatto correzioni, non aggiunte, quindi vale ancora.

Per quanto sia una One-Shot, come al solito, non sono riuscita ad essere poco prolissa e dettagliata. La definizione migliore è fic breve! XD
Pazienza... allora, questa è una fic scritta in occasione per il compleanno di Jun, ce l'avevo in mente da tanto ma ho voluto scriverla per questa occasione dato che per ora non lo aveva contemplato tanto tra le fanfiction che sto scrivendo (approposito, mi sono fermata con Ame per scrivere questa, ma tra pochi giorni posto l'ultimo capitolo e l'epilogo di Zakuro!). Scimmio adorato, perdonami se sono in ritardo di ben 3 giorni nel consegnarti questo regalo eh >.< ごめんなさいね〜 Inoltre, so che sembra strano regalare una ff con un finale tanto triste, però, al di là della drammaticità della storia, io la trovo bella quindi quello che conta sono i sentimenti che ci stanno dentro: sono quelli il regalo, sotto forma di ff
Quindi grazie Matsujun: grazie per essere praticamente "sesso che cammina", grazie per sbatterti ogni volta (insieme a Sho) per quel gruppo di imbecilli adorabili che sono gli Arashi, grazie per essere sexy da morire, grazie per le poche parole che dici in tv, ma che sono sempre quelle perfette, grazie per il neo sul tuo labbro (meraviglia!), grazie perchè ci regali musica splendida, grazie per averci emozionato e per tutte le volte che in futuro continuerai ad emozionarci. Tanti uguri per i tuoi 27 anni!
Qualche vicissitudine sulla fic: ho riscritto l'inizio 14 volte. Alla quattordicesima ero felicissima e soddisfatta: era proprio come lo volevo, perfetto! Salvo accorgermi che quell'inizio non c'entrava un fico con quello che avevo progettato! (solitamente io parto a scrivere le fic sapendo già come finiranno e poi costruisco il resto)(Zakuro è stata un'eccezione) Quindi ho messo da parte quell'inizio -so già per quale fic usarlo!- e ho ricominciato di nuovo. Fortuna che da lì in poi la fic mi è venuta fuori abbastanza scorrevole, senza riscrivere niente, al massimo spostando un paio di frasi e correggendo degli errori di battitura.
Ringrazio:
- Wikipedia e le sue mitiche pagine sulla Sindrome del tizio francese (Loeffler, se vi interessa XD), sulla Sirenetta di Andersen e sulle tonalità del blu per i divani di Jun XD (sono malata mi sa)
- Parole d'autore per il testo dell'introduzione che è (C) di Andersen, pace all'anima sua O.o
- Tutte le fan dello scimmio che avranno la pietà di non crocifiggermi in sala mensa °-° meheheh
Dettagli: se non fossi la scrittrice, ma una lettrice, a quel "Guardami" sarei morta *ç* Cristo, Jun, quanto sei figo... e con questo chiudo. Se vi va aspetto i vostri commenti sensati... ma comunque potete anche dire boiate, non importa. (tra parentesi... ma lo avete notato che ci ficco sempre del cibo nelle mie fic? O.o).

P.S.I titoletti sono in francese eh? Io non so il francese quindi se qualche parola è sbagliata avvisatemi che correggo O_O

  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Arashi / Vai alla pagina dell'autore: Hika86