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Autore: keikoten    12/04/2004    0 recensioni
E' stata la mia prima ff! Ditemi cosa ne pensate! ^_^
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hisashi Mitsui
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SOULS IN THE DARK

 

Capitolo 1 – L’incontro

Lo vedevo correre, saltare dalla linea dei 3 punti, tirare e fare ogni volta canestro. Ma più passavano i minuti, più il suo respiro si faceva affannato. Ero in prima fila e riuscivo a vederlo benissimo.

Era la prima partita in cui lo vedevo giocare dopo un periodo brutto. Non sapevo esattamente cosa gli era successo.

Seguivo tutte le sue partite da quando giocava nel Takeishi e aveva portato la sua squadra alla vittoria, vincendo anche il titolo di MVP (most valuable player).

Si iscrisse allo Shohoku, disputò qualche partita e poi seppi che si era fatto male ad un ginocchio durante un allenamento. Avrei voluto andare a trovarlo, ma se mi avesse chiesto chi ero cosa avrei potuto rispondergli? Che ero una ragazza innamorata di lui dalle medie che non si perdeva una sua partita? No, tanta sfacciataggine non era da me, io ero una ragazza timidissima!

Comunque non seppi più nulla di lui, e anche quando chiedevo sue notizie agli appassionati di basket che conoscevo, cambiavano tutti argomento. Cosa sapevano più di me?

Andò avanti così per due anni, poi quella partita.

Avevo sentito che lo Shohoku doveva giocarsi il secondo posto per le eliminatorie del torneo nazionale contro il Ryonan. Ci andai più per curiosità che per un reale interessamento, ma quando lo vidi entrare in campo mi sembrò che il mio cuore mi volesse uscire dal petto.

Era lo stesso Hisashi delle medie, lo stesso sguardo combattivo, la stessa eleganza nei movimenti. Era lui. Era tornato.

Non ricordo da quanto tempo lo chiamo per nome. Probabilmente il fatto che lui sia sempre nei miei pensieri mi deve aver dato l’illusione di conoscerlo più di quanto non sia in realtà e mi è venuto spontaneo chiamarlo per nome piuttosto che per cognome: Mitsui.

Può sembrare strano ma pur non conoscendolo di persona e avendolo visto solo durante delle partite era come se il suo corpo, i suoi movimenti mi facessero capire i suoi sentimenti, cosa provava.

Prima del suo infortunio sentivo la sua grinta, il desiderio di vincere, le sue rare delusioni se non faceva un canestro.

Ora il sentimento che sovrastava tutti gli altri era la gioia, la semplice gioia di essere in campo e giocare a basket. Cosa poteva essergli successo in quei due anni?

 

La partita stava andando bene per lo Shohoku che era in vantaggio anche se di poco.

Stavo guardando il punteggio, quando diverse grida riportarono la mia attenzione sul campo. Mitsui! Era a terra e sembrava svenuto! Il mio cuore aveva perso un battito. Lo sapevo! Si era affaticato troppo! Il suo respiro affannoso era un sintomo più che evidente. Possibile che non se ne fosse accorto nessuno e non lo avessero sostituito per tempo?! Sembrava lo portassero verso gli spogliatoi. Corsi giù per le scale che portavano alla tribuna dove ero io prima, e cominciai a correre nella loro direzione. Dovevo assolutamente sapere come stava! Sfortunatamente non avevo previsto il fatto che lui nel frattempo si fosse ripreso e stesse seduto sulle scale che portavano all’altra tribuna, da solo a riflettere, tentando di aprire una lattina di gazzosa.

 

Maledetta lattina! Svenire così davanti a tutti, non è da me!…Dannata apriti!

Fortunatamente per la lattina la mia attenzione si spostò sul rumore di passi affrettati che venivano nella mia direzione. Quel rumore si trasformò ben presto nel corpo armonioso di una ragazza, alta circa 165 cm con lunghi capelli castani ricci che ondeggiavano ad ogni suo passo. Non era particolarmente bella, ma c’era qualcosa in lei che attirò la mia attenzione. Il suo viso? Sì, era carino, ma non era quello. Non lo seppi finché lei non mi si fermò davanti: erano i suoi occhi verdi come giada, così espressivi, dolci, e …qualcos’altro di indecifrabile.

Adesso mi stavano fissando interrogativi. Le dissi acido: “Non hai mai visto uno che apre una lattina?”

Lei sembrò non avermi sentito, anzi disse: “Hisashi! Allora stai bene! Che spavento mi hai fatto prendere!” Fece un bel respiro di sollievo e mi sorrise. Ora ero io quello stupito! Chi era quella ragazza e perché mi aveva chiamato per nome? La conoscevo?

 

Ma cosa mi era preso? Come mi è saltato in mente di chiamarlo per nome? Stupida! In realtà lui è Hisashi solo nei tuoi pensieri! Tu in realtà non lo conosci! Guarda come ti sta guardando, sembra che abbia appena visto un extraterrestre! L’unica cosa da fare è scappare a gambe levate!

 

La osservavo ancora quando lei si portò una mano alla bocca come se volesse rimangiarsi quello che aveva appena detto assumendo nello stesso tempo un grazioso colorito rossastro e trasformando quello sguardo dolce in uno sfuggevole ai miei occhi. Sorrisi, era veramente buffa.

 

Starà sicuramente pensando che sono una scema, guarda come sorride! Anche se il suo era un sorriso di scherno, lo trovai bellissimo lo stesso. Seguii i miei propositi e mormorando un biascicato “Scusami” corsi via.

 

Capitolo 2 – Sapere leggere il cuore

Accidenti! Odiavo quelle sportone di carta senza manici, ma in quel supermercato non sapevano che era stata inventata la plastica? E io proprio oggi dovevo fare la spesa per tutta la settimana prossima? Risultato: abbracciavo due sportone che non mi permettevano nemmeno di vedere dove camminavo!

Speravo che la provvidenza mi permettesse di tornare a casa senza scontrarmi con nessuno, dato che non vedevo la strada. E invece mi scontrai con qualcosa molto più alto di me, anzi qualcuno….

Non riuscii a tenere le buste e il risultato fu che oltre al mio sederino dolorante, tutta la mia spesa era sparsa sul marciapiede. Maledette buste di carta! Mi rialzai a fatica e cominciai a raccogliere tutto. Non avevo nemmeno guardato in faccia l’altro, così quando mi chiese se volevo una mano con la sua voce calda e profonda e io alzai la testa per rispondergli, piuttosto seccata, che era il minimo che potesse fare rimasi di stucco, mi si bloccarono le parole in gola…era lui. Ci guardammo negli occhi, tutti e due stupiti, per alcuni secondi, poi lui mi richiese se volevo una mano. Ancora una volta avevo fatto una figuraccia, così mi limitai a rispondere un impercettibile “Sì, grazie”.

Mentre mi aiutava mi disse “Scusami. Anche per l’altra volta”.

Cominciai a rilassarmi in sua compagnia. “Non preoccuparti” risposi.

 

La stavo aiutando con la sua spesa. Che strano non avevo fatto altro che pensare a lei dal nostro primo incontro e anche ora che camminavo pensandola, lei si era materializzata davanti ai miei occhi. Se non è destino questo…

Lei mi incuriosiva. Mi aveva colpito ed inoltre nascondeva qualcosa che volevo svelare. Avevo notato qualcosa di indecifrabile nei suoi occhi anche durante il nostro primo incontro e solo adesso me ne ero reso conto. Solo ora che i suoi occhi non sfuggivano i miei. Erano oscurati da un onnipresente velo di tristezza. Perché?

La guardavo di sottecchi di tanto in tanto. Sentivo che quella ragazza sconosciuta ed io eravamo molto simili.

Finimmo di riempire le buste ma si erano leggermente strappate ai lati nella caduta, non poteva più tenerne due alla volta. Fu per questo che mi offrii di aiutarla a portarne una. Lei mi guardò un istante con quegli occhi di giada prima di rispondermi.

 

Me lo aveva chiesto davvero? Quando mi sarebbe ricapitato?!

Acconsentii a farmi accompagnare a casa. Camminavamo a fianco a fianco abbracciando tutti e due una sporta della spesa per uno.

Ero contenta, potevamo sembrare una coppietta agli occhi dei passanti. Inconsciamente fingevo che questo fosse vero. Dopo che ci fummo messi in marcia verso casa mia calò un pesante silenzio. Ero imbarazzata, tenevo lo sguardo fisso a terra e aspettavo con ansia la sua domanda, sapevo che prima o poi me la avrebbe fatta. Infatti…

 

“Come sapevi il mio nome?” le chiesi per rompere quel silenzio. Volevo saperlo, magari era una maniaca che mi seguiva o che altro. Mi sembrò un mio diritto chiederglielo, anche se non aveva assolutamente il modo di fare di una maniaca e mi diedi mentalmente dello stupito solo per averlo pensato. Sembrò scegliere con cura le parole che pronunciò poco dopo.

 

Volevo essere sincera, non volevo mentirgli, così gli risposi guardando fisso davanti a me. Temevo che avrebbe trovato ridicole le mie intuizioni sul suo carattere. “Seguo le tue partite da quando giocavi nel Takeishi. Sono passati quattro anni da allora e vedendoti giocare ho imparato a conoscerti un po’. Così ogni tanto mi viene da chiamarti per nome anche se non ci siamo mai parlati. So che è da maleducati perciò scusami. Ho parlato troppo vero?” Volsi il capo verso di lui sorridendo e lo guardai. Mi stava fissando attento. Ritornai a guardare la strada. Camminare vicino a lui mi tranquillizzava e mi metteva in agitazione allo stesso tempo. Che strana sensazione, pensai.

Poi mi chiese: “Cosa intendi per ‘conoscermi un pò’? Io non ti ho mai vista, come puoi dirlo?”

 

Che strana ragazza. Mi aveva sorriso. Era un sorriso dolce e solare come non ne avevo visti da molto tempo a questa parte. Due anni. Due merdosissimi anni.

Ero sempre più curioso di vedere dove sarebbe arrivata quella conversazione. La sua risposta mi stordì un poco. “Beh..” mi disse “Forse tu non te ne sei mai accorto, ma il tuo modo di muoverti in partita può rivelare molte cose di te. La tua gioia quando fai canestro, la rabbia quando un avversario riesce a rubarti la palla, la tua determinazione quando sai che devi dare il massimo. Sono tutte cose che si capiscono, o almeno io riesco a percepirle.” Stette un attimo in silenzio poi continuò. “C’è una cosa però che non capisco. Quella contro il Ryonan era la prima partita dove ti vedevo giocare dopo il tuo infortunio..” Sapeva anche di quello, pensai. Chissà se sa anche del mio passato come teppista. Ma non ebbi il tempo di chiederglielo, perché lei continuò “…e lì quei sentimenti non c’erano.” Concluse più parlando a se stessa che a me. Ero curioso di sapere. “Che cosa sentivi?” mi sentii chiederle prima che il mio cervello riuscisse a bloccare la mia linguaccia.

“Non so…” rispose “...era come se tutti quei sentimenti fossero nascosti da un sentimento più forte, più grande. Gioia, gioia pura. Il solo fatto di avere la palla da basket tra le mani sembrava che ti rendesse così felice! Come mai?”

Ero shockato. Come sapeva tutte quelle cose su di me senza che gliele avesse dette nessuno? Ora mi guardava con quei suoi occhi. Sembrava volesse leggermi l’anima. Aveva fatto solo una semplice domanda di due parole e mi aveva mandato in tilt e ora quel suo sguardo pieno di aspettativa…. Si aspettava una risposta! Ma io non ero pronto a dargliela, non ancora. Tentai di trovare una scusa, una scusa qualsiasi per andarmene. Andarmene da quegli occhi indagatori. Avevo paura che riuscissero a leggermi troppo nel profondo e lei avesse visto cosa ero diventato dopo quell’infortunio. Me ne vergognavo, non sapevo perché, ma non volevo che lei sapesse che ero stato un teppista.

Fortunatamente proprio un quel momento arrivammo a casa sua. Le lasciai la sua busta, poi, causa un improrogabile impegno totalmente inventato, la salutai e me ne andai in tutta fretta. Era troppo perspicace per me, per il mio cuore.

 

Capitolo 3 – Rivelazioni???

“Sono sicuro che ha capito che la mia era una fuga.” Cavoli! Ancora quei pensieri! “Ora basta! E’ ora di finirla” mi dicevo, ma non riuscivo a non pensarci, a non pensare a lei.

Era già passata una settimana dalla nostra “chiacchierata” e questo senso di colpa non se ne andava.

Non mi era mai successo! Ma che mi prendeva! Non conoscevo nemmeno il suo nome e mi preoccupavo di essere stato maleducato con lei?!

*****

Ero stato combattuto per una settimana, se rivederla o meno, e ora sapevo di aver fatto la scelta giusta andando nell’unico posto dove sapevo di poterla trovare di sicuro. Per scusarmi? No, non era per questo.

Perché volevo disperatamente che lei mi capisse? A questa domanda il mio cuore aveva già risposto, ma esso mi rivelò la verità solo quando lei mi aprì la porta di casa sua.

 

Non lo vedevo da una settimana. Pensavo che le mie “rivelazioni” sul suo modo di giocare, l’avessero in un certo senso spaventato. Probabilmente mi considerava una pazza. Tutto di me lo inorridiva. Ne ero certa.

Durante la nostra camminata quel giorno mi ricordo di aver pensato “Ora che lo conosco di persona posso andare a trovarlo a scuola qualche volta, magari durante gli allenamenti”, ma il modo in cui se l’era “svignata” era stato piuttosto eloquente. La mia presenza non sarebbe stata gradita.

Il nostro ultimo incontro aveva coinciso con la nascita di questi brutti pensieri, che mi avevano gettata nello sconforto più totale. Ormai ero prossima a farmene una ragione. Tra noi non ci sarebbe mai stato nulla. Ma…..

Immaginatevi la mia faccia quando andai ad aprire la porta quel pomeriggio e me lo trovai davanti: il fulcro dei miei pensieri.

Il suo sguardo era ansioso e quando incrociò il mio, si trasformò nello sguardo di un bambino appena scoperto a rubare delle caramelle. COSA CI FACEVA LUI SULLA SOGLIA DI CASA MIA?! Questa domanda trovò presto una risposta….

 

“Ciao” cominciai imbarazzato. “Ciao. Cosa… ci fai qui?” mi rispose lei. Lo stupore sul suo viso era evidente. Ora che le dicevo? Buttai lì un “Ci pensavo l’altro giorno. Tu conosci il mio nome, ma io non so ancora il tuo.” con una spavalderia che in realtà non provavo. Che inizio stupido per una conversazione! “Keiko, Keiko Murakami. Ma sei venuto fin qui solo per chiedermi questo?”

“No! No! …Ehm…Senti sei libera adesso?” “Sì. Non ho niente di particolare da fare. Perché?” Stava attendendo una mia risposta. “Beh…Ecco io….Avrei pensato che magari, se ti andava, potevamo andare da Mister Donut a prenderci un caffè e parlare un pò!”

 

“Cosa?” mi domandai mentalmente.Ma ero scema! Ma che domande mi facevo?! Il ragazzo di cui ero innamorata da quattro lunghi anni mi invitava ad uscire con lui?!

Evidentemente quei pensieri vennero formulati mooolto lentamente dal mio cervello, tanto che lui prendendo il mio silenzio per una risposta negativa disse, intristendosi, “Se non ne hai voglia non fa niente. Dopotutto io e te ci conosciamo così poco… Forse hai paura di uscire con un ragazzo che non conosci. Ti capisco”. Ero addirittura riuscita, con il mio comportamento, a fargli credere che non mi importava niente di lui. Che stupida!

 

Mi sembrava che la voglia di conoscerci meglio fosse reciproca, ma da come mi aveva risposto, evidentemente mi sbagliavo. “Scusami…” cominciò lei “…ma la tua richiesta mi ha colta del tutto impreparata. Detto tra noi, tu sei il primo ragazzo che mi chiede di uscire. Comunque mi farebbe molto piacere parlare con te Mitsui.” Arrossì. Sembrava davvero dispiaciuta. Mi faceva tenerezza. “Beh…” le dissi “io volevo rispondere alla domanda che mi avevi fatto l’altro giorno. Ci ho pensato su e… Sai sono successe cose di cui parlo a fatica. Anzi tu sarai la prima a cui le racconto di persona. E chiamami Hisashi!” Le sorrisi felice. “D’accordo Hisashi, ma solo se tu mi chiamerai Keiko”. Sorrise anche lei e poi prese il suo giubbotto di jeans, che probabilmente si trovava vicino alla porta d’ingresso perché ci mise solo pochi secondi. Ci avviammo a braccetto verso Mister Donut. Ero un po’ teso, ma sentivo che lei mi avrebbe capito. Era una sensazione nuova per me. Mi sentivo bene quando stavo insieme a lei.

 

Capitolo 4 – Soul in the dark

Avevamo ordinato ciambelle e due caffè lunghi. Per farlo capire alla cameriera ci mettemmo un quarto d’ora. Se non staccava gli occhi di dosso a Hisashi, come faceva a scrivere le nostre ordinazioni sul suo taccuino?!

Da parte mia tentavo di fulminarla con lo sguardo, ma lei o non se ne accorse o mi ignorò volutamente.

Ci sorridevamo spesso io e lui. Anche lui sembrava felice di essere lì con me. C’era qualcosa che ci legava. Sentivo di riuscire a capirlo solo guardandolo. Per strada gli avevo fatto delle domande sul suo sport preferito, tipo “Come va la squadra?” o “Pensi che riuscirete a vincere i campionati nazionali?”, oltre agli immancabili complimenti per il modo in cui giocava.

Adesso ce ne stavamo lì in silenzio aspettando il nostro caffè e le nostre ciambelle. Sapevo che quello che stava per rivelarmi sul suo passato doveva averlo fatto soffrire e il fatto che volesse confidarsi con me mi riempì di gioia. Aspettavo che fosse lui a parlare. Non volevo forzarlo.

 

Attendeva. Aspettava che io cominciassi il mio racconto.

Non mi ero sbagliato, per tutto il tragitto avevamo chiacchierato come due vecchi amici. In realtà era come se ci conoscessimo da sempre. Era destino che noi due prima o poi ci incontrassimo Keiko.

I suoi occhi verdi mi guardavano sereni e un leggero sorriso le incurvava le labbra. Decisi che quello era il momento giusto e cominciai il mio racconto. In cuor mio speravo che mi capisse.

“Sapevi già del mio incidente al ginocchio. Giusto?” lei annuì attenta e io continuai “Quello che non sai è che appena fui in grado di stare in piedi cominciai ad allenarmi da solo di nascosto, ignorando i pareri dei medici secondo i quali ci sarebbe voluto un bel po’ prima che io tornassi a giocare. In quel periodo la rivalità che c’era con Akagi mi spronava a dare il meglio di me. Non potevo dargliela vinta solo per colpa di uno stupido ginocchio.” Guardavo le mie mani sul tavolo mentre parlavo. Me le stropicciavo convulsamente per il nervosismo. Lei lo capì e mi prese le mani tra le sue. Io la guardai riconoscente. Con un cenno della testa mi spronò ad andare avanti, così ripresi “Appena dimesso tornai subito a giocare. Il basket era la cosa più importante della mia vita! Ma gli scontri con Akagi durante le partite di allenamento erano duri, forse un po’ troppo per il mio ginocchio, che proprio durante una di queste partite cedette di nuovo. I dottori furono chiari, non avrei più potuto giocare a basket. Cominciai a sprofondare. Non potevo accettare una cosa del genere. Provavo rabbia, rabbia verso me stesso e verso il mondo intero. Mi ero giocato la possibilità di diventare un campione, ed era tutta colpa mia. Dovevo trovare qualcosa per sfogarmi. Era un periodo, quello, in cui tornavo a casa tardi tutte le sere ubriaco fradicio. Fu durante una di queste camminate notturne che incontrai per la prima volta Tetsuo. La sua banda mi attaccò ma io li battei tutti con la forza della mia disperazione, mentre lui guardava tutta la scena. Finito il combattimento mi venne vicino e poggiandomi una mano sulla spalla mi chiese se volevo entrare a far parte della sua banda.”

 

La sua voce sembrava provenire da un punto lontano. I suoi occhi non guardavano me, ma il passato. Gli strinsi un po’ di più le mani tra le mie. Volevo infondergli coraggio, volevo che mi raccontasse quel periodo buio della sua vita. Ero convinta che parlandone si sarebbe sentito meglio.

Arrivarono le nostre ordinazioni, ma nessuno dei due ci fece caso. I nostri occhi erano allacciati. Continuò “Per un intero anno feci a botte con bande rivali, mi ubriacai tutte le sere, non davo il tempo alla mia coscienza di risvegliarsi. Odiavo tutti e soprattutto chi giocava a basket. E’ così che io e Miyagi ci conoscemmo. Facemmo a botte e finimmo in ospedale tutti e due. Dovevo fargliela pagare. Seppi che si era iscritto al club di basket e il mio proposito si allargò comprendendo anche il club. Non avrebbero più giocato a basket neanche loro se io non potevo farlo. Gli avrei impedito, con quella rissa, la partecipazione alle eliminatorie. Era un buon piano e io e la banda lo mettemmo presto in pratica. Non avevamo considerato, però, l’Armata Sakuragi che ci sconfisse. Arrivarono anche Akagi e il signor Anzai. Quando vidi quest’ultimo… scoppiai a piangere. Mi resi conto di cosa ero diventato e la mia mente non più annebbiata mi rivelò quello che dovevo fare nella mia vita ‘Voglio giocare a basket!’ lo dissi ad Anzai e lui mi riammise in squadra. Mi tagliai i capelli. Volevo dare un taglio al passato.” Si fermò un attimo nel suo racconto e gli chiesi “Ma adesso il tuo ginocchio….” Mi rispose “Ho fatto l’ultimo controllo poco tempo fa e il dottore mi ha detto che mi sono completamente ristabilito. Sono tornato a fare ciò che più amo. Ehi ma che fai?” La mia vista si era annebbiata, ma me ne resi conto solo quando lui me lo fece notare. Non era un rimprovero il suo. Il suo tono di voce era dolce. Stavo piangendo! Ma le mie erano lacrime di gioia.

 

Stava piangendo per me! Mi sorrise e mi disse “Scusami…è che sono così felice per te che non sono riuscita a trattenermi.” La guardai sollevato. Per un attimo avevo temuto di fargli pena e invece lei mi aveva capito. Aveva capito come mi sentivo. Le sorrisi felice e allungai una mano per asciugarle una lacrima che le stava attraversando la guancia. Nel farlo, notai che le nostre mani erano rimaste allacciate per tutta la durata del mio racconto. La cosa non mi infastidì e, anzi, mi fece molto piacere. Finalmente avevo trovato un’amica che riusciva a capirmi. Non mi sentii più solo.

 

Mi aveva sorriso! Il suo sorriso era così irresistibile che se non ci fosse stato quel tavolino tra noi lo avrei abbracciato forte. Mi stava persino asciugando una lacrima! Che dolce il mio Hisashi! Sono proprio innamorata.

Riluttante lasciai la sua mano e cominciammo a mangiare ridendo e scherzando.

 

Capitolo 5 – Amici?!

Mi stava riaccompagnando a casa. Era stato il pomeriggio più bello della mia vita. Si era aperto con me. Mi aveva rivelato io suo io più profondo. Il vero Hisashi Mitsui. Ero orgogliosa del fatto che avesse scelto proprio me.

Egoisticamente pensai che ero solo io la persona giusta con cui lui potesse confidarsi. Che scema…

 

“Sono stato bene con te Keiko…. Potremmo rivederci? Sai…io…vorrei che noi due diventassimo amici. Sento che nessuno mi capisce come fai tu e…non vorrei perderti” conclusi tutto d’un fiato davanti alla sua porta di casa. Aspettavo con ansia una sua risposta. Se fosse stata negativa…non volevo neanche pensarci.

 

Amici?! AMICI?! E io che pensavo…Che scema. Che idiota che ero stata a pensare che tra noi due potesse nascere… Il mio cuore piangeva, ma mi sforzai di sorridergli. Dopotutto meglio amici che niente e poi avrebbe potuto accorgersi di me un giorno… “Va bene! Amici?” dissi e allungai una mano verso di lui con un entusiasmo che in realtà non provavo. “Amici!” mi rispose felice lui, prima stringendomi la mano e poi abbracciandomi stretta. Quest’ultima sua azione mi lasciò senza parole e quando il mio corpo tentò di rispondere a quell’abbraccio, era troppo tardi. Lui era già corso via salutandomi con la mano.

 

Capitolo 6 – Guardare avanti

Cominciò così la nostra amicizia…

Spesso andavo a vedere i suoi allenamenti. Mi aveva fatto conoscere tutta la squadra. Erano delle persone meravigliose e così simpatiche! Le scenette tra “Il grande Tensai del Basket”, “il Gorilla Akagi” e Rukawa erano irresistibili. Per non parlare dell’innamoratissimo Miyagi e di Ayako che faceva tanto la preziosa ma si vedeva che in fondo in fondo non le era totalmente indifferente (devo ammettere che è molto brava a nasconderlo).

Finiti gli allenamenti mi riportava sempre a casa. Quelle passeggiate a piedi erano la cosa che amavo di più in quel nostro rapporto da “amici”. Ci raccontavamo la giornata, quello che ci passava per la testa, tutto. Ogni tanto lo invitavo a cenare a casa mia dato che ero sempre da sola a casa. Lui non mi aveva ancora chiesto nulla riguardo a questo fatto, e io non entrai mai nell’argomento. Cercavo di rimandare un discorso che prima o poi sarebbe saltato fuori e avrebbe segnato la fine della nostra amicizia.

A parte avergli nascosto quella parte della mia vita di cui mi vergognavo, gli avevo raccontato tutto di me e allo stesso modo lui mi aveva raccontato tutto di sé senza omettere nulla. Del modo in cui i suoi genitori gli pagassero tutti i mesi l’affitto di un piccolo appartamentino non lontano da casa mia solo per non averlo tra i piedi o del modo in cui ogni giorno a scuola c’era chi lo evitava ancora pensando che sia pericoloso stargli vicino. E io invece… Cosa gli avevo raccontato di me? Non gli avevo detto dei debiti che mio padre ucciso dalla yakuza mi aveva lasciato. Di come non andassi più a scuola da ormai tre mesi e di come andavo a lavorare tutto il giorno dalle 8 del mattino alle 5 del pomeriggio in un impresa di pulizie per poter riparare agli sperperi che mio padre aveva fatto giocando….

Ero solo una vigliacca. Gli avevo mentito sul mio passato, su quello che facevo ogni giorno. Avevo una gran paura. Quel brutto periodo della sua vita lui l’aveva superato e io invece… io c’ero dentro fino al collo. Chissà se lui si è accorto di qualcosa…..

 

Perché non me ne parlava? Vedevo che c’era qualcosa che la faceva soffrire, ma cosa?! La sola idea che ci fosse qualcosa o qualcuno al mondo che potesse ferirla mi faceva stare male, perché finché lei non mi avesse detto che cos’era, io non potevo fare nulla per aiutarla. E questo mio essere impotente mi ricordava molto la situazione in cui mi ero trovato dopo il mio infortunio… Ma questa volta non mi sarei arreso, avrei lottato con tutte le mie forze e quell’ombra triste che velava i suoi occhi sarebbe scomparsa…

Anche quella sera mi aveva invitato a mangiare a casa sua. Era così bello stare in sua compagnia… Mi ascoltava nei miei sproloqui sul basket senza mai lamentarsi, quando le ho parlato di come mi avevano trattato i miei genitori, lei mi ha chiesto solo “Come ti senti ora?”. Non gli facevo pena, non aveva paura di me e il saperlo, il suo tatto, era stata un’altra prova di come io e lei ci capissimo al volo. Le volevo bene. Era la sorellina che non avevo mai avuto, la migliore amica…

Sapeva tutto di me, ma io potevo dire lo stesso di lei?..

Credeva che non avessi notato che era sempre a casa da sola? E perché non mi aveva mai parlato dei suoi genitori?

Decisi che quella sera le avrei fatto quelle domande. Non l’avrei forzata a rispondere, avrei aspettavo solo che lei mi dicesse quello che voleva che io sapessi.

Era un ottima cuoca. Quella sera aveva cucinato il tanuki soba. Era la cosa più buona che avessi mangiato e quando glielo dissi, lei si limitò a sorridere bevendone un po’. Quando sorrideva sembrava illuminare tutta la stanza ed era l’unico momento in cui sembrava che quel velo che le copriva gli occhi scomparisse.

“Ti ha insegnato tua madre a cucinare così bene?” le chiesi. Non era una domanda diretta, lei non avrebbe sviato il discorso come faceva sempre con le domande dirette e avrei potuto conoscere qualcosa della sua famiglia.

“No. Ho imparato da sola. Mia madre è morta dandomi alla luce. Complicazioni del parto” concluse. Lo disse come se non le provocasse nessun dolore il fatto di non aver avuto la presenza di una madre accanto a sé. “Mi dispiace” dissi “Non ti dispiacere. Non l’ho mai conosciuta e nemmeno io posso dispiacermi per la morte di qualcuno di cui ho solo sentito parlare”

Non mi feci scoraggiare dal suo comportamento insolito e continuai “Sai non ho potuto fare a meno di notare che tutte le volte che vengo a casa tua sei sempre sola. Tuo padre deve fare dei turni massacranti a lavoro. Cos’è medico?” “No” Ma che le prendeva?! “Si può sapere che hai fatto stasera?” “E tu si può sapere perché fai domande tanto idiote?” disse scocciata. Era la prima volta che la vedevo arrabbiata e non mi piaceva affatto. Tuttavia non sapevo dire se a farla arrabbiare erano state le mie domande “idiote” o le persone che esse riguardavano. Decisi che le avrei svelato il motivo per cui gliele avevo fatte, magari l’avrebbe fatta calmare.

 

Dove voleva arrivare? Perché all’improvviso si era messo a fare tutte quelle domande? Perché voleva che la nostra amicizia finisse?

“Senti… Da quando ti ho visto la prima volta che ci siamo incontrati, ho subito notato un’ombra di tristezza nei tuoi occhi. Volevo sapere cosa fosse. Volevo aiutarti. E per questo ho deciso che…” Cosa? Stava dicendo che io gli facevo… Lo interruppi. “Ti facevo pena! Bè caro il mio buon samaritano, non ho bisogno del tuo aiuto. Proprio tu vuoi aiutarmi? I miei problemi li so risolvere da sola!” Mi alzai di scatto dalla sedia. Pronunciando le ultime parole avevo notato una nota stridula nella mia voce. Che diavolo stava succedendo! La mia vista si era appannata. Erano lacrime. Tutti quei discorsi mi avevano fatto tornare in mente gli ultimi quattro mesi della mia vita. Le litigate con papà, il giorno in cui a scuola mi avevano chiamato in presidenza per comunicarmi che era morto.

Chinai il capo sperando che lui non si fosse accorto di nulla. I capelli mi coprivano il viso, se ero fortunata lui non aveva visto nemmeno una mia lacrima.

Si alzò di scatto anche lui dalla sedia. Continuai a guardare verso il mio piatto sulla tavola. Non volevo vedere il disprezzo nei suoi occhi. Senza dire nulla andò a prendere il suo giubbotto sul divano e presolo si diresse verso la porta di casa nel più assoluto silenzio.

Ma cosa stavo facendo?! Il mio migliore e unico amico, la persona che amavo di più al mondo stava per uscire dalla mia vita e io non stavo facendo nulla per fermarlo?? Corsi con tutte le mie forze verso quella porta e fortunatamente per me, riuscii ad arrivare proprio un attimo prima che lui prendesse in mano la maniglia.

 

“Non farlo. Non andartene!” Ma cosa pretendeva! Io mi offrivo per aiutarla e lei oltre a rifiutare il mio aiuto in malo modo, mi aveva anche insultato! Non l’avrei perdon… “Ti prego” disse con un filo di voce alzando gli occhi per la prima volta durante quella litigata. Mi morirono le parole in bocca. Stava piangendo! Non piangere Keiko ti prego. Il tuo dolce sorriso, i tuoi sguardi… Cosa ti avevo fatto?! Perché ero stato così stupido da farti quelle domande. A me bastava averti vicino… L’abbracciai d’impulso e una volta che lei fu tra le mie braccia scoppiò in un pianto disperato. Chissà cosa le era successo. La vita doveva essere stata molto dura con lei.

Tentavo di consolarla. Le accarezzavo piano i capelli, sussurrandole parole come “Non è colpa tua” “Non è successo niente” “Si sistemerà tutto vedrai”

Non sapevo cosa le era successo, ma prima o poi lei me ne avrebbe parlato spontaneamente e io fino a quel momento non le avrei fatto più nessuna domanda.

 

Il tono dolce della sua voce, le sue braccia strette attorno a me, le sue parole, le sue carezze… Come avevo potuto tenerlo all’oscuro di tutto. “Hisashi io…” cominciai dopo essermi calmata un po’ “Avevo paura. Paura di perderti e non avrei potuto sopportarlo. Sei l’unica persona che mi vuole bene e che mi è rimasta. Mia madre è morta, e mio padre l’ha seguita tre mesi fa” Alzai il viso dal suo petto, dove era rimasto nascosto fino a quel momento, e lo guardai dritto negli occhi. Sembrava un po’ shockato dopo la mia ultima rivelazione, ma continuò a tenermi stretta a sé. Continuai “Aveva il vizio delle scommesse e del gioco. Aveva perso il lavoro sei mesi fa e dopo il primo mese di ricerche, si arrese. Sembrava che nessuno volesse assumere un cinquantacinquenne. Cominciò ad accumulare dei debiti e a frequentare compagnie sempre meno raccomandabili. Verso la fine i suoi debiti erano diventati tanti che la yakuza decise di eliminarlo. Purtroppo adesso sono io che li devo pagare” “Ma tu non c’entri nulla. I debiti erano di tuo padre!” Oh, Hisashi… Scossi la testa “Ho già ricevuto diverse telefonate d’avvertimento in proposito e ti assicuro che c’entro, o almeno è così secondo loro! Da tre mesi ho lasciato la scuola e mi sono trovata un lavoro, ma per pagare tutto mi servirebbero cent’anni! Se avessi una casa un po’ più piccola anche le spese sarebbero minori. Avevo pensato di venderla e con il ricavato pagare quei debiti, ma non mi rimarrebbe nulla per vivere, né una casa…” conclusi tristemente.

 

“Vieni a stare da me!” La mia bocca aveva pronunciato quelle parole ancor prima che il mio cervello le pensasse.

Riflettendoci, io non avevo nessuna spesa. Pagavano tutto i miei e non mi avrebbe dato fastidio avere un po’ di compagnia. Ero sempre solo e poi non era una persona qualunque, era Keiko! E adesso aveva bisogno di me! I problemi che avevo avuto io sembravano capricci a confronto con i suoi.

Le dissi quello che avevo pensato e a lei si riempirono di nuovo gli occhi di lacrime, ma sorrideva ora. La mia Keiko… Nessuno poteva fare del male ai miei amici!

 

Capitolo 7 – Aria di trasloco

Mi fece vedere l’appartamento quella sera stessa. Era piccolino ma molto carino. Nella prima stanza c’era la cucina da una parte, e dall’altra una lavatrice e qualche filo per il bucato. Si saliva un piccolo gradino e si entrava nella seconda stanza dove gli unici mobili erano il classico tavolino al centro della stanza dove poter mettere il kotatsu d’inverno e che serviva anche da tavola per mangiare seduti per terra alla maniera tradizionale, e un mobile con diversi scaffali dove gli unici soprammobili erano una tv piccola e vecchia (forse anche in bianco e nero!) e un telefono. Dall’altra parte della stanza c’era solo l’armadio per i futon e i vestiti con quattro cassetti per la biancheria. Di fianco al mobile della televisione si apriva una porta che portava al bagno. Era in stile occidentale, infatti c’era solo la doccia. Adoravo già quell’appartamento, ma non ero sicura che lui fosse…”preparato” a questo tipo di convivenza. Decisi di esprimergli i miei dubbi: “E’ molto carino qui. No anzi, mi piace un sacco, ma...ecco…sei sicuro? Cioè di vivere insieme qui… Sai questo significherebbe fare i turni per il bagno, dormire vicini…Non vorrei che tu ti sentissi in gabbia o imbarazzato, non lo sopporterei” Lui mi rispose guardandomi intensamente negli occhi e perfettamente serio “Io ero in gabbia solo prima di conoscerti e in quanto all’imbarazzo, credo che con il tempo è una cosa che si eliminerà da sola. Sono sicuro di quello che ho fatto. L’amicizia è sacra per me” Sorrisi felice. Certo era un po’ spoglio, senza soprammobili né quadri, ma se lui me lo avesse permesso ci avrei pensato io. Così glielo chiesi: “Senti ti dispiacerebbe se portassi la mia tv e lo stereo con qualche cd e magari qualche soprammobile e qualche quadro… asciugamani ne hai? No perché io ne ho un sacco a casa e poi lo spazio per i mie vestiti e naturalmente io farò le pulizie, da mangiare, il bucato, la spesa…Oddio sono partita in quarta” Sorrisi imbarazzata. Lui mi aveva fissato immobile tutto il tempo appoggiato al muro in una posa rilassata. Un piccolo sorriso gli aleggiava sul volto per poi trasformarsi in una fragorosa risata quando io ebbi finito il mio sproloquio. “Perché ridi?” gli chiesi con il tono da finta arrabbiata. “Non arrabbiarti Keiko! Eri così buffa! Sembravi una macchinetta impazzita” Un’altra risata gli esplose in gola. Mi avvicinai a lui con fare minaccioso. “Ah sì?” “Aspetta Keiko cosa vuoi fare? Non mi piace il tuo sguardo..” “Oh nulla Hisashi.” Dissi con fare indifferente continuando ad avvicinarmi a lui “Voglio solo scoprire se soffri il solletico!” Detto questo gli saltai letteralmente addosso cominciando a fargli il solletico dappertutto.

 

“Basta… Smettila… Scusami non dovevo darti della macchinetta impazzita…Puoi portare qui tutto quello che vuoi e tutto quello che ti serve, basta che la smetti” Dissi ridendo a crepapelle. Solo allora lei mi lasciò andare e mi accorsi che in quella lotta eravamo finiti sulla moquette. Cavoli! Quanto avevo riso! E dire che fino ad allora le mie serate erano noiose e solitarie. Non mi sarei di certo annoiato con lei. Lo pensai con ancora più convinzione: questa convivenza mi farà sicuramente bene.

Le dissi che il giorno dopo finita la scuola dovevo andare da Akagi per quello stramaledettissimo campo scuola. Mi faceva schifo studiare e si vedeva dai miei voti, ma se volevo partecipare al campionato nazionale dovevo superare quell’esame. Avrei fatto tardi, ma le promisi che avrei chiesto a qualcuno di aiutarla con il trasloco. La riaccompagnai a casa e le dissi di preparare la sua roba durante la mattinata seguente perché i “traslocatori” li avrei fatti venire nel primo pomeriggio. Le diedi una copia delle chiavi di casa mia e dandole la buonanotte con un bacio sulla guancia me ne andai. Sapevo già a chi avrei chiesto quel piccolo favore. Da domani sarebbe cominciata la mia nuova vita.

 

Capitolo 8 – La nuova casa di Keiko

Avevo preparato tutto. Imballato sei o sette scatoloni di roba più alcuni quadri, il televisore, il telefono, lo stereo e le borse con i miei vestiti. Hisashi non mi aveva detto chi mi avrebbe mandato, ma l’avrei saputo presto.

Erano circa le tre del pomeriggio quando suonarono il campanello. Andando ad aprire mi ero trovata di fronte l’armata Sakuragi al completo! Ben quattro bei maschioni mi avrebbero aiutato! Li salutai “Ciao ragazzi! Entrate! Vi ha chiesto Mitsui di aiutarmi? Vi ha spiegato cosa dovete fare?” Mito prese la parola “Veramente ci ha solo detto di fare tutto quello che ci avresti chiesto in cambio di una cena gratis!” Ecco come aveva fatto a convincerli! “Bene! Per me non è un problema cucinare, anzi mi dicono che sono piuttosto brava!” “Ce lo hanno detto!” fece Takamiya con la bava alla bocca. “Tutto quello che dovete fare è aiutarmi a portare questa roba” e indicai gli scatoloni” a casa di Hisashi. Dista solo 500 m da qui. Non è un viaggio lungo e in cinque faremo presto” Le mie previsioni si erano rivelate esatte, infatti circa un’ora dopo era già tutto da Hisashi. Li ringraziai per l’aiuto e gli dissi di tornare sulle otto. Gli avrei fatto trovare la cena pronta. Se ne andarono canticchiando allegramente. Bastava poco per farli felici! La prima cosa che feci fu pulire da cima a fondo l’appartamento. Ci misi solo un’oretta, per fortuna, date le sue piccole dimensioni. Poi mi azzardai a guardare dentro il frigorifero per vedere cosa avrei potuto preparare quella sera. Kami sama! Sembrava la fiera del precotto! Alcune confezioni erano anche scadute! Così non andava… Dovevo uscire a fare la spesa al supermercato all’angolo. Tornai dopo mezz’ora carica di due sportone (di plastica) in mano. Avevo deciso di preparare gli tsukimi udon. Avevo due ore e mezza per cucinare e mettere in ordine la roba negli scatoloni.

Alle otto tutto era pronto. In tutte le stanze aleggiava l’odore degli udon. Ero soddisfatta del mio lavoro. La casa era più accogliente e molto meno spoglia. Soprammobili sugli scaffali, qualche quadro alle pareti… Avrei contattato un’agenzia immobiliare il giorno dopo. Intanto che c’ero avevo preparato anche l’obento di Hisashi per il giorno dopo! Ero stanca ma felice. Adesso il mio unico pensiero era cenare e andare a letto. Mito, Okosu e gli altri non si fecero attendere gradirono tutto quello che avevo preparato, o meglio spazzolarono tutto! Cenammo ridendo come dei matti. Mi raccontarono un sacco di aneddoti che riguardavano Sakuragi e le loro imprese. Erano davvero simpatici! Verso le nove e mezza telefono Hisashi dicendo che la cosa andava per le lunghe e di non aspettarlo alzata. Io gli chiesi se sarebbe passato da casa perché gli avevo preparato l’obento per il giorno dopo, e il suo commento fu “La mia Keiko mi ha preparato l’obento! Solo per me!” “Ehi! Non ti gasare per così poco! Te lo preparerò tutti i giorni ok?” gli risposi ridendo felice. Ti amo! Pensai ancora una volta. Ma il mio era un amore non corrisposto, col tempo speravo che si sarebbe innamorato di me.

 

Capitolo 9 – Risveglio

Infilai la chiave nella porta. Finalmente a casa. Tutto quello studiare ieri, per ora aveva avuto l’unico effetto di confondermi le idee. La passeggiata mattutina però me le aveva schiarite un po’. Ayako ci aveva svegliato alle sei. Io e Miyagi ci eravamo addormentati come dei sassi sul divano di casa Akagi. Avevo dovuto farmi due chilometri a piedi prima di arrivare lì. A casa. Tutto quello che desideravo era farmi una doccia e fare colazione. Keiko sicuramente dormiva ancora. Dopotutto erano le sei e mezza del mattino! Il solo pensarla addormentata dietro quella porta mi riempì di gioia. Adesso capivo chi mi diceva che “casa, è dove c’è qualcuno che ti aspetta”. Aprii piano la porta di casa ed entrai. Era tutto in penombra e decisi di scostare leggermente le tende. Ora riuscivo a vedere i quadri alle pareti, tutti quei piccoli oggettini sugli scaffali, lo stereo, la tv e il telefono nuovi. Ogniuno di quegli oggetti aveva un pezzettino di storia. Keiko, come avevo immaginato, era ancora placidamente addormentata nel suo futon. Lo aveva disteso di fianco al tavolino. I capelli sciolti sparsi sul piccolo cuscino. Tutto in quella stanza trasmetteva un senso di pace. Mi sedetti per terra vicino al tavolino e al suo futon. Appoggiai la testa ad una mano e cominciai a guardarla, ascoltando il suo respiro. Fu proprio ascoltando che mi accorsi di quell’insistente ticchettio. Aveva messo una piccola sveglia sul tavolino. L’aveva puntata per le sette e mezza. Facevo in tempo a sgattaiolare in bagno con alcuni vestiti puliti a farmi una doccia veloce. Avrei evitato l’imbarazzo, quello di cui parlava lei due sere prima. Era solo questione di abitudine. Quando ogniuno di noi due si sarebbe abituato alla presenza dell’altro, non ci sarebbero più stati problemi.

Evidentemente dovevo aver fatto poco rumore perché quando uscii dal bagno lei dormiva ancora. Volevo prepararle la colazione per quando si sarebbe svegliata. Misi tutto sul tavolino e decisi di aspettare che lei si svegliasse per cominciare a mangiare. Il mio stomaco non era molto d’accordo con me però. Al ventesimo brontolio decisi che una scodellina di riso lo avrebbe calmato. Stavo ingurgitando la seconda “scodellina” quando suonò la sveglia. Lei si rigirò nel futon un paio di volte e poi si decise, contro voglia, a socchiudere gli occhi e ad allungare la mano per spegnerla per poi rigirarsi e continuare a dormire. Ma come non si era accorta di me?! Il mio dubbio trovò risposta circa mezzo secondo dopo.

 

Cos’era quell’ombra che ho intravisto quando ho spento la sveglia? Un.. ladro?! Balzai fuori dal letto ancora in pigiama e mi misi in posizione di difesa, pronta a sferrare l’attacco al fantomatico ladro. Bastò solo un’occhiata a farmi capire che non solo non c’era nessun ladro, ma che al suo posto c’era un Hisashi allibito, con gli occhi sgranati e i bastoncini a mezz’aria che stava tentando di mangiare tranquillamente una scodella di riso. “Ah sei tu!” dissi rilassandomi e tirando un sospiro di sollievo “Pensavo fossi un ladro! Se mi avessi detto che eri tornato… non avrei fatto questa figura! Accidenti!” misi il broncio. Le mie parole non lo avevano smosso di un millimetro. Era ancora fermo in quella posizione! “Ma che hai? Se strabuzzi un altro po’ gli occhi ti cascano! Non l’ho fatto apposta! Scusami” A quelle parole un eccesso incrotrollato di risa si impossessò del suo corpo. Lo vidi lasciarsi andare all’indietro per finire con la schiena per terra sempre continuando a ridere. Alcune scie bagnate rigavano il suo viso. Stava persino piangendo dal ridere! Scossi la testa sconsolata. Come potevo farlo innamorare di me quando gli provocavo quelle reazioni! “Non sarà mica diventata un’abitudine quella di ridermi in faccia, vero? Anche l’ultima volta che ci siamo visti hai avuto una reazione simile!”

 

Aveva rotto l’armonia e il silenzio, ma devo dire che lo aveva fatto con un certo stile! La mia Keiko… “Scusami..” le dissi veramente dispiaciuto e riprendendomi un po’ continuai “…ma ammetterai anche tu che la tua accoglienza non è stata proprio… comune” Lei sembrò pensarci un poco e poi ridacchiando e mettendosi seduta di fronte a me disse “Hai ragione.. Per questa volta sei perdonato” Mi sorrise. Lei mi metteva sempre di buon umore!

Facemmo colazione parlando dei rispettivi pomeriggi appena trascorsi, poi lei sparì nel bagno con i suoi vestiti. Io ne stavo approfittando per cambiare i libri nella cartella. Dopo venti minuti usì dal bagno vestita e pimpante. “A che ora hai l’esame” mi chiese “Alle tre di oggi pomeriggio. Perché?” “E i risultati te li dicono subito?” “Certo, ma…” non mi fece finire “Allora oggi pomeriggio verrò in palestra così li saprò subito!” “E cosa farai stamattina? Andrai a lavoro?” le chiesi “Sì mi andrò a licenziare!” Cosa!? Quando aveva pensato una cosa del genere? La guardai sorpreso. Lei sembrò leggermi nel pensiero “Ci ho pensato prima di addormentarmi ieri sera. Mi troverò un lavorino part time per avere il pomeriggio libero e nel giro di un anno dovrei riuscire a guadagnare abbastanza soldi. Così ad aprile prossimo potrò frequentare di nuovo la scuola. Una scuola pubblica! Pensavo allo Shohoku dicono che abbia una squadra di basket molto forte! Tu cosa mi consigli? ” Sorrisi e decisi di stare al gioco “Sì ci sono un po’ di teste calde ma la loro squadra è una di quelle più forti di tutta la prefettura! Inoltre è una buona scuola” Ci guardammo un attimo negli occhi e ci sorridemmo. “Più o meno il mio piano è questo, ma quelli che ti ho detto sono solo i punti 4 e 5 della lista di cose da fare quest’anno” “E quali sono l’1, il 2 e il 3?” chiesi curioso. Lei ridiventò seria “Al primo c’è riuscire a vendere la casa. Stamattina proverò a contattare alcune agenzie immobiliari. Al secondo c’è estinguere il debito di mio padre e il terzo, bhè…. il terzo è un segreto!” Disse tornando a sorridere maliziosa. Le sorrisi a mia volta.

Chiusi la porta di casa alle nostre spalle e poi con un bacio sulle guance le nostre strade si divisero. Non vedevo l’ora che arrivasse quel pomeriggio per rivederla.

 

Capitolo 10 – Scaryman

I miei piedi cominciavano a fare storie. Li capivo… dopo tutto era tutta la mattina che camminavo! In primo luogo ero andata a licenziarmi e lì mi sono dovuta sorbire la ramanzina del titolare sul fatto che dovevo dare il preavviso di una settimana anche se alla fine mi aveva dato lo stipendio per il mese prima, poi mi stavo recando presso un’agenzia immobiliare di cui avevo visto la pubblicità su un giornale locale, quando passando davanti ad una tavola calda avevo visto il cartello CERCASI CAMERIERA ANCHE PARTIME. Non ci pensai due volte e un’ora dopo avevo già definito con il titolare gli orari, dalle 8 alle 2 tutti i giorni esclusa la domenica. Perfetto, no? All’agenzia immobiliare avevo dovuto far vedere la casa. Mi dissero che aveva già vari clienti interessati a quella zona e che, massimo una settimana, avrei avuto i soldi in mano. Mi sentivo sollevata. Prima sistemavo quella faccenda, prima sarei stata libera da quel peso che sentivo gravare su di me.

Mancava poco alle tre. Hisashi stava per affrontare il suo esame. Ce l’avrebbe fatta. Lui dava sempre il massimo di sè quando era sotto pressione. Ero abbastanza lontana dallo Shohoku ma pur prendendomela comoda sarei arrivata in tempo per sapere il risultato. Mi incamminai tranquillamente verso lo Shohoku, fermandomi ogni tanto a vedere qualche vetrina. Mentre ne stavo ammirando una con vestiti non proprio alla mia portata del mio portafoglio, in un piccolo vicolo, vidi riflesso nella vetrina la figura di un uomo vestito di scuro con occhiali da sole che se ne stava proprio dietro di me. Capii subito che c’era qualcosa che non andava e quando cercai di andarmene lui mi prese un polso e lo strinse forte, bloccandomi poi il braccio dietro la schiena. Allora aprii la bocca per gridare quando lui parlò “Non ti conviene farlo, la mia amica nella fondina non sarebbe molto contenta” con un tono di scherno. Maledetto! “Cosa vuoi da me? Se ti manda Rokuda, puoi anche dirgli che tra una settimana avrà i suoi soldi” dissi con disprezzo. “Bene! Sai il mio capo era preoccupato dal fatto che fossi andata a vivere da quel liceale. Pensava volessi fregarlo, ma dato che le cose stanno così non c’è da preoccuparsi. Vero?” rispose stringendomi ancora di più il polso, strappandomi un gemito di dolore. “So dove trovarvi. Quando avrò i soldi verrò direttamente da voi” a quelle parole lui mi lasciò andare bruscamente. Lo sentii sussurrare un “Ti conviene” prima di scomparire in un vicolo. Quando mi ero girata avevo fatto in tempo solo a vedere le sue spalle. Quegli “incontri” si erano fatti frequenti in quei tre mesi. Non dico che non ne ero spaventata, ma la paura era diminuita col tempo. L’unica cosa che mi rincuorava era il fatto che Rokuda, l’uomo con cui mio padre si era indebitato, era un uomo di parola. Se io gli avessi dato i soldi che gli spettavano (cioè quelli che aveva prestato a mio padre più gli interessi del 30%) mi avrebbe lasciato in pace.

 

Capitolo 11 – Passati!

Un po’ scossa arrivai, finalmente, alla palestra dello Shohoku e mi appostai vicino a Mito e agli altri. Evidentemente i ragazzi non avevano finito ancora l’esame, perché sia loro sia Ayako non erano presenti all’allenamento. Mito ne approfittò per presentarmi Haruko, la sorella del capitano Akagi. Salvo poi aggiungere a bassa voce, mentre lei era distratta, che Hanamichi era innamorato di lei e che per lei, invece, esisteva solo Rukawa. Mi veniva quasi da ridere. Povero Hana! Se le andava proprio a cercare! Metabolizzai solo in quel momento le parole “sorella di Akagi”, la guardai. Ma da dove era scappata! Lei e il capitano non si assomigliavano per niente!

Mentre il mio cervello era perso in queste elucubrazioni. Una Ayako senza fiato per la corsa fece irruzione in palestra. Tutti si fermarono in attesa che lei dicesse come erano andati quei quattro. Non parlò, ma fece un gesto molto eloquente che ci fece esultare tutti. Erano passati! Le facce di Akagi e Kogure si distesero. Ora il campionato nazionale non era più un sogno…

 

Capitolo 12 – Verso la luce

Quella sera io ed Hisashi ci fermammo a prendere dei ramen in un ristorantino ambulante. Non gli avevo detto niente dell’incontro di quella mattina, si sarebbe preoccupato e poi non volevo rovinare quel giorno. Aveva passato quel benedetto esame e il campionato era sempre più vicino.

Ero rimasta a guardare il loro allenamento dopo l’annuncio di Ayako e quando era uscito dallo spogliatoio gli ero saltata letteralmente al collo per fargli i miei complimenti.

 

Quando stavo uscendo dalla palestra quella sera, dopo l’allenamento, l’avevo vista avvicinarsi correndo e poi, a poco più di un metro da me, aveva saltato e si era attaccata al mio collo. Quel contatto improvviso mi aveva “spiazzato” per un attimo, ma avevo ripreso quasi subito il mio sangue freddo. “Non ti sembra di esagerare un poco” le dissi sorridendo. Lei, tendendo sempre le braccia attorno al mio collo, aveva alzato la testa piantando i suoi occhioni di giada nei miei e aveva replicato con la faccia molto seria “Forse non capisci che il sogno della tua vita si sta lentamente realizzando, che avrai la possibilità di diventare il più grande tiratore dalla linea dei tre punti di tutto il Giappone! Il buio è finito!” La strinsi a me. Perché non la avevo incontrata un anno fa?! Avrei evitato di buttare via un anno della mia vita! Con lei tutto andava bene. Sapeva trovare il lato buono in tutto.

I ramen erano molto buoni. Sembrava il quadretto della famigliola perfetta. Noi due seduti uno di fronte all’altra che ci gustavamo la cena. In sottofondo le parole di qualche cronista alla tv. Chiaccheravamo del più e del meno. Le chiesi come era andata la sua giornata. Fui molto felice di sentire che l’appartamento sarebbe stato venduto in breve tempo. Anche il suo buio stava passando e sarebbe arrivata presto la luce anche per lei. Rise ad una mia battuta. Quella risata cristallina… Mi venne in mente come un flash il suo viso rigato dalle lacrime… Se qualcuno la avesse fatto ancora del male, se la sarebbe vista con me….

 

Capitolo 13 – Luce

Erano passati solo cinque giorni da quando avevo messo in vendita l’appartamento, e sei da quando abitavo a casa di Hisashi. La mattina ero la prima ad alzarmi. Preparavo la colazione, svegliavo Hisashi (la parte che mi piaceva di più!), mi lavavo e vestivo, gli davo il suo obento e con un bacio sulle guance ci salutavamo e io andavo a lavorare. Nonostante per lui fossero iniziate le vacanze estive da quattro giorni, Akagi non permetteva a nessuno della squadra di godersele. Li faceva allenare come matti in previsione del campionato. Non riusciva nemmeno a tornare a casa per pranzo e così gli preparavo l’obento. Lui e il suo fegato ne erano molto felici. D’altra parte mangiare cup ramen mattina, mezzogiorno e sera doveva diventare abbastanza noioso e monotono dopo un mese! Mi sentivo come la mogliettina che faceva di tutto per compiacere il suo uomo… Essere sua moglie… Ma che cavolo pensavo! Mi rimproverai mentalmente mentre chiudevo la porta di casa dietro le mie spalle. Finalmente a casa! Quella mattina il bar era affollatissimo. Non avevo fatto altro che correre di qua e di là tutta la mattina. Prendere ordinazioni, portare piatti… Adesso i miei piedi chiedevano pietà!

Stavo per abbandonami sul tatami quando squillò il telefono. Era un’impiegato dell’agenzia immobiliare. Mi chiese se quel pomeriggio ero libera per firmare il contratto di cessione e per ritirare i soldi. Avevano venduto la casa!

Risposi che ero libera e poi ci accordammo sull’ora. Pensai che potevo chiudere quella faccenda quella sera stessa. Rokuda avrebbe avuto i suoi soldi e io sarei stata finalmente libera da quel peso.

Mi precipitai alla palestra dello Shohoku. Volevo che Hisashi mi accompagnasse….

 

Era piombata in palestra come un fulmine, interrompendo gli allenamenti. Akagi era piuttosto scocciato mentre gli altri senza farsi vedere tiravano un sospiro di sollievo. Mi venne da ridere. Il Gorilla ci faceva allenare come dei pazzi e nessuno osava dirgli che a volte esagerava per paura dei suoi famosi pugni che Sakuragi conosceva bene.

Mi concentrai su Keiko. Era agitata, lo vedevo da come muoveva freneticamente le mani e dal fiume di parole che mi stava riversando addosso. Faceva sempre così. Le uniche parole che riuscii a capire furono “casa…venduta…soldi..Rokuda…stasera” Non ci volle molto per cambiarmi e per raggiungerla fuori dalla palestra. Ad Akagi avevo raccontato che la mia vicina aveva bisogno… Eh no, non avrei dovuto mai diventare un avvocato. Per raccontare balle ero proprio negato.

La presi per mano e lei mi fece strada verso l’agenzia. Il calore della mia mano era in netto contrasto con quella fredda di lei, altro segno del suo nervosismo. Gliela strinsi un po’ di più per infonderle coraggio e lei voltando il capo verso di me mi fece un sorriso tirato, per poi tornare a guardare davanti a se. Non parlammo per tutto il tragitto, ma non ce ne fu bisogno. La preoccupazione sul suo volto era più che evidente.

Firmato il contratto di cessione, il nuovo proprietario della casa le consegnò una valigetta con i soldi. Era un riccone. Lo si notava dai suoi abiti, sicuramente firmati, e da quel profumo di qualche stilista famoso che impestava tutto l’ufficio. Non doveva essere stato un problema per lui, avere così tanti contanti in una volta sola.

Usciti dall’ufficio con quella valigia in una mano e l’altra nella mia, lei mi pregò di accompagnarla da Rokuda con voce flebile. Percepii un sottile filo di tensione nella sue voce. Mi fece ancora una volta strada.

Ci fermammo davanti ad un Pachinko in uno dei quartieri più malfamati di Kanagawa. Uno di quelli che fino a quattro mesi fa mi aveva visto come protagonista di molte risse. “E’ qui” disse solo. La seguii all’interno e la vidi dirigersi verso una porta in fondo al locale fumoso, con un energumero di guardia. La raggiunsi attraversando quei corridoi di macchinette mentre parlava con quella montagna umana. Dopo aver saputo il motivo della “visita” si decise a farci passare tutti e due, non senza avermi lanciato prima un’occhiata piuttosto eloquente: “Niente casini o sarai fortunato se potrai stare su una sedia a rotelle dopo il mio trattamento” sembrava dire. Non mi feci intimorire e sostenni il suo sguardo. Ne avevo ricevuti tanti in quell’ultimo anno…

La stanza che ci accolse era scarsamente illuminata e spoglia. L’unico mobile era una scrivania a cui stava seduto il signor Rokuda, impegnato a leggere qualcosa che lo rese evidentemente soddisfatto, dal sorriso che aleggiava sul suo volto. Quando alzò il volto su di noi, quel sorriso si allargò ancora di più. Si alzò dalla sedia e andò a sedersi sulla scrivania proprio davanti a noi. Lasciai che Keiko avanzasse verso quel tipo e porgendogli la valigetta gli disse che quella cifra era il doppio di quella che suo padre gli doveva. Lui guardò prima la valigetta con sguardo avido e poi Keiko che sta va in piedi immobile davanti a lui. Non potevo vederla in volto perché mi dava le spalle, ma avevo sentito la sua voce fredda e piena di disprezzo quando aveva dato la valigetta. Lui ruppe quel silenzio carico di tensione che si era venuto a creare alzandosi dalla sua posizione e mettendosi proprio davanti a Keiko. Le portò un dito sotto al mento per alzargli il viso e disse con tono divertito “Vedo che ti sei portata la tua guardia del corpo. Avevi forse paura di me?!” accompagnando quelle parole con una risata divertita. “E cosa direbbe il tuo amico se io adesso ti baciassi” COSA?! Avanzai di un passo e lo guardai negli occhi con la speranza di incenerirlo come aveva fatto poco prima l’energumero davanti alla sua porta con me. “Tranquillo ragazzo. Ho avuto quello che volevo. La tua amica non mi interessa.” E di nuovo quella risata fastidiosa. “Bene Keiko. Sei libera dalla promessa che tuo padre mi aveva fatto” “Smetterà anche di farmi seguire dai suoi sgherri?” disse lei sempre con quel tono freddo. La pedinavano?! Perché non me lo aveva detto?! “Certo. Sono uno yakuza, ma anche un uomo di parola. E’ stato un piacere fare affari con la tua famiglia” “Mi dispiace di non poter dire lo stesso signor Rokuda. Addio” si voltò verso di me e potei vedere il suo volto dal quale, a dispetto della sua natura espressiva, non traspariva nessuna emozione. Si diresse verso la porta e la seguii prima nel Pachinko e poi per strada. Camminava davanti a me, veloce. Dopo pochi isolati si fermò di scatto e io finii contro la sua schiena. Stavo per chiederle scusa, quando vidi le sue spalle alzalsi e abbassarsi in modo inconsulto. Stava piangendo. Mi portai di fronte a lei e fu allora che li vidi. Il suo sorriso, i suoi occhi limpidi senza più quel velo che li oscurava. Era felice. Le sorrisi anch’io e la strinsi forte a me come quella sera in cui mi aveva aperto il suo cuore. La luce era arrivata anche nella sua vita finalmente!

 

Capitolo 14 – Sun after the rain

Aprii piano gli occhi. L’ultima cosa che ricordavo era l’abbraccio di Hisashi. Ma dove… Ero nel mio futon! Questo voleva dire che ieri sera mi ero…addormentata! Che imbarazzo! Mi alzai a sedere e feci per alzarmi, quando un peso alla mano destra attirò la mia attenzione. Era… Mi aveva tenuta per mano tutta la notte! Mi vennero quasi le lacrime agli occhi…quanto era dolce il mio Hisashi! “Ti amo ogni giorno di più” fu il mio primo pensiero. A malincuore mi alzai e decisi di preparargli una super colazione. Se la meritava!

 

Mi risvegliai dall’incoscienza del sonno con il rumore attutito di piatti che venivano appoggiati chissà dove.

La sera prima mentre la abbracciavo, cullandola e tentando di tranquillizzarla, si era addormentata. Le emozioni quel giorno, per lei, erano state davvero troppe! Logico che poi fosse crollata!

Aprii un occhio, giusto per vedere la situazione. Lei stava apparecchiando il tavolino per la colazione. Un sorriso le incurvava le labbra. Non aveva notato che ero sveglio. Mi mossi un poco per richiamare la sua attenzione. Quando incrociai i suoi occhi, rimasi folgorato. Ero rimasto già colpito dal loro colore la prima volta che ci eravamo visti, ma i sentimenti che trasparivano da essi quella mattina erano serenità, gioia e li rendevano ancora più belli. Mi rivolse il più bel sorriso che le avevo mai visto fare da quando la conoscevo, ed era tutto per me. Mi chiesi se ero io la causa di quel sorriso o se era la felicità che la caduta di quel peso dalla sua anima aveva provocato. Ma che mi prendeva?! Lei era mia amica, non….

 

Era così carino appena sveglio, ancora intontito dal sonno. Gli sorrisi e dissi allegra “Buongiorno dormiglione!” “Guarda che se c’è un dormiglione in questa stanza, sei tu! Io non mi addormento in piedi!” mi rispose sorridendo anche lui. Diventai rossa come un peperone e il suo sorriso, quando se ne accorse, si trasformò un una risata. Contagiata, cominciai a ridere anch’io, felice. Sì, ero felice. Tutto sarebbe andato per il verso giusto da ora in poi. Me lo sentivo.

 

Capitolo 15 – Annunci, …

Ayako alla fine dell’allenamento ci richiamò vicino al coach Anzai. Domani saremmo partiti per un ritiro di una settimana durante il quale avremmo avuto l’occasione di confrontarci con l’ottava migliore squadra del Giappone! Uao! Ero elettrizzato! Volevo confrontarmi con qualche altro giocatore. Quelle partite di allenamento tra di noi cominciavano a diventare noiose. Un po’ di sana competizione sportiva ci avrebbe fatto bene. E poi potevo dimostrare a Rukawa che ero io il migliore!

Dopo quell’annuncio Akagi dichiarò concluso l’allenamento per quel giorno. Mi voltai verso l’ingresso della palestra. Lei era lì che mi sorrideva come sempre. Ci veniva sempre a vedere di pomeriggio. Corsi verso di lei. “Sei ansioso di partire, eh?” Come ci riusciva? Solo guardandomi a capire cosa provavo? “Già” dissi solamente. “Vai a cambiarti adesso, o sudato come sei ti ammalerai” Io risi “Sì mammina. Vado!”

 

Non lo avrei visto per una settimana. Mentre guardavo la sua schiena allontanarsi verso gli spogliatoi, decisi che gli avrei regalato un amuleto porta fortuna, così guardandolo avrebbe pensato a me. Mi sarebbe mancato tantissimo. Lo avevo sempre intorno e una settimana era lunga…

 

Capitolo 16 – … partenze e …

La sera prima mi aveva preparato un banchetto degno di un imperatore. Una… “cena di arrivederci” l’aveva chiamata. Stavamo andando verso lo Shohoku, il punto di ritrovo, quando a metà strada lei mi disse che doveva sbrigare una cosa e che ci saremmo visti lì a scuola. Ero un po’ infastidito dal suo annuncio. Volevo passare gli ultimi minuti prima della partenza con lei. Non ci saremmo visti per una settimana! Era logico passarli insieme agli amici…

 

Dovevo correre al tempio a prendere quell’amuleto. Avuto il suo consenso, cominciai a correre a perdifiato per arrivare un po’ prima della partenza in modo da poterlo salutare con calma. Arrivata al tempio le mie speranze svanirono. Mi ero dimenticata che di domenica tutti andavano al tempio per pregare e comprare amuleti! Rassegnata mi misi in coda aspettando il mio turno…

 

Ma dove si era cacciata?! Stavamo per partire! Ci incamminammo tutti verso la stazione. Avevamo percorso neanche un metro che Anzai richiamò Hanamichi a sé, annunciandogli che quella settimana sarebbe rimasto a Kanagawa ad allenarsi. Un allenamento speciale. Ci mettemmo tutti a ridere, Banda Sakuragi compresa, anzi forse più degli altri. “Mi sono persa qualcosa?” una voce conosciuta attirò la mia attenzione. “Ma dov’eri finita?! Stavamo per partire!” la assalii. Sembrava che avesse corso dal suo respiro affannato. “Ero andata a prenderti questo…” disse tirando fuori, dalla tasca dei pantaloni alla pescatora che aveva quel giorno, un amuleto porta fortuna. Lo aveva preso per me! Che gentile era stata! Mi vergognai per il mio egoismo. Avevo subito pensato che non gli importava niente se partivo e invece lei… Non potevo mostrare di essere dipiaciuto per quello che avevo pensato. Orgoglio maschile. “Non avrò bisogno di un amuleto porta fortuna. Lo Shohoku è il più forte! Vinceremo lo stesso.” dissi spavaldo. Lei mi guardò trattenendosi a fatica dal ridere. Mi prese una mano e vi appoggiò sopra l’amuleto e mi rispose “Guarda che lo sapevo benissimo anch’io che siete i più forti. Io te l’ho preso perché guardandolo ti ricordassi di me!” Che imbarazzo! Un’altra figura del cavolo… “Scusa per …” dissi portando una mano dietro la nuca, senza guardarla negli occhi. “Non fa niente. Vorrà dire che per farti perdonare dovrai vincere per forza!” mi interruppe lei. Alzai gli occhi sul suo volto. Stava sorridendomi. La abbracciai con foga. “Contaci!” avevo risposto felice. Le diedi un bacio veloce sulla guancia prima di raggiungere gli altri che erano andati avanti, correndo e alzando il braccio per salutarla. Mi sarebbe mancata…

 

Mi voltai verso Anzai per salutarlo prima di andare via, quando vidi Hanamichi furente da una parte e la Banda Sakuragi che se la rideva di gusto dall’altra. “Come mai, Hanamichi, non sei andato con gli altri” Non avrei potuto dire frase peggiore. Il rossino esplose in un serie di invettive sullo spreco del suo genio, mentre Anzai aveva iniziato a ridere composto e la Banda Sakuragi era piegata in due dal ridere. Risi anch’io. “Che matti!” pensai.

 

Capitolo 17 - …arrivi

Anzai aveva chiesto a me e all’armata Sakuragi di aiutarlo con l’allenamento speciale di Hanamichi. Io avevo accettato subito. Con quei cinque c’era sempre da divertirsi! Mi resi disponibile il pomeriggio.

La mattina lavoravo, il pomeriggio aiutavo Anzai e la sera stavo ad aspettare lo squillo del telefono. Hisashi mi telefonava tutte le sere. Lui mi raccontava dei progressi della squadra e io di quelli di Hanamichi, evitando comunque, di dirgli l’oggetto dell’allenamento. Hanamichi era stato chiaro a riguardo. Dovevano rimanere tutti sorpresi dalla bravura del genio!

Non dicevamo mai frasi del tipo “Mi manchi” o “Non vedo l’ora di rivederti”. Era penoso per me sentire la sua voce all’altro capo del filo e penso anche per lui, così ci sembrava di soffrire di meno senza quelle frasi. Avrei tanto voluto averlo vicino. La sera raccontarci come era andata la giornata davanti ad un bel piatto caldo come facevamo di solito. Non immaginavo che in quelle due settimane, lui, fosse diventato cosi importante per me. E io? Quanto lo ero per lui?

 

In quel pomeriggio di libertà che Akagi ci aveva dato, le avevo comprato una collanina con un pendente a forma di stella. La mia stella. La mia Keiko. Mi mancava da morire. Parlare con lei solo per telefono era riduttivo. Aveva bisogno di sentirla vicina a lui di averla tra le braccia… COSA? CALMATI HISASHI! Non ti sarai mica… Gli allenamenti mi stancavano troppo e la mia mente vaneggiava ogni tanto. Era la motivazione più ragionevole. Non potevo rischiare di rovinare quell’amicizia così preziosa per me, solo perché avevo scambiato amicizia per… Devo decisamente stancarmi di meno….

 

Avevo appena buttato giù la cornetta del telefono dopo l’ennesima chiacchierata telefono con Hisashi che suonarono alla porta. Chi poteva essere alle otto di sera? Quando andai ad aprire, mi trovai davanti una signora dai tratti orientali, anche se c’era qualcosa in lei che la rendeva diversa. Doveva avere una cinquantina d’anni, anche se portati splendidamente. Vestiva abiti raffinati e aveva un viso familiare, anche se ero sicura di non averla mai vista. “Ciao Keiko! Aspettavo da tanto il momento in cui ti avrei rivista!” mi disse con le lacrime agli occhi. Ma chi era quella donna? E cosa voleva da me?

 

Capitolo 18 – Brutte notizie

La osservavo mentre lei si sedeva aggraziatamente sul tatami, di fronte al tavolino. L’avevo fatta entrare restando in silenzio. Le sue parole mi avevano talmente stupito, che non avrei potuto sillabare parole sensate. Non sapevo perché, ma qualcosa mi diceva che quella donna mi portava brutte notizie.

La raggiunsi, sedendomi di fronte a lei. “Carino qui..” disse lei con un gran sorriso, forse per rompere il ghiaccio. Cominciai ad innervosirmi ma cercai di non farlo trasparire. “Grazie” le risposi brevemente, senza ricambiare il sorriso. I giri di parole non mi erano mai piaciuti. Se lei non voleva arrivare al sodo, l’avrei fatto io. “Chi è lei? E perché mi conosce?” le domandai con voce dura. “Tu non ti ricorderai sicuramente di me. L’ultima volta che ti ho vista, avevi solo un mese!” rispose timidamente. “E’ sicura che io sia veramente la persona che lei sta cercando?” dissi scettica. “Oh sì!” fece lei sicura. “Come può dirlo se l’ultima volta che ci siamo viste avevo solo un mese?” “Tuo padre mi spediva ogni anno delle tue foto…. Eccole. Le portate per mostrartele” disse estraendo, dalla piccola borsetta firmata, alcune foto e porgendomele. Le guardai un attimo. Non c’erano dubbi quella nelle foto ero proprio io! Ero abbastanza turbata, ma cercai di non darlo a vedere. “Ha risposto a solo una delle mie domande… Chi è lei?” “Sono tua zia. La sorella di tua madre” COSA?!?! E’ IMPOSSIBILE!!! “Mia madre non aveva sorelle!” “Te l’ha detto tuo padre vero?” “Sì, ma…” feci per ribattere, ma lei non mi lasciò finire. “Dopo la morte di tua madre, tuo padre andò in depressione. Si amavano tanto e per lui all’inizio non fu facile. Io lo aiutavo come potevo: ti accudivo, mandavo avanti la casa, lavoravo… dopo un mese ero esausta. Dissi a tuo padre che se non avesse reagito, ti avrei portata via da lui. Io abito a Naha, a Okinawa. Era senza un soldo, non avrebbe mai potuto raggiungerti. Litigammo furiosamente la sera che glielo dissi, ma dopo una settimana trovò lavoro dimostrandomi di avere torto e così ti lasciai a lui. Lui mi odiò dopo quella sera….” Fece una breve pausa, durante il quale attesi che andasse avanti con il suo racconto. Non volevo pensare in quel momento. “Ecco perché ti ha detto che tua madre era figlia unica. Io ho dovuto farlo! Per il suo e il tuo bene! Non ci parlammo per sette anni e poi io decisi di scrivergli una lettera. Volevo tanto vederti ma lui non me lo permetteva a causa del nostro stupido litigio! Lui non rispose a quella lettera, ma da quella volta, ogni anno mi mandò una tua foto.”

Incassai il colpo… Quella donna era mia zia! Io ho una zia?! Pensavo di essere rimasta sola al mondo. Di non avere nessuno… Ma perché non mi aveva cercata prima? Mio padre è morto da quattro mesi ormai? Quando glielo chiesi, mi rispose “Okinawa è lontana e a causa del mio lavoro sono spesso all’estero. Quando ho saputo che tuo padre era morto, erano già passati tre mesi. Ho provato a cercarti, ma la casa dove abitavate era stata venduta… ci ho messo molto per trovarti e ora non ti lascerò più andare…” Ero stordita. Cosa… “Cosa intendi dire con il ‘non ti lascerò più andare’?” Un orrendo sospetto si insinuò nella mia mente… “Verrai a vivere con me a Naha!” disse raggiante. A Naha… Hisashi…

 

Capitolo 19 – Ritorno a casa

Il suo tono di voce era cambiato. Era…triste. Aveva risposto alle mie domande a monosillabi… Non ero tranquillo. L’ultima volta che si era comportata così, è stato quando le avevo chiesto dei suoi genitori…

Fortunatamente mancavano solo un paio d’ore di treno, e poi l’avrei rivista. Aveva detto che mi sarebbe venuta a prendere alla stazione. Volevo sapere cosa era successo…

Me ne stavo seduto in un angolino della carrozza, praticamente vuota. Kogure mi si avvicinò per parlare, perché aveva visto la mia “aria da cane bastonato” così aveva detto. Voleva tirarmi su, ma il mio atteggiamento lo scoraggiò subito: sguardo perso nel vuoto, risposte a monosillabi…

Keiko. Cos’è successo? Perché non hai voluto parlarmene per telefono? Non vuoi più parlare con me? Ho detto qualcosa che ti è dispiaciuto? Tante domande senza risposta affollavano la mia mente…

Forse mi stavo preoccupando per niente. Magari era solo stanca…

Mi guardai attorno. Rukawa dormiva abbandonato su un seggiolino, Akagi guardava fuori dal finestrino perso in chissà quali pensieri e Kogure e Miyagi parlavano con Ayako del campionato.

Non avevo voglia di parlare. Mi limitai a guardare fuori dal finestrino, come Akagi. L’unica differenza era che io non volevo pensare…

 

Salii le scale che portavano ai binari. Mi guardai attorno, non doveva essere difficile trovarli. Tre “montagne umane” dovevano essere abbastanza visibili, no? Risi fra me e me. Se Hisashi avesse saputo che gli avevo dato della “montagna umana” se la sarebbe presa a morte! Eccoli! Mi avvicinai. Lui era di spalle. “Bentornato a casa” dissi solamente, sorridendo. Di mia zia e di Naha gliene avrei parlato dopo, per ora c’era solo lui.

Al suono delle mie parole lui si voltò.

 

Era la sua voce! Keiko! Mi voltai. Lei era lì che mi sorrideva. L’abbracciai di slancio. Quanto mi era mancata…

“Ciao!” le dissi, sempre tenendola stretta a me. “Hisashi così mi soffochi!” disse lei ridendo. La lasciai andare per prenderla per mano subito dopo. Salutammo tutti e ci avviammo verso casa. Il considerarla “casa nostra” mi diede una sensazione di calore al cuore…

 

Capitolo 20 – La dura realtà

Mi aveva preparato il sukiyaki, chissa quanto le era costato!

Quella cena, era diversa dalle altre che avevamo fatto insieme. L’atmosfera era più…pesante. Sentivo che voleva parlarmi di qualcosa, ma non si decideva. Evitava di guardarmi negli occhi, come se avesse paura che riuscissi a leggerle dentro. Eravamo arrivati al dolce, dei biscotti al cioccolato buonissimi. C’era tensione nell’aria. Come cena era stata abbastanza silenziosa e io ad un certo punto non ce la feci più. “Ti decidi a parlarmene o ti devo tirare fuori le parole di bocca?” dissi tranquillamente, addentando il secondo biscotto. Lei sussultò.

 

Cavoli!…L’aveva capito! E adesso come avrei affrontato l’argomento? “Due giorni fa è venuta a trovarmi mia zia..”cominciai. “Tua zia? Non sapevo che avessi una zia” fece lui un po’ sorpreso. “Neanche io, ma mi ha fornito prove inconfutabili riguardo la sua identità…” gli raccontai tutta la storia. Mano a mano che procedevo con il racconto, guardavo il suo viso farsi sempre più stupito. Ogni tanto facevo delle pause per osservare meglio le sue reazioni. Lui stava zitto e aspettava che continuassi mentre io sentivo salirmi le lacrime e gli occhi bruciare nello sforzo di trattenerle. “Vuole riportarmi a Naha..” conclusi tristemente guardandolo negli occhi per la prima volta dopo l’inizio di quel racconto.

 

COSA?! “Co..Cosa hai detto?” dissi in preda al panico, sperando di aver capito male. Lei ripetè la frase tabù con quell’orrenda parola: Naha. “Tu non puoi andare. Abiti qui ora.” Feci quel tentativo. “Abitiamo insieme, è vero, ma siamo tutti e due minorenni. La legge è dalla sua parte e se decide di partire non posso fare altro che seguirla, a meno che una famiglia non mi prenda in custodia. Cosa impossibile dato che l’unica persona che ho sei tu. Devo partire…tra cinque giorni.”

E’ possibile che le parole possano pesare? Le ultime parole di lei mi erano cadute addosso come dei macigni. La guardavo mentre stava trattenendosi dal piangere per me. Lo faceva per me, perché non mi sentissi più male di quanto non stessi già. E dire che dovevo essere io l’uomo della situazione! Mi avvicinai a lei e la abbracciai. Adesso dovevo farle forza, anche se non stavo certo meglio di lei. Cominciò a singhiozzare. Dovevano durare ancora molto le sue pene? E io? Cosa avrei fatto senza di lei?

Stupidamente pensai che la catenina con il pendente a stella che le avevo preso per ringraziarla, si sarebbe trasformato in un regalo d’addio. Allora non c’erano più speranze? Sarebbe davvero partita tra cinque giorni?

E della nostra amicizia che ne sarebbe stato? Dovevo inventarmi qualcosa! Non potevo permettere che partisse senza fare niente per trattenerla! Sua zia sapeva che viveva con me? E della nostra amicizia? Troppe domande affollavano la mia mente. Le ricacciai in un angolo remoto della mia mente. Ora esistevamo solo noi. Noi con il nostro dolore. Keiko, non ti preoccupare. Mi inventerò qualcosa, te lo giuro!

 

Capitolo 21 – Countdown

Tentavamo tutti e due di comportarci normalmente. Lei non accennava alla partenza e io non le chiedevo nulla. Il pomeriggio non veniva più ai nostri allenamenti, lo passava tutto con sua zia. Non avevo avuto ancora occasione di parlare di sua nipote con lei. Non poteva portarmela via così!

L’occasione arrivò a tre giorni dalla sua partenza. Erano passate a vedere gli allenamenti. Avevo visto Keiko che mi indicava probabilmente come il suo migliore amico. Quel pensiero mi diede una fitta allo stomaco, anche se non seppi bene il perché. Mi avrebbero aspettato per tornare a casa, lo sapevo per certo. La mia mente organizzò tutto in pochi istanti. Avrei chiesto ad Ayako di allontanare Keiko da sua zia per pochi minuti, così che io potessi parlarle e chiederle di lasciare sua nipote a Kanagawa. Con me.

Quando Akagi dichiarò finito l’allenamento, mi fiondai da Keiko e da sua zia. La guardai per la prima volta come una persona e non come un nemico. I vestiti eleganti, il portamento distinto, lo sguardo fiero… Dal punto di vista economico non aveva certamente problemi.

 

Ci stava raggiungendo. Mi sentivo nervosa. Volevo che tutti e due si accettassero a vicenda. Certo mia zia non era fra il tipo di persone che piacevano ad Hisashi. Lui odiava la gente “con la puzza sotto al naso” e mia zia era il prototipo di questo tipo di persone.

Rimasi stupita quando gli vidi il sorriso stampato il faccia. Non era da lui! Lo vidi ricambiare cortesemente l’inchino di mia zia e cominciare una conversazione escludendomi completamente. Che gli era preso?! Cominciavo ad arrabbiarmi…

Erano passati pochi minuti, quando Ayako si avvicinò a noi, presentandosi e dicendomi che aveva bisogno delle statistiche di Hanamichi sul suo allenamento speciale. Le dissi scocciata che le aveva fatte Haruko e che non sapevo dove poteva averle messe. Mi chiese se l’aiutavo a cercarle. La fulminai con lo sguardo. Perché la gente non capisce mai quando non è il momento? Sbuffai, ma davanti agli occhi supplichevoli di Ayako non ci fu storia. Mi scusai e andai con lei. Era una mia impressione o il sorriso di Hisashi si era allargato di più?

 

Il mio piano aveva funzionato! Sorrisi compiaciuto di me stesso mentre la guardavo andare via, per poi rivolgere tutta la mia attenzione verso quella donna. DOVEVO farle capire. “Signora…” cominciai “Keiko le ha detto che io e lei viviamo insieme?” “Sì..” disse tranquillamente. Fui sorpreso. Non tutti avrebbero accettato il fatto che una ragazza e un ragazzo vivessero insieme… “..e la devo ringraziare, signor Mitsui, per l’aiuto che ha dato a mia nipote in un momento così delicato” “Quindi lei non ha mai pensato che noi due… bè che potessimo essere…” La parola “amanti” non voleva proprio uscire dalla mia testa. “Oh no signor Mitsui!” disse lei sorridendo “Keiko mi ha detto che siete solo amici. E io le credo” Riordinai rapidamente le idee. Il mio piano di farle credere che avevamo una storia, magari con bambino in arrivo, ero fallita miseramente ancor prima di cominciare. Rimaneva l’ultica carta da giocare: la sincerità. “La prego signora non porti Keiko con sé” dissi con tono supplichevole. Il sorriso sparì dal suo volto “Io ho bisogno di lei. E’ la mia migliore amica e non ho le possibilità economiche per venirla a trovare a Naha” Attesi la sua risposta con la stessa tensione che avevo durante le partite mentre aspettavo che il mio famoso tiro da tre punti facesse finire la sua parabola dentro la rete del canestro. Purtroppo quello che lei disse, non era quello che mi aspettavo… “Signor Mitsui, lei mi sta chiedendo di lasciare mia nipote, dopo sedici anni di tensioni e ricerche, a qualcuno che ancora per un anno non può assicurarle sicurezza sul piano economico perché impegnato con la scuola?!” Il suo tono di voce si era alzato leggermente ed era diventato duro. “Non se ne parla neanche!” disse acconpagnando quella frase con un deciso movimento del capo. “Quindi non c’è speranza?” dissi timidamente. “Figliolo..” cominciò lei, sospirando “servono i soldi a questo mondo. Senza non si vive. Per lasciarla con te dovresti dimostrarmi che sei in grado di mantenerla in modo dignitoso, ma credo che in due giorni non riuscirai a combinare niente..” mi disse come se stesse parlando ad un bambino delle elementari!

Che persona odiosa! Stavo per dirglielo quando Keiko ritornò da noi…

 

Ero LEGGERMENTE arrabbiata. Prima Hisashi con quel comportamento strano e poi Ayako con delle richieste assurde. Mai farmi arrabbiare! Ayako lo aveva già scoperto a sue spese, e quando saremmo arrivati a casa, anche Hisashi se ne sarebbe accorto. Quando tornai da loro, notai con piacere che Hisashi non sorrideva più, anzi era piuttosto giù di corda. Non stetti a dormandarmi il perché. Gli dissi solo di andarsi a cambiare in fretta, altrimenti sarebbe tornato a casa da solo. Per andare verso gli spogliatoi mi dovette passare di fianco, ma non ci guardammo. Mi sibilò solo uno sprezzante “Sì padrona” quando fummo vicini.

 

Capitolo 22 – Last hope

Camminavano davanti a me, parlando e ridendo come due vecchie amiche. Stavamo accompagnando all’albergo sua zia prima di tornare a casa. Guardandola di spalle mentre sorrideva alla sua interlocutrice, mi domandai se era davvero giusto tenerla con me. Forse aveva ragione sua zia… Io non avrei mai potuto offrirle quello lei aveva… Ma non riuscivo più a pensare alla mia vita senza di lei, i suoi sguardi, i suoi occhi…

*****

Dopo cena avrei messo in atto il piano definitivo. Mi sarei dovuto umiliare, ma se andava tutto bene ne sarebbe valsa la pena. Lei sarebbe rimasta con me. Mentre la guardavo finire il suo tempura, mi chiesi se lei volesse rimanere. Io lo avevo dato per scontato, ma se lei avesse avuto la possibilità di scegliere… Chi avrebbe preferito?

Prima di cena mi aveva dato una bella lavata di capo per il mio comportamento in palestra. Sapevo che l’avrebbe fatto. L’avevo praticamente esclusa dalla conversazione e a lei quelle cose non piacevano, ma senza quel subdolo stratagemma non sarei mai riuscito a parlare da solo con sua zia. La subii passivamente, facendole credere di essere veramente pentito. Scaricatasi era tornata quella di sempre. Gentile, carina…

 

Era da quando gli avevo detto che partivo che si comportava in modo strano. Non era il solito Hisashi, era più… burbero. Non mi aveva detto di cosa avesse parlato con mia zia. Non parlavamo quasi più di noi. Ci limitavamo a mangiare insieme la sera e basta. Perché non riusciva a capire che ci stavo male? Che volevo rimanere con lui? Che lo amavo con tutta me stessa? Sembrava che non gli importasse se partivo. Da parte mia mi ero rassegnata, ma speravo segretamente che lui lottasse per farmi rimanere. Il mio cavaliere dagli occhi blu…

A conferma di quanto poco tempo passassimo insieme, dopo cena, disse che si doveva trovare con Hanamichi e gli altri per una “serata soli uomini”, così disse. Non potevo nemmeno andare con lui. Uffa!

Con il morale sotto ai piedi accesi la tv, lasciando scorrere le immagini di un film poliziesco di cui non capii nulla. La mia mente assorbita dal pensiero di lui.

L’indomani non l’avrei visto, lui aveva gli allenamenti tutto il giorno. Io dovevo fare diversi giri alla mattina e il pomeriggio fare le valigie. Quella era praticamente la nostra ultima sera insieme e lui andava a vedere delle spogliarelliste! Se ci pensavo mi veniva una rabbia!!! Mi veniva da piangere, ma non sarebbe servito a niente perciò mi trattenni. Pensai che non sarei mai riuscita a dirgli che lo amavo… Magari glielo avrei scritto… Chissà… Stanca e con la testa piena di pensieri sistemai il mio futon e lo distesi al suo solito posto di fianco al tavolino e mi ci infilai dentro. Era mezzanotte e lui non era ancora tornato….

 

Capitolo 23 – Peace

L’ultima volta che avevo visto quel portone, era stato due anni fa. L’avevo chiuso con violenza alle mie spalle, sperando di non dover più rimettere piede in quella casa. E invece… E’ strano che quando pianifichi qualcosa, questo non si realizzi mai. Io pensavo che non avrei mai più visto i miei genitori dopo quella sera, e invece adesso ero lì non solo per fare pace, ma anche per supplicarli di tenere Keiko con loro così che lei non dovesse più partire.

Ero lì fermo sulla soglia da dieci minuti, e ancora non avevo bussato. Mi spaventava quello che avrei trovato dall’altra parte, o meglio CHI avrei trovato dall’altra parte. Poi finalmente bussai. Rumore di passi all’interno.

Venne ad aprire mia madre. Non era molto cambiata… forse aveva solo più fili argentati tra i suoi capelli dello stesso colore dei miei. “Hisashi…” la sentii mormorare mentre mi fissava immobile sulla porta. “Chi è Yumeko?” da una porta la voce di mio padre… Non ricevendo risposta da mia madre ancora impietrita si affacciò al corridoio davanti alla porta d’entrata. “Papà…” Anche lui fu molto sorpreso di vedermi, ma si riprese in fretta. “Che ci fai tu qui?” mi chiese con voce dura. “Sono venuto per parlare” “Ci siamo già detti tutto quello che c’era da dire, mi pare” “No, ora le cose sono cambiate papà. Lasciami spiegare!” Mio padre sembrò indeciso, poi mia madre lo convinse “Tesoro, lasciamolo parlare” “Va bene” disse rassegnato “Fallo accomodare” eclissandosi dietro la porta da dov’era venuto con un gesto spazientito della mano. Era nervoso anche lui. Lo sapevo…

*****

Eravamo seduti davanti a quel tavolino da dieci minuti. Restavamo in silenzio e ci guardavamo in faccia, quasi volessimo studiarci a vicenda. Tensione. Presi la parola “Papà, stasera sono venuto per scusarmi con voi.” Lui sembrò contrariato. Certamente non erano le parole che si aspettava di sentire. Mia madre invece aveva già gli occhi lucidi. “Mi sono reso conto di aver sbagliato, e ne sto ancora pagando il prezzo. Sapete… ho ripreso a giocare a basket…” dissi abbozzando un sorriso per tentare di sciogliere la tensione “Ma Hisashi il tuo ginocchio…” disse subito allarmata mia madre. Mio padre stette zitto anche se per un attimo mi sembrò di vedere i suoi occhi illuminarsi. Un tempo era orgoglioso di suo figlio, un promettente campione di basket. “Non preoccuparti mamma. Il dottore da cui andavo a fare le visite mi ha assicurato che il mio ginocchio è completamente guarito. Merito del riposo che gli ho fatto fare in questi due anni” conclusi amaramente. “Oh tesoro..” disse mia madre con le lacrime agli occhi mentre mi prendeva una mano tra le sue. “Yumeko!” la riprese mio padre. “Papà..” lo guardai dritto in faccia “Ti ricordi il nostro sogno? Il campionato nazionale? Bè sta per trasformarsi in realtà! Lo Shohoku è arrivato secondo nel campionato prefetturale e quindi il torneo nazionale ci spetta di diritto.” Mi fermai un attimo poi ripresi “Ho faticato molto per tornare ai livelli di un tempo, ma adesso sono in ottima forma e sono pronto a partire, tra tre giorni, per vincere quel torneo!” Mi guardava ancora in silenzio… “So di essere stato una delusione come figlio, ma sono venuto qui apposta per farmi perdonare e per tentare di recuperare il tempo perduto. Mi siete mancati” conclusi. Chinai il capo aspettando il verdetto di mio padre. Avevo visto di sfuggita il suo sguardo duro. Che illuso ero stato! Lui non mi avrebbe mai perdonato!

“Non sei stato una delusione come figlio” disse solo. Alzai lo sguardo su di lui, incredulo. “Chiunque capisce i propri errori e tenta di porvi rimedio è degno della mia stima” sorrise. Un sorriso timido, ma che mi diede un calore immenso. Mi alzai in piedi, avvicinandomi ai miei genitori, per poi chinarmi di nuovo per abbracciarli. “Papà, mamma…” dissi tra le lacrime “Vi voglio bene”

*****

Non era ancora stanco di sentirmi parlare? Mi chiesi rispondendo alla sua ennesima domanda. Su di me, sul futuro campionato, sulla squadra… Il non parlarci per due anni ci aveva fatto accumulare tante domande che non avevano potuto avere risposta. Anch’io non fui da meno di mio padre. Chiesi di tutto: dalla salute, a come andava il lavoro. Pensandoci… mi era mancata quella sensazione di… di… famiglia. Parlai loro anche di Keiko e dei suoi problemi. Mio padre non fu molto contento del fatto che vivessimo da soli sotto lo stesso tetto,ma gli spiegai che non c’era mai stato niente tra noi e sembrò credermi. Ma io stesso cominciavo a domandarmi se non avrei desiderato che fosse andata diversamente. Io la amavo?

Spiegai loro di sua zia e della sua prossima partenza “Io non vorrei, ma partirà dopo domani…” feci sconsolato “L’unico modo per farla restare sarebbe che qualcuno con una situazione economicamente stabile la prendesse con se” dissi speranzoso guardando in faccia mio padre. “E tu vorresti che quel qualcuno fossimo noi, vero Hisashi?” “Bè… lei significa molto per me. E’ la mia migliore amica ed è stata l’unica a credere in me quando nessuno voleva farlo. Lei mi capisce solo guardandomi e io…” “Abbiamo capito che le vuoi molto bene, Hisashi. Ti si illuminano gli occhi quando parli di lei. Un po’ come ti succede quando parli di basket” disse mia madre sorridendo dolcemente. “Ho paura di perderla. Vi prego aiutatemi” li supplicai “Immagino che dovremo anche mantenerla” fece mio padre. Ha sempre avuto un particolare “senso pratico”. “No. Lei ha deciso che lavorerà fino all’inizio del prossimo anno scolastico per potersi pagare gli studi. Purtroppo ha smesso di andare a scuola per poter pagare i debiti di suo padre. Penso che si sia già licenziata dal suo ultimo lavoro in previsione della partenza, ma credo che ne cercherebbe un altro se sapesse che dovrebbe venire a vivere con voi. Non è il tipo di persona a cui piace fare il parassita.” “Devo conoscere questa ragazza! Sono sicura che andremo d’accordo” disse contenta mia madre. “Yumeko non essere precipitosa!” la ammonì severo mio padre. Poi tornando a rivolgersi a me disse “Per ora non posso darti nessuna risposta, ma prima che lei parta conoscerai la nostra decisione. Devo pensarci Hisashi” Con questo dichiarò il discorso chiuso.

Era ormai l’una e la mattina dopo avevamo gli allenamenti. Mi congedai da loro con un caldo abbraccio. Sulla porta mia madre mi aveva sussurrato “Non preoccuparti Hisashi. Ci parlo io con tuo padre. Lo sai che a me non può dire di no! Non la perderai!” facendomi l’occhiolino subito dopo.

Tornai a casa più leggero. Dovevo anche questo a lei. La mia Keiko. Se non fosse stato per il mio desiderio di non vederla partire, non avrei mai fatto pace con i miei.

Stanco ma felice mi coricai accanto a lei nel mio futon, e cullato dal suo respiro calmo mi addormentai.

 

Capitolo 24 – Last day

Lo avevo trovato che dormiva di fianco a me, come tutte le mattine. Chissà in che locali era andato con i suoi amici, cosa aveva fatto, chi aveva visto, quante ragazze aveva conosciuto… Basta Keiko! Stai diventando paranoica! Lui non è di tua proprietà, e soprattutto non è il tuo ragazzo! Non puoi essere gelosa di lui! Gelosa? Eh sì. Dovevo ammetterlo almeno a me stessa. Ero gelosa di lui. Il solo pensiero di vederlo con un’altra donna risvegliava in me pericolosi istinti omicidi. Sorrisi guardandolo dormire. Guardai la sveglia appoggiata sul comodino. Quella mattina non l’avevo fatta suonare, tanto mi ero licenziata! Quando vidi l’ora, non collegai subito. Le otto. Non so perché ma mi fece venire in mente qualcosa…. Gli allenamenti dello Shohoku iniziavano a quell’ora! E quel pelandrone stava tranquillamante poltrendo nel letto!

“Hisashi svegliati!” cominciai a scuoterlo “Che succede?” fece lui degnandosi di aprire a mala pena un occhio giusto per guardarmi in faccia. “Guarda un po’!” dissi io agitata mettendogli la sveglia proprio davanti all’occhio aperto. “Le otto, e allora?” disse scocciato tornando a dormire. Anche lui collegò dopo pochi istanti. “Le otto!” gridò balzando fuori dal letto e infilandosi dentro al bagno. Dopo cinque minuti ne uscì lavato e vestito. “Akagi mi ucciderà. Akagi mi ucciderà” ripeteva. “Questo è il tuo obento. Sei fortunato che te l’ho preparato ieri sera!” dissi mettendogli la scatola in mano “Adesso puoi andare.” Mi diede un veloce bacio sulla guancia e poi lo vidi sparire dietro la porta di casa. Hisashi, non cambierai mai! E non cambierà mai il fatto che ti amo anche a tanti chilometri di distanza!

*****

Non riuscivo a concentrarmi sulla partita. Certo riuscivo a neutralizzare ancora Hasegawa, ma non risaltavo più per il mio gioco, per i miei tiri perfetti. L’attenzione era tutta spostata su Hanamichi e Rukawa. La bravura di quest’ultimo la conoscevo già, ma furono i progressi di Hanamichi a stupirmi più di tutto. Quella partita “d’allenamento” contro i migliori giocatori di tutto il distretto era una specie di prova generale per il campionato nazionale e io non potevo certo dire di stare giocando al massimo. Sapevo anche il perché, ma non volevo pensarci.

Finita la partita, per festeggiare la vittoria, vollero tutti andare a divertirsi in qualche pub. Io rifiutai. Ero un fascio di nervi e volevo passare la serata con Keiko. Per quanto ne sapevo quella era la sua ultima sera a Kanagawa, dato che i miei genitori non mi avevano fatto sapere niente. Decisi di fermarmi alla prima cabina telefonica che trovavo per chiederglielo. Rispose mia madre, ma l’unica cosa che seppe dirmi era che stava ancora lavorando su mio padre e che mi avrebbero fatto sapere qualcosa verso le nove di domattina. Il suo potere di persuasione aveva sempre avuto effetto su papà. Mi ritrovai a sperare che anche quella volta il verdetto fosse a favore di mia madre. Lei aveva sempre avuto una sensibilità speciale. Aveva capito che per me Keiko era la cosa più importante. Mancavano meno di docici ore alla sua partenza… Non volevo darle false speranze. Pensai che quella sera le avrei potuto dare il ciondolo. Glielo avrei dato e basta senza frasi aggiuntive. Tanto le uniche che mi venivano in mente erano del tipo “Così non mi dimenticherai”. Troppo tristi.

Finalmente arrivai a casa. Lei era lì intenta a cucinare qualcosa che dal profumino che aleggiava in tutto l’appartamento doveva essere sicuramente delizioso. Ero ancora fermo sulla soglia ad osservarla. Per un attimo pensai che era una sera come le altre. Avremmo cenato insieme parlando del più e del meno, poi io avrei guardato la tv con lei vicino a me. Saremmo andati a letto insieme dandoci la buonanotte e io avrei ascoltato il suo respiro prima di addormentarmi e poi la mattina dopo mi avrebbe svegliato con un sorriso e….. ma chi volevo imbrogliare…. Le borse accatastate vicino alla porta mi costringevano a vedere la dura realtà, quella che la mia mente cercava di nascondermi.

 

La sua tristezza si percepiva ad un miglio di distanza. Non volevo che la nostra ultima serata fosse così. Volevo divertirmi, parlare insieme a lui, ridere… Dovevo sdrammatizzare la situazione. Dovevo essere forte anche per lui. L’avrei buttata sul ridere. “L’allenamento è stato così faticoso che ora che sei arrivato a casa non riesci a fare l’ultimo passo per entrare?” dissi sorridendo. Lui si limitò ad entrare chiudendo la porta dietro di sé, guardandandomi per un breve istante prima di appoggiare la borsa della palestra in un angolino. Che sguardo malinconico il suo…

Anche la cena si svolse nel più assoluto silenzio da parte sua. Ero solo io a parlare, a fare battute penose ogni tanto, ma lui rimaneva sempre serio. Mi guardava come se quegli istanti fossero gli ultimi che aveva per fissarsi la mia immagine nella memoria, e forse era quello che stava veramente facendo. Lo sentivo teso come una corda di violino, pronta a spezzarsi ad un mio minimo errore. Una frase sbagliata, un gesto. “Hisashi non credi che sia meglio parlarne anziché chiudersi a riccio come stai facendo tu? Pensavo che una volta diventati amici ci saremmo raccontati tutto” dissi alla fine della cena, stufa del suo comportamento. “Smettila!” mi urlò sbattendo le bacchette sul tavolo. Avevo detto la famosa frase. “Scusami, io…” cominciai io per tentare di rimediare al mio errore. “Smettila di comportarti come se tutto questo non stesse accadendo, come se domani sera ceneremo ancora insieme, come se ci rivedremo dopo domani!” Aveva pronunciato quelle parole con rabbia, quasi come se la colpa di quello che stava accadendo fosse mia… “Credi che a me faccia piacere partire?” Gli chiesi tentando di mantenere la calma. “Quello che so è che non hai fatto nulla per impedirlo! Ma forse è meglio così…” concluse con una punta di amarezza nella voce. Mi alzai di scatto e cominciai a raccogliere i piatti disposti disordinatamente sul tavolino. Lui seguì con gli occhi ogni mio minimo movimento. Volevo porre fine a quella discussione inutile. Non avevo pensato così la nostra ultima sera insieme. Gli voltai le spalle per portare i piatti nel lavello. “Anche adesso stai scappando dalla realtà…” le sue parole pronunciate con tono calmo mi raggiunsero trafiggendomi il cuore. Mi fermai un attimo dov’ero e poi continuai a camminare per appoggiare quei dannati piatti. La vista appannata. Lacrime. Dolore. Tornando indietro mi fermai in piedi davanti a lui che stava ancora seduto. “Io non sto scappando dalla realtà è solo che non posso fare nulla per cambiarla. Mi sono rassegnata Hisashi e dovresti farlo anche tu” A quelle parole anche lui si alzò di scatto. Adesso eravamo a pochi centimetri l’uno dall’altra. “La Keiko che credevo di conoscere non avrebbe mai usato quella parola. Rassegnarsi… Vai pure a fare il parassita da tua zia. Se questa è la Keiko che sei diventata non ci perderò nello scambio”

 

Non ebbi nemmeno il tempo di finire l’ultima parola che il suo schiaffo arrivò potente. “Come ti sei permesso! Vattene!” “Keiko io non..” “Vattene via!” Urlò con rabbia accasciandosi al suolo subito dopo, coprendosi il viso con le mani e cominciando a singhiozzare. L’avevo fatta piangere. Non volevo dire quelle cose. Non le pensavo veramente. Avevo sfogato la mia frustrazione su di lei, senza pensare che anche lei magari si sentiva come me, che si stava facendo forza per me. Non era il momento per le scuse ora. Dovevo lasciarla sola. Domattina le avrei fatto le mie scuse. Prima che lei partisse. Non volevo che quella litigata fosse l’ultimo ricordo che avrebbe avuto di me. Chiusi la porta di casa alle mie spalle. Magari un goccetto al pub con i ragazzi mi avrebbe tirato un po’ su il morale e poi se mi fossi ubriacato, sarei riuscito a dimenticare per il tempo di una sbronza quel sentimento che sentivo crescere prepotente dentro di me.

 

L’avevo sentito rincasare a tarda notte. Io avevo continuato a fare finta di dormire, se gli avessi detto che lo avevo aspettato sveglia, mi avrebbe sicuramente riso in faccia. Quando si sdraiò vicino a me sentii senza difficoltà l’intenso odore di alcool che emanava. Grande idea quella di ubriacarsi! Pensai sconsolata. La lettera che gli avevo scritto quella sera era già pronta… Avrei avuto il coraggio di dargliela? Non sapevo rispondermi, dopotutto, con quella, gli avrei rivelato i miei sentimenti per lui…

Era già tutto deciso. Me ne sarei andata prima che lui si svegliasse.

Lui russava già della grossa. Domani sarà una giornata pesante, meglio dormire. Pensando queste parole mi addormentai.

 

Capitolo 25 – Lost soul

Ti starai chiedendo perché me ne sono andata senza svegliarti, senza averti salutato. Avevo paura. Paura di affrontarti, di guardarti negli occhi per dirti addio e di vedere disprezzo o peggio indifferenza. Non lo sopporterei…

Preferisco andarmene in sordina lasciandoti questa lettera e…sperando che tu capisca quello che provo in questo momento. Mi mancherai Hisashi. Sei stato il mio migliore amico, il primo ragazzo di cui mi sono innamorata. Sorpreso? Già, hai capito bene. IO TI AMO. Probabilmente tu non hai mai sospettato nulla. Se è così sono stata una brava attrice. Non frantendermi! Quella che hai conosciuto tu è la vera Keiko, ma ti ho sempre nascosto questo fatto perché avevo paura di perdere la tua amicizia…

Ti amavo già quando giocavi nel Takeishi. Non ti conoscevo ancora, ma lo sai, io riuscivo a sentire i tuoi sentimenti, e questo bastò per farmi capire che persona meravigliosa sei. Perdonami Hisashi, se puoi, e dimenticami. Io tenterò di fare lo stesso con te, anche se so già che sarà una cosa impossibile…

Ti amerò per sempre, tua Keiko.

 

Cos’era quella? Perché me lo aveva detto solo adesso? Perché…perché mi sono accorto di amarla profondamente solo quando l’ho persa?

Guardavo quel foglio di carta rosa tra le mie mani ancora allibito. L’avevo letto e riletto almeno una decina di volte nell’ultimo quarto d’ora e non riuscivo ancora a capacitarmene.

Mi ero svegliato con un potente mal di testa. Ero riuscito miracolosamente ad alzarmi a sedere e l’avevo vista. Lì, abbandonata sul tavolino, ma la ignorai. Percepii un qualcosa di strano nell’aria… Keiko? Dov’era Keiko? Il suo futon era piegato ordinatamente nell’armadio. Le sue borse accatastate vicino alla porta…sparite. Solo quella lettera con scritto sopra il mio nome con la sua calligrafia elegante ed ordinata. L’avevo presa in mano tremando. Il mio cervello non formulava pensieri o meglio non voleva… E poi….quelle parole. Keiko dovevi parlarmene! Dovevi dirmelo! Come avrei fatto, ora, senza di te! Non mi avevi permesso di scusarmi con te, di salutarti, di dirti che mi saresti mancata, di dirti che anch’io ti amo. Avevi fatto finire la nostra storia ancora prima che potesse cominciare.

Ero perso in questi pensieri quando sentii bussare alla porta. Mi precipitai ad aprire. Avevo la segreta speranza che fosse lei, che fosse tornata da me. Che illuso…

Non era stata Keiko a bussare, ma i miei genitori. Che diavolo ci facevano a casa mia a quell’ora del mattino? Ah già… la risposta…ma ormai a cosa serviva? Lei se ne era andata! Volevo rimanere solo con la mia disperazione.

“Hisashi cosa è successo? Sei così pallido…” mi chiese preoccupata mia madre. “Niente mà, solamente che la ragazza che mi sono accorto di amare è partita senza dirmi nulla, senza darmi il tempo di dirglielo.” Risposi sarcastico. “E io che mi sono fatto convincere inutilmente da tua madre! Lo sai che quando ci si mette… Bè cos’è quella faccia? Tutto qui quello che sei capace di fare?” disse mio padre con aria strafottente. Non lo sopportavo quando faceva così. “Cosa intendi dire?”dissi tentando di mantenere un tono calmo, nonostante dentro mi sentissi ribollire di rabbia. “Mio figlio non si sarebbe buttato giù per così poco. Dove l’hai nascosto?” mi urlò in un’orecchio. Stavo per rispondergli in malo modo, quando le rotelline arrugginite che avevo nel cervello cominciarono a girare. Dopo il secondo infortunio al ginocchio, mi ero lasciato andare alla disperazione più nera. Non avrei fatto lo stesso errore! Lo avrei fatto per lei. Cominciai ad elaborare velocemente un piano che mi permettesse di avere la mia Keiko di nuovo al mio fianco… Trovato! “Tesoro cos’hai?” Fu quella domanda a riscuotermi dalle mie elucubrazioni. “Avete la macchina dietro?” chiesi concitato. “Sì ma perché lo chiedi?” disse mia madre con lo sguardo di una che ha appena visto un pazzo. “Papà, porta la mamma in macchina. Io mi vesto subito e poi scendo. Mettila in moto!” Dissi in fretta raccogliendo i primi vestiti che mi capitarono a tiro. “Ma che succede? Tesoro, esigo una spiegazione” “Zitta Yumeko!” disse mio padre con un tono che non ammetteva repliche, poi proseguì in tono più dolce. “Il nostro Romeo deve ritrovare la sua Giulietta” aggiunse strizzandomi l’occhio. Credo che lui avesse già capito il mio piano… “Ben detto pà! E adesso che ti ha spiegato, mamma, fammi il piacere di seguirlo in macchina. Io arrivo subito!” Così dicendo, m’infilai nel bagno. Non ti lascerò andare Keiko, non senza prima averti confessato il mio amore. Cinque minuti dopo stavo scendendo gli scalini a due a due rischiando di rompermi l’osso del collo, ma non importava, mi rimaneva poco tempo o forse… lei era già partita! No! Non devo pensarci, mi dissi. Entrai nella macchina dei miei e dissi semplicemente “All’aeroporto di Tokio!” E mio padre altrettando semplicemente disse “Si parte!”

 

Capitolo 26 – The end or the beginning?

Hisashi….. Chissà cosa starai facendo ora…..

Me ne stavo seduta su quella seggiolina scomodissima nella sala d’aspetto dell’aeroporto. Le valigie erano già tutte imbarcate e non stavamo aspettando che chiamassero il nostro volo. La zia chiaccherava con me del più e del meno, di come mi sarei trovata bene nella nuova casa, dei nuovi amici che mi sarei fatta negli ambienti più prestigiosi, quelli che frequentava mia zia. Peccato…. Se non avessi avuto modo di conoscere Hisashi di persona, penso che in fondo non mi sarebbe dispiaciuto molto partire. La vita che conduceva mia zia doveva essere piuttosto interessante…. Ecco che cominciavo con i “se”. Lo sai che non si ragiona con i se e i ma se ciò che questi riguardano è già avvenuto.

Più che una chiaccherata, quella di mia zia sembrava un monologo. Io, infatti, mi limitavo ad ascoltarla e ad annuire di tanto in tanto. Ero intenta ad osservare con molto interesse le cuciture delle mie scarpe da ginnastica. La mia mente divagava e pensava a lui, al nostro primo incontro, a come si era evoluto il nostro rapporto da “amici” (da parte sua), a come la cotta che avevo per lui fin dalle medie si fosse trasformata in qualcosa di più profondo: amore. Ritornai al pensiero iniziale… Dove sei Hisashi? Cosa stai facendo?

I miei pensieri furono disturbati dal vociare infastidito di una piccola folla di persone al gate del mio volo. Chiesi al signore di mezz’età che stava seduto alla mia sinistra se sapesse cosa stava succedendo. “Niente è solo un ragazzo che voleva raggiungere il gate del volo per Naha il più in fretta possibile e per farlo ha saltato la fila. I giovani d’oggi sono così maleducati!” mi rispose sconsolato. Incuriosita, mi scusai con la zia e andai a vedere più da vicino. Alcuni inveivano contro il ragazzo, altri che tentavano di calmare i primi… Tentai di farmi largo, ormai dovevo vedere il volto di questo “maleducato”. Magari avrebbe distratto la mia mente dal pensiero di Hisashi. Quanto mi sbagliavo…

 

“Non posso dirglielo signore!” mi disse per l’ennesima volta l’ormai esasperata impiegata del gate del volo diretto a Naha. “La privacy!” mi disse infastidita, come se fosse la cosa più evidente del mondo.

“Senta, allora, mi può dire se ci sono altri voli per Naha oltre a quello di questo gate?” “No, signore, questo è l’unico gate dalla quale partono i voli diretti a Naha di questo aeroporto”. Bene! Esultai dentro di me. Quello era già un’inizio, ma… se era andata all’aeroporto di Narita? La gioia provata qualche attimo prima scomparve di colpo. Maledizione! Mi guardai attorno alla ricerca dei miei genitori. Li avevo persi di vista mentre correvo verso il gate. Volevo raccontargli le novità che avevo scoperto. Cavoli, pensai, perché tutta quella gente mi stava attorno? “Lei è un gran maleducato! Non si rispettano le code da dove viene lei?” mi gridò in faccia un vecchietto vicino a me, ma io lo ignorai. Avevo imparato a farlo da quando Anzai ci aveva proibito di fare a botte. Non risposi alla provocazione e continuai a guardarmi in giro. Fu allora che li vidi… due occhi meravigliosi di giada, caldi e profondi che mi fissavano imbambolati.

 

“Keiko”. La sua voce mi giunse calda e vellutata. Non l’aveva urlato, il mio nome, ma io lo avevo sentito lo stesso anche in quella confusione.

Perché era venuto? Mi aveva già chiaramente detto cosa ne pensava di me la sera prima. C’eravamo lasciati senza riappacificarci, senza un chiarimento. Che fosse qui per questo? Un chiarimento?

“Hisashi!”Una bella donna di mezz’età lo stava chiamando, dietro di lei un signore dall’aria distinta la seguiva a ruota. Quando ci furono vicini potei sentire, dal respiro leggermente affannato dei due che avevano corso un po’. “E’ lei?” chiese la donna guardandomi con un sorriso “Sì, mamma. Vi presento Keiko Murakami” Mamma? E quello doveva essere suo padre! Perché diavolo li avrà portati qui? E poi loro non si parlavano più! “Ciao cara” mi salutò calorosamente sua madre, abbracciandomi “Sa-salve” balbettai io ancora più confusa. Che cavolo sta succedendo? Mi chiesi.

 

Osservai mio padre mentre le stringeva la mano. Bene! Ora si conoscevano. Quell’incontro rendeva tutto più… ufficiale. Mi ritrovai a sorridere osservando il volto di lei mentre le più svariate emozioni lo attraversavano. Gioia, stupore, rabbia, confusione. “Quando parte il tuo volo?” le chiesi con finta noncuranza “Tra venti minuti, ma tanto a te che importa. Stai per concludere uno scambio favorevole”mi rispose con tono piatto. Le sue parole ebbero l’effetto di raggelarmi, ma non mi persi d’animo “E tua zia dov’è ora?” chiesi con indifferenza “E’ seduta laggiù. Ma mi vuoi spiegare cos’è questa pagliacciata?” concluse con un tono di voce che esigeva una risposta subito. Io non la ascoltai. La presi per mano e la trascinai verso il luogo che mi aveva indicato. I miei genitori ci seguivano a ruota. A metà strada lei si divincolò dalla mia stretta “Hisashi!” mi disse indignata e io, riprendendola per mano e riprendendo a camminare, le dissi solo “Quando saremo davanti a tua zia ti spiegherò il perché di tutto questo”. Doveva essere tutto una sorpresa.

Le piacerà! Tentai di autoconvincermi mentre la tensione faceva vacillare i miei propositi. Deve piacerle!

Mi aveva trascinato fino al punto dove era seduta mia zia. Non capivo più nulla. Perché faceva il misterioso? Perché mi stava dando false speranze? Perché il solo vederlo mi faceva sentire ‘a casa’? Lo avrei scoperto presto…

Anche mia zia fu stupita di trovarselo davanti, o almeno così mi sembrò dal sopracciglio leggermente inarcato sul suo viso inespressivo. Avevo ancora la mano nella sua. “Signora” cominciò lui deciso. I suoi occhi risplendevano come se davanti a lui, anziché mia zia, ci fosse un canestro e lui con la palla in mano desiderasse ardentemente farlo… “ho pensato a quello che mi ha detto quel giorno in palestra. Ora so che Keiko, se potesse restare, avrà una famiglia che si occuperà di lei: la mia”. Quell’annuncio mi raggelò per un attimo il sangue nelle vene.

Ci sentivo ancora bene? Stavo sognando?

“Hisashi…” provai a dire “tu non…” “Perché no? Non vedo cosa ci sia di sbagliato. L’unico ostacolo che tua zia aveva posto alla tua permanenza era la “questione soldi” e mi pare che sia stata risolta”. Mi fece un sorriso e io ammutolii. “Visto?” continuò “Grazie a te ho anche fatto la pace con i miei!” concluse indicandoli. Mi voltai a guardarli mentre loro mi sorridevano bonariamente. “Io non ho fatto nulla. Sei stato tu a…” provai a dire.

Si fece serio e disse, prendendomi tra le sue anche l’altra mano “Hai fatto moltissimo, invece. Così tanto che ora non sarei più capace di immaginare la mia vita senza di te. Ti amo Keiko” concluse guardandomi negli occhi.

 

Continuai a guardarla negli occhi. Tentando disperatamente di leggervi una qualsiasi risposta. E la lessi. Stava piangendo! Era tutto perduto… Quello che le avevo rinfacciato la sera prima aveva avuto il potere di distruggere tutto quello che avrebbe potuto esserci tra di noi. Castelli di carte. Le mie speranze proprio come castelli di carte stavano crollando davanti a quel silenzioso rifiuto. Mi abbracciò di slancio. Quasi persi l’equilibrio. Non me lo aspettavo. La strinsi a me forse per l’ultima volta. Riaverla tra le mie braccia… La separazione sarebbe stata ancora più dolorosa ora.

 

“Hisashi” mormorai tra le lacrime “anch’io…ti amo e… non sai da quanto” mi decisi a confessare.

Sollevai il capo dal suo petto caldo per poterlo guardare negli occhi e vedere la sua reazione. Aveva anche gli occhi lucidi mentre mi sorrideva timidamente. “Mi hai appena reso l’uomo più felice di questo aeroporto” disse sorridendomi, per poi tornare subito serio. “Non pensavo davvero le cose che ti ho detto ieri sera” mi confessò “Nemmeno io” dissi. “Perdonami” “No” ribattei “sono io a chiederti perdono” “Ora l’importante è sapere cosa ne pensa tua zia” disse lui alzando gli occhi dal mio viso e posandoli su quello di mia zia, che durante il nostro discorso si era alzata in piedi.

“Da questo dovrei dedurre che è stata tutta una congiura contro di me?

“No, zia, non dire così. Se me lo chiedessi io partirei lo stesso con te. Ti voglio bene, ma …” Hisashi mi strinse leggermente le mani per infondermi coraggio, ma non ce ne fu bisogno…

 

“Mi prometti che le starai sempre accanto?” mi chiese guardandomi diritto negli occhi. Non distolsi lo sguardo. “L’avrei fatto anche se lei non me lo avesse chiesto” fu la mia risposta. “Bene” disse rassicurata. Non commetterò lo stesso errore che ho fatto con tuo padre” disse spostando il suo sguardo da me a Keiko “Lascerò che tu viva la tua vita senza interferire. Vorrei solo che ti ricordassi che hai una zia che ci sarà sempre per aiutarti” Ora anche i suoi occhi erano lucidi e la sua voce era rotta, anche se era evidente lo sforzo che faceva per non piangere. Keiko mi lasciò la mano per abbracciarla stretta a sé. “No, zia. Non ti dimenticherò” le disse sorridendo.

***

Mi trasferii a casa dei genitori di Hisashi quella sera stessa. E dopo nemmeno una settimana anche lui ci raggiunse. Io e sua madre andavamo perfettamente d’accordo e con suo padre c’era un mutuo rispetto reciproco. Mi cercai anche un lavoro, non volevo fare il parassita. Di quello che guadagnavo una parte li avrei messi via per gli studi ed il resto lo avrei dato ai signori Mitsui. Come era nei miei progetti fin dal’’inizio.

Alla fine anch’io riuscii a diplomarmi!

 

Eravamo alla fine di aprile e i ciliegi si stavano ricoprendo di fiori profumati.

Lei era diplomata da appena una settimana.

I raggi del sole ormai al tramonto si rifrangevano sulla stella della sua collanina. Ricordavo perfettamente di come gliela diedi. Mentre brindavamo la sera dell’inizio ufficiale della nostra storia, immersadentro il suo bicchiere di champagne.

La osservavo rapito mentre si dondolava pigramente sull’altalena. Nonostante fossero già due anni che stavamo insieme rimanevo ancora colpito da lei, da ciò che emanava. Tranquillità, felicità…

Da quel giorno all’aeroporto le nostre vite si erano traformate radicalmente. In meglio. Potevamo affermare con certezza che non eravamo più anime nel buio, ma anime che nel buio si erano incontrate dando vita alla luce: il nostro amore.

I suoi capelli si muovevano a tempo con il cigolio di quel ferro arrugginito. Mi sembrò il momento più adatto. Mi misi di fronte a lei e nel parchetto deserto, davanti alla casa dove vivevamo con i miei già da due anni, le chiesi di sposarmi. Lei fermò l’altalena. Alzò il viso verso di me ed i suoi occhi color giada si fusero con i miei. Mi sorrise alzandosi in piedi. Coprì in pochi istanti la distanza che ci separava e sulle mie labbra, prima di baciarmi, disse solo “Sì, Hisashi”.

 

OWARI

   
 
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