SOULS IN THE DARK
Capitolo 1 – L’incontro
Lo vedevo correre, saltare dalla linea dei 3 punti, tirare
e fare ogni volta canestro. Ma più passavano i minuti, più il suo respiro si
faceva affannato. Ero in prima fila e riuscivo a vederlo benissimo.
Era la prima partita in cui lo vedevo giocare dopo un
periodo brutto. Non sapevo esattamente cosa gli era successo.
Seguivo tutte le sue partite da quando giocava nel
Takeishi e aveva portato la sua squadra alla vittoria, vincendo anche il titolo
di MVP (most valuable player).
Si iscrisse allo Shohoku, disputò qualche partita e poi
seppi che si era fatto male ad un ginocchio durante un allenamento. Avrei
voluto andare a trovarlo, ma se mi avesse chiesto chi ero cosa avrei potuto
rispondergli? Che ero una ragazza innamorata di lui dalle medie che non si
perdeva una sua partita? No, tanta sfacciataggine non era da me, io ero una
ragazza timidissima!
Comunque non seppi più nulla di lui, e anche quando
chiedevo sue notizie agli appassionati di basket che conoscevo, cambiavano
tutti argomento. Cosa sapevano più di me?
Andò avanti così per due anni, poi quella partita.
Avevo sentito che lo Shohoku doveva giocarsi il secondo
posto per le eliminatorie del torneo nazionale contro il Ryonan. Ci andai più
per curiosità che per un reale interessamento, ma quando lo vidi entrare in
campo mi sembrò che il mio cuore mi volesse uscire dal petto.
Era lo stesso Hisashi delle medie, lo stesso sguardo
combattivo, la stessa eleganza nei movimenti. Era lui. Era tornato.
Non ricordo da quanto tempo lo chiamo per nome.
Probabilmente il fatto che lui sia sempre nei miei pensieri mi deve aver dato
l’illusione di conoscerlo più di quanto non sia in realtà e mi è venuto
spontaneo chiamarlo per nome piuttosto che per cognome: Mitsui.
Può sembrare strano ma pur non conoscendolo di persona e
avendolo visto solo durante delle partite era come se il suo corpo, i suoi
movimenti mi facessero capire i suoi sentimenti, cosa provava.
Prima del suo infortunio sentivo la sua grinta, il
desiderio di vincere, le sue rare delusioni se non faceva un canestro.
Ora il sentimento che sovrastava tutti gli altri era la
gioia, la semplice gioia di essere in campo e giocare a basket. Cosa poteva
essergli successo in quei due anni?
La partita stava andando bene per lo Shohoku che era in
vantaggio anche se di poco.
Stavo guardando il punteggio, quando diverse grida
riportarono la mia attenzione sul campo. Mitsui! Era a terra e sembrava
svenuto! Il mio cuore aveva perso un battito. Lo sapevo! Si era affaticato
troppo! Il suo respiro affannoso era un sintomo più che evidente. Possibile che
non se ne fosse accorto nessuno e non lo avessero sostituito per tempo?!
Sembrava lo portassero verso gli spogliatoi. Corsi giù per le scale che
portavano alla tribuna dove ero io prima, e cominciai a correre nella loro
direzione. Dovevo assolutamente sapere come stava! Sfortunatamente non avevo
previsto il fatto che lui nel frattempo si fosse ripreso e stesse seduto sulle
scale che portavano all’altra tribuna, da solo a riflettere, tentando di aprire
una lattina di gazzosa.
Maledetta lattina! Svenire così davanti a
tutti, non è da me!…Dannata apriti!
Fortunatamente per la lattina la mia
attenzione si spostò sul rumore di passi affrettati che venivano nella mia
direzione. Quel rumore si trasformò ben presto nel corpo armonioso di una
ragazza, alta circa 165 cm con lunghi capelli castani ricci che ondeggiavano ad
ogni suo passo. Non era particolarmente bella, ma c’era qualcosa in lei che
attirò la mia attenzione. Il suo viso? Sì, era carino, ma non era quello. Non
lo seppi finché lei non mi si fermò davanti: erano i suoi occhi verdi come
giada, così espressivi, dolci, e …qualcos’altro di indecifrabile.
Adesso mi stavano fissando interrogativi. Le
dissi acido: “Non hai mai visto uno che apre una lattina?”
Lei sembrò non avermi sentito, anzi disse:
“Hisashi! Allora stai bene! Che spavento mi hai fatto prendere!” Fece un bel
respiro di sollievo e mi sorrise. Ora ero io quello stupito! Chi era quella
ragazza e perché mi aveva chiamato per nome? La conoscevo?
Ma cosa mi era preso? Come mi è saltato in mente di
chiamarlo per nome? Stupida! In realtà lui è Hisashi solo nei tuoi
pensieri! Tu in realtà non lo conosci! Guarda come ti sta guardando, sembra che
abbia appena visto un extraterrestre! L’unica cosa da fare è scappare a gambe
levate!
La osservavo ancora quando lei si portò una
mano alla bocca come se volesse rimangiarsi quello che aveva appena detto
assumendo nello stesso tempo un grazioso colorito rossastro e trasformando
quello sguardo dolce in uno sfuggevole ai miei occhi. Sorrisi, era veramente
buffa.
Starà sicuramente pensando che sono una scema, guarda come
sorride! Anche se il suo era un sorriso di scherno, lo trovai bellissimo lo
stesso. Seguii i miei propositi e mormorando un biascicato “Scusami” corsi via.
Capitolo 2 – Sapere leggere il cuore
Accidenti! Odiavo quelle sportone di carta senza manici,
ma in quel supermercato non sapevano che era stata inventata la plastica? E io
proprio oggi dovevo fare la spesa per tutta la settimana prossima? Risultato:
abbracciavo due sportone che non mi permettevano nemmeno di vedere dove
camminavo!
Speravo che la provvidenza mi permettesse di tornare a
casa senza scontrarmi con nessuno, dato che non vedevo la strada. E invece mi
scontrai con qualcosa molto più alto di me, anzi qualcuno….
Non riuscii a tenere le buste e il risultato fu che oltre
al mio sederino dolorante, tutta la mia spesa era sparsa sul marciapiede.
Maledette buste di carta! Mi rialzai a fatica e cominciai a raccogliere tutto.
Non avevo nemmeno guardato in faccia l’altro, così quando mi chiese se volevo
una mano con la sua voce calda e profonda e io alzai la testa per rispondergli,
piuttosto seccata, che era il minimo che potesse fare rimasi di stucco, mi si
bloccarono le parole in gola…era lui. Ci guardammo negli occhi, tutti e due
stupiti, per alcuni secondi, poi lui mi richiese se volevo una mano. Ancora una
volta avevo fatto una figuraccia, così mi limitai a rispondere un
impercettibile “Sì, grazie”.
Mentre mi aiutava mi disse “Scusami. Anche per l’altra
volta”.
Cominciai a rilassarmi in sua compagnia. “Non
preoccuparti” risposi.
La stavo aiutando con la sua spesa. Che
strano non avevo fatto altro che pensare a lei dal nostro primo incontro e
anche ora che camminavo pensandola, lei si era materializzata davanti ai miei
occhi. Se non è destino questo…
Lei mi incuriosiva. Mi aveva colpito ed
inoltre nascondeva qualcosa che volevo svelare. Avevo notato qualcosa di
indecifrabile nei suoi occhi anche durante il nostro primo incontro e solo
adesso me ne ero reso conto. Solo ora che i suoi occhi non sfuggivano i miei.
Erano oscurati da un onnipresente velo di tristezza. Perché?
La guardavo di sottecchi di tanto in tanto.
Sentivo che quella ragazza sconosciuta ed io eravamo molto simili.
Finimmo di riempire le buste ma si erano leggermente
strappate ai lati nella caduta, non poteva più tenerne due alla volta. Fu per
questo che mi offrii di aiutarla a portarne una. Lei mi guardò un istante con
quegli occhi di giada prima di rispondermi.
Me lo aveva chiesto davvero? Quando mi sarebbe
ricapitato?!
Acconsentii a farmi accompagnare a casa. Camminavamo a
fianco a fianco abbracciando tutti e due una sporta della spesa per uno.
Ero contenta, potevamo sembrare una coppietta agli occhi
dei passanti. Inconsciamente fingevo che questo fosse vero. Dopo che ci fummo
messi in marcia verso casa mia calò un pesante silenzio. Ero imbarazzata,
tenevo lo sguardo fisso a terra e aspettavo con ansia la sua domanda, sapevo
che prima o poi me la avrebbe fatta. Infatti…
“Come sapevi il mio nome?” le chiesi per rompere quel
silenzio. Volevo saperlo, magari era una maniaca che mi seguiva o che altro. Mi
sembrò un mio diritto chiederglielo, anche se non aveva assolutamente il modo
di fare di una maniaca e mi diedi mentalmente dello stupito solo per averlo
pensato. Sembrò scegliere con cura le parole che pronunciò poco dopo.
Volevo essere sincera, non volevo mentirgli, così gli
risposi guardando fisso davanti a me. Temevo che avrebbe trovato ridicole le
mie intuizioni sul suo carattere. “Seguo le tue partite da quando giocavi nel
Takeishi. Sono passati quattro anni da allora e vedendoti giocare ho imparato a
conoscerti un po’. Così ogni tanto mi viene da chiamarti per nome anche se non
ci siamo mai parlati. So che è da maleducati perciò scusami. Ho parlato troppo
vero?” Volsi il capo verso di lui sorridendo e lo guardai. Mi stava fissando
attento. Ritornai a guardare la strada. Camminare vicino a lui mi
tranquillizzava e mi metteva in agitazione allo stesso tempo. Che strana
sensazione, pensai.
Poi mi chiese: “Cosa intendi per ‘conoscermi un pò’? Io
non ti ho mai vista, come puoi dirlo?”
Che strana ragazza. Mi aveva sorriso. Era un
sorriso dolce e solare come non ne avevo visti da molto tempo a questa parte.
Due anni. Due merdosissimi anni.
Ero sempre più curioso di vedere dove sarebbe
arrivata quella conversazione. La sua risposta mi stordì un poco. “Beh..” mi
disse “Forse tu non te ne sei mai accorto, ma il tuo modo di muoverti in
partita può rivelare molte cose di te. La tua gioia quando fai canestro, la
rabbia quando un avversario riesce a rubarti la palla, la tua determinazione
quando sai che devi dare il massimo. Sono tutte cose che si capiscono, o almeno
io riesco a percepirle.” Stette un attimo in silenzio poi continuò. “C’è una
cosa però che non capisco. Quella contro il Ryonan era la prima partita dove ti
vedevo giocare dopo il tuo infortunio..” Sapeva anche di quello, pensai. Chissà
se sa anche del mio passato come teppista. Ma non ebbi il tempo di chiederglielo,
perché lei continuò “…e lì quei sentimenti non c’erano.” Concluse più parlando
a se stessa che a me. Ero curioso di sapere. “Che cosa sentivi?” mi sentii
chiederle prima che il mio cervello riuscisse a bloccare la mia linguaccia.
“Non so…” rispose “...era come se tutti quei
sentimenti fossero nascosti da un sentimento più forte, più grande. Gioia,
gioia pura. Il solo fatto di avere la palla da basket tra le mani sembrava che
ti rendesse così felice! Come mai?”
Ero shockato. Come sapeva tutte quelle cose su
di me senza che gliele avesse dette nessuno? Ora mi guardava con quei suoi
occhi. Sembrava volesse leggermi l’anima. Aveva fatto solo una semplice domanda
di due parole e mi aveva mandato in tilt e ora quel suo sguardo pieno di
aspettativa…. Si aspettava una risposta! Ma io non ero pronto a dargliela, non
ancora. Tentai di trovare una scusa, una scusa qualsiasi per andarmene.
Andarmene da quegli occhi indagatori. Avevo paura che riuscissero a leggermi
troppo nel profondo e lei avesse visto cosa ero diventato dopo
quell’infortunio. Me ne vergognavo, non sapevo perché, ma non volevo che lei
sapesse che ero stato un teppista.
Fortunatamente proprio un quel momento
arrivammo a casa sua. Le lasciai la sua busta, poi, causa un improrogabile
impegno totalmente inventato, la salutai e me ne andai in tutta fretta. Era
troppo perspicace per me, per il mio cuore.
Capitolo 3 – Rivelazioni???
“Sono sicuro che ha capito che la mia era una
fuga.” Cavoli! Ancora quei pensieri! “Ora basta! E’ ora di finirla” mi dicevo,
ma non riuscivo a non pensarci, a non pensare a lei.
Era già passata una settimana dalla nostra
“chiacchierata” e questo senso di colpa non se ne andava.
Non mi era mai successo! Ma che mi prendeva!
Non conoscevo nemmeno il suo nome e mi preoccupavo di essere stato maleducato
con lei?!
*****
Ero stato combattuto per una settimana, se
rivederla o meno, e ora sapevo di aver fatto la scelta giusta andando
nell’unico posto dove sapevo di poterla trovare di sicuro. Per scusarmi? No,
non era per questo.
Perché volevo disperatamente che lei mi
capisse? A questa domanda il mio cuore aveva già risposto, ma esso mi rivelò la
verità solo quando lei mi aprì la porta di casa sua.
Non lo vedevo da una settimana. Pensavo che le mie
“rivelazioni” sul suo modo di giocare, l’avessero in un certo senso spaventato.
Probabilmente mi considerava una pazza. Tutto di me lo inorridiva. Ne ero
certa.
Durante la nostra camminata quel giorno mi ricordo di aver
pensato “Ora che lo conosco di persona posso andare a trovarlo a scuola qualche
volta, magari durante gli allenamenti”, ma il modo in cui se l’era “svignata”
era stato piuttosto eloquente. La mia presenza non sarebbe stata gradita.
Il nostro ultimo incontro aveva coinciso con la nascita di
questi brutti pensieri, che mi avevano gettata nello sconforto più totale.
Ormai ero prossima a farmene una ragione. Tra noi non ci sarebbe mai stato
nulla. Ma…..
Immaginatevi la mia faccia quando andai ad aprire la porta
quel pomeriggio e me lo trovai davanti: il fulcro dei miei pensieri.
Il suo sguardo era ansioso e quando incrociò il mio, si
trasformò nello sguardo di un bambino appena scoperto a rubare delle caramelle.
COSA CI FACEVA LUI SULLA SOGLIA DI CASA MIA?! Questa domanda trovò presto una
risposta….
“Ciao” cominciai imbarazzato. “Ciao. Cosa… ci
fai qui?” mi rispose lei. Lo stupore sul suo viso era evidente. Ora che le
dicevo? Buttai lì un “Ci pensavo l’altro giorno. Tu conosci il mio nome, ma io
non so ancora il tuo.” con una spavalderia che in realtà non provavo. Che
inizio stupido per una conversazione! “Keiko, Keiko Murakami. Ma sei venuto fin qui solo per chiedermi questo?”
“No! No! …Ehm…Senti sei libera adesso?” “Sì.
Non ho niente di particolare da fare. Perché?” Stava attendendo una mia
risposta. “Beh…Ecco io….Avrei pensato che magari, se ti andava, potevamo andare
da Mister Donut a prenderci un caffè e parlare un pò!”
“Cosa?” mi domandai mentalmente.Ma ero scema! Ma che
domande mi facevo?! Il ragazzo di cui ero innamorata da quattro lunghi anni mi
invitava ad uscire con lui?!
Evidentemente quei pensieri vennero formulati mooolto
lentamente dal mio cervello, tanto che lui prendendo il mio silenzio per una
risposta negativa disse, intristendosi, “Se non ne hai voglia non fa niente.
Dopotutto io e te ci conosciamo così poco… Forse hai paura di uscire con un
ragazzo che non conosci. Ti capisco”. Ero addirittura riuscita, con il mio
comportamento, a fargli credere che non mi importava niente di lui. Che
stupida!
Mi sembrava che la voglia di conoscerci meglio
fosse reciproca, ma da come mi aveva risposto, evidentemente mi sbagliavo.
“Scusami…” cominciò lei “…ma la tua richiesta mi ha colta del tutto
impreparata. Detto tra noi, tu sei il primo ragazzo che mi chiede di uscire.
Comunque mi farebbe molto piacere parlare con te Mitsui.” Arrossì. Sembrava
davvero dispiaciuta. Mi faceva tenerezza. “Beh…” le dissi “io volevo rispondere
alla domanda che mi avevi fatto l’altro giorno. Ci ho pensato su e… Sai sono
successe cose di cui parlo a fatica. Anzi tu sarai la prima a cui le racconto
di persona. E chiamami Hisashi!” Le sorrisi felice. “D’accordo Hisashi, ma solo
se tu mi chiamerai Keiko”. Sorrise anche lei e poi prese il suo giubbotto di
jeans, che probabilmente si trovava vicino alla porta d’ingresso perché ci mise
solo pochi secondi. Ci avviammo a braccetto verso Mister Donut. Ero un po’
teso, ma sentivo che lei mi avrebbe capito. Era una sensazione nuova per me. Mi
sentivo bene quando stavo insieme a lei.
Capitolo 4 – Soul in the dark
Avevamo ordinato ciambelle e due caffè lunghi. Per farlo
capire alla cameriera ci mettemmo un quarto d’ora. Se non staccava gli occhi di
dosso a Hisashi, come faceva a scrivere le nostre ordinazioni sul suo
taccuino?!
Da parte mia tentavo di fulminarla con lo sguardo, ma lei
o non se ne accorse o mi ignorò volutamente.
Ci sorridevamo spesso io e lui. Anche lui sembrava felice
di essere lì con me. C’era qualcosa che ci legava. Sentivo di riuscire a
capirlo solo guardandolo. Per strada gli avevo fatto delle domande sul suo
sport preferito, tipo “Come va la squadra?” o “Pensi che riuscirete a vincere i
campionati nazionali?”, oltre agli immancabili complimenti per il modo in cui
giocava.
Adesso ce ne stavamo lì in silenzio aspettando il nostro
caffè e le nostre ciambelle. Sapevo che quello che stava per rivelarmi sul suo
passato doveva averlo fatto soffrire e il fatto che volesse confidarsi con me
mi riempì di gioia. Aspettavo che fosse lui a parlare. Non volevo forzarlo.
Attendeva. Aspettava che io cominciassi il mio
racconto.
Non mi ero sbagliato, per tutto il tragitto
avevamo chiacchierato come due vecchi amici. In realtà era come se ci
conoscessimo da sempre. Era destino che noi due prima o poi ci incontrassimo
Keiko.
I suoi occhi verdi mi guardavano sereni e un
leggero sorriso le incurvava le labbra. Decisi che quello era il momento giusto
e cominciai il mio racconto. In cuor mio speravo che mi capisse.
“Sapevi già del mio incidente al ginocchio.
Giusto?” lei annuì attenta e io continuai “Quello che non sai è che appena fui
in grado di stare in piedi cominciai ad allenarmi da solo di nascosto,
ignorando i pareri dei medici secondo i quali ci sarebbe voluto un bel po’
prima che io tornassi a giocare. In quel periodo la rivalità che c’era con
Akagi mi spronava a dare il meglio di me. Non potevo dargliela vinta solo per
colpa di uno stupido ginocchio.” Guardavo le mie mani sul tavolo mentre
parlavo. Me le stropicciavo convulsamente per il nervosismo. Lei lo capì e mi
prese le mani tra le sue. Io la guardai riconoscente. Con un cenno della testa
mi spronò ad andare avanti, così ripresi “Appena dimesso tornai subito a
giocare. Il basket era la cosa più importante della mia vita! Ma gli scontri
con Akagi durante le partite di allenamento erano duri, forse un po’ troppo per
il mio ginocchio, che proprio durante una di queste partite cedette di nuovo. I
dottori furono chiari, non avrei più potuto giocare a basket. Cominciai a
sprofondare. Non potevo accettare una cosa del genere. Provavo rabbia, rabbia
verso me stesso e verso il mondo intero. Mi ero giocato la possibilità di
diventare un campione, ed era tutta colpa mia. Dovevo trovare qualcosa per
sfogarmi. Era un periodo, quello, in cui tornavo a casa tardi tutte le sere
ubriaco fradicio. Fu durante una di queste camminate notturne che incontrai per
la prima volta Tetsuo. La sua banda mi attaccò ma io li battei tutti con la
forza della mia disperazione, mentre lui guardava tutta la scena. Finito il
combattimento mi venne vicino e poggiandomi una mano sulla spalla mi chiese se
volevo entrare a far parte della sua banda.”
La sua voce sembrava provenire da un punto lontano. I suoi
occhi non guardavano me, ma il passato. Gli strinsi un po’ di più le mani tra
le mie. Volevo infondergli coraggio, volevo che mi raccontasse quel periodo
buio della sua vita. Ero convinta che parlandone si sarebbe sentito meglio.
Arrivarono le nostre ordinazioni, ma nessuno dei due ci
fece caso. I nostri occhi erano allacciati. Continuò “Per un intero anno feci a
botte con bande rivali, mi ubriacai tutte le sere, non davo il tempo alla mia
coscienza di risvegliarsi. Odiavo tutti e soprattutto chi giocava a basket. E’
così che io e Miyagi ci conoscemmo. Facemmo a botte e finimmo in ospedale tutti
e due. Dovevo fargliela pagare. Seppi che si era iscritto al club di basket e
il mio proposito si allargò comprendendo anche il club. Non avrebbero più
giocato a basket neanche loro se io non potevo farlo. Gli avrei impedito, con
quella rissa, la partecipazione alle eliminatorie. Era un buon piano e io e la
banda lo mettemmo presto in pratica. Non avevamo considerato, però, l’Armata
Sakuragi che ci sconfisse. Arrivarono anche Akagi e il signor Anzai. Quando
vidi quest’ultimo… scoppiai a piangere. Mi resi conto di cosa ero diventato e
la mia mente non più annebbiata mi rivelò quello che dovevo fare nella mia vita
‘Voglio giocare a basket!’ lo dissi ad Anzai e lui mi riammise in squadra. Mi
tagliai i capelli. Volevo dare un taglio al passato.” Si fermò un attimo nel
suo racconto e gli chiesi “Ma adesso il tuo ginocchio….” Mi rispose “Ho fatto
l’ultimo controllo poco tempo fa e il dottore mi ha detto che mi sono
completamente ristabilito. Sono tornato a fare ciò che più amo. Ehi ma che
fai?” La mia vista si era annebbiata, ma me ne resi conto solo quando lui me lo
fece notare. Non era un rimprovero il suo. Il suo tono di voce era dolce. Stavo
piangendo! Ma le mie erano lacrime di gioia.
Stava piangendo per me! Mi sorrise e mi disse
“Scusami…è che sono così felice per te che non sono riuscita a trattenermi.” La
guardai sollevato. Per un attimo avevo temuto di fargli pena e invece lei mi
aveva capito. Aveva capito come mi sentivo. Le sorrisi felice e allungai una
mano per asciugarle una lacrima che le stava attraversando la guancia. Nel
farlo, notai che le nostre mani erano rimaste allacciate per tutta la durata del
mio racconto. La cosa non mi infastidì e, anzi, mi fece molto piacere.
Finalmente avevo trovato un’amica che riusciva a capirmi. Non mi sentii più
solo.
Mi aveva sorriso! Il suo sorriso era così irresistibile
che se non ci fosse stato quel tavolino tra noi lo avrei abbracciato forte. Mi
stava persino asciugando una lacrima! Che dolce il mio Hisashi! Sono proprio
innamorata.
Riluttante lasciai la sua mano e cominciammo a mangiare
ridendo e scherzando.
Capitolo 5 – Amici?!
Mi stava riaccompagnando a casa. Era stato il pomeriggio
più bello della mia vita. Si era aperto con me. Mi aveva rivelato io suo io più
profondo. Il vero Hisashi Mitsui. Ero orgogliosa del fatto che avesse scelto
proprio me.
Egoisticamente pensai che ero solo io la persona giusta
con cui lui potesse confidarsi. Che scema…
“Sono stato bene con te Keiko…. Potremmo
rivederci? Sai…io…vorrei che noi due diventassimo amici. Sento che nessuno mi
capisce come fai tu e…non vorrei perderti” conclusi tutto d’un fiato davanti
alla sua porta di casa. Aspettavo con ansia una sua risposta. Se fosse stata
negativa…non volevo neanche pensarci.
Amici?! AMICI?! E io che pensavo…Che scema. Che idiota che
ero stata a pensare che tra noi due potesse nascere… Il mio cuore piangeva, ma
mi sforzai di sorridergli. Dopotutto meglio amici che niente e poi avrebbe
potuto accorgersi di me un giorno… “Va bene! Amici?” dissi e allungai una mano
verso di lui con un entusiasmo che in realtà non provavo. “Amici!” mi rispose
felice lui, prima stringendomi la mano e poi abbracciandomi stretta.
Quest’ultima sua azione mi lasciò senza parole e quando il mio corpo tentò di
rispondere a quell’abbraccio, era troppo tardi. Lui era già corso via
salutandomi con la mano.
Capitolo 6 – Guardare avanti
Cominciò così la nostra amicizia…
Spesso andavo a vedere i suoi allenamenti. Mi aveva fatto
conoscere tutta la squadra. Erano delle persone meravigliose e così simpatiche!
Le scenette tra “Il grande Tensai del Basket”, “il Gorilla Akagi” e Rukawa
erano irresistibili. Per non parlare dell’innamoratissimo Miyagi e di Ayako che
faceva tanto la preziosa ma si vedeva che in fondo in fondo non le era
totalmente indifferente (devo ammettere che è molto brava a nasconderlo).
Finiti gli allenamenti mi riportava sempre a casa. Quelle
passeggiate a piedi erano la cosa che amavo di più in quel nostro rapporto da
“amici”. Ci raccontavamo la giornata, quello che ci passava per la testa,
tutto. Ogni tanto lo invitavo a cenare a casa mia dato che ero sempre da sola a
casa. Lui non mi aveva ancora chiesto nulla riguardo a questo fatto, e io non
entrai mai nell’argomento. Cercavo di rimandare un discorso che prima o poi
sarebbe saltato fuori e avrebbe segnato la fine della nostra amicizia.
A parte avergli nascosto quella parte della mia vita di
cui mi vergognavo, gli avevo raccontato tutto di me e allo stesso modo lui mi
aveva raccontato tutto di sé senza omettere nulla. Del modo in cui i suoi
genitori gli pagassero tutti i mesi l’affitto di un piccolo appartamentino non
lontano da casa mia solo per non averlo tra i piedi o del modo in cui ogni
giorno a scuola c’era chi lo evitava ancora pensando che sia pericoloso stargli
vicino. E io invece… Cosa gli avevo raccontato di me? Non gli avevo detto dei
debiti che mio padre ucciso dalla yakuza mi aveva lasciato. Di come non andassi
più a scuola da ormai tre mesi e di come andavo a lavorare tutto il giorno
dalle 8 del mattino alle 5 del pomeriggio in un impresa di pulizie per poter
riparare agli sperperi che mio padre aveva fatto giocando….
Ero solo una vigliacca. Gli avevo mentito sul mio passato,
su quello che facevo ogni giorno. Avevo una gran paura. Quel brutto periodo
della sua vita lui l’aveva superato e io invece… io c’ero dentro fino al collo.
Chissà se lui si è accorto di qualcosa…..
Perché non me ne parlava? Vedevo che c’era
qualcosa che la faceva soffrire, ma cosa?! La sola idea che ci fosse qualcosa o
qualcuno al mondo che potesse ferirla mi faceva stare male, perché finché lei
non mi avesse detto che cos’era, io non potevo fare nulla per aiutarla. E questo
mio essere impotente mi ricordava molto la situazione in cui mi ero trovato
dopo il mio infortunio… Ma questa volta non mi sarei arreso, avrei lottato con
tutte le mie forze e quell’ombra triste che velava i suoi occhi sarebbe
scomparsa…
Anche quella sera mi aveva invitato a mangiare
a casa sua. Era così bello stare in sua compagnia… Mi ascoltava nei miei
sproloqui sul basket senza mai lamentarsi, quando le ho parlato di come mi
avevano trattato i miei genitori, lei mi ha chiesto solo “Come ti senti ora?”.
Non gli facevo pena, non aveva paura di me e il saperlo, il suo tatto, era
stata un’altra prova di come io e lei ci capissimo al volo. Le volevo bene. Era
la sorellina che non avevo mai avuto, la migliore amica…
Sapeva tutto di me, ma io potevo dire lo stesso
di lei?..
Credeva che non avessi notato che era sempre a
casa da sola? E perché non mi aveva mai parlato dei suoi genitori?
Decisi che quella sera le avrei fatto quelle
domande. Non l’avrei forzata a rispondere, avrei aspettavo solo che lei mi dicesse
quello che voleva che io sapessi.
Era un ottima cuoca. Quella sera aveva cucinato
il tanuki soba. Era la cosa più buona che avessi mangiato e quando glielo
dissi, lei si limitò a sorridere bevendone un po’. Quando sorrideva sembrava
illuminare tutta la stanza ed era l’unico momento in cui sembrava che quel velo
che le copriva gli occhi scomparisse.
“Ti ha insegnato tua madre a cucinare così
bene?” le chiesi. Non era una domanda diretta, lei non avrebbe sviato il
discorso come faceva sempre con le domande dirette e avrei potuto conoscere
qualcosa della sua famiglia.
“No. Ho imparato da sola. Mia madre è morta
dandomi alla luce. Complicazioni del parto” concluse. Lo disse come se non le
provocasse nessun dolore il fatto di non aver avuto la presenza di una madre
accanto a sé. “Mi dispiace” dissi “Non ti dispiacere. Non l’ho mai conosciuta e
nemmeno io posso dispiacermi per la morte di qualcuno di cui ho solo sentito
parlare”
Non mi feci scoraggiare dal suo comportamento
insolito e continuai “Sai non ho potuto fare a meno di notare che tutte le
volte che vengo a casa tua sei sempre sola. Tuo padre deve fare dei turni
massacranti a lavoro. Cos’è medico?” “No” Ma che le prendeva?! “Si può sapere
che hai fatto stasera?” “E tu si può sapere perché fai domande tanto idiote?”
disse scocciata. Era la prima volta che la vedevo arrabbiata e non mi piaceva
affatto. Tuttavia non sapevo dire se a farla arrabbiare erano state le mie
domande “idiote” o le persone che esse riguardavano. Decisi che le avrei
svelato il motivo per cui gliele avevo fatte, magari l’avrebbe fatta calmare.
Dove voleva arrivare? Perché all’improvviso si era messo a
fare tutte quelle domande? Perché voleva che la nostra amicizia finisse?
“Senti… Da quando ti ho visto la prima volta che ci siamo
incontrati, ho subito notato un’ombra di tristezza nei tuoi occhi. Volevo
sapere cosa fosse. Volevo aiutarti. E per questo ho deciso che…” Cosa? Stava
dicendo che io gli facevo… Lo interruppi. “Ti facevo pena! Bè caro il mio buon
samaritano, non ho bisogno del tuo aiuto. Proprio tu vuoi aiutarmi? I miei
problemi li so risolvere da sola!” Mi alzai di scatto dalla sedia. Pronunciando
le ultime parole avevo notato una nota stridula nella mia voce. Che diavolo
stava succedendo! La mia vista si era appannata. Erano lacrime. Tutti quei
discorsi mi avevano fatto tornare in mente gli ultimi quattro mesi della mia
vita. Le litigate con papà, il giorno in cui a scuola mi avevano chiamato in
presidenza per comunicarmi che era morto.
Chinai il capo sperando che lui non si fosse accorto di
nulla. I capelli mi coprivano il viso, se ero fortunata lui non aveva visto
nemmeno una mia lacrima.
Si alzò di scatto anche lui dalla sedia. Continuai a
guardare verso il mio piatto sulla tavola. Non volevo vedere il disprezzo nei
suoi occhi. Senza dire nulla andò a prendere il suo giubbotto sul divano e
presolo si diresse verso la porta di casa nel più assoluto silenzio.
Ma cosa stavo facendo?! Il mio migliore e unico amico, la
persona che amavo di più al mondo stava per uscire dalla mia vita e io non
stavo facendo nulla per fermarlo?? Corsi con tutte le mie forze verso quella
porta e fortunatamente per me, riuscii ad arrivare proprio un attimo prima che
lui prendesse in mano la maniglia.
“Non farlo. Non andartene!” Ma cosa pretendeva!
Io mi offrivo per aiutarla e lei oltre a rifiutare il mio aiuto in malo modo,
mi aveva anche insultato! Non l’avrei perdon… “Ti prego” disse con un filo di
voce alzando gli occhi per la prima volta durante quella litigata. Mi morirono
le parole in bocca. Stava piangendo! Non piangere Keiko ti prego. Il tuo dolce
sorriso, i tuoi sguardi… Cosa ti avevo fatto?! Perché ero stato così stupido da
farti quelle domande. A me bastava averti vicino… L’abbracciai d’impulso e una
volta che lei fu tra le mie braccia scoppiò in un pianto disperato. Chissà cosa
le era successo. La vita doveva essere stata molto dura con lei.
Tentavo di consolarla. Le accarezzavo piano i
capelli, sussurrandole parole come “Non è colpa tua” “Non è successo niente”
“Si sistemerà tutto vedrai”
Non sapevo cosa le era successo, ma prima o poi
lei me ne avrebbe parlato spontaneamente e io fino a quel momento non le avrei
fatto più nessuna domanda.
Il tono dolce della sua voce, le sue braccia strette
attorno a me, le sue parole, le sue carezze… Come avevo potuto tenerlo
all’oscuro di tutto. “Hisashi io…” cominciai dopo essermi calmata un po’ “Avevo
paura. Paura di perderti e non avrei potuto sopportarlo. Sei l’unica persona
che mi vuole bene e che mi è rimasta. Mia madre è morta, e mio padre l’ha
seguita tre mesi fa” Alzai il viso dal suo petto, dove era rimasto nascosto
fino a quel momento, e lo guardai dritto negli occhi. Sembrava un po’ shockato
dopo la mia ultima rivelazione, ma continuò a tenermi stretta a sé. Continuai
“Aveva il vizio delle scommesse e del gioco. Aveva perso il lavoro sei mesi fa
e dopo il primo mese di ricerche, si arrese. Sembrava che nessuno volesse
assumere un cinquantacinquenne. Cominciò ad accumulare dei debiti e a
frequentare compagnie sempre meno raccomandabili. Verso la fine i suoi debiti erano diventati tanti che la
yakuza decise di eliminarlo. Purtroppo adesso sono io che li devo pagare” “Ma
tu non c’entri nulla. I debiti erano di tuo padre!” Oh, Hisashi… Scossi la
testa “Ho già ricevuto diverse telefonate d’avvertimento in proposito e ti
assicuro che c’entro, o almeno è così secondo loro! Da tre mesi ho lasciato la
scuola e mi sono trovata un lavoro, ma per pagare tutto mi servirebbero
cent’anni! Se avessi una casa un po’ più piccola anche le spese sarebbero minori.
Avevo pensato di venderla e con il ricavato pagare quei debiti, ma non mi
rimarrebbe nulla per vivere, né una casa…” conclusi tristemente.
“Vieni a stare da me!” La mia bocca aveva
pronunciato quelle parole ancor prima che il mio cervello le pensasse.
Riflettendoci, io non avevo nessuna spesa.
Pagavano tutto i miei e non mi avrebbe dato fastidio avere un po’ di compagnia.
Ero sempre solo e poi non era una persona qualunque, era Keiko! E adesso aveva
bisogno di me! I problemi che avevo avuto io sembravano capricci a confronto
con i suoi.
Le dissi quello che avevo pensato e a lei si
riempirono di nuovo gli occhi di lacrime, ma sorrideva ora. La mia Keiko…
Nessuno poteva fare del male ai miei amici!
Capitolo 7 – Aria di trasloco
Mi fece vedere l’appartamento quella sera stessa. Era
piccolino ma molto carino. Nella prima stanza c’era la cucina da una parte, e
dall’altra una lavatrice e qualche filo per il bucato. Si saliva un piccolo
gradino e si entrava nella seconda stanza dove gli unici mobili erano il classico
tavolino al centro della stanza dove poter mettere il kotatsu d’inverno e che
serviva anche da tavola per mangiare seduti per terra alla maniera
tradizionale, e un mobile con diversi scaffali dove gli unici soprammobili
erano una tv piccola e vecchia (forse anche in bianco e nero!) e un telefono.
Dall’altra parte della stanza c’era solo l’armadio per i futon e i vestiti con
quattro cassetti per la biancheria. Di fianco al mobile della televisione si
apriva una porta che portava al bagno. Era in stile occidentale, infatti c’era
solo la doccia. Adoravo già quell’appartamento, ma non ero sicura che lui
fosse…”preparato” a questo tipo di convivenza. Decisi di esprimergli i miei
dubbi: “E’ molto carino qui. No anzi, mi piace un sacco, ma...ecco…sei sicuro?
Cioè di vivere insieme qui… Sai questo significherebbe fare i turni per il
bagno, dormire vicini…Non vorrei che tu ti sentissi in gabbia o imbarazzato,
non lo sopporterei” Lui mi rispose guardandomi intensamente negli occhi e
perfettamente serio “Io ero in gabbia solo prima di conoscerti e in quanto
all’imbarazzo, credo che con il tempo è una cosa che si eliminerà da sola. Sono
sicuro di quello che ho fatto. L’amicizia è sacra per me” Sorrisi felice. Certo
era un po’ spoglio, senza soprammobili né quadri, ma se lui me lo avesse
permesso ci avrei pensato io. Così glielo chiesi: “Senti ti dispiacerebbe se
portassi la mia tv e lo stereo con qualche cd e magari qualche soprammobile e
qualche quadro… asciugamani ne hai? No perché io ne ho un sacco a casa e poi lo
spazio per i mie vestiti e naturalmente io farò le pulizie, da mangiare, il
bucato, la spesa…Oddio sono partita in quarta” Sorrisi imbarazzata. Lui mi
aveva fissato immobile tutto il tempo appoggiato al muro in una posa rilassata.
Un piccolo sorriso gli aleggiava sul volto per poi trasformarsi in una
fragorosa risata quando io ebbi finito il mio sproloquio. “Perché ridi?” gli
chiesi con il tono da finta arrabbiata. “Non arrabbiarti Keiko! Eri così buffa!
Sembravi una macchinetta impazzita” Un’altra risata gli esplose in gola. Mi
avvicinai a lui con fare minaccioso. “Ah sì?” “Aspetta Keiko cosa vuoi fare?
Non mi piace il tuo sguardo..” “Oh nulla Hisashi.” Dissi con fare indifferente
continuando ad avvicinarmi a lui “Voglio solo scoprire se soffri il solletico!”
Detto questo gli saltai letteralmente addosso cominciando a fargli il solletico
dappertutto.
“Basta… Smettila… Scusami non dovevo darti
della macchinetta impazzita…Puoi portare qui tutto quello che vuoi e tutto
quello che ti serve, basta che la smetti” Dissi ridendo a crepapelle. Solo
allora lei mi lasciò andare e mi accorsi che in quella lotta eravamo finiti
sulla moquette. Cavoli! Quanto avevo riso! E dire che fino ad allora le mie
serate erano noiose e solitarie. Non mi sarei di certo annoiato con lei. Lo
pensai con ancora più convinzione: questa convivenza mi farà sicuramente bene.
Le dissi che il giorno dopo finita la scuola
dovevo andare da Akagi per quello stramaledettissimo campo scuola. Mi faceva
schifo studiare e si vedeva dai miei voti, ma se volevo partecipare al
campionato nazionale dovevo superare quell’esame. Avrei fatto tardi, ma le
promisi che avrei chiesto a qualcuno di aiutarla con il trasloco. La
riaccompagnai a casa e le dissi di preparare la sua roba durante la mattinata
seguente perché i “traslocatori” li avrei fatti venire nel primo pomeriggio. Le
diedi una copia delle chiavi di casa mia e dandole la buonanotte con un bacio
sulla guancia me ne andai. Sapevo già a chi avrei chiesto quel piccolo favore.
Da domani sarebbe cominciata la mia nuova vita.
Capitolo 8 – La nuova casa di Keiko
Avevo preparato tutto. Imballato sei o sette scatoloni di
roba più alcuni quadri, il televisore, il telefono, lo stereo e le borse con i
miei vestiti. Hisashi non mi aveva detto chi mi avrebbe mandato, ma l’avrei
saputo presto.
Erano circa le tre del pomeriggio quando suonarono il
campanello. Andando ad aprire mi ero trovata di fronte l’armata Sakuragi al
completo! Ben quattro bei maschioni mi avrebbero aiutato! Li salutai “Ciao
ragazzi! Entrate! Vi ha chiesto Mitsui di aiutarmi? Vi ha spiegato cosa dovete
fare?” Mito prese la parola “Veramente ci ha solo detto di fare tutto quello
che ci avresti chiesto in cambio di una cena gratis!” Ecco come aveva fatto a
convincerli! “Bene! Per me non è un problema cucinare, anzi mi dicono che sono
piuttosto brava!” “Ce lo hanno detto!” fece Takamiya con la bava alla bocca.
“Tutto quello che dovete fare è aiutarmi a portare questa roba” e indicai gli
scatoloni” a casa di Hisashi. Dista solo 500 m da qui. Non è un viaggio lungo e
in cinque faremo presto” Le mie previsioni si erano rivelate esatte, infatti
circa un’ora dopo era già tutto da Hisashi. Li ringraziai per l’aiuto e gli
dissi di tornare sulle otto. Gli avrei fatto trovare la cena pronta. Se ne
andarono canticchiando allegramente. Bastava poco per farli felici! La prima
cosa che feci fu pulire da cima a fondo l’appartamento. Ci misi solo un’oretta,
per fortuna, date le sue piccole dimensioni. Poi mi azzardai a guardare dentro
il frigorifero per vedere cosa avrei potuto preparare quella sera. Kami sama!
Sembrava la fiera del precotto! Alcune confezioni erano anche scadute! Così non
andava… Dovevo uscire a fare la spesa al supermercato all’angolo. Tornai dopo
mezz’ora carica di due sportone (di plastica) in mano. Avevo deciso di
preparare gli tsukimi udon. Avevo due
ore e mezza per cucinare e mettere in ordine la roba negli scatoloni.
Alle otto tutto era pronto. In tutte le stanze aleggiava
l’odore degli udon. Ero soddisfatta del mio lavoro. La casa era più accogliente
e molto meno spoglia. Soprammobili sugli scaffali, qualche quadro alle pareti…
Avrei contattato un’agenzia immobiliare il giorno dopo. Intanto che c’ero avevo
preparato anche l’obento di Hisashi per il giorno dopo! Ero stanca ma felice.
Adesso il mio unico pensiero era cenare e andare a letto. Mito, Okosu e gli
altri non si fecero attendere gradirono tutto quello che avevo preparato, o
meglio spazzolarono tutto! Cenammo ridendo come dei matti. Mi raccontarono un
sacco di aneddoti che riguardavano Sakuragi e le loro imprese. Erano davvero
simpatici! Verso le nove e mezza telefono Hisashi dicendo che la cosa andava
per le lunghe e di non aspettarlo alzata. Io gli chiesi se sarebbe passato da
casa perché gli avevo preparato l’obento per il giorno dopo, e il suo commento
fu “La mia Keiko mi ha preparato l’obento! Solo per me!” “Ehi! Non ti gasare
per così poco! Te lo preparerò tutti i giorni ok?” gli risposi ridendo felice.
Ti amo! Pensai ancora una volta. Ma il mio era un amore non corrisposto, col
tempo speravo che si sarebbe innamorato di me.
Capitolo 9 – Risveglio
Infilai la chiave nella porta. Finalmente a
casa. Tutto quello studiare ieri, per ora aveva avuto l’unico effetto di
confondermi le idee. La passeggiata mattutina però me le aveva schiarite un
po’. Ayako ci aveva svegliato alle sei. Io e Miyagi ci eravamo addormentati
come dei sassi sul divano di casa Akagi. Avevo dovuto farmi due chilometri a
piedi prima di arrivare lì. A casa. Tutto quello che desideravo era farmi una
doccia e fare colazione. Keiko sicuramente dormiva ancora. Dopotutto erano le
sei e mezza del mattino! Il solo pensarla addormentata dietro quella porta mi
riempì di gioia. Adesso capivo chi mi diceva che “casa, è dove c’è qualcuno che
ti aspetta”. Aprii piano la porta di casa ed entrai. Era tutto in penombra e
decisi di scostare leggermente le tende. Ora riuscivo a vedere i quadri alle
pareti, tutti quei piccoli oggettini sugli scaffali, lo stereo, la tv e il
telefono nuovi. Ogniuno di quegli oggetti aveva un pezzettino di storia. Keiko,
come avevo immaginato, era ancora placidamente addormentata nel suo futon. Lo
aveva disteso di fianco al tavolino. I capelli sciolti sparsi sul piccolo
cuscino. Tutto in quella stanza trasmetteva un senso di pace. Mi sedetti per
terra vicino al tavolino e al suo futon. Appoggiai la testa ad una mano e
cominciai a guardarla, ascoltando il suo respiro. Fu proprio ascoltando che mi
accorsi di quell’insistente ticchettio. Aveva messo una piccola sveglia sul
tavolino. L’aveva puntata per le sette e mezza. Facevo in tempo a sgattaiolare
in bagno con alcuni vestiti puliti a farmi una doccia veloce. Avrei evitato
l’imbarazzo, quello di cui parlava lei due sere prima. Era solo questione di
abitudine. Quando ogniuno di noi due si sarebbe abituato alla presenza
dell’altro, non ci sarebbero più stati problemi.
Evidentemente dovevo aver fatto poco rumore
perché quando uscii dal bagno lei dormiva ancora. Volevo prepararle la
colazione per quando si sarebbe svegliata. Misi tutto sul tavolino e decisi di
aspettare che lei si svegliasse per cominciare a mangiare. Il mio stomaco non
era molto d’accordo con me però. Al ventesimo brontolio decisi che una
scodellina di riso lo avrebbe calmato. Stavo ingurgitando la seconda
“scodellina” quando suonò la sveglia. Lei si rigirò nel futon un paio di volte
e poi si decise, contro voglia, a socchiudere gli occhi e ad allungare la mano
per spegnerla per poi rigirarsi e continuare a dormire. Ma come non si era
accorta di me?! Il mio dubbio trovò risposta circa mezzo secondo dopo.
Cos’era quell’ombra che ho intravisto quando ho spento la
sveglia? Un.. ladro?! Balzai fuori dal letto ancora in pigiama e mi misi in
posizione di difesa, pronta a sferrare l’attacco al fantomatico ladro. Bastò
solo un’occhiata a farmi capire che non solo non c’era nessun ladro, ma che al
suo posto c’era un Hisashi allibito, con gli occhi sgranati e i bastoncini a
mezz’aria che stava tentando di mangiare tranquillamente una scodella di riso.
“Ah sei tu!” dissi rilassandomi e tirando un sospiro di sollievo “Pensavo fossi
un ladro! Se mi avessi detto che eri tornato… non avrei fatto questa figura!
Accidenti!” misi il broncio. Le mie parole non lo avevano smosso di un
millimetro. Era ancora fermo in quella posizione! “Ma che hai? Se strabuzzi un
altro po’ gli occhi ti cascano! Non l’ho fatto apposta! Scusami” A quelle
parole un eccesso incrotrollato di risa si impossessò del suo corpo. Lo vidi
lasciarsi andare all’indietro per finire con la schiena per terra sempre
continuando a ridere. Alcune scie bagnate rigavano il suo viso. Stava persino
piangendo dal ridere! Scossi la testa sconsolata. Come potevo farlo innamorare
di me quando gli provocavo quelle reazioni! “Non sarà mica diventata
un’abitudine quella di ridermi in faccia, vero? Anche l’ultima volta che ci
siamo visti hai avuto una reazione simile!”
Aveva rotto l’armonia e il silenzio, ma devo
dire che lo aveva fatto con un certo stile! La mia Keiko… “Scusami..” le dissi
veramente dispiaciuto e riprendendomi un po’ continuai “…ma ammetterai anche tu
che la tua accoglienza non è stata proprio… comune” Lei sembrò pensarci un poco
e poi ridacchiando e mettendosi seduta di fronte a me disse “Hai ragione.. Per
questa volta sei perdonato” Mi sorrise. Lei mi metteva sempre di buon umore!
Facemmo colazione parlando dei rispettivi
pomeriggi appena trascorsi, poi lei sparì nel bagno con i suoi vestiti. Io ne
stavo approfittando per cambiare i libri nella cartella. Dopo venti minuti usì
dal bagno vestita e pimpante. “A che ora hai l’esame” mi chiese “Alle tre di
oggi pomeriggio. Perché?” “E i risultati te li dicono subito?” “Certo, ma…” non
mi fece finire “Allora oggi pomeriggio verrò in palestra così li saprò subito!”
“E cosa farai stamattina? Andrai a lavoro?” le chiesi “Sì mi andrò a
licenziare!” Cosa!? Quando aveva pensato una cosa del genere? La guardai
sorpreso. Lei sembrò leggermi nel pensiero “Ci ho pensato prima di
addormentarmi ieri sera. Mi troverò un lavorino part time per avere il
pomeriggio libero e nel giro di un anno dovrei riuscire a guadagnare abbastanza
soldi. Così ad aprile prossimo potrò frequentare di nuovo la scuola. Una scuola
pubblica! Pensavo allo Shohoku dicono che abbia una squadra di basket molto
forte! Tu cosa mi consigli? ” Sorrisi e decisi di stare al gioco “Sì ci sono un
po’ di teste calde ma la loro squadra è una di quelle più forti di tutta la
prefettura! Inoltre è una buona scuola” Ci guardammo un attimo negli occhi e ci
sorridemmo. “Più o meno il mio piano è questo, ma quelli che ti ho detto sono
solo i punti 4 e 5 della lista di cose da fare quest’anno” “E quali sono l’1,
il 2 e il 3?” chiesi curioso. Lei ridiventò seria “Al primo c’è riuscire a
vendere la casa. Stamattina proverò a contattare alcune agenzie immobiliari. Al
secondo c’è estinguere il debito di mio padre e il terzo, bhè…. il terzo è un
segreto!” Disse tornando a sorridere maliziosa. Le sorrisi a mia volta.
Chiusi la porta di casa alle nostre spalle e
poi con un bacio sulle guance le nostre strade si divisero. Non vedevo l’ora
che arrivasse quel pomeriggio per rivederla.
Capitolo 10 – Scaryman
I miei piedi cominciavano a fare storie. Li capivo… dopo
tutto era tutta la mattina che camminavo! In primo luogo ero andata a
licenziarmi e lì mi sono dovuta sorbire la ramanzina del titolare sul fatto che
dovevo dare il preavviso di una settimana anche se alla fine mi aveva dato lo
stipendio per il mese prima, poi mi stavo recando presso un’agenzia immobiliare
di cui avevo visto la pubblicità su un giornale locale, quando passando davanti
ad una tavola calda avevo visto il cartello CERCASI CAMERIERA ANCHE PARTIME.
Non ci pensai due volte e un’ora dopo avevo già definito con il titolare gli
orari, dalle 8 alle 2 tutti i giorni esclusa la domenica. Perfetto, no?
All’agenzia immobiliare avevo dovuto far vedere la casa. Mi dissero che aveva
già vari clienti interessati a quella zona e che, massimo una settimana, avrei
avuto i soldi in mano. Mi sentivo sollevata. Prima sistemavo quella faccenda,
prima sarei stata libera da quel peso che sentivo gravare su di me.
Mancava poco alle tre. Hisashi stava per affrontare il suo
esame. Ce l’avrebbe fatta. Lui dava sempre il massimo di sè quando era sotto
pressione. Ero abbastanza lontana dallo Shohoku ma pur prendendomela comoda
sarei arrivata in tempo per sapere il risultato. Mi incamminai tranquillamente
verso lo Shohoku, fermandomi ogni tanto a vedere qualche vetrina. Mentre ne
stavo ammirando una con vestiti non proprio alla mia portata del mio
portafoglio, in un piccolo vicolo, vidi riflesso nella vetrina la figura di un
uomo vestito di scuro con occhiali da sole che se ne stava proprio dietro di
me. Capii subito che c’era qualcosa che non andava e quando cercai di andarmene
lui mi prese un polso e lo strinse forte, bloccandomi poi il braccio dietro la
schiena. Allora aprii la bocca per gridare quando lui parlò “Non ti conviene
farlo, la mia amica nella fondina non sarebbe molto contenta” con un tono di
scherno. Maledetto! “Cosa vuoi da me? Se ti manda Rokuda, puoi anche dirgli che
tra una settimana avrà i suoi soldi” dissi con disprezzo. “Bene! Sai il mio
capo era preoccupato dal fatto che fossi andata a vivere da quel liceale.
Pensava volessi fregarlo, ma dato che le cose stanno così non c’è da
preoccuparsi. Vero?” rispose stringendomi ancora di più il polso, strappandomi
un gemito di dolore. “So dove trovarvi. Quando avrò i soldi verrò direttamente
da voi” a quelle parole lui mi lasciò andare bruscamente. Lo sentii sussurrare
un “Ti conviene” prima di scomparire in un vicolo. Quando mi ero girata avevo
fatto in tempo solo a vedere le sue spalle. Quegli “incontri” si erano fatti
frequenti in quei tre mesi. Non dico che non ne ero spaventata, ma la paura era
diminuita col tempo. L’unica cosa che mi rincuorava era il fatto che Rokuda,
l’uomo con cui mio padre si era indebitato, era un uomo di parola. Se io gli
avessi dato i soldi che gli spettavano (cioè quelli che aveva prestato a mio
padre più gli interessi del 30%) mi avrebbe lasciato in pace.
Capitolo 11 – Passati!
Un po’ scossa arrivai, finalmente, alla palestra dello
Shohoku e mi appostai vicino a Mito e agli altri. Evidentemente i ragazzi non
avevano finito ancora l’esame, perché sia loro sia Ayako non erano presenti
all’allenamento. Mito ne approfittò per presentarmi Haruko, la sorella del
capitano Akagi. Salvo poi aggiungere a bassa voce, mentre lei era distratta,
che Hanamichi era innamorato di lei e che per lei, invece, esisteva solo
Rukawa. Mi veniva quasi da ridere. Povero Hana! Se le andava proprio a cercare!
Metabolizzai solo in quel momento le parole “sorella di Akagi”, la guardai. Ma
da dove era scappata! Lei e il capitano non si assomigliavano per niente!
Mentre il mio cervello era perso in queste elucubrazioni.
Una Ayako senza fiato per la corsa fece irruzione in palestra. Tutti si
fermarono in attesa che lei dicesse come erano andati quei quattro. Non parlò,
ma fece un gesto molto eloquente che ci fece esultare tutti. Erano passati! Le
facce di Akagi e Kogure si distesero. Ora il campionato nazionale non era più
un sogno…
Capitolo 12 – Verso la luce
Quella sera io ed Hisashi ci fermammo a prendere dei ramen
in un ristorantino ambulante. Non gli avevo detto niente dell’incontro di
quella mattina, si sarebbe preoccupato e poi non volevo rovinare quel giorno.
Aveva passato quel benedetto esame e il campionato era sempre più vicino.
Ero rimasta a guardare il loro allenamento dopo l’annuncio
di Ayako e quando era uscito dallo spogliatoio gli ero saltata letteralmente al
collo per fargli i miei complimenti.
Quando stavo uscendo dalla palestra quella
sera, dopo l’allenamento, l’avevo vista avvicinarsi correndo e poi, a poco più
di un metro da me, aveva saltato e si era attaccata al mio collo. Quel contatto
improvviso mi aveva “spiazzato” per un attimo, ma avevo ripreso quasi subito il
mio sangue freddo. “Non ti sembra di esagerare un poco” le dissi sorridendo.
Lei, tendendo sempre le braccia attorno al mio collo, aveva alzato la testa
piantando i suoi occhioni di giada nei miei e aveva replicato con la faccia
molto seria “Forse non capisci che il sogno della tua vita si sta lentamente
realizzando, che avrai la possibilità di diventare il più grande tiratore dalla
linea dei tre punti di tutto il Giappone! Il buio è finito!” La strinsi a me.
Perché non la avevo incontrata un anno fa?! Avrei evitato di buttare via un
anno della mia vita! Con lei tutto andava bene. Sapeva trovare il lato buono in
tutto.
I ramen erano molto buoni. Sembrava il
quadretto della famigliola perfetta. Noi due seduti uno di fronte all’altra che
ci gustavamo la cena. In sottofondo le parole di qualche cronista alla tv. Chiaccheravamo
del più e del meno. Le chiesi come era andata la sua giornata. Fui molto felice
di sentire che l’appartamento sarebbe stato venduto in breve tempo. Anche il
suo buio stava passando e sarebbe arrivata presto la luce anche per lei. Rise
ad una mia battuta. Quella risata cristallina… Mi venne in mente come un flash
il suo viso rigato dalle lacrime… Se qualcuno la avesse fatto ancora del male,
se la sarebbe vista con me….
Capitolo 13 – Luce
Erano passati solo cinque giorni da quando avevo messo in
vendita l’appartamento, e sei da quando abitavo a casa di Hisashi. La mattina
ero la prima ad alzarmi. Preparavo la colazione, svegliavo Hisashi (la parte
che mi piaceva di più!), mi lavavo e vestivo, gli davo il suo obento e con un
bacio sulle guance ci salutavamo e io andavo a lavorare. Nonostante per lui
fossero iniziate le vacanze estive da quattro giorni, Akagi non permetteva a
nessuno della squadra di godersele. Li faceva allenare come matti in previsione
del campionato. Non riusciva nemmeno a tornare a casa per pranzo e così gli
preparavo l’obento. Lui e il suo fegato ne erano molto felici. D’altra parte
mangiare cup ramen mattina, mezzogiorno e sera doveva diventare abbastanza
noioso e monotono dopo un mese! Mi sentivo come la mogliettina che faceva di
tutto per compiacere il suo uomo… Essere sua moglie… Ma che cavolo pensavo! Mi
rimproverai mentalmente mentre chiudevo la porta di casa dietro le mie spalle.
Finalmente a casa! Quella mattina il bar era affollatissimo. Non avevo fatto
altro che correre di qua e di là tutta la mattina. Prendere ordinazioni,
portare piatti… Adesso i miei piedi chiedevano pietà!
Stavo per abbandonami sul tatami quando squillò il
telefono. Era un’impiegato dell’agenzia immobiliare. Mi chiese se quel
pomeriggio ero libera per firmare il contratto di cessione e per ritirare i
soldi. Avevano venduto la casa!
Risposi che ero libera e poi ci accordammo sull’ora.
Pensai che potevo chiudere quella faccenda quella sera stessa. Rokuda avrebbe
avuto i suoi soldi e io sarei stata finalmente libera da quel peso.
Mi precipitai alla palestra dello Shohoku. Volevo che
Hisashi mi accompagnasse….
Era piombata in palestra come un fulmine,
interrompendo gli allenamenti. Akagi era piuttosto scocciato mentre gli altri
senza farsi vedere tiravano un sospiro di sollievo. Mi venne da ridere. Il
Gorilla ci faceva allenare come dei pazzi e nessuno osava dirgli che a volte
esagerava per paura dei suoi famosi pugni che Sakuragi conosceva bene.
Mi concentrai su Keiko. Era agitata, lo vedevo
da come muoveva freneticamente le mani e dal fiume di parole che mi stava
riversando addosso. Faceva sempre così. Le uniche parole che riuscii a capire
furono “casa…venduta…soldi..Rokuda…stasera” Non ci volle molto per cambiarmi e
per raggiungerla fuori dalla palestra. Ad Akagi avevo raccontato che la mia
vicina aveva bisogno… Eh no, non avrei dovuto mai diventare un avvocato. Per
raccontare balle ero proprio negato.
La presi per mano e lei mi fece strada verso
l’agenzia. Il calore della mia mano era in netto contrasto con quella fredda di
lei, altro segno del suo nervosismo. Gliela strinsi un po’ di più per
infonderle coraggio e lei voltando il capo verso di me mi fece un sorriso
tirato, per poi tornare a guardare davanti a se. Non parlammo per tutto il
tragitto, ma non ce ne fu bisogno. La preoccupazione sul suo volto era più che
evidente.
Firmato il contratto di cessione, il nuovo
proprietario della casa le consegnò una valigetta con i soldi. Era un riccone.
Lo si notava dai suoi abiti, sicuramente firmati, e da quel profumo di qualche
stilista famoso che impestava tutto l’ufficio. Non doveva essere stato un
problema per lui, avere così tanti contanti in una volta sola.
Usciti dall’ufficio con quella valigia in una
mano e l’altra nella mia, lei mi pregò di accompagnarla da Rokuda con voce
flebile. Percepii un sottile filo di tensione nella sue voce. Mi fece ancora
una volta strada.
Ci fermammo davanti ad un Pachinko in uno dei
quartieri più malfamati di Kanagawa. Uno di quelli che fino a quattro mesi fa
mi aveva visto come protagonista di molte risse. “E’ qui” disse solo. La seguii
all’interno e la vidi dirigersi verso una porta in fondo al locale fumoso, con
un energumero di guardia. La raggiunsi attraversando quei corridoi di
macchinette mentre parlava con quella montagna umana. Dopo aver saputo il
motivo della “visita” si decise a farci passare tutti e due, non senza avermi
lanciato prima un’occhiata piuttosto eloquente: “Niente casini o sarai
fortunato se potrai stare su una sedia a rotelle dopo il mio trattamento”
sembrava dire. Non mi feci intimorire e sostenni il suo sguardo. Ne avevo
ricevuti tanti in quell’ultimo anno…
La stanza che ci accolse era scarsamente
illuminata e spoglia. L’unico mobile era una scrivania a cui stava seduto il
signor Rokuda, impegnato a leggere qualcosa che lo rese evidentemente
soddisfatto, dal sorriso che aleggiava sul suo volto. Quando alzò il volto su
di noi, quel sorriso si allargò ancora di più. Si alzò dalla sedia e andò a
sedersi sulla scrivania proprio davanti a noi. Lasciai che Keiko avanzasse
verso quel tipo e porgendogli la valigetta gli disse che quella cifra era il
doppio di quella che suo padre gli doveva. Lui guardò prima la valigetta con
sguardo avido e poi Keiko che sta va in piedi immobile davanti a lui. Non
potevo vederla in volto perché mi dava le spalle, ma avevo sentito la sua voce
fredda e piena di disprezzo quando aveva dato la valigetta. Lui ruppe quel
silenzio carico di tensione che si era venuto a creare alzandosi dalla sua
posizione e mettendosi proprio davanti a Keiko. Le portò un dito sotto al mento
per alzargli il viso e disse con tono divertito “Vedo che ti sei portata la tua
guardia del corpo. Avevi forse paura di me?!” accompagnando quelle parole con
una risata divertita. “E cosa direbbe il tuo amico se io adesso ti baciassi”
COSA?! Avanzai di un passo e lo guardai negli occhi con la speranza di
incenerirlo come aveva fatto poco prima l’energumero davanti alla sua porta con
me. “Tranquillo ragazzo. Ho avuto quello che volevo. La tua amica non mi
interessa.” E di nuovo quella risata fastidiosa. “Bene Keiko. Sei libera dalla
promessa che tuo padre mi aveva fatto” “Smetterà anche di farmi seguire dai
suoi sgherri?” disse lei sempre con quel tono freddo. La pedinavano?! Perché
non me lo aveva detto?! “Certo. Sono uno yakuza, ma anche un uomo di parola. E’
stato un piacere fare affari con la tua famiglia” “Mi dispiace di non poter
dire lo stesso signor Rokuda. Addio” si voltò verso di me e potei vedere il suo
volto dal quale, a dispetto della sua natura espressiva, non traspariva nessuna
emozione. Si diresse verso la porta e la seguii prima nel Pachinko e poi per
strada. Camminava davanti a me, veloce. Dopo pochi isolati si fermò di scatto e
io finii contro la sua schiena. Stavo per chiederle scusa, quando vidi le sue
spalle alzalsi e abbassarsi in modo inconsulto. Stava piangendo. Mi portai di
fronte a lei e fu allora che li vidi. Il suo sorriso, i suoi occhi limpidi
senza più quel velo che li oscurava. Era felice. Le sorrisi anch’io e la
strinsi forte a me come quella sera in cui mi aveva aperto il suo cuore. La
luce era arrivata anche nella sua vita finalmente!
Capitolo 14 –
Sun after the rain
Aprii piano gli occhi. L’ultima cosa che ricordavo era
l’abbraccio di Hisashi. Ma dove… Ero nel mio futon! Questo voleva dire che ieri
sera mi ero…addormentata! Che imbarazzo! Mi alzai a sedere e feci per alzarmi,
quando un peso alla mano destra attirò la mia attenzione. Era… Mi aveva tenuta
per mano tutta la notte! Mi vennero quasi le lacrime agli occhi…quanto era
dolce il mio Hisashi! “Ti amo ogni giorno di più” fu il mio primo pensiero. A
malincuore mi alzai e decisi di preparargli una super colazione. Se la
meritava!
Mi risvegliai dall’incoscienza del sonno con il
rumore attutito di piatti che venivano appoggiati chissà dove.
La sera prima mentre la abbracciavo, cullandola
e tentando di tranquillizzarla, si era addormentata. Le emozioni quel giorno,
per lei, erano state davvero troppe! Logico che poi fosse crollata!
Aprii un occhio, giusto per vedere la
situazione. Lei stava apparecchiando il tavolino per la colazione. Un sorriso
le incurvava le labbra. Non aveva notato che ero sveglio. Mi mossi un poco per
richiamare la sua attenzione. Quando incrociai i suoi occhi, rimasi folgorato.
Ero rimasto già colpito dal loro colore la prima volta che ci eravamo visti, ma
i sentimenti che trasparivano da essi quella mattina erano serenità, gioia e li
rendevano ancora più belli. Mi rivolse il più bel sorriso che le avevo mai
visto fare da quando la conoscevo, ed era tutto per me. Mi chiesi se ero io la
causa di quel sorriso o se era la felicità che la caduta di quel peso dalla sua
anima aveva provocato. Ma che mi prendeva?! Lei era mia amica, non….
Era così carino appena sveglio, ancora intontito dal
sonno. Gli sorrisi e dissi allegra “Buongiorno dormiglione!” “Guarda che se c’è
un dormiglione in questa stanza, sei tu! Io non mi addormento in piedi!” mi
rispose sorridendo anche lui. Diventai rossa come un peperone e il suo sorriso,
quando se ne accorse, si trasformò un una risata. Contagiata, cominciai a
ridere anch’io, felice. Sì, ero felice. Tutto sarebbe andato per il verso
giusto da ora in poi. Me lo sentivo.
Capitolo 15 – Annunci, …
Ayako alla fine dell’allenamento ci richiamò
vicino al coach Anzai. Domani saremmo partiti per un ritiro di una settimana
durante il quale avremmo avuto l’occasione di confrontarci con l’ottava
migliore squadra del Giappone! Uao! Ero elettrizzato! Volevo confrontarmi con
qualche altro giocatore. Quelle partite di allenamento tra di noi cominciavano
a diventare noiose. Un po’ di sana competizione sportiva ci avrebbe fatto bene.
E poi potevo dimostrare a Rukawa che ero io il migliore!
Dopo quell’annuncio Akagi dichiarò concluso
l’allenamento per quel giorno. Mi voltai verso l’ingresso della palestra. Lei
era lì che mi sorrideva come sempre. Ci veniva sempre a vedere di pomeriggio.
Corsi verso di lei. “Sei ansioso di partire, eh?” Come ci riusciva? Solo
guardandomi a capire cosa provavo? “Già” dissi solamente. “Vai a cambiarti
adesso, o sudato come sei ti ammalerai” Io risi “Sì mammina. Vado!”
Non lo avrei visto per una settimana. Mentre guardavo la
sua schiena allontanarsi verso gli spogliatoi, decisi che gli avrei regalato un
amuleto porta fortuna, così guardandolo avrebbe pensato a me. Mi sarebbe mancato
tantissimo. Lo avevo sempre intorno e una settimana era lunga…
Capitolo 16 – … partenze e …
La sera prima mi aveva preparato un banchetto
degno di un imperatore. Una… “cena di arrivederci” l’aveva chiamata. Stavamo
andando verso lo Shohoku, il punto di ritrovo, quando a metà strada lei mi
disse che doveva sbrigare una cosa e che ci saremmo visti lì a scuola. Ero un
po’ infastidito dal suo annuncio. Volevo passare gli ultimi minuti prima della
partenza con lei. Non ci saremmo visti per una settimana! Era logico passarli
insieme agli amici…
Dovevo correre al tempio a prendere quell’amuleto. Avuto
il suo consenso, cominciai a correre a perdifiato per arrivare un po’ prima
della partenza in modo da poterlo salutare con calma. Arrivata al tempio le mie
speranze svanirono. Mi ero dimenticata che di domenica tutti andavano al tempio
per pregare e comprare amuleti! Rassegnata mi misi in coda aspettando il mio
turno…
Ma dove si era cacciata?! Stavamo per partire!
Ci incamminammo tutti verso la stazione. Avevamo percorso neanche un metro che
Anzai richiamò Hanamichi a sé, annunciandogli che quella settimana sarebbe
rimasto a Kanagawa ad allenarsi. Un allenamento speciale. Ci mettemmo tutti a
ridere, Banda Sakuragi compresa, anzi forse più degli altri. “Mi sono persa
qualcosa?” una voce conosciuta attirò la mia attenzione. “Ma dov’eri finita?!
Stavamo per partire!” la assalii. Sembrava che avesse corso dal suo respiro
affannato. “Ero andata a prenderti questo…” disse tirando fuori, dalla tasca
dei pantaloni alla pescatora che aveva quel giorno, un amuleto porta fortuna.
Lo aveva preso per me! Che gentile era stata! Mi vergognai per il mio egoismo.
Avevo subito pensato che non gli importava niente se partivo e invece lei… Non
potevo mostrare di essere dipiaciuto per quello che avevo pensato. Orgoglio
maschile. “Non avrò bisogno di un amuleto porta fortuna. Lo Shohoku è il più
forte! Vinceremo lo stesso.” dissi spavaldo. Lei mi guardò trattenendosi a
fatica dal ridere. Mi prese una mano e vi appoggiò sopra l’amuleto e mi rispose
“Guarda che lo sapevo benissimo anch’io che siete i più forti. Io te l’ho preso
perché guardandolo ti ricordassi di me!” Che imbarazzo! Un’altra figura del
cavolo… “Scusa per …” dissi portando una mano dietro la nuca, senza guardarla
negli occhi. “Non fa niente. Vorrà dire che per farti perdonare dovrai vincere
per forza!” mi interruppe lei. Alzai gli occhi sul suo volto. Stava
sorridendomi. La abbracciai con foga. “Contaci!” avevo risposto felice. Le
diedi un bacio veloce sulla guancia prima di raggiungere gli altri che erano
andati avanti, correndo e alzando il braccio per salutarla. Mi sarebbe mancata…
Mi voltai verso Anzai per salutarlo prima di andare via,
quando vidi Hanamichi furente da una parte e la Banda Sakuragi che se la rideva
di gusto dall’altra. “Come mai, Hanamichi, non sei andato con gli altri” Non
avrei potuto dire frase peggiore. Il rossino esplose in un serie di invettive
sullo spreco del suo genio, mentre Anzai aveva iniziato a ridere composto e la
Banda Sakuragi era piegata in due dal ridere. Risi anch’io. “Che matti!”
pensai.
Capitolo 17 - …arrivi
Anzai aveva chiesto a me e all’armata Sakuragi di aiutarlo
con l’allenamento speciale di Hanamichi. Io avevo accettato subito. Con quei
cinque c’era sempre da divertirsi! Mi resi disponibile il pomeriggio.
La mattina lavoravo, il pomeriggio aiutavo Anzai e la sera
stavo ad aspettare lo squillo del telefono. Hisashi mi telefonava tutte le
sere. Lui mi raccontava dei progressi della squadra e io di quelli di
Hanamichi, evitando comunque, di dirgli l’oggetto dell’allenamento. Hanamichi
era stato chiaro a riguardo. Dovevano rimanere tutti sorpresi dalla bravura del
genio!
Non dicevamo mai frasi del tipo “Mi manchi” o “Non vedo
l’ora di rivederti”. Era penoso per me sentire la sua voce all’altro capo del
filo e penso anche per lui, così ci sembrava di soffrire di meno senza quelle
frasi. Avrei tanto voluto averlo vicino. La sera raccontarci come era andata la
giornata davanti ad un bel piatto caldo come facevamo di solito. Non immaginavo
che in quelle due settimane, lui, fosse diventato cosi importante per me. E io?
Quanto lo ero per lui?
In quel pomeriggio di libertà che Akagi ci
aveva dato, le avevo comprato una collanina con un pendente a forma di stella.
La mia stella. La mia Keiko. Mi mancava da morire. Parlare con lei solo per
telefono era riduttivo. Aveva bisogno di sentirla vicina a lui di averla tra le
braccia… COSA? CALMATI HISASHI! Non ti sarai mica… Gli allenamenti mi
stancavano troppo e la mia mente vaneggiava ogni tanto. Era la motivazione più
ragionevole. Non potevo rischiare di rovinare quell’amicizia così preziosa per
me, solo perché avevo scambiato amicizia per… Devo decisamente stancarmi di
meno….
Avevo appena buttato giù la cornetta del telefono dopo
l’ennesima chiacchierata telefono con Hisashi che suonarono alla porta. Chi
poteva essere alle otto di sera? Quando andai ad aprire, mi trovai davanti una
signora dai tratti orientali, anche se c’era qualcosa in lei che la rendeva
diversa. Doveva avere una cinquantina d’anni, anche se portati splendidamente.
Vestiva abiti raffinati e aveva un viso familiare, anche se ero sicura di non
averla mai vista. “Ciao Keiko! Aspettavo da tanto il momento in cui ti avrei
rivista!” mi disse con le lacrime agli occhi. Ma chi era quella donna? E cosa
voleva da me?
Capitolo 18 – Brutte notizie
La osservavo mentre lei si sedeva aggraziatamente sul
tatami, di fronte al tavolino. L’avevo fatta entrare restando in silenzio. Le
sue parole mi avevano talmente stupito, che non avrei potuto sillabare parole
sensate. Non sapevo perché, ma qualcosa mi diceva che quella donna mi portava
brutte notizie.
La raggiunsi, sedendomi di fronte a lei. “Carino qui..”
disse lei con un gran sorriso, forse per rompere il ghiaccio. Cominciai ad
innervosirmi ma cercai di non farlo trasparire. “Grazie” le risposi brevemente,
senza ricambiare il sorriso. I giri di parole non mi erano mai piaciuti. Se lei
non voleva arrivare al sodo, l’avrei fatto io. “Chi è lei? E perché mi
conosce?” le domandai con voce dura. “Tu non ti ricorderai sicuramente di me.
L’ultima volta che ti ho vista, avevi solo un mese!” rispose timidamente. “E’
sicura che io sia veramente la persona che lei sta cercando?” dissi scettica.
“Oh sì!” fece lei sicura. “Come può dirlo se l’ultima volta che ci siamo viste
avevo solo un mese?” “Tuo padre mi spediva ogni anno delle tue foto…. Eccole.
Le portate per mostrartele” disse estraendo, dalla piccola borsetta firmata,
alcune foto e porgendomele. Le guardai un attimo. Non c’erano dubbi quella
nelle foto ero proprio io! Ero abbastanza turbata, ma cercai di non darlo a
vedere. “Ha risposto a solo una delle mie domande… Chi è lei?” “Sono tua zia.
La sorella di tua madre” COSA?!?! E’ IMPOSSIBILE!!! “Mia madre non aveva
sorelle!” “Te l’ha detto tuo padre vero?” “Sì, ma…” feci per ribattere, ma lei
non mi lasciò finire. “Dopo la morte di tua madre, tuo padre andò in
depressione. Si amavano tanto e per lui all’inizio non fu facile. Io lo aiutavo
come potevo: ti accudivo, mandavo avanti la casa, lavoravo… dopo un mese ero
esausta. Dissi a tuo padre che se non avesse reagito, ti avrei portata via da
lui. Io abito a Naha, a Okinawa. Era senza un soldo, non avrebbe mai potuto
raggiungerti. Litigammo furiosamente la sera che glielo dissi, ma dopo una
settimana trovò lavoro dimostrandomi di avere torto e così ti lasciai a lui.
Lui mi odiò dopo quella sera….” Fece una breve pausa, durante il quale attesi
che andasse avanti con il suo racconto. Non volevo pensare in quel momento.
“Ecco perché ti ha detto che tua madre era figlia unica. Io ho dovuto farlo!
Per il suo e il tuo bene! Non ci parlammo per sette anni e poi io decisi di
scrivergli una lettera. Volevo tanto vederti ma lui non me lo permetteva a
causa del nostro stupido litigio! Lui non rispose a quella lettera, ma da
quella volta, ogni anno mi mandò una tua foto.”
Incassai il colpo… Quella donna era mia zia! Io ho una
zia?! Pensavo di essere rimasta sola al mondo. Di non avere nessuno… Ma perché
non mi aveva cercata prima? Mio padre è morto da quattro mesi ormai? Quando
glielo chiesi, mi rispose “Okinawa è lontana e a causa del mio lavoro sono
spesso all’estero. Quando ho saputo che tuo padre era morto, erano già passati
tre mesi. Ho provato a cercarti, ma la casa dove abitavate era stata venduta…
ci ho messo molto per trovarti e ora non ti lascerò più andare…” Ero stordita.
Cosa… “Cosa intendi dire con il ‘non ti lascerò più andare’?” Un orrendo
sospetto si insinuò nella mia mente… “Verrai a vivere con me a Naha!” disse
raggiante. A Naha… Hisashi…
Capitolo 19 – Ritorno a casa
Il suo tono di voce era cambiato. Era…triste.
Aveva risposto alle mie domande a monosillabi… Non ero tranquillo. L’ultima
volta che si era comportata così, è stato quando le avevo chiesto dei suoi
genitori…
Fortunatamente mancavano solo un paio d’ore di
treno, e poi l’avrei rivista. Aveva detto che mi sarebbe venuta a prendere alla
stazione. Volevo sapere cosa era successo…
Me ne stavo seduto in un angolino della
carrozza, praticamente vuota. Kogure mi si avvicinò per parlare, perché aveva
visto la mia “aria da cane bastonato” così aveva detto. Voleva tirarmi su, ma
il mio atteggiamento lo scoraggiò subito: sguardo perso nel vuoto, risposte a
monosillabi…
Keiko. Cos’è successo? Perché non hai voluto
parlarmene per telefono? Non vuoi più parlare con me? Ho detto qualcosa che ti
è dispiaciuto? Tante domande senza risposta affollavano la mia mente…
Forse mi stavo preoccupando per niente. Magari
era solo stanca…
Mi guardai attorno. Rukawa dormiva abbandonato
su un seggiolino, Akagi guardava fuori dal finestrino perso in chissà quali
pensieri e Kogure e Miyagi parlavano con Ayako del campionato.
Non avevo voglia di parlare. Mi limitai a
guardare fuori dal finestrino, come Akagi. L’unica differenza era che io non
volevo pensare…
Salii le scale che portavano ai binari. Mi guardai
attorno, non doveva essere difficile trovarli. Tre “montagne umane” dovevano
essere abbastanza visibili, no? Risi fra me e me. Se Hisashi avesse saputo che
gli avevo dato della “montagna umana” se la sarebbe presa a morte! Eccoli! Mi
avvicinai. Lui era di spalle. “Bentornato a casa” dissi solamente, sorridendo.
Di mia zia e di Naha gliene avrei parlato dopo, per ora c’era solo lui.
Al suono delle mie parole lui si voltò.
Era la sua voce! Keiko! Mi voltai. Lei era lì
che mi sorrideva. L’abbracciai di slancio. Quanto mi era mancata…
“Ciao!” le dissi, sempre tenendola stretta a
me. “Hisashi così mi soffochi!” disse lei ridendo. La lasciai andare per
prenderla per mano subito dopo. Salutammo tutti e ci avviammo verso casa. Il
considerarla “casa nostra” mi diede una sensazione di calore al cuore…
Capitolo 20 – La dura realtà
Mi aveva preparato il sukiyaki, chissa quanto
le era costato!
Quella cena, era diversa dalle altre che
avevamo fatto insieme. L’atmosfera era più…pesante. Sentivo che voleva parlarmi
di qualcosa, ma non si decideva. Evitava di guardarmi negli occhi, come se
avesse paura che riuscissi a leggerle dentro. Eravamo arrivati al dolce, dei
biscotti al cioccolato buonissimi. C’era tensione nell’aria. Come cena era
stata abbastanza silenziosa e io ad un certo punto non ce la feci più. “Ti
decidi a parlarmene o ti devo tirare fuori le parole di bocca?” dissi
tranquillamente, addentando il secondo biscotto. Lei sussultò.
Cavoli!…L’aveva capito! E adesso come avrei affrontato
l’argomento? “Due giorni fa è venuta a trovarmi mia zia..”cominciai. “Tua zia?
Non sapevo che avessi una zia” fece lui un po’ sorpreso. “Neanche io, ma mi ha
fornito prove inconfutabili riguardo la sua identità…” gli raccontai tutta la
storia. Mano a mano che procedevo con il racconto, guardavo il suo viso farsi
sempre più stupito. Ogni tanto facevo delle pause per osservare meglio le sue
reazioni. Lui stava zitto e aspettava che continuassi mentre io sentivo salirmi
le lacrime e gli occhi bruciare nello sforzo di trattenerle. “Vuole riportarmi
a Naha..” conclusi tristemente guardandolo negli occhi per la prima volta dopo
l’inizio di quel racconto.
COSA?! “Co..Cosa hai detto?” dissi in preda al
panico, sperando di aver capito male. Lei ripetè la frase tabù con
quell’orrenda parola: Naha. “Tu non puoi andare. Abiti qui ora.” Feci quel
tentativo. “Abitiamo insieme, è vero, ma siamo tutti e due minorenni. La legge
è dalla sua parte e se decide di partire non posso fare altro che seguirla, a
meno che una famiglia non mi prenda in custodia. Cosa impossibile dato che
l’unica persona che ho sei tu. Devo partire…tra cinque giorni.”
E’ possibile che le parole possano pesare? Le
ultime parole di lei mi erano cadute addosso come dei macigni. La guardavo
mentre stava trattenendosi dal piangere per me. Lo faceva per me, perché non mi
sentissi più male di quanto non stessi già. E dire che dovevo essere io l’uomo
della situazione! Mi avvicinai a lei e la abbracciai. Adesso dovevo farle
forza, anche se non stavo certo meglio di lei. Cominciò a singhiozzare.
Dovevano durare ancora molto le sue pene? E io? Cosa avrei fatto senza di lei?
Stupidamente pensai che la catenina con il
pendente a stella che le avevo preso per ringraziarla, si sarebbe trasformato
in un regalo d’addio. Allora non c’erano più speranze? Sarebbe davvero partita
tra cinque giorni?
E della nostra amicizia che ne sarebbe stato?
Dovevo inventarmi qualcosa! Non potevo permettere che partisse senza fare
niente per trattenerla! Sua zia sapeva che viveva con me? E della nostra
amicizia? Troppe domande affollavano la mia mente. Le ricacciai in un angolo
remoto della mia mente. Ora esistevamo solo noi. Noi con il nostro dolore.
Keiko, non ti preoccupare. Mi inventerò qualcosa, te lo giuro!
Capitolo 21 – Countdown
Tentavamo tutti e due di comportarci
normalmente. Lei non accennava alla partenza e io non le chiedevo nulla. Il
pomeriggio non veniva più ai nostri allenamenti, lo passava tutto con sua zia.
Non avevo avuto ancora occasione di parlare di sua nipote con lei. Non poteva
portarmela via così!
L’occasione arrivò a tre giorni dalla sua
partenza. Erano passate a vedere gli allenamenti. Avevo visto Keiko che mi
indicava probabilmente come il suo migliore amico. Quel pensiero mi diede una
fitta allo stomaco, anche se non seppi bene il perché. Mi avrebbero aspettato
per tornare a casa, lo sapevo per certo. La mia mente organizzò tutto in pochi
istanti. Avrei chiesto ad Ayako di allontanare Keiko da sua zia per pochi
minuti, così che io potessi parlarle e chiederle di lasciare sua nipote a
Kanagawa. Con me.
Quando Akagi dichiarò finito l’allenamento, mi
fiondai da Keiko e da sua zia. La guardai per la prima volta come una persona e
non come un nemico. I vestiti eleganti, il portamento distinto, lo sguardo
fiero… Dal punto di vista economico non aveva certamente problemi.
Ci stava raggiungendo. Mi sentivo nervosa. Volevo che
tutti e due si accettassero a vicenda. Certo mia zia non era fra il tipo di
persone che piacevano ad Hisashi. Lui odiava la gente “con la puzza sotto al
naso” e mia zia era il prototipo di questo tipo di persone.
Rimasi stupita quando gli vidi il sorriso stampato il
faccia. Non era da lui! Lo vidi ricambiare cortesemente l’inchino di mia zia e
cominciare una conversazione escludendomi completamente. Che gli era preso?!
Cominciavo ad arrabbiarmi…
Erano passati pochi minuti, quando Ayako si avvicinò a
noi, presentandosi e dicendomi che aveva bisogno delle statistiche di Hanamichi
sul suo allenamento speciale. Le dissi scocciata che le aveva fatte Haruko e
che non sapevo dove poteva averle messe. Mi chiese se l’aiutavo a cercarle. La
fulminai con lo sguardo. Perché la gente non capisce mai quando non è il
momento? Sbuffai, ma davanti agli occhi supplichevoli di Ayako non ci fu
storia. Mi scusai e andai con lei. Era una mia impressione o il sorriso di
Hisashi si era allargato di più?
Il mio piano aveva funzionato! Sorrisi
compiaciuto di me stesso mentre la guardavo andare via, per poi rivolgere tutta
la mia attenzione verso quella donna. DOVEVO farle capire. “Signora…” cominciai
“Keiko le ha detto che io e lei viviamo insieme?” “Sì..” disse tranquillamente.
Fui sorpreso. Non tutti avrebbero accettato il fatto che una ragazza e un
ragazzo vivessero insieme… “..e la devo ringraziare, signor Mitsui, per l’aiuto
che ha dato a mia nipote in un momento così delicato” “Quindi lei non ha mai
pensato che noi due… bè che potessimo essere…” La parola “amanti” non voleva
proprio uscire dalla mia testa. “Oh no signor Mitsui!” disse lei sorridendo
“Keiko mi ha detto che siete solo amici. E io le credo” Riordinai rapidamente
le idee. Il mio piano di farle credere che avevamo una storia, magari con
bambino in arrivo, ero fallita miseramente ancor prima di cominciare. Rimaneva
l’ultica carta da giocare: la sincerità. “La prego signora non porti Keiko con
sé” dissi con tono supplichevole. Il sorriso sparì dal suo volto “Io ho bisogno
di lei. E’ la mia migliore amica e non ho le possibilità economiche per venirla
a trovare a Naha” Attesi la sua risposta con la stessa tensione che avevo
durante le partite mentre aspettavo che il mio famoso tiro da tre punti facesse
finire la sua parabola dentro la rete del canestro. Purtroppo quello che lei
disse, non era quello che mi aspettavo… “Signor Mitsui, lei mi sta chiedendo di
lasciare mia nipote, dopo sedici anni di tensioni e ricerche, a qualcuno che
ancora per un anno non può assicurarle sicurezza sul piano economico perché
impegnato con la scuola?!” Il suo tono di voce si era alzato leggermente ed era
diventato duro. “Non se ne parla neanche!” disse acconpagnando quella frase con
un deciso movimento del capo. “Quindi non c’è speranza?” dissi timidamente.
“Figliolo..” cominciò lei, sospirando “servono i soldi a questo mondo. Senza
non si vive. Per lasciarla con te dovresti dimostrarmi che sei in grado di
mantenerla in modo dignitoso, ma credo che in due giorni non riuscirai a
combinare niente..” mi disse come se stesse parlando ad un bambino delle
elementari!
Che persona odiosa! Stavo per dirglielo quando
Keiko ritornò da noi…
Ero LEGGERMENTE arrabbiata. Prima Hisashi con quel
comportamento strano e poi Ayako con delle richieste assurde. Mai farmi
arrabbiare! Ayako lo aveva già scoperto a sue spese, e quando saremmo arrivati
a casa, anche Hisashi se ne sarebbe
accorto. Quando tornai da loro, notai con piacere che Hisashi non sorrideva
più, anzi era piuttosto giù di corda. Non stetti a dormandarmi il perché. Gli
dissi solo di andarsi a cambiare in fretta, altrimenti sarebbe tornato a casa
da solo. Per andare verso gli spogliatoi mi dovette passare di fianco, ma non
ci guardammo. Mi sibilò solo uno sprezzante “Sì padrona” quando fummo vicini.
Capitolo 22 – Last hope
Camminavano davanti a me, parlando e ridendo
come due vecchie amiche. Stavamo accompagnando all’albergo sua zia prima di
tornare a casa. Guardandola di spalle mentre sorrideva alla sua interlocutrice,
mi domandai se era davvero giusto tenerla con me. Forse aveva ragione sua zia…
Io non avrei mai potuto offrirle quello lei aveva… Ma non riuscivo più a
pensare alla mia vita senza di lei, i suoi sguardi, i suoi occhi…
*****
Dopo cena avrei messo in atto il piano
definitivo. Mi sarei dovuto umiliare, ma se andava tutto bene ne sarebbe valsa
la pena. Lei sarebbe rimasta con me. Mentre la guardavo finire il suo tempura,
mi chiesi se lei volesse rimanere. Io lo avevo dato per scontato, ma se lei
avesse avuto la possibilità di scegliere… Chi avrebbe preferito?
Prima di cena mi aveva dato una bella lavata di
capo per il mio comportamento in palestra. Sapevo che l’avrebbe fatto. L’avevo
praticamente esclusa dalla conversazione e a lei quelle cose non piacevano, ma
senza quel subdolo stratagemma non sarei mai riuscito a parlare da solo con sua
zia. La subii passivamente, facendole credere di essere veramente pentito.
Scaricatasi era tornata quella di sempre. Gentile, carina…
Era da quando gli avevo detto che partivo che si
comportava in modo strano. Non era il solito Hisashi, era più… burbero. Non mi
aveva detto di cosa avesse parlato con mia zia. Non parlavamo quasi più di noi.
Ci limitavamo a mangiare insieme la sera e basta. Perché non riusciva a capire
che ci stavo male? Che volevo rimanere con lui? Che lo amavo con tutta me
stessa? Sembrava che non gli importasse se partivo. Da parte mia mi ero
rassegnata, ma speravo segretamente che lui lottasse per farmi rimanere. Il mio
cavaliere dagli occhi blu…
A conferma di quanto poco tempo passassimo insieme, dopo
cena, disse che si doveva trovare con Hanamichi e gli altri per una “serata
soli uomini”, così disse. Non potevo nemmeno andare con lui. Uffa!
Con il morale sotto ai piedi accesi la tv, lasciando
scorrere le immagini di un film poliziesco di cui non capii nulla. La mia mente
assorbita dal pensiero di lui.
L’indomani non l’avrei visto, lui aveva gli allenamenti
tutto il giorno. Io dovevo fare diversi giri alla mattina e il pomeriggio fare
le valigie. Quella era praticamente la nostra ultima sera insieme e lui andava
a vedere delle spogliarelliste! Se ci pensavo mi veniva una rabbia!!! Mi veniva
da piangere, ma non sarebbe servito a niente perciò mi trattenni. Pensai che
non sarei mai riuscita a dirgli che lo amavo… Magari glielo avrei scritto…
Chissà… Stanca e con la testa piena di pensieri sistemai il mio futon e lo
distesi al suo solito posto di fianco al tavolino e mi ci infilai dentro. Era
mezzanotte e lui non era ancora tornato….
Capitolo 23 – Peace
L’ultima volta che avevo visto quel portone,
era stato due anni fa. L’avevo chiuso con violenza alle mie spalle, sperando di
non dover più rimettere piede in quella casa. E invece… E’ strano che quando
pianifichi qualcosa, questo non si realizzi mai. Io pensavo che non avrei mai
più visto i miei genitori dopo quella sera, e invece adesso ero lì non solo per
fare pace, ma anche per supplicarli di tenere Keiko con loro così che lei non
dovesse più partire.
Ero lì fermo sulla soglia da dieci minuti, e
ancora non avevo bussato. Mi spaventava quello che avrei trovato dall’altra
parte, o meglio CHI avrei trovato dall’altra parte. Poi finalmente bussai.
Rumore di passi all’interno.
Venne ad aprire mia madre. Non era molto
cambiata… forse aveva solo più fili argentati tra i suoi capelli dello stesso
colore dei miei. “Hisashi…” la sentii mormorare mentre mi fissava immobile
sulla porta. “Chi è Yumeko?” da una porta la voce di mio padre… Non ricevendo risposta
da mia madre ancora impietrita si affacciò al corridoio davanti alla porta
d’entrata. “Papà…” Anche lui fu molto sorpreso di vedermi, ma si riprese in
fretta. “Che ci fai tu qui?” mi chiese con voce dura. “Sono venuto per parlare”
“Ci siamo già detti tutto quello che c’era da dire, mi pare” “No, ora le cose
sono cambiate papà. Lasciami spiegare!” Mio padre sembrò indeciso, poi mia
madre lo convinse “Tesoro, lasciamolo parlare” “Va bene” disse rassegnato
“Fallo accomodare” eclissandosi dietro la porta da dov’era venuto con un gesto
spazientito della mano. Era nervoso anche lui. Lo sapevo…
*****
Eravamo seduti davanti a quel tavolino da dieci
minuti. Restavamo in silenzio e ci guardavamo in faccia, quasi volessimo
studiarci a vicenda. Tensione. Presi la parola “Papà, stasera sono venuto per
scusarmi con voi.” Lui sembrò contrariato. Certamente non erano le parole che
si aspettava di sentire. Mia madre invece aveva già gli occhi lucidi. “Mi sono
reso conto di aver sbagliato, e ne sto ancora pagando il prezzo. Sapete… ho
ripreso a giocare a basket…” dissi abbozzando un sorriso per tentare di
sciogliere la tensione “Ma Hisashi il tuo ginocchio…” disse subito allarmata
mia madre. Mio padre stette zitto anche se per un attimo mi sembrò di vedere i
suoi occhi illuminarsi. Un tempo era orgoglioso di suo figlio, un promettente
campione di basket. “Non preoccuparti mamma. Il dottore da cui andavo a fare le
visite mi ha assicurato che il mio ginocchio è completamente guarito. Merito
del riposo che gli ho fatto fare in questi due anni” conclusi amaramente. “Oh
tesoro..” disse mia madre con le lacrime agli occhi mentre mi prendeva una mano
tra le sue. “Yumeko!” la riprese mio padre. “Papà..” lo guardai dritto in
faccia “Ti ricordi il nostro sogno? Il campionato nazionale? Bè sta per
trasformarsi in realtà! Lo Shohoku è arrivato secondo nel campionato
prefetturale e quindi il torneo nazionale ci spetta di diritto.” Mi fermai un
attimo poi ripresi “Ho faticato molto per tornare ai livelli di un tempo, ma
adesso sono in ottima forma e sono pronto a partire, tra tre giorni, per
vincere quel torneo!” Mi guardava ancora in silenzio… “So di essere stato una
delusione come figlio, ma sono venuto qui apposta per farmi perdonare e per
tentare di recuperare il tempo perduto. Mi siete mancati” conclusi. Chinai il
capo aspettando il verdetto di mio padre. Avevo visto di sfuggita il suo
sguardo duro. Che illuso ero stato! Lui non mi avrebbe mai perdonato!
“Non sei stato una delusione come figlio” disse
solo. Alzai lo sguardo su di lui, incredulo. “Chiunque capisce i propri errori
e tenta di porvi rimedio è degno della mia stima” sorrise. Un sorriso timido,
ma che mi diede un calore immenso. Mi alzai in piedi, avvicinandomi ai miei
genitori, per poi chinarmi di nuovo per abbracciarli. “Papà, mamma…” dissi tra
le lacrime “Vi voglio bene”
*****
Non era ancora stanco di sentirmi parlare? Mi
chiesi rispondendo alla sua ennesima domanda. Su di me, sul futuro campionato,
sulla squadra… Il non parlarci per due anni ci aveva fatto accumulare tante
domande che non avevano potuto avere risposta. Anch’io non fui da meno di mio
padre. Chiesi di tutto: dalla salute, a come andava il lavoro. Pensandoci… mi
era mancata quella sensazione di… di… famiglia. Parlai loro anche di Keiko e
dei suoi problemi. Mio padre non fu molto contento del fatto che vivessimo da
soli sotto lo stesso tetto,ma gli spiegai che non c’era mai stato niente tra
noi e sembrò credermi. Ma io stesso cominciavo a domandarmi se non avrei
desiderato che fosse andata diversamente. Io la amavo?
Spiegai loro di sua zia e della sua prossima
partenza “Io non vorrei, ma partirà dopo domani…” feci sconsolato “L’unico modo
per farla restare sarebbe che qualcuno con una situazione economicamente
stabile la prendesse con se” dissi speranzoso guardando in faccia mio padre. “E
tu vorresti che quel qualcuno fossimo noi, vero Hisashi?” “Bè… lei significa
molto per me. E’ la mia migliore amica ed è stata l’unica a credere in me
quando nessuno voleva farlo. Lei mi capisce solo guardandomi e io…” “Abbiamo
capito che le vuoi molto bene, Hisashi. Ti si illuminano gli occhi quando parli
di lei. Un po’ come ti succede quando parli di basket” disse mia madre
sorridendo dolcemente. “Ho paura di perderla. Vi prego aiutatemi” li supplicai
“Immagino che dovremo anche mantenerla” fece mio padre. Ha sempre avuto un
particolare “senso pratico”. “No. Lei ha deciso che lavorerà fino all’inizio
del prossimo anno scolastico per potersi pagare gli studi. Purtroppo ha smesso
di andare a scuola per poter pagare i debiti di suo padre. Penso che si sia già
licenziata dal suo ultimo lavoro in previsione della partenza, ma credo che ne
cercherebbe un altro se sapesse che dovrebbe venire a vivere con voi. Non è il
tipo di persona a cui piace fare il parassita.” “Devo conoscere questa ragazza!
Sono sicura che andremo d’accordo” disse contenta mia madre. “Yumeko non essere
precipitosa!” la ammonì severo mio padre. Poi tornando a rivolgersi a me disse
“Per ora non posso darti nessuna risposta, ma prima che lei parta conoscerai la
nostra decisione. Devo pensarci Hisashi” Con questo dichiarò il discorso
chiuso.
Era ormai l’una e la mattina dopo avevamo gli
allenamenti. Mi congedai da loro con un caldo abbraccio. Sulla porta mia madre
mi aveva sussurrato “Non preoccuparti Hisashi. Ci parlo io con tuo padre. Lo
sai che a me non può dire di no! Non la perderai!” facendomi l’occhiolino
subito dopo.
Tornai a casa più leggero. Dovevo anche questo
a lei. La mia Keiko. Se non fosse stato per il mio desiderio di non vederla
partire, non avrei mai fatto pace con i miei.
Stanco ma felice mi coricai accanto a lei nel
mio futon, e cullato dal suo respiro calmo mi addormentai.
Capitolo 24 – Last day
Lo avevo trovato che dormiva di fianco a me,
come tutte le mattine. Chissà in che locali era andato con i suoi amici, cosa
aveva fatto, chi aveva visto, quante ragazze aveva conosciuto… Basta Keiko!
Stai diventando paranoica! Lui non è di tua proprietà, e soprattutto non è il
tuo ragazzo! Non puoi essere gelosa di lui! Gelosa? Eh sì. Dovevo ammetterlo
almeno a me stessa. Ero gelosa di lui. Il solo pensiero di vederlo con un’altra
donna risvegliava in me pericolosi istinti omicidi. Sorrisi guardandolo
dormire. Guardai la sveglia appoggiata sul comodino. Quella mattina non l’avevo
fatta suonare, tanto mi ero licenziata! Quando vidi l’ora, non collegai subito.
Le otto. Non so perché ma mi fece venire in mente qualcosa…. Gli allenamenti
dello Shohoku iniziavano a quell’ora! E quel pelandrone stava tranquillamante
poltrendo nel letto!
“Hisashi svegliati!” cominciai a scuoterlo
“Che succede?” fece lui degnandosi di aprire a mala pena un occhio giusto per
guardarmi in faccia. “Guarda un po’!” dissi io agitata mettendogli la sveglia
proprio davanti all’occhio aperto. “Le otto, e allora?” disse scocciato
tornando a dormire. Anche lui collegò dopo pochi istanti. “Le otto!” gridò
balzando fuori dal letto e infilandosi dentro al bagno. Dopo cinque minuti ne
uscì lavato e vestito. “Akagi mi ucciderà. Akagi mi ucciderà” ripeteva. “Questo
è il tuo obento. Sei fortunato che te l’ho preparato ieri sera!” dissi
mettendogli la scatola in mano “Adesso puoi andare.” Mi diede un veloce bacio
sulla guancia e poi lo vidi sparire dietro la porta di casa. Hisashi, non
cambierai mai! E non cambierà mai il fatto che ti amo anche a tanti chilometri
di distanza!
*****
Non riuscivo a concentrarmi sulla partita.
Certo riuscivo a neutralizzare ancora Hasegawa, ma non risaltavo più per il mio
gioco, per i miei tiri perfetti. L’attenzione era tutta spostata su Hanamichi e
Rukawa. La bravura di quest’ultimo la conoscevo già, ma furono i progressi di
Hanamichi a stupirmi più di tutto. Quella partita “d’allenamento” contro i
migliori giocatori di tutto il distretto era una specie di prova generale per
il campionato nazionale e io non potevo certo dire di stare giocando al
massimo. Sapevo anche il perché, ma non volevo pensarci.
Finita la partita, per festeggiare la vittoria,
vollero tutti andare a divertirsi in qualche pub. Io rifiutai. Ero un fascio di
nervi e volevo passare la serata con Keiko. Per quanto ne sapevo quella era la
sua ultima sera a Kanagawa, dato che i miei genitori non mi avevano fatto
sapere niente. Decisi di fermarmi alla prima cabina telefonica che trovavo per
chiederglielo. Rispose mia madre, ma l’unica cosa che seppe dirmi era che stava
ancora lavorando su mio padre e che mi avrebbero fatto sapere qualcosa verso le
nove di domattina. Il suo potere di persuasione aveva sempre avuto effetto su
papà. Mi ritrovai a sperare che anche quella volta il verdetto fosse a favore
di mia madre. Lei aveva sempre avuto una sensibilità speciale. Aveva capito che
per me Keiko era la cosa più importante. Mancavano meno di docici ore alla sua
partenza… Non volevo darle false speranze. Pensai che quella sera le avrei
potuto dare il ciondolo. Glielo avrei dato e basta senza frasi aggiuntive.
Tanto le uniche che mi venivano in mente erano del tipo “Così non mi
dimenticherai”. Troppo tristi.
Finalmente arrivai a casa. Lei era lì intenta a
cucinare qualcosa che dal profumino che aleggiava in tutto l’appartamento
doveva essere sicuramente delizioso. Ero ancora fermo sulla soglia ad
osservarla. Per un attimo pensai che era una sera come le altre. Avremmo cenato
insieme parlando del più e del meno, poi io avrei guardato la tv con lei vicino
a me. Saremmo andati a letto insieme dandoci la buonanotte e io avrei ascoltato
il suo respiro prima di addormentarmi e poi la mattina dopo mi avrebbe
svegliato con un sorriso e….. ma chi volevo imbrogliare…. Le borse accatastate
vicino alla porta mi costringevano a vedere la dura realtà, quella che la mia
mente cercava di nascondermi.
La sua tristezza si percepiva ad un miglio di distanza.
Non volevo che la nostra ultima serata fosse così. Volevo divertirmi, parlare
insieme a lui, ridere… Dovevo sdrammatizzare la situazione. Dovevo essere forte
anche per lui. L’avrei buttata sul ridere. “L’allenamento è stato così faticoso
che ora che sei arrivato a casa non riesci a fare l’ultimo passo per entrare?”
dissi sorridendo. Lui si limitò ad entrare chiudendo la porta dietro di sé, guardandandomi
per un breve istante prima di appoggiare la borsa della palestra in un
angolino. Che sguardo malinconico il suo…
Anche la cena si svolse nel più assoluto silenzio da parte
sua. Ero solo io a parlare, a fare battute penose ogni tanto, ma lui rimaneva
sempre serio. Mi guardava come se quegli istanti fossero gli ultimi che aveva
per fissarsi la mia immagine nella memoria, e forse era quello che stava
veramente facendo. Lo sentivo teso come una corda di violino, pronta a
spezzarsi ad un mio minimo errore. Una frase sbagliata, un gesto. “Hisashi non
credi che sia meglio parlarne anziché chiudersi a riccio come stai facendo tu?
Pensavo che una volta diventati amici ci saremmo raccontati tutto” dissi alla
fine della cena, stufa del suo comportamento. “Smettila!” mi urlò sbattendo le
bacchette sul tavolo. Avevo detto la famosa frase. “Scusami, io…” cominciai io
per tentare di rimediare al mio errore. “Smettila di comportarti come se tutto
questo non stesse accadendo, come se domani sera ceneremo ancora insieme, come
se ci rivedremo dopo domani!” Aveva pronunciato quelle parole con rabbia, quasi
come se la colpa di quello che stava accadendo fosse mia… “Credi che a me
faccia piacere partire?” Gli chiesi tentando di mantenere la calma. “Quello che
so è che non hai fatto nulla per impedirlo! Ma forse è meglio così…” concluse
con una punta di amarezza nella voce. Mi alzai di scatto e cominciai a
raccogliere i piatti disposti disordinatamente sul tavolino. Lui seguì con gli
occhi ogni mio minimo movimento. Volevo porre fine a quella discussione
inutile. Non avevo pensato così la nostra ultima sera insieme. Gli voltai le
spalle per portare i piatti nel lavello. “Anche adesso stai scappando dalla
realtà…” le sue parole pronunciate con tono calmo mi raggiunsero trafiggendomi
il cuore. Mi fermai un attimo dov’ero e poi continuai a camminare per
appoggiare quei dannati piatti. La vista appannata. Lacrime. Dolore. Tornando
indietro mi fermai in piedi davanti a lui che stava ancora seduto. “Io non sto
scappando dalla realtà è solo che non posso fare nulla per cambiarla. Mi sono
rassegnata Hisashi e dovresti farlo anche tu” A quelle parole anche lui si alzò
di scatto. Adesso eravamo a pochi centimetri l’uno dall’altra. “La Keiko che
credevo di conoscere non avrebbe mai usato quella parola. Rassegnarsi… Vai pure
a fare il parassita da tua zia. Se questa è la Keiko che sei diventata non ci
perderò nello scambio”
Non ebbi nemmeno il tempo di finire l’ultima
parola che il suo schiaffo arrivò potente. “Come ti sei permesso! Vattene!”
“Keiko io non..” “Vattene via!” Urlò con rabbia accasciandosi al suolo subito
dopo, coprendosi il viso con le mani e cominciando a singhiozzare. L’avevo
fatta piangere. Non volevo dire quelle cose. Non le pensavo veramente. Avevo
sfogato la mia frustrazione su di lei, senza pensare che anche lei magari si
sentiva come me, che si stava facendo forza per me. Non era il momento per le
scuse ora. Dovevo lasciarla sola. Domattina le avrei fatto le mie scuse. Prima
che lei partisse. Non volevo che quella litigata fosse l’ultimo ricordo che
avrebbe avuto di me. Chiusi la porta di casa alle mie spalle. Magari un
goccetto al pub con i ragazzi mi avrebbe tirato un po’ su il morale e poi se mi
fossi ubriacato, sarei riuscito a dimenticare per il tempo di una sbronza quel
sentimento che sentivo crescere prepotente dentro di me.
L’avevo sentito rincasare a tarda notte. Io avevo
continuato a fare finta di dormire, se gli avessi detto che lo avevo aspettato
sveglia, mi avrebbe sicuramente riso in faccia. Quando si sdraiò vicino a me
sentii senza difficoltà l’intenso odore di alcool che emanava. Grande idea
quella di ubriacarsi! Pensai sconsolata. La lettera che gli avevo scritto
quella sera era già pronta… Avrei avuto il coraggio di dargliela? Non sapevo
rispondermi, dopotutto, con quella, gli avrei rivelato i miei sentimenti per
lui…
Era già tutto deciso. Me ne sarei andata prima che lui si
svegliasse.
Lui russava già della grossa. Domani sarà una giornata
pesante, meglio dormire. Pensando queste parole mi addormentai.
Capitolo 25 –
Lost soul
Ti starai chiedendo perché me ne sono andata senza
svegliarti, senza averti salutato. Avevo paura. Paura di affrontarti, di
guardarti negli occhi per dirti addio e di vedere disprezzo o peggio
indifferenza. Non lo sopporterei…
Preferisco andarmene in sordina lasciandoti questa
lettera e…sperando che tu capisca quello che provo in questo momento. Mi
mancherai Hisashi. Sei stato il mio migliore amico, il primo ragazzo di cui mi
sono innamorata. Sorpreso? Già, hai capito bene. IO TI AMO. Probabilmente tu
non hai mai sospettato nulla. Se è così sono stata una brava attrice. Non
frantendermi! Quella che hai conosciuto tu è la vera Keiko, ma ti ho sempre
nascosto questo fatto perché avevo paura di perdere la tua amicizia…
Ti amavo già quando giocavi nel Takeishi. Non ti
conoscevo ancora, ma lo sai, io riuscivo a sentire i tuoi sentimenti, e questo
bastò per farmi capire che persona meravigliosa sei. Perdonami Hisashi, se
puoi, e dimenticami. Io tenterò di fare lo stesso con te, anche se so già che
sarà una cosa impossibile…
Ti amerò per sempre, tua Keiko.
Cos’era quella? Perché me lo aveva detto solo
adesso? Perché…perché mi sono accorto di amarla profondamente solo quando l’ho
persa?
Guardavo quel foglio di carta rosa tra le mie
mani ancora allibito. L’avevo letto e riletto almeno una decina di volte
nell’ultimo quarto d’ora e non riuscivo ancora a capacitarmene.
Mi ero svegliato con un potente mal di testa.
Ero riuscito miracolosamente ad alzarmi a sedere e l’avevo vista. Lì, abbandonata
sul tavolino, ma la ignorai. Percepii un qualcosa di strano nell’aria… Keiko? Dov’era Keiko? Il suo futon era piegato ordinatamente nell’armadio. Le sue borse
accatastate vicino alla porta…sparite. Solo quella lettera con scritto sopra il
mio nome con la sua calligrafia elegante ed ordinata. L’avevo presa in mano
tremando. Il mio cervello non formulava pensieri o meglio non voleva… E
poi….quelle parole. Keiko dovevi parlarmene! Dovevi dirmelo! Come avrei fatto,
ora, senza di te! Non mi avevi permesso di scusarmi con te, di salutarti, di
dirti che mi saresti mancata, di dirti che anch’io ti amo. Avevi fatto finire
la nostra storia ancora prima che potesse cominciare.
Ero perso in questi pensieri quando sentii
bussare alla porta. Mi precipitai ad aprire. Avevo la segreta speranza che
fosse lei, che fosse tornata da me. Che illuso…
Non era stata Keiko a bussare, ma i miei
genitori. Che diavolo ci facevano a casa mia a quell’ora del mattino? Ah già…
la risposta…ma ormai a cosa serviva? Lei se ne era andata! Volevo rimanere solo
con la mia disperazione.
“Hisashi cosa è successo? Sei così pallido…” mi
chiese preoccupata mia madre. “Niente mà, solamente che la ragazza che mi sono
accorto di amare è partita senza dirmi nulla, senza darmi il tempo di
dirglielo.” Risposi sarcastico. “E io che mi sono fatto convincere inutilmente
da tua madre! Lo sai che quando ci si mette… Bè cos’è quella faccia? Tutto qui
quello che sei capace di fare?” disse mio padre con aria strafottente. Non lo
sopportavo quando faceva così. “Cosa intendi dire?”dissi tentando di mantenere
un tono calmo, nonostante dentro mi sentissi ribollire di rabbia. “Mio figlio
non si sarebbe buttato giù per così poco. Dove l’hai nascosto?” mi urlò in
un’orecchio. Stavo per rispondergli in malo modo, quando le rotelline
arrugginite che avevo nel cervello cominciarono a girare. Dopo il secondo
infortunio al ginocchio, mi ero lasciato andare alla disperazione più nera. Non
avrei fatto lo stesso errore! Lo avrei fatto per lei. Cominciai ad elaborare
velocemente un piano che mi permettesse di avere la mia Keiko di nuovo al mio
fianco… Trovato! “Tesoro cos’hai?” Fu quella domanda a riscuotermi dalle mie
elucubrazioni. “Avete la macchina dietro?” chiesi concitato. “Sì ma perché lo
chiedi?” disse mia madre con lo sguardo di una che ha appena visto un pazzo.
“Papà, porta la mamma in macchina. Io mi vesto subito e poi scendo. Mettila in
moto!” Dissi in fretta raccogliendo i primi vestiti che mi capitarono a tiro.
“Ma che succede? Tesoro, esigo una spiegazione” “Zitta Yumeko!” disse mio padre
con un tono che non ammetteva repliche, poi proseguì in tono più dolce. “Il
nostro Romeo deve ritrovare la sua Giulietta” aggiunse strizzandomi l’occhio.
Credo che lui avesse già capito il mio piano… “Ben detto pà! E adesso che ti ha
spiegato, mamma, fammi il piacere di seguirlo in macchina. Io arrivo subito!”
Così dicendo, m’infilai nel bagno. Non ti lascerò andare Keiko, non senza prima
averti confessato il mio amore. Cinque minuti dopo stavo scendendo gli scalini
a due a due rischiando di rompermi l’osso del collo, ma non importava, mi
rimaneva poco tempo o forse… lei era già partita! No! Non devo pensarci, mi
dissi. Entrai nella macchina dei miei e dissi semplicemente “All’aeroporto di
Tokio!” E mio padre altrettando semplicemente disse “Si parte!”
Capitolo 26 –
The end or the beginning?
Hisashi….. Chissà cosa starai facendo ora…..
Me ne stavo seduta su quella seggiolina scomodissima nella
sala d’aspetto dell’aeroporto. Le valigie erano già tutte imbarcate e non
stavamo aspettando che chiamassero il nostro volo. La zia chiaccherava con me
del più e del meno, di come mi sarei trovata bene nella nuova casa, dei nuovi
amici che mi sarei fatta negli ambienti più prestigiosi, quelli che frequentava
mia zia. Peccato…. Se non avessi avuto modo di conoscere Hisashi di persona,
penso che in fondo non mi sarebbe dispiaciuto molto partire. La vita che
conduceva mia zia doveva essere piuttosto interessante…. Ecco che cominciavo
con i “se”. Lo sai che non si ragiona con i se e i ma se ciò che questi
riguardano è già avvenuto.
Più che una chiaccherata, quella di mia zia sembrava un
monologo. Io, infatti, mi limitavo ad ascoltarla e ad annuire di tanto in
tanto. Ero intenta ad osservare con molto interesse le cuciture delle mie
scarpe da ginnastica. La mia mente divagava e pensava a lui, al nostro primo
incontro, a come si era evoluto il nostro rapporto da “amici” (da parte sua), a
come la cotta che avevo per lui fin dalle medie si fosse trasformata in
qualcosa di più profondo: amore. Ritornai al pensiero iniziale… Dove sei
Hisashi? Cosa stai facendo?
I miei pensieri furono disturbati dal vociare infastidito
di una piccola folla di persone al gate del mio volo. Chiesi al signore di
mezz’età che stava seduto alla mia sinistra se sapesse cosa stava succedendo.
“Niente è solo un ragazzo che voleva raggiungere il gate del volo per Naha il
più in fretta possibile e per farlo ha saltato la fila. I giovani d’oggi sono
così maleducati!” mi rispose sconsolato. Incuriosita, mi scusai con la zia e
andai a vedere più da vicino. Alcuni inveivano contro il ragazzo, altri che
tentavano di calmare i primi… Tentai di farmi largo, ormai dovevo vedere il
volto di questo “maleducato”. Magari avrebbe distratto la mia mente dal
pensiero di Hisashi. Quanto mi sbagliavo…
“Non posso dirglielo signore!”
mi disse per l’ennesima volta l’ormai esasperata impiegata del gate del
volo diretto a Naha. “La privacy!” mi
disse infastidita, come se fosse la cosa più evidente del mondo.
“Senta, allora, mi può dire se ci sono altri
voli per Naha oltre a quello di questo gate?” “No, signore, questo è l’unico
gate dalla quale partono i voli diretti a Naha di questo aeroporto”. Bene!
Esultai dentro di me. Quello era già un’inizio, ma… se era andata all’aeroporto
di Narita? La gioia provata qualche attimo prima scomparve di colpo.
Maledizione! Mi guardai attorno alla ricerca dei miei genitori. Li avevo persi
di vista mentre correvo verso il gate. Volevo raccontargli le novità che avevo
scoperto. Cavoli, pensai, perché tutta quella gente mi stava attorno? “Lei è un
gran maleducato! Non si rispettano le code da dove viene lei?” mi gridò in
faccia un vecchietto vicino a me, ma io lo ignorai. Avevo imparato a farlo da
quando Anzai ci aveva proibito di fare a botte. Non risposi alla provocazione e
continuai a guardarmi in giro. Fu allora che li vidi… due occhi meravigliosi di
giada, caldi e profondi che mi fissavano imbambolati.
“Keiko”. La sua voce mi giunse calda e vellutata. Non
l’aveva urlato, il mio nome, ma io lo avevo sentito lo stesso anche in quella
confusione.
Perché era venuto? Mi aveva già chiaramente detto cosa ne
pensava di me la sera prima. C’eravamo lasciati senza riappacificarci, senza un
chiarimento. Che fosse qui per questo? Un chiarimento?
“Hisashi!”Una bella donna di mezz’età lo stava chiamando,
dietro di lei un signore dall’aria distinta la seguiva a ruota. Quando ci
furono vicini potei sentire, dal respiro leggermente affannato dei due che
avevano corso un po’. “E’ lei?” chiese la donna guardandomi con un sorriso “Sì,
mamma. Vi presento Keiko Murakami” Mamma? E quello doveva essere suo padre!
Perché diavolo li avrà portati qui? E poi loro non si parlavano più! “Ciao
cara” mi salutò calorosamente sua madre, abbracciandomi “Sa-salve” balbettai io
ancora più confusa. Che cavolo sta succedendo? Mi chiesi.
Osservai mio padre mentre le stringeva la
mano. Bene! Ora si conoscevano. Quell’incontro rendeva tutto più… ufficiale. Mi
ritrovai a sorridere osservando il volto di lei mentre le più svariate emozioni
lo attraversavano. Gioia, stupore, rabbia, confusione. “Quando parte il tuo
volo?” le chiesi con finta noncuranza “Tra venti minuti, ma tanto a te che
importa. Stai per concludere uno scambio favorevole”mi rispose con tono piatto.
Le sue parole ebbero l’effetto di raggelarmi, ma non mi persi d’animo “E tua
zia dov’è ora?” chiesi con indifferenza “E’ seduta laggiù. Ma mi vuoi spiegare
cos’è questa pagliacciata?” concluse con un tono di voce che esigeva una
risposta subito. Io non la ascoltai. La presi per mano e la trascinai verso il
luogo che mi aveva indicato. I miei genitori ci seguivano a ruota. A metà
strada lei si divincolò dalla mia stretta “Hisashi!” mi disse indignata e io,
riprendendola per mano e riprendendo a camminare, le dissi solo “Quando saremo
davanti a tua zia ti spiegherò il perché di tutto questo”. Doveva essere tutto
una sorpresa.
Le piacerà! Tentai di autoconvincermi mentre
la tensione faceva vacillare i miei propositi. Deve piacerle!
Mi aveva trascinato fino al punto dove era seduta mia zia.
Non capivo più nulla. Perché faceva il misterioso? Perché mi stava dando false
speranze? Perché il solo vederlo mi faceva sentire ‘a casa’? Lo avrei scoperto
presto…
Anche mia zia fu stupita di trovarselo davanti, o almeno
così mi sembrò dal sopracciglio leggermente inarcato sul suo viso inespressivo.
Avevo ancora la mano nella sua. “Signora” cominciò lui deciso. I suoi occhi
risplendevano come se davanti a lui, anziché mia zia, ci fosse un canestro e
lui con la palla in mano desiderasse ardentemente farlo… “ho pensato a quello che
mi ha detto quel giorno in palestra. Ora so che Keiko, se potesse restare, avrà
una famiglia che si occuperà di lei: la mia”. Quell’annuncio mi raggelò per un
attimo il sangue nelle vene.
Ci sentivo ancora bene? Stavo sognando?
“Hisashi…” provai a dire “tu non…” “Perché no? Non vedo
cosa ci sia di sbagliato. L’unico ostacolo che tua zia aveva posto alla tua
permanenza era la “questione soldi” e mi pare che sia stata risolta”. Mi fece
un sorriso e io ammutolii. “Visto?” continuò “Grazie a te ho anche fatto la
pace con i miei!” concluse indicandoli. Mi voltai a guardarli mentre loro mi
sorridevano bonariamente. “Io non ho fatto nulla. Sei stato tu a…” provai a
dire.
Si fece serio e disse, prendendomi tra le sue anche
l’altra mano “Hai fatto moltissimo, invece. Così tanto che ora non sarei più
capace di immaginare la mia vita senza di te. Ti amo Keiko” concluse
guardandomi negli occhi.
Continuai a guardarla negli occhi. Tentando disperatamente di
leggervi una qualsiasi risposta. E la lessi. Stava piangendo! Era tutto
perduto… Quello che le avevo rinfacciato la sera prima aveva avuto il potere di
distruggere tutto quello che avrebbe potuto esserci tra di noi. Castelli di
carte. Le mie speranze proprio come castelli di carte stavano crollando davanti
a quel silenzioso rifiuto. Mi abbracciò di slancio. Quasi persi l’equilibrio.
Non me lo aspettavo. La strinsi a me forse per l’ultima volta. Riaverla tra le
mie braccia… La separazione sarebbe stata ancora più dolorosa ora.
“Hisashi” mormorai tra le lacrime “anch’io…ti amo e… non
sai da quanto” mi decisi a confessare.
Sollevai il capo dal suo petto caldo per poterlo guardare
negli occhi e vedere la sua reazione. Aveva anche gli occhi lucidi mentre mi
sorrideva timidamente. “Mi hai appena reso l’uomo più felice di questo
aeroporto” disse sorridendomi, per poi tornare subito serio. “Non pensavo
davvero le cose che ti ho detto ieri sera” mi confessò “Nemmeno io” dissi.
“Perdonami” “No” ribattei “sono io a chiederti perdono” “Ora l’importante è
sapere cosa ne pensa tua zia” disse lui alzando gli occhi dal mio viso e
posandoli su quello di mia zia, che durante il nostro discorso si era alzata in
piedi.
“Da questo dovrei dedurre che è stata tutta una congiura
contro di me?
“No, zia, non dire così. Se me lo chiedessi io partirei lo
stesso con te. Ti voglio bene, ma …” Hisashi mi strinse leggermente le mani per
infondermi coraggio, ma non ce ne fu bisogno…
“Mi prometti che le starai sempre accanto?”
mi chiese guardandomi diritto negli occhi. Non distolsi lo sguardo. “L’avrei
fatto anche se lei non me lo avesse chiesto” fu la mia risposta. “Bene” disse
rassicurata. Non commetterò lo stesso errore che ho fatto con tuo padre” disse
spostando il suo sguardo da me a Keiko “Lascerò che tu viva la tua vita senza
interferire. Vorrei solo che ti ricordassi che hai una zia che ci sarà sempre
per aiutarti” Ora anche i suoi occhi erano lucidi e la sua voce era rotta,
anche se era evidente lo sforzo che faceva per non piangere. Keiko mi lasciò la
mano per abbracciarla stretta a sé. “No, zia. Non ti dimenticherò” le disse
sorridendo.
***
Mi trasferii a casa dei genitori di Hisashi quella sera
stessa. E dopo nemmeno una settimana anche lui ci raggiunse. Io e sua madre
andavamo perfettamente d’accordo e con suo padre c’era un mutuo rispetto reciproco.
Mi cercai anche un lavoro, non volevo fare il parassita. Di quello che
guadagnavo una parte li avrei messi via per gli studi ed il resto lo avrei dato
ai signori Mitsui. Come era nei miei progetti fin dal’’inizio.
Alla fine anch’io riuscii a diplomarmi!
Eravamo alla fine di aprile e i ciliegi si
stavano ricoprendo di fiori profumati.
Lei era diplomata da appena una settimana.
I raggi del sole ormai al tramonto si
rifrangevano sulla stella della sua collanina. Ricordavo perfettamente di come
gliela diedi. Mentre brindavamo la sera dell’inizio ufficiale della nostra
storia, immersadentro il suo bicchiere di champagne.
La osservavo rapito mentre si dondolava
pigramente sull’altalena. Nonostante fossero già due anni che stavamo insieme
rimanevo ancora colpito da lei, da ciò che emanava. Tranquillità, felicità…
Da quel giorno all’aeroporto le nostre vite
si erano traformate radicalmente. In meglio. Potevamo affermare con certezza
che non eravamo più anime nel buio, ma anime che nel buio si erano incontrate
dando vita alla luce: il nostro amore.
I suoi capelli si muovevano a tempo con il
cigolio di quel ferro arrugginito. Mi sembrò il momento più adatto. Mi misi di
fronte a lei e nel parchetto deserto, davanti alla casa dove vivevamo con i
miei già da due anni, le chiesi di sposarmi. Lei fermò l’altalena. Alzò il viso
verso di me ed i suoi occhi color giada si fusero con i miei. Mi sorrise
alzandosi in piedi. Coprì in pochi istanti la distanza che ci separava e sulle
mie labbra, prima di baciarmi, disse solo “Sì, Hisashi”.
OWARI