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Autore: SereILU    27/02/2012    9 recensioni
[Sebastian/Thad | Slash | Hurt/Confort]
Piccola premessa: Sebastian mi ha conquistata completamente, nel vero senso della parola. Dopo la 3x14 e il suo discorso su Dave e tutto il resto, mi ha davvero riempito il cuore.
Perciò in questa storia ho solo cercato di immaginare il perché del suo cambiamento.
Cosa c'è nel suo passato?
Riuscirà Thad, con la sua dolcezza, a scoprirlo?
*
Gli occhi verdi di Sebastian erano chiari e limpidi, quasi come se per una volta stesse permettendo, forse inconsciamente, al suo compagno di stanza di guardarci dentro e scoprire qualcosa di lui.
E quello che Thad ci vide era orribile.
Sebastian sembrava intrappolato in qualche ricordo che lui non poteva vedere, qualcosa di così spaventoso da bloccargli il respiro e fargli tremare il cuore. Qualcosa che in quell’istante l’aveva incatenato lì, su quel letto, e che non sembrava volerlo lasciar andare.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sebastian Smythe, Thad Harwood, Warblers/Usignoli | Coppie: Sebastian/Thad
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'The Love me series'
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Titolo: Talk to me.
Personaggi: Sebastian Smythe/ Thad Harwood
Genere: Romantico, Introspettivo
Rating: Verde
Avvertimenti: Angst, Fluff, Slash
Parole: 4818 (secondo Word)
Nda: davvero poco da dire, Sebastian mi ha conquistata. Amen. E Thad è la personificazione della dolcezza.
Diciamo che l’idea per questa storia è nata dopo aver visto la 3x14, soprattutto dopo la discussione al Lima Bean tra Seb e gli altri quattro. Io l’ho assolutamente adorato: ho amato le sue espressioni e il suo discorso prettamente da american movie, ma chissene. L’ho amato e perciò ho cercato di immaginare come mai quello che è successo a Dave lo abbia scosso tanto.
Come sempre, I hope you like it.

 

A Thalia
Perché a volte mi fa paura il modo in cui siamo connesse XD

 

 

Talk to me.
Please.

 

 

Quel pomeriggio, la Dalton era, se possibile, appena più tranquilla del normale. Complice il fatto che fosse domenica e che la maggior parte degli studenti avesse deciso di sfruttare quel finesettimana per passare le prime giornate di sole primaverile con le proprie famiglie, la scuola era semi vuota.

Thad, benché avesse tanto preferito potersene tornare a casa, era stato costretto invece a rinunciare alla possibilità, visto che i suoi genitori avevano scelto proprio quella domenica per un viaggio d’affari.

Per questo, con un’espressione depressa sul viso, girovagava sospirando per i corridoi deserti della Dalton. Il silenzio gli piaceva, quasi quanto gli piaceva la musica, ma, dopo le notizie ricevute da Blaine, avrebbe tanto voluto essere circondato dal centinaia di voci e non pensare più.

Non seppe di preciso quando le sue gambe avevano preso il comando dei suoi movimenti, ma pochi minuti dopo si ritrovò a fissare la porta di legno scuro della propria stanza senza ricordare di aver mai attraversato il corridoio.

Con un sospiro si arrese al fatto che in quel momento il suo cervello si era ormai scollegato del tutto, e abbassò la maniglia.

Entrò lentamente; la prima cosa che lo colpì fu l’oscurità – eppure era convinto di aver aperto le tende prima di andare a pranzo. La seconda cosa che notò, invece, fu il suo compagno di stanza, Sebastian Smythe, seduto sul suo letto con le braccia strette intorno alle ginocchia. Se ne stava ingobbito, appoggiato alla parete, con la testa bassa e il viso nascosto.

Thad lo fissò per qualche secondo, leggermente sorpreso da quella postura che così poco si adattava a una persona come Sebastian. In quell’istante si accorse anche che il ragazzo sembrava tremare leggermente.

Smythe?” si arrischiò a chiedere, facendo qualche passo nella stanza.

L’altro non gli rispose e non dette altro segno di averlo sentito se non una specie di sospiro tremolante.

Thad alzò un sopracciglio, perplesso e ora leggermente preoccupato. Non che Sebastian gli stesse particolarmente simpatico, anzi, aveva passato settimane a maledire il Karma perché glielo avevano assegnato come compagno di stanza, ma il suo comportamento era troppo strano e sbagliato.

Smythe...” ripeté. “Va tutto bene?”

Sebastian, di nuovo, si limitò a lasciarsi sfuggire un sospiro.

Thad, sicuro che si sarebbe maledetto per anni per quel gesto, si fece coraggio e si sedette sul letto di Sebastian, mantenendo comunque una certa distanza da lui. Riusciva ad avvertire una strana tensione, molto diversa da quella strana atmosfera sessuale che sembrava emanare di solito dal ragazzo.

Sì, c’era decisamente qualcosa che non andava.

In quel momento Sebastian alzò lo sguardo e lo fissò su Thad.

Lui trattenne il fiato: non era assolutamente preparato all’espressione che trovò sul suo viso. In quella smorfia c’era un connubio di emozioni che mandò brividi lungo la schiena di Thad, che si ritrovò a pensare come fosse possibile che una sola persona potesse contenerle tutte senza scoppiare.

Gli occhi verdi di Sebastian erano chiari e limpidi, quasi come se per una volta stesse permettendo, forse inconsciamente, al suo compagno di stanza di guardarci dentro e scoprire qualcosa di lui.

E quello che Thad ci vide era orribile.

Sebastian sembrava intrappolato in qualche ricordo che lui non poteva vedere, qualcosa di così spaventoso da bloccargli il respiro e fargli tremare il cuore. Qualcosa che in quell’istante l’aveva incatenato lì, su quel letto, e che non sembrava volerlo lasciar andare.

Dietro a quelle pupille ridotte a due capocchie di spillo, Thad quasi annegò in quel dolore, troppo forte persino per poter essere osservato. Distolse lo sguardo per qualche secondo prima di riuscire a posarlo di nuovo sul viso di Sebastian.

Smythe... che cosa...?”

Sebastian sbatté le palpebre e sembrò che finalmente riuscisse a mettere a fuoco ciò che aveva davanti, scappando da quel ricordo che sembrava volerlo soffocare.

Harwood...” mormorò, come se si fosse reso conto solo in quel momento che Thad era lì.

“Sì, sono io” rispose lui, ora più tranquillo, visto che Sebastian aveva parlato. “Che cos’hai?”

Sebastian chiuse gli occhi, prese un respiro profondo e lasciò andare le ginocchia poggiando la testa contro il muro alle sue spalle. Tentò di respirare normalmente, e sembrò anche riuscire a riprendere il controllo del proprio corpo, che aveva quasi smesso di tremare.

Thad attese in silenzio; non sapeva nemmeno lui perché si ostinasse a rimanere lì, con quel ragazzo che sembrava a malapena considerarlo un essere umano, almeno quando gli capitava di trovarlo sveglio o in giro per i corridoi. Sta di fatto che quello che vedeva lo teneva incollato lì, nella speranza che parlasse di nuovo.

“Niente, Harwood” rispose finalmente Sebastian, riaprendo gli occhi e guardandolo. “Sto bene.”

Thad alzò un sopracciglio. “Smythe, non prendermi per un idiota ti prego, non sembri proprio uno che sta bene.”

Lui alzò gli occhi al cielo, probabilmente nel tentativo di indossare di nuovo quella maschera di sfrontata indifferenza che vestiva di solito. Fallì.

“Sto benissimo” ripeté, la voce leggermente più acuta del normale.

Thad sospirò. “Stronzate” disse.

Sebastian affilò lo sguardo. “Cosa vuoi, Harwood?” sbottò.

“Volevo essere gentile” rispose lui nello stesso tono.

Sebastian sbuffò e tentò un ghigno. “Oh, certo. Fai la parte del bravo ragazzo, come sempre.”

Thad non se la prese nemmeno, ormai troppo abituato a quella battuta. “E tu invece fai la parte di quello cattivo, non è vero?”

L’altro sobbalzò impercettibilmente, ma non si scompose. “Io non interpreto nessuna parte, Harwood.”

Stavolta Thad rise. “Smythe, questa volta l’hai sparata grossa. Apri la finestra, ti prego... falla uscire.”

“Senti Harwood, se devi restare qui a rompere le palle puoi anche andartene, non sono dell’umore.”

Thad rimase in silenzio alcuni secondi, indeciso su quale delle tante rispose che aveva in testa fosse la migliore. Poi la sua curiosità ebbe la meglio.

“A cosa stavi pensando prima?” chiese a bruciapelo.

Sebastian sbatté le palpebre, sorpreso da quella domanda.

“Non credo che siano affari tuoi, no?” ribatté.

L’altro annuì. “Sì, hai ragione” concesse. “Ma credo davvero che tu debba sputare tutto fuori, Smythe. Sembrava quasi che il dolore ti stesse squarciando il cuore.”

Non sapeva nemmeno lui perché avesse detto quelle parole. Jeff gli diceva sempre che era troppo buono ed era una frana a dire bugie o a prendere posizione sulle cose. Probabilmente il fatto che un ragazzo stesse male, anche se si parlava di Sebastian Smythe, lo aveva ammorbidito ancora di più.

Sebastian lo guardò come se avesse appena detto un’eresia, poi scoppiò a ridere, una risata fredda che non si estese ai suoi occhi verdi.

“Mi stai dando consigli di vita, Harwood?”

“No” Thad scosse la testa con un’espressione preoccupata sul viso. “Non sono la persona adatta. Ma davvero, parlarne ti aiuterebbe.”

Sebastian si irrigidì. “Tu non hai idea di come io mi senta” sbottò senza riuscire a trattenersi.

“Infatti non ti ho detto di parlarne con me. Ci sarà qualcuno che sarà disposto ad ascoltarti no? I tuoi genitori, i tuoi amici...”

Un piccolo gemito sfuggì dalle labbra di Sebastian, che distolse lo sguardo. “Non parlare di cose che non conosci!” quasi urlò.

Thad sobbalzò appena al cambio di tono, ma non si scompose. Invece scelse di restare in silenzio e aspettare che l’altro si calmasse almeno un po’. Ci vollero parecchi minuti, ma poi avvertì il respiro di Sebastian rallentare e tornare ad un ritmo normale.

“Va meglio?” si arrischiò a chiedere.

Sebastian gli lanciò un’occhiataccia e annuì.

“Sono ancora convinto che non siano affari tuoi e che, soprattutto, tu non dovresti essere seduto qui sul mio letto.”

Thad sorrise appena. “E da quando a me interesserebbe la sua opinione?”

Sebastian sbuffò.

“Perché hai scelto proprio oggi per fare il sostenuto?” chiese.

Thad si strinse nelle spalle. “Non lo so, immagino che la notizia di stamattina mi abbia lasciato un po’ scombussolato” ammise.

Sebastian rabbrividì e impallidì all’improvviso. A Thad non sfuggì quel dettaglio.

“Aspetta... era per questo...?”

Complimenti per il tatto, Harwood.

Sebastian deglutì e si strinse le braccia attorno al petto, evitando il suo sguardo. L’altro sbatté le palpebre un paio di volte, si mosse lentamente sulle coperte e andò a sedersi contro il muro, la spalla che sfiorava leggermente quella del suo compagno di stanza.

“Allora?”

“Sì!” sbottò Sebastian afferrandosi i capelli con le mani e facendo una smorfia. “Sei contento, ora?”

Thad rabbrividì per l’intensa emozione che sentiva provenire da lui, ma non si arrese.

“Eri...” si schiarì la voce. “Lo conoscevi?”

Sebastian annuì.

“E voi... voglio dire... tu...”

“Se mi stai chiedendo se me lo sono portato a letto, la risposta è no, Harwood.”

Thad annuì brevemente. “Oh... okay.”

Sebastian aveva ripreso a tremare e il suo respiro era di nuovo accelerato.

L’altro lo osservò con attenzione. Osservò l’espressione tesa, le labbra piegate verso il basso, gli occhi stretti, le spalle curve. Giunse alla conclusione che dovevano essere molto vicini e che probabilmente la reazione di Sebastian era assolutamente giustificata.

“Si riprenderà, comunque” continuò sicuro.

Contro ogni sua previsione, però, le sue parole non sembrarono sortire l’effetto desiderato su Sebastian, anzi.

Lo vide ricominciare a tremare e stringere tra i denti il labbro inferiore, come a volersi impedire di piangere. Vide i suoi occhi aprirsi, perfino più lucidi di prima, e perdersi di nuovo in un ricordo che Thad non poteva vedere. E non seppe perché, ma gli venne naturale passargli un braccio intorno alle spalle, perché in quel momento Sebastian Smythe era solo un ragazzo in cerca di un appiglio.

E quando lo fece, si sentì estremamente sollevato quando l’altro non si allontanò da lui ma gli si avvicinò di più, facendo toccare le loro spalle.

E lì Sebastian iniziò a piangere.

Thad rabbrividì quando le prime lacrime cominciarono a solcare lentamente le guance di Sebastian. Era una scena così sbagliata, così... contro natura quasi, che si sentì mancare il respiro per quel dolore che quelle gocce salate sembravano portare con loro.

Nessuno dei due contò i secondi, i minuti, o le ore che passarono in quella posizione, in silenzio, l’unico suono quello del respiro soffocato di Sebastian mentre tentava in vano di fermare le lacrime, i ricordi, la sua debolezza.

Alla fine sembrò riuscire a calmarsi.

Smythe...” tentò Thad.

Sebastian non rispose, preferendo rimanere in silenzio, non fidandosi della propria voce.

“Parlami...”

“Parlami! Ti prego!”
“Non ho nulla da dirti.”
“Parlami...”

E fu in quell’istante che Sebastian sentì qualcosa rompersi dentro di lui, forse il suo cuore, forse il suo corpo, forse solo se stesso. Si ritrovò aggrappato a Thad, senza sapere come, senza sapere il perché, e a singhiozzare disperato contro il suo petto, mentre quelle maledette immagini, quelle voci, gli riempivano la testa.

Thad non sapeva cosa fare: si sarebbe aspettato di tutto, ma non queleddhuwioquello. Non da Sebastian Smythe. Lasciò comunque che si sfogasse, troppo intimorito anche solo per muoversi, mentre la sua mano giaceva immobile appoggiata su quella spalla scossa dai tremiti.

“Non ce la faccio...”

La voce di Sebastian era arrivata attutita alle sue orecchie, ma solo il fatto che avesse parlato era stato un sollievo.

“A fare cosa?” chiese Thad.

Sebastian tirò su col naso, ma non si mosse. “A dimenticare...”

Thad non capiva. Evidentemente Sebastian non stava parlando di Karofsky, questo era ovvio, ma allora cosa gli stava mostrando la propria memoria? Di chi erano quelle voci che sembravano riempirgli la mente e distruggergli il cuore?

“Vuoi parlarne?” si arrischiò a chiedere, certo di un suo rifiuto.

Prima di rispondere, Sebastian aspettò di avere di nuovo almeno un po’ di controllo sul proprio corpo, e tornò ad appoggiarsi al muro, senza però allontanarsi dall’altro.

Poi annuì lentamente. “Sì” sussurrò.

Thad sospirò di sollievo. “Va bene, sono qui, ti ascolto” mormorò.

Sebastian prese un respiro profondo e cominciò a raccontare.

*

‘È successo lo scorso anno, prima che decidessi di trasferirmi alla Dalton, o meglio, che pregassi i miei di mandarmi qui. Carter era il mio migliore amico... ci conoscevamo da anni ormai ed eravamo diventati praticamente inseparabili.

Quando decisi di fare coming out lui fu il primo a saperlo. A dire la verità mi disse che aspettava che glielo confidassi da mesi, ormai, visto che il suo istinto non aveva mai sbagliato ed era praticamente sicuro che fossi gay. In quell’istante tutte le mie paure scomparvero, perché qualunque cosa fosse successa, sapevo che lui sarebbe rimasto con me.

E poi, il mondo mi crollò addosso quando lo dissi ai  miei genitori. Non mi capirono. Dissero che mi serviva tempo, che probabilmente non avevo ancora trovato la ragazza giusta... insomma, questo genere di cazzate. Decisi allora che non ero pronto per dichiararmi davanti a tutti, a scuola. Decisi di stare zitto.

Carter mi rimase sempre accanto, naturalmente. Mi consolò, aspettando pazientemente che smettessi di urlare, di piangere, di prendere a pugni il muro. Era il mio migliore amico, e sapeva come mi sentivo. Non so ancora quante volte io mi sia addormentato in lacrime sul suo cuscino.

Cominciai a provare qualcosa per lui. Molto lentamente mi accorsi di avere bisogno che lui mi stesse fisicamente accanto, perché sentivo che era l’unico davvero in grado di capirmi. E glielo confessai.

Prima che mi rispondesse passarono diversi giorni, ma quello che mi disse mi lasciò senza fiato e con le lacrime agli occhi per la gioia. Carter accettò di uscire con me, e non solo come amici. Provai a chiedergli se ne fosse sicuro, se questo non fosse troppo per lui o per la nostra amicizia. Quello che lessi nei suoi occhi mi convinse che no, non era troppo.

Uscimmo insieme, una, due, tre volte. E più io mi innamoravo, più lui sembrava perfetto. I suoi riccioli scuri sembravano perfetti tra le mie mani, il suoi occhi chiari erano la cosa più bella che avessi mai visto. Mi accorsi di amarlo.

Poi ci scoprirono.

*

Sebastian si interruppe. Thad tirò su col naso: non aveva mai sentito così tante emozioni contrastanti nella voce di qualcuno, soprattutto di uno come il suo compagno di stanza. Eppure era tutto lì, davanti a lui. La disperazione, la speranza, la tristezza.

“Cos’è successo?” chiese, con un filo di voce.

Sebastian lo guardò, aggrappandosi a quei tristi occhi castani, poi continuò.

*

Fu lui ad avere la peggio. Era il capitano della squadra di football, il ragazzo più popolare della scuola. Perse tutto. Io venivo preso di mira, ma non ero mai stato nessuno in quella scuola, lui invece sì.

Cominciarono con i nomignoli, le spinte contro gli armadietti, le scritte nei bagni. Il solito cliché dei film, insomma. Solo che quella era la realtà, e Carter ci stava annegando dentro. E io non feci niente. Niente!

La paura mi impediva persino di tornare a guardarlo negli occhi, perché cazzo, era tutta colpa mia se lui stava vivendo un incubo.

Quando i suoi genitori lo vennero a sapere, lo vidi sprofondare ancora di più. Suo padre lo picchiò, sua madre smise di parlargli. Era stata una reazione così... orribile, che in confronto i miei erano stati angeli con me.

Carter venne a cercarmi. Nonostante tutto non riusciva a smettere di volermi bene, ma io non potevo permettermi di cedere, non potevo continuare ad essere la causa del suo inferno personale. Lo ignorai. Continuai a ignorarlo per mesi, finché un giorno non mi costrinse ad ascoltarlo.

“Parlami! Ti prego!”

“Non ho nulla da dirti.”

“Parlami...”

“No.”

“Erano tutte cazzate, Seb?”

“Di cosa stai parlando?”

“Di noi. Era tutta una cazzata?”

“Io... Io non voglio parlarne. Non voglio parlare con te.”

“Perché?”

Non gli risposi, corsi via. Non volevo che sapesse come mi sentivo, non volevo leggere l’accusa nei suoi occhi. Era tutta colpa mia, e non avevo il coraggio di portarne il peso. All’odio, preferivo il nulla.

 Ma non capii che senza di me non aveva più nessuno. Né la sua famiglia, né i suoi amici.

Nessuno.

Successe durante le vacanze di primavera. Era il tramonto, lo ricordo come fosse ieri. Mi mandò un messaggio.

Addio. Perdonami. Ti amo.

Non capii subito cosa volesse dire. Nella mia mente non c’era più nulla, erano settimane che andavo avanti solo per non restarmene tutto il giorno sdraiato sotto le coperte. Poi la verità mi colpì e fui colto da una nausea che non aveva nulla a che fare con quello che avevo mangiato.

Presi la bici e pedalai come mai avevo fatto fino a casa sua.

I suoi genitori non c’erano, erano andati a una cena, o una cazzata del genere.

Fui io a trovarlo.

Era troppo tardi.’

*

Sebastian terminò il suo racconto con gli occhi asciutti, il suo dolore ora sembrava andare oltre le lacrime. Thad, invece lasciava che quelle scivolassero leggere sulle sue guance senza neanche prendersi il disturbo di asciugarle.

“Mi ripromisi che non ci sarei più cascato” continuò Sebastian in un sussurro, lo sguardo fisso sulla parete davanti a lui. “Mi dissi che non avrei più dovuto aprirmi con nessuno, perché altrimenti non avrei fatto altro che fargli del male.”

Thad non rispose, certo che ci fosse dell’altro.

“Poi ho incontrato Blaine” mormorò infatti Sebastian. “E lui ha distrutto ogni mia risoluzione. Nell’attimo in cui l’ho visto, Carter è tornato a riempirmi la mente, con i suoi capelli ricci e le sue labbra sorridenti. Si somigliano così tanto. Credevo che questa fosse la volta giusta, perché, cazzo, Blaine è così... perfetto...”

Thad ridacchiò appena ripensando a quando anche lui aveva avuto una cotta per il suo ex compagno di scuola.

Sebastian non se ne accorse. “E invece sono riuscito a mandare tutto a puttane, un’altra volta. Gli ho fatto del male, e solo per le mie stupide manie e le mie fissazioni.”

Thad non poté evitare di annuire. Dopotutto era vero, perché negarlo?

“E con Dave mi sono comportato da completo imbecille. L’ho buttato giù, non gli ho dato alcuna speranza. Non gli ho mai detto che forse le cose sarebbero potute andare bene se si fosse dichiarato... e col senno di poi, avevo ragione. Ma questo non cambia le cose.”

Rimasero in silenzio per qualche altro minuto, mentre il respiro di entrambi rallentava e il sole scendeva lentamente dietro le tende chiuse.

E poi Thad fece una cosa che sorprese anche lui. Si spostò appena e abbracciò Sebastian. Perché ne aveva bisogno, perché lui ne aveva bisogno, perché finalmente aveva fatto cadere tutte quelle maschere e si era lasciato andare, scoprendo così un ragazzo come gli altri, con pregi, difetti e paure.

Sebastian si irrigidì subito quando sentì le braccia dell’altro stringerlo e il suo viso contro la sua spalla, eppure non riuscì ad allontanarlo. Non ci provò neanche. Rispose all’abbraccio, timido e impacciato, chiudendo gli occhi quando avvertì i capelli di Thad sfiorargli la fronte.

“Va meglio?” sussurrò Thad quando lo lasciò andare.

Sebastian sospirò e ci pensò su per qualche secondo. “Sì” rispose poi.

L’altro sorrise. Una volta tanto ne aveva fatta una giusta.

Per un attimo non fecero altro che guardarsi negli occhi, senza parlare, solo respirando e lasciando che parole non dette scorressero tra di loro. Poi, entrambi distolsero lo sguardo.

“Perché l’hai fatto, Harwood?”

“Cosa?” Thad era perplesso.

“Questo” disse Sebastian. “Perché sei rimasto qui?”

Thad si strinse nelle spalle. “Ho pensato che potessi avere bisogno di qualcuno con cui parlare.”

“Perché?”

“Perché sei un essere umano, Smythe, per quanto tu voglia farci credere il contrario.”

Sebastian rimase in silenzio.

“Ma perché?”

Thad sbuffò.

“Ti ricordo che al mondo ci sono persone che agiscono senza secondi fini, anche verso ragazzi che li trattano come se fossero utili solo a pulirgli le scarpe.”

Non voleva sbottare in quel modo, ma il fatto che Sebastian credesse che al mondo esistesse solo gente cattiva non andava bene. Thad non avrebbe mai voluto vedere nessuno nelle condizioni in cui aveva trovato il suo compagno di stanza.

Sebastian arrossì e non rispose. Thad riprese fiato e si calmò.

“Ascolta, Smythe. So come ti senti, okay? Ma devi smetterla di comportarti come se non te ne fregasse niente del mondo intero. Mi hai appena dimostrato che puoi essere meglio di così.”

A quelle parole Sebastian alzò lo sguardo e incrociò gli occhi di Thad. Non lo stava prendendo in giro, credeva davvero in quello che aveva detto?

“Dici sul serio?”

Thad sorrise all’incredulità che vide sul viso di Sebastian.

“Certo” rispose, convinto.

In quell’istante anche Sebastian sorrise. Ma fu un sorriso vero, non i soliti ghigni a cui tutti erano abituati. E Thad avvertì il suo cuore perdere un battito, perché, maledizione, Sebastian con quel sorriso era... bello. Non c’erano altre parole per descriverlo. Bello.

Cercò di scacciare subito quel pensiero, fallendo miseramente.

“Sebastian...” disse prima di riuscire a trattenersi.

L’altro sobbalzò a quella parola, e sollevò un sopracciglio, sorpreso.

“Sì?”

“Posso abbracciarti di nuovo?”

Bravo, Harwood. Complimenti. Molto creativo.

Sebastian ridacchiò appena, poi annuì. Thad cercò di trattenersi, ma non ci riuscì, e l’entusiasmo con cui si buttò tra le braccia di Sebastian non sfuggì al ragazzo. Quando Thad sentì l’abbraccio stringersi intorno alla sua schiena si lasciò sfuggire un sospiro.

“Mi hai chiamato per nome...” disse Sebastian all’improvviso.

Cazzo.

“L’ho fatto?” mormorò Thad, fingendo indifferenza.

“Già” commentò Sebastian, decidendo di stare al suo gioco.

“Io...” Thad cercò di allontanarsi da quell’abbraccio, improvvisamente imbarazzato.

Sebastian scoppiò a ridere e non lo lasciò andare.

“Perché vuoi scappare, Thad?”

Lui si bloccò, immobile ora, spaventato anche solo all’idea di alzare gli occhi su Sebastian. Perché non se n’era stato zitto? Era stato proprio un idiota.

“Non mi avevi mai chiamato Sebastian.”

Thad deglutì. Era vero. Non che avessero parlato chissà quanto in quei mesi, ma si erano sempre chiamati per cognome, forse per sottolineare il fatto che non erano amici, non lo sarebbero mai stati e che l’unico motivo per il quale erano costretti a parlare era che dovevano condividere la stanza.

“E tu non mi avevi mai chiamato Thad.”

Rimasero in silenzio per qualche altro secondo, poi Sebastian sciolse l’abbraccio. Thad si rialzò con un sospiro, un po’ sollevato e un po’ irritato dal fatto di doversi allontanare da lui. Altre parole corsero tra i loro sguardi prima che entrambi, per qualche ragione sconosciuta, scoppiassero a ridere.

Quando smisero, Thad si passò una mano tra i capelli.

“Perché ti nascondi, Sebastian?”

L’altro rabbrividì appena. “Perché non voglio essere debole” rispose subito.

“Essere se stessi non significa per forza essere deboli” commentò Thad.

Sebastian si strinse nelle spalle e non rispose.

“Che ne dici di ricominciare da zero?” continuò Thad.

Sebastian lo guardò sorpreso. “Come?”

Thad sorrise e si alzò in piedi, trascinandolo con sé. Poi tese la mano destra.

“Piacere” disse. “Mi chiamo Thad Harwood. Puoi chiamarmi Thad.”

Sebastian sbatté le palpebre per qualche secondo prima di ridacchiare e stringergli la mano.

“Sebastian Smythe” disse. “Ma tu puoi chiamarmi Sebastian.”

 

*o*o*

 

Thad si sedette davanti a lui, sulla sedia lasciata libera da Santana.

“Com’è andata?” chiese, avvicinandosi leggermente al piccolo tavolo di legno.

Sebastian si lasciò andare ad un sospiro tremolante.

“Mi hanno creduto per fortuna...”

Thad gli sorrise dolcemente. “Stai tranquillo, andrà tutto bene.”

Sebastian si strinse nelle spalle e allungò la mano sulla superficie liscia per stringerla nervosamente intorno a quella di Thad.

“Lo spero...”

 

*o*o*

 

 

“Hey...”

Thad aveva appena raggiunto il centro della stanza quando avvertì le braccia di Sebastian avvolgerlo da dietro e stringerlo contro il suo petto.

Sebastian sospirò poggiando il mento sulla sua spalla e stringendo la presa.

“Tutto bene?” mormorò Thad sfiorando la guancia dell’altro con la sua.

Sebastian annuì e lo lasciò andare.

“Sì, scusa... sono un po’...”

“Sopraffatto?”

“Esatto.”

Thad sorrise e si sedette sul suo letto, facendo segno a Sebastian di sedersi accanto a lui.

Sebastian ghignò appena e gettò sul letto di peso, afferrando il cuscino e stringendolo a sé, ignorando completamente l’altro ragazzo.

“Perché stai cercando di pomiciare con mio cuscino?” chiese Thad senza riuscire a trattenersi. Poi arrossì mentre strane immagini gli annebbiavano la mente.

“Perché ha un buon profumo” rispose Sebastian chiudendo gli occhi.

Thad sbuffò.

“Oh certo...”

In quell’istante Sebastian si tirò su a sedere e si voltò verso Thad. Lo guardò un attimo negli occhi, pensieroso, poi abbassò lo sguardo e, avvicinandosi ancora, andò a sfiorare con il naso la pelle del suo collo.

“Qui è ancora meglio...” mormorò.

Thad trattenne il fiato. Tutto ciò non era naturale. Non andava bene... non riusciva proprio a far coincidere la sua idea di Sebastian con quella sua nuova personalità. Poi si rese conto che Sebastian stava sorridendo e capì: lo stava provocando.

Smythe...” riuscì a sussurrare mentre l’altro muoveva leggermente le labbra contro il suo pomo d’Adamo.

“Siamo ritornati ai cognomi?”

Sì, lo stava decisamente provocando.

Thad deglutì ma non rispose, e la sua reazione fece scoppiare a ridere Sebastian, che si allontanò appena per guardarlo negli occhi.

“A cosa stai pensando, Harwood?”

Thad deglutì di nuovo e si schiarì la gola. Ogni volta che quel ragazzo lo guardava così il suo cervello si spegneva. E pensare che fino a pochi giorni prima evitava perfino di parlarci. Jeff aveva ragione, era proprio senza speranze.

“Se mi guardi così, Smythe, non riesco a pensare proprio a niente...”

Sebastian sbatté le palpebre a quella risposta, poi si aprì in un sorriso. “Davvero?”

Thad si sentì arrossire e si maledì per essere così ovvio e soprattutto perché non era riuscito a rimanersene zitto. Ma tanto era incapace di dire bugie, quindi si sarebbe tradito lo stesso in un modo o nell’altro.

Sebastian non distolse lo sguardo e rimase in silenzio, aspettando una sua reazione, a gesti o a parole.

“E va bene, Sebastian” sbottò alla fine Thad. “Sarò sincero. Se continui a guardarmi così potrei non rispondere più delle mie azioni.”

Cazzo. L’aveva detto. Perché non si era cucito la bocca? Complimenti, Harwood.

Sebastian sbatté le palpebre, mentre nei suoi occhi si accendeva una nuova fiammella. Senza attendere oltre si avvicinò quel tanto che bastava perché le loro labbra si sfiorassero, sperando con tutto il cuore che Thad non si ritraesse.

“E cosa potresti fare?” sussurrò.

Thad deglutì. “Io...”

“Sì?”

“Oh, al diavolo!” e con quelle parole, Thad annullò la distanza che c’era tra i due e lo baciò.

Sentì subito le mani di Sebastian chiudersi a coppa sul suo viso, mentre le loro bocche, ancora sconosciute, si sfioravano leggere, timide quasi.

Ma per Sebastian non era abbastanza. Con un sospiro fece scivolare la punta della lingua contro le labbra di Thad, come a chiedergli il permesso. Thad sentì un brivido corrergli lungo la schiena alla dolcezza di quel gesto, che mai avrebbe pensato potesse appartenere a uno come Sebastian.

E quando le loro lingue si sfiorarono, tutto sembrò andare a posto. Nel cuore di Thad e in quello di Sebastian. Non si era reso conto di quanto gli fosse mancato un contatto simile, di quanto ne avesse bisogno, perché Thad non era come i soliti ragazzi che incontrava allo Scandals o negli altri locali in cui andava.

Thad non cercava una birra e sesso a buon mercato. Cercava una persona a cui voler bene, a cui aggrapparsi nelle difficoltà. Per un istante Sebastian si chiese se fosse all’altezza.

Quando il bisogno di respirare divenne troppo forse si separarono e riaprirono gli occhi. Si guardarono per un momento che parve infinito, finché Sebastian non diede voce ai suoi dubbi.

Thad, io...” si schiarì la voce che dopo il bacio era diventata improvvisamente più roca. “Io non volevo... cioè... se tu...”

Thad alzò un sopracciglio.

“Se io cosa?”

Sebastian sospirò.

“Non so se sono io quello di cui tu hai bisogno...”

L’altro lo fissò senza capire. Come poteva dire una cosa del genere? Come poteva anche solo pensarla? Poi Sebastian si alzò e cominciò a fare avanti e indietro per la stanza, nervoso.

“Io non sono così” disse, guardando ovunque tranne che verso il letto. “Voglio dire... sì, sono così, ma ho ancora tanto da lavorare. Cioè, tu mi conosci, cazzo. Sono un imbecille che vuole stare al centro dell’attenzione, che non guarda in faccia a nessuno per ottenere ciò che vuole, che...”

Thad si era alzato e l’aveva raggiunto, posandogli due dita sulle labbra per farlo stare zitto. Sebastian si limitò a sbattere le palpebre, sorpreso.

“Cosa vuoi, Sebastian?” chiese.

Lui lo fissò senza capire. Thad sospirò e ci riprovò.

“Cos’è che vuoi adesso?”

Sebastian si perse per un secondo nei suoi grandi occhi scuri, mentre una sola e semplice parola si formava nella sua testa. Oh.

Thad ritrasse le dita ma non si allontanò, aspettando una risposta. Sebastian, invece sollevò una mano e la posò sulla sua guancia, mentre un altro tassello del puzzle andava al suo posto.

“Te” sussurrò, colpito dalla verità di quello che stava dicendo.

Thad rabbrividì, ma si riprese subito. “Cosa?”

“Voglio te” ripeté Sebastian mentre un sorriso nasceva sulle sue labbra.

Anche Thad sorrise, mentre sentiva uno strano calore salire sul suo viso e colorargli le guance.

“E allora dov’è il problema?” sussurrò facendo un passo avanti.

Sebastian spostò la mano tra i suoi capelli, mentre abbassava lo sguardo sulla sua bocca.

“Non c’è nessun problema...” mormorò mentre Thad si alzava sulle punte per baciarlo di nuovo.

 

 

 

 

Writer’s corner:

Ok, è finita. Niente di che, davvero, magari è anche piena di cliché, ma mi è piaciuto scriverla e ho assolutamente adorato quel Sebastian (non il mio eh, quello della 3x14), così ho solo cercato di psicanalizzarlo.
Come sempre critiche positive/costruttive sono sempre ben accette!

SereILU

 

   
 
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