Titolo:
Talk to me.
Personaggi: Sebastian Smythe/ Thad
Harwood
Genere: Romantico, Introspettivo
Rating: Verde
Avvertimenti: Angst, Fluff, Slash
Parole: 4818 (secondo Word)
Nda: davvero poco da dire, Sebastian mi ha
conquistata. Amen. E Thad è la personificazione della
dolcezza.
Diciamo che l’idea per questa storia è nata dopo aver visto la 3x14,
soprattutto dopo la discussione al Lima Bean tra Seb
e gli altri quattro. Io l’ho assolutamente adorato: ho amato le sue espressioni
e il suo discorso prettamente da american movie, ma chissene.
L’ho amato e perciò ho cercato di immaginare come mai quello che è successo a Dave lo abbia scosso tanto.
Come sempre, I hope you like it.
A Thalia
Perché a volte mi fa paura il modo in cui siamo connesse XD
Talk to
me.
Please.
Quel
pomeriggio, la Dalton era, se possibile, appena più tranquilla del normale.
Complice il fatto che fosse domenica e che la maggior parte degli studenti
avesse deciso di sfruttare quel finesettimana per passare le prime giornate di
sole primaverile con le proprie famiglie, la scuola era semi vuota.
Thad, benché avesse tanto preferito potersene
tornare a casa, era stato costretto invece a rinunciare alla possibilità, visto
che i suoi genitori avevano scelto proprio quella domenica per un viaggio
d’affari.
Per
questo, con un’espressione depressa sul viso, girovagava sospirando per i
corridoi deserti della Dalton. Il silenzio gli piaceva, quasi quanto gli
piaceva la musica, ma, dopo le notizie ricevute da Blaine, avrebbe tanto voluto
essere circondato dal centinaia di voci e non pensare più.
Non
seppe di preciso quando le sue gambe avevano preso il comando dei suoi
movimenti, ma pochi minuti dopo si ritrovò a fissare la porta di legno scuro
della propria stanza senza ricordare di aver mai attraversato il corridoio.
Con
un sospiro si arrese al fatto che in quel momento il suo cervello si era ormai
scollegato del tutto, e abbassò la maniglia.
Entrò
lentamente; la prima cosa che lo colpì fu l’oscurità – eppure era convinto di
aver aperto le tende prima di andare a pranzo. La seconda cosa che notò,
invece, fu il suo compagno di stanza, Sebastian Smythe,
seduto sul suo letto con le braccia strette intorno alle ginocchia. Se ne stava
ingobbito, appoggiato alla parete, con la testa bassa e il viso nascosto.
Thad lo fissò per qualche secondo,
leggermente sorpreso da quella postura che così poco si adattava a una persona
come Sebastian. In quell’istante si accorse anche che il ragazzo sembrava
tremare leggermente.
“Smythe?” si arrischiò a chiedere, facendo qualche passo
nella stanza.
L’altro
non gli rispose e non dette altro segno di averlo sentito se non una specie di
sospiro tremolante.
Thad alzò un sopracciglio, perplesso e ora
leggermente preoccupato. Non che Sebastian gli stesse particolarmente
simpatico, anzi, aveva passato settimane a maledire il Karma perché glielo
avevano assegnato come compagno di stanza, ma il suo comportamento era troppo
strano e sbagliato.
“Smythe...” ripeté. “Va tutto bene?”
Sebastian,
di nuovo, si limitò a lasciarsi sfuggire un sospiro.
Thad, sicuro che si sarebbe maledetto per
anni per quel gesto, si fece coraggio e si sedette sul letto di Sebastian,
mantenendo comunque una certa distanza da lui. Riusciva ad avvertire una strana
tensione, molto diversa da quella strana atmosfera sessuale che sembrava
emanare di solito dal ragazzo.
Sì,
c’era decisamente qualcosa che non andava.
In
quel momento Sebastian alzò lo sguardo e lo fissò su Thad.
Lui
trattenne il fiato: non era assolutamente preparato all’espressione che trovò
sul suo viso. In quella smorfia c’era
un connubio di emozioni che mandò brividi lungo la schiena di Thad, che si ritrovò a pensare come fosse possibile che una
sola persona potesse contenerle tutte senza scoppiare.
Gli
occhi verdi di Sebastian erano chiari e limpidi, quasi come se per una volta
stesse permettendo, forse inconsciamente, al suo compagno di stanza di
guardarci dentro e scoprire qualcosa di lui.
E
quello che Thad ci vide era orribile.
Sebastian
sembrava intrappolato in qualche ricordo che lui non poteva vedere, qualcosa di
così spaventoso da bloccargli il respiro e fargli tremare il cuore. Qualcosa
che in quell’istante l’aveva incatenato lì, su quel letto, e che non sembrava
volerlo lasciar andare.
Dietro
a quelle pupille ridotte a due capocchie di spillo, Thad
quasi annegò in quel dolore, troppo forte persino per poter essere osservato.
Distolse lo sguardo per qualche secondo prima di riuscire a posarlo di nuovo
sul viso di Sebastian.
“Smythe... che cosa...?”
Sebastian
sbatté le palpebre e sembrò che finalmente riuscisse a mettere a fuoco ciò che
aveva davanti, scappando da quel ricordo che sembrava volerlo soffocare.
“Harwood...” mormorò, come se si fosse reso conto solo in
quel momento che Thad era lì.
“Sì,
sono io” rispose lui, ora più tranquillo, visto che Sebastian aveva parlato.
“Che cos’hai?”
Sebastian
chiuse gli occhi, prese un respiro profondo e lasciò andare le ginocchia
poggiando la testa contro il muro alle sue spalle. Tentò di respirare
normalmente, e sembrò anche riuscire a riprendere il controllo del proprio
corpo, che aveva quasi smesso di tremare.
Thad attese in silenzio; non sapeva nemmeno
lui perché si ostinasse a rimanere lì, con quel ragazzo che sembrava a malapena
considerarlo un essere umano, almeno quando gli capitava di trovarlo sveglio o
in giro per i corridoi. Sta di fatto che quello che vedeva lo teneva incollato
lì, nella speranza che parlasse di nuovo.
“Niente,
Harwood” rispose finalmente Sebastian, riaprendo gli
occhi e guardandolo. “Sto bene.”
Thad alzò un sopracciglio. “Smythe, non prendermi per un idiota ti prego, non sembri
proprio uno che sta bene.”
Lui
alzò gli occhi al cielo, probabilmente nel tentativo di indossare di nuovo
quella maschera di sfrontata indifferenza che vestiva di solito. Fallì.
“Sto
benissimo” ripeté, la voce leggermente più acuta del normale.
Thad sospirò. “Stronzate” disse.
Sebastian
affilò lo sguardo. “Cosa vuoi, Harwood?” sbottò.
“Volevo
essere gentile” rispose lui nello
stesso tono.
Sebastian
sbuffò e tentò un ghigno. “Oh, certo. Fai la parte del bravo ragazzo, come
sempre.”
Thad non se la prese nemmeno, ormai troppo
abituato a quella battuta. “E tu invece fai la parte di quello cattivo, non è
vero?”
L’altro
sobbalzò impercettibilmente, ma non si scompose. “Io non interpreto nessuna
parte, Harwood.”
Stavolta
Thad rise. “Smythe, questa
volta l’hai sparata grossa. Apri la finestra, ti prego... falla uscire.”
“Senti
Harwood, se devi restare qui a rompere le palle puoi
anche andartene, non sono dell’umore.”
Thad rimase in silenzio alcuni secondi,
indeciso su quale delle tante rispose che aveva in testa fosse la migliore. Poi
la sua curiosità ebbe la meglio.
“A
cosa stavi pensando prima?” chiese a bruciapelo.
Sebastian
sbatté le palpebre, sorpreso da quella domanda.
“Non
credo che siano affari tuoi, no?” ribatté.
L’altro
annuì. “Sì, hai ragione” concesse. “Ma credo davvero che tu debba sputare tutto
fuori, Smythe. Sembrava quasi che il dolore ti stesse
squarciando il cuore.”
Non
sapeva nemmeno lui perché avesse detto quelle parole. Jeff gli diceva sempre
che era troppo buono ed era una frana a dire bugie o a prendere posizione sulle
cose. Probabilmente il fatto che un ragazzo stesse male, anche se si parlava di
Sebastian Smythe, lo aveva ammorbidito ancora di più.
Sebastian
lo guardò come se avesse appena detto un’eresia, poi scoppiò a ridere, una
risata fredda che non si estese ai suoi occhi verdi.
“Mi
stai dando consigli di vita, Harwood?”
“No”
Thad scosse la testa con un’espressione preoccupata
sul viso. “Non sono la persona adatta. Ma davvero, parlarne ti aiuterebbe.”
Sebastian
si irrigidì. “Tu non hai idea di come io mi senta” sbottò senza riuscire a trattenersi.
“Infatti
non ti ho detto di parlarne con me. Ci
sarà qualcuno che sarà disposto ad ascoltarti no? I tuoi genitori, i tuoi
amici...”
Un
piccolo gemito sfuggì dalle labbra di Sebastian, che distolse lo sguardo. “Non
parlare di cose che non conosci!” quasi urlò.
Thad sobbalzò appena al cambio di tono, ma
non si scompose. Invece scelse di restare in silenzio e aspettare che l’altro
si calmasse almeno un po’. Ci vollero parecchi minuti, ma poi avvertì il
respiro di Sebastian rallentare e tornare ad un ritmo normale.
“Va
meglio?” si arrischiò a chiedere.
Sebastian
gli lanciò un’occhiataccia e annuì.
“Sono
ancora convinto che non siano affari tuoi e che, soprattutto, tu non dovresti
essere seduto qui sul mio letto.”
Thad sorrise appena. “E da quando a me
interesserebbe la sua opinione?”
Sebastian
sbuffò.
“Perché
hai scelto proprio oggi per fare il sostenuto?” chiese.
Thad si strinse nelle spalle. “Non lo so,
immagino che la notizia di stamattina mi abbia lasciato un po’ scombussolato”
ammise.
Sebastian
rabbrividì e impallidì all’improvviso. A Thad non
sfuggì quel dettaglio.
“Aspetta...
era per questo...?”
Complimenti per
il tatto, Harwood.
Sebastian
deglutì e si strinse le braccia attorno al petto, evitando il suo sguardo.
L’altro sbatté le palpebre un paio di volte, si mosse lentamente sulle coperte
e andò a sedersi contro il muro, la spalla che sfiorava leggermente quella del
suo compagno di stanza.
“Allora?”
“Sì!”
sbottò Sebastian afferrandosi i capelli con le mani e facendo una smorfia. “Sei
contento, ora?”
Thad rabbrividì per l’intensa emozione che
sentiva provenire da lui, ma non si arrese.
“Eri...”
si schiarì la voce. “Lo conoscevi?”
Sebastian
annuì.
“E
voi... voglio dire... tu...”
“Se
mi stai chiedendo se me lo sono portato a letto, la risposta è no, Harwood.”
Thad annuì brevemente. “Oh... okay.”
Sebastian
aveva ripreso a tremare e il suo respiro era di nuovo accelerato.
L’altro
lo osservò con attenzione. Osservò l’espressione tesa, le labbra piegate verso
il basso, gli occhi stretti, le spalle curve. Giunse alla conclusione che
dovevano essere molto vicini e che probabilmente la reazione di Sebastian era
assolutamente giustificata.
“Si
riprenderà, comunque” continuò sicuro.
Contro
ogni sua previsione, però, le sue parole non sembrarono sortire l’effetto desiderato
su Sebastian, anzi.
Lo
vide ricominciare a tremare e stringere tra i denti il labbro inferiore, come a
volersi impedire di piangere. Vide i suoi occhi aprirsi, perfino più lucidi di
prima, e perdersi di nuovo in un ricordo che Thad non
poteva vedere. E non seppe perché, ma gli venne naturale passargli un braccio
intorno alle spalle, perché in quel momento Sebastian Smythe
era solo un ragazzo in cerca di un appiglio.
E
quando lo fece, si sentì estremamente sollevato quando l’altro non si allontanò
da lui ma gli si avvicinò di più, facendo toccare le loro spalle.
E
lì Sebastian iniziò a piangere.
Thad rabbrividì quando le prime lacrime
cominciarono a solcare lentamente le guance di Sebastian. Era una scena così
sbagliata, così... contro natura quasi, che si sentì mancare il respiro per
quel dolore che quelle gocce salate sembravano portare con loro.
Nessuno
dei due contò i secondi, i minuti, o le ore che passarono in quella posizione,
in silenzio, l’unico suono quello del respiro soffocato di Sebastian mentre
tentava in vano di fermare le lacrime, i ricordi, la sua debolezza.
Alla
fine sembrò riuscire a calmarsi.
“Smythe...” tentò Thad.
Sebastian
non rispose, preferendo rimanere in silenzio, non fidandosi della propria voce.
“Parlami...”
“Parlami!
Ti prego!”
“Non ho nulla da dirti.”
“Parlami...”
E
fu in quell’istante che Sebastian sentì qualcosa rompersi dentro di lui, forse
il suo cuore, forse il suo corpo, forse solo se stesso. Si ritrovò aggrappato a
Thad, senza sapere come, senza sapere il perché, e a
singhiozzare disperato contro il suo petto, mentre quelle maledette immagini,
quelle voci, gli riempivano la testa.
Thad non sapeva cosa fare: si sarebbe
aspettato di tutto, ma non Smythe. Lasciò comunque che si sfogasse,
troppo intimorito anche solo per muoversi, mentre la sua mano giaceva immobile
appoggiata su quella spalla scossa dai tremiti.
“Non
ce la faccio...”
La
voce di Sebastian era arrivata attutita alle sue orecchie, ma solo il fatto che
avesse parlato era stato un sollievo.
“A
fare cosa?” chiese Thad.
Sebastian
tirò su col naso, ma non si mosse. “A dimenticare...”
Thad non capiva. Evidentemente Sebastian non
stava parlando di Karofsky, questo era ovvio, ma allora
cosa gli stava mostrando la propria memoria? Di chi erano quelle voci che
sembravano riempirgli la mente e distruggergli il cuore?
“Vuoi
parlarne?” si arrischiò a chiedere, certo di un suo rifiuto.
Prima
di rispondere, Sebastian aspettò di avere di nuovo almeno un po’ di controllo
sul proprio corpo, e tornò ad appoggiarsi al muro, senza però allontanarsi
dall’altro.
Poi
annuì lentamente. “Sì” sussurrò.
Thad sospirò di sollievo. “Va bene, sono qui,
ti ascolto” mormorò.
Sebastian
prese un respiro profondo e cominciò a raccontare.
*
‘È successo lo
scorso anno, prima che decidessi di trasferirmi alla Dalton, o meglio, che
pregassi i miei di mandarmi qui. Carter era il mio migliore amico... ci
conoscevamo da anni ormai ed eravamo diventati praticamente inseparabili.
Quando decisi
di fare coming out lui fu il primo a saperlo. A dire
la verità mi disse che aspettava che glielo confidassi da mesi, ormai, visto
che il suo istinto non aveva mai sbagliato ed era praticamente sicuro che fossi
gay. In quell’istante tutte le mie paure scomparvero, perché qualunque cosa
fosse successa, sapevo che lui sarebbe rimasto con me.
E poi, il mondo
mi crollò addosso quando lo dissi ai
miei genitori. Non mi capirono. Dissero che mi serviva tempo, che
probabilmente non avevo ancora trovato la ragazza giusta... insomma, questo
genere di cazzate. Decisi allora che non ero pronto per dichiararmi davanti a
tutti, a scuola. Decisi di stare zitto.
Carter mi
rimase sempre accanto, naturalmente. Mi consolò, aspettando pazientemente che
smettessi di urlare, di piangere, di prendere a pugni il muro. Era il mio
migliore amico, e sapeva come mi sentivo. Non so ancora quante volte io mi sia
addormentato in lacrime sul suo cuscino.
Cominciai a
provare qualcosa per lui. Molto lentamente mi accorsi di avere bisogno che lui
mi stesse fisicamente accanto, perché sentivo che era l’unico davvero in grado
di capirmi. E glielo confessai.
Prima che mi
rispondesse passarono diversi giorni, ma quello che mi disse mi lasciò senza
fiato e con le lacrime agli occhi per la gioia. Carter accettò di uscire con
me, e non solo come amici. Provai a chiedergli se ne fosse sicuro, se questo
non fosse troppo per lui o per la nostra amicizia. Quello che lessi nei suoi
occhi mi convinse che no, non era troppo.
Uscimmo
insieme, una, due, tre volte. E più io mi innamoravo, più lui sembrava
perfetto. I suoi riccioli scuri sembravano perfetti tra le mie mani, il suoi
occhi chiari erano la cosa più bella che avessi mai visto. Mi accorsi di
amarlo.
Poi ci
scoprirono.
*
Sebastian
si interruppe. Thad tirò su col naso: non aveva mai
sentito così tante emozioni contrastanti nella voce di qualcuno, soprattutto di
uno come il suo compagno di stanza. Eppure era tutto lì, davanti a lui. La
disperazione, la speranza, la tristezza.
“Cos’è
successo?” chiese, con un filo di voce.
Sebastian
lo guardò, aggrappandosi a quei tristi occhi castani, poi continuò.
*
Fu lui ad avere
la peggio. Era il capitano della squadra di football, il ragazzo più popolare
della scuola. Perse tutto. Io venivo preso di mira, ma non ero mai stato nessuno
in quella scuola, lui invece sì.
Cominciarono
con i nomignoli, le spinte contro gli armadietti, le scritte nei bagni. Il
solito cliché dei film, insomma. Solo che quella era la realtà, e Carter ci
stava annegando dentro. E io non feci niente. Niente!
La paura mi
impediva persino di tornare a guardarlo negli occhi, perché cazzo, era tutta
colpa mia se lui stava vivendo un incubo.
Quando i suoi
genitori lo vennero a sapere, lo vidi sprofondare ancora di più. Suo padre lo
picchiò, sua madre smise di parlargli. Era stata una reazione così... orribile,
che in confronto i miei erano stati angeli con me.
Carter venne a
cercarmi. Nonostante tutto non riusciva a smettere di volermi bene, ma io non potevo
permettermi di cedere, non potevo continuare ad essere la causa del suo inferno
personale. Lo ignorai. Continuai a ignorarlo per mesi, finché un giorno non mi
costrinse ad ascoltarlo.
“Parlami! Ti
prego!”
“Non ho nulla
da dirti.”
“Parlami...”
“No.”
“Erano tutte
cazzate, Seb?”
“Di cosa stai
parlando?”
“Di noi. Era
tutta una cazzata?”
“Io... Io non
voglio parlarne. Non voglio parlare con te.”
“Perché?”
Non gli
risposi, corsi via. Non volevo che sapesse come mi sentivo, non volevo leggere
l’accusa nei suoi occhi. Era tutta colpa mia, e non avevo il coraggio di
portarne il peso. All’odio, preferivo il nulla.
Ma non capii che senza di me non aveva più
nessuno. Né la sua famiglia, né i suoi amici.
Nessuno.
Successe
durante le vacanze di primavera. Era il tramonto, lo ricordo come fosse ieri.
Mi mandò un messaggio.
Addio.
Perdonami. Ti amo.
Non capii
subito cosa volesse dire. Nella mia mente non c’era più nulla, erano settimane
che andavo avanti solo per non restarmene tutto il giorno sdraiato sotto le
coperte. Poi la verità mi colpì e fui colto da una nausea che non aveva nulla a
che fare con quello che avevo mangiato.
Presi la bici e
pedalai come mai avevo fatto fino a casa sua.
I suoi genitori
non c’erano, erano andati a una cena, o una cazzata del genere.
Fui io a
trovarlo.
Era troppo
tardi.’
*
Sebastian
terminò il suo racconto con gli occhi asciutti, il suo dolore ora sembrava
andare oltre le lacrime. Thad, invece lasciava che
quelle scivolassero leggere sulle sue guance senza neanche prendersi il
disturbo di asciugarle.
“Mi
ripromisi che non ci sarei più cascato” continuò Sebastian in un sussurro, lo
sguardo fisso sulla parete davanti a lui. “Mi dissi che non avrei più dovuto
aprirmi con nessuno, perché altrimenti non avrei fatto altro che fargli del
male.”
Thad non rispose, certo che ci fosse
dell’altro.
“Poi
ho incontrato Blaine” mormorò infatti Sebastian. “E lui ha distrutto ogni mia
risoluzione. Nell’attimo in cui l’ho visto, Carter è tornato a riempirmi la
mente, con i suoi capelli ricci e le sue labbra sorridenti. Si somigliano così
tanto. Credevo che questa fosse la volta giusta, perché, cazzo, Blaine è
così... perfetto...”
Thad ridacchiò appena ripensando a quando
anche lui aveva avuto una cotta per il suo ex compagno di scuola.
Sebastian
non se ne accorse. “E invece sono riuscito a mandare tutto a puttane, un’altra
volta. Gli ho fatto del male, e solo per le mie stupide manie e le mie
fissazioni.”
Thad non poté evitare di annuire. Dopotutto
era vero, perché negarlo?
“E
con Dave mi sono comportato da completo imbecille.
L’ho buttato giù, non gli ho dato alcuna speranza. Non gli ho mai detto che
forse le cose sarebbero potute andare bene se si fosse dichiarato... e col
senno di poi, avevo ragione. Ma questo non cambia le cose.”
Rimasero
in silenzio per qualche altro minuto, mentre il respiro di entrambi rallentava
e il sole scendeva lentamente dietro le tende chiuse.
E
poi Thad fece una cosa che sorprese anche lui. Si
spostò appena e abbracciò Sebastian. Perché
ne aveva bisogno, perché lui ne aveva
bisogno, perché finalmente aveva fatto cadere tutte quelle maschere e si era
lasciato andare, scoprendo così un ragazzo come gli altri, con pregi, difetti e
paure.
Sebastian
si irrigidì subito quando sentì le braccia dell’altro stringerlo e il suo viso
contro la sua spalla, eppure non riuscì ad allontanarlo. Non ci provò neanche.
Rispose all’abbraccio, timido e impacciato, chiudendo gli occhi quando avvertì
i capelli di Thad sfiorargli la fronte.
“Va
meglio?” sussurrò Thad quando lo lasciò andare.
Sebastian
sospirò e ci pensò su per qualche secondo. “Sì” rispose poi.
L’altro
sorrise. Una volta tanto ne aveva fatta una giusta.
Per
un attimo non fecero altro che guardarsi negli occhi, senza parlare, solo
respirando e lasciando che parole non dette scorressero tra di loro. Poi, entrambi
distolsero lo sguardo.
“Perché
l’hai fatto, Harwood?”
“Cosa?”
Thad era perplesso.
“Questo”
disse Sebastian. “Perché sei rimasto qui?”
Thad si strinse nelle spalle. “Ho pensato che
potessi avere bisogno di qualcuno con cui parlare.”
“Perché?”
“Perché
sei un essere umano, Smythe, per quanto tu voglia
farci credere il contrario.”
Sebastian
rimase in silenzio.
“Ma
perché?”
Thad sbuffò.
“Ti
ricordo che al mondo ci sono persone che agiscono senza secondi fini, anche
verso ragazzi che li trattano come se fossero utili solo a pulirgli le scarpe.”
Non
voleva sbottare in quel modo, ma il fatto che Sebastian credesse che al mondo
esistesse solo gente cattiva non andava bene. Thad non
avrebbe mai voluto vedere nessuno nelle condizioni in cui aveva trovato il suo
compagno di stanza.
Sebastian
arrossì e non rispose. Thad riprese fiato e si calmò.
“Ascolta,
Smythe. So come ti senti, okay? Ma devi smetterla di
comportarti come se non te ne fregasse niente del mondo intero. Mi hai appena
dimostrato che puoi essere meglio di così.”
A
quelle parole Sebastian alzò lo sguardo e incrociò gli occhi di Thad. Non lo stava prendendo in giro, credeva davvero in
quello che aveva detto?
“Dici
sul serio?”
Thad sorrise all’incredulità che vide sul
viso di Sebastian.
“Certo”
rispose, convinto.
In
quell’istante anche Sebastian sorrise. Ma fu un sorriso vero, non i soliti
ghigni a cui tutti erano abituati. E Thad avvertì il
suo cuore perdere un battito, perché, maledizione, Sebastian con quel sorriso
era... bello. Non c’erano altre parole per descriverlo. Bello.
Cercò
di scacciare subito quel pensiero, fallendo miseramente.
“Sebastian...”
disse prima di riuscire a trattenersi.
L’altro
sobbalzò a quella parola, e sollevò un sopracciglio, sorpreso.
“Sì?”
“Posso
abbracciarti di nuovo?”
Bravo, Harwood. Complimenti. Molto creativo.
Sebastian
ridacchiò appena, poi annuì. Thad cercò di
trattenersi, ma non ci riuscì, e l’entusiasmo con cui si buttò tra le braccia
di Sebastian non sfuggì al ragazzo. Quando Thad sentì
l’abbraccio stringersi intorno alla sua schiena si lasciò sfuggire un sospiro.
“Mi
hai chiamato per nome...” disse Sebastian all’improvviso.
Cazzo.
“L’ho
fatto?” mormorò Thad, fingendo indifferenza.
“Già”
commentò Sebastian, decidendo di stare al suo gioco.
“Io...”
Thad cercò di allontanarsi da quell’abbraccio,
improvvisamente imbarazzato.
Sebastian
scoppiò a ridere e non lo lasciò andare.
“Perché
vuoi scappare, Thad?”
Lui
si bloccò, immobile ora, spaventato anche solo all’idea di alzare gli occhi su
Sebastian. Perché non se n’era stato zitto? Era stato proprio un idiota.
“Non
mi avevi mai chiamato Sebastian.”
Thad deglutì. Era vero. Non che avessero
parlato chissà quanto in quei mesi, ma si erano sempre chiamati per cognome,
forse per sottolineare il fatto che non erano amici, non lo sarebbero mai stati
e che l’unico motivo per il quale erano costretti a parlare era che dovevano
condividere la stanza.
“E
tu non mi avevi mai chiamato Thad.”
Rimasero
in silenzio per qualche altro secondo, poi Sebastian sciolse l’abbraccio. Thad si rialzò con un sospiro, un po’ sollevato e un po’
irritato dal fatto di doversi allontanare da lui. Altre parole corsero tra i
loro sguardi prima che entrambi, per qualche ragione sconosciuta, scoppiassero
a ridere.
Quando
smisero, Thad si passò una mano tra i capelli.
“Perché
ti nascondi, Sebastian?”
L’altro
rabbrividì appena. “Perché non voglio essere debole” rispose subito.
“Essere
se stessi non significa per forza essere deboli” commentò Thad.
Sebastian
si strinse nelle spalle e non rispose.
“Che
ne dici di ricominciare da zero?” continuò Thad.
Sebastian
lo guardò sorpreso. “Come?”
Thad sorrise e si alzò in piedi,
trascinandolo con sé. Poi tese la mano destra.
“Piacere”
disse. “Mi chiamo Thad Harwood.
Puoi chiamarmi Thad.”
Sebastian
sbatté le palpebre per qualche secondo prima di ridacchiare e stringergli la
mano.
“Sebastian
Smythe” disse. “Ma tu puoi chiamarmi Sebastian.”
*o*o*
Thad si sedette davanti a lui, sulla sedia
lasciata libera da Santana.
“Com’è
andata?” chiese, avvicinandosi leggermente al piccolo tavolo di legno.
Sebastian
si lasciò andare ad un sospiro tremolante.
“Mi
hanno creduto per fortuna...”
Thad gli sorrise dolcemente. “Stai
tranquillo, andrà tutto bene.”
Sebastian
si strinse nelle spalle e allungò la mano sulla superficie liscia per
stringerla nervosamente intorno a quella di Thad.
“Lo
spero...”
*o*o*
“Hey...”
Thad aveva appena raggiunto il centro della
stanza quando avvertì le braccia di Sebastian avvolgerlo da dietro e stringerlo
contro il suo petto.
Sebastian
sospirò poggiando il mento sulla sua spalla e stringendo la presa.
“Tutto
bene?” mormorò Thad sfiorando la guancia dell’altro
con la sua.
Sebastian
annuì e lo lasciò andare.
“Sì,
scusa... sono un po’...”
“Sopraffatto?”
“Esatto.”
Thad sorrise e si sedette sul suo letto,
facendo segno a Sebastian di sedersi accanto a lui.
Sebastian
ghignò appena e gettò sul letto di peso, afferrando il cuscino e stringendolo a
sé, ignorando completamente l’altro ragazzo.
“Perché
stai cercando di pomiciare con mio cuscino?” chiese Thad
senza riuscire a trattenersi. Poi arrossì mentre strane immagini gli
annebbiavano la mente.
“Perché
ha un buon profumo” rispose Sebastian chiudendo gli occhi.
Thad sbuffò.
“Oh
certo...”
In
quell’istante Sebastian si tirò su a sedere e si voltò verso Thad. Lo guardò un attimo negli occhi, pensieroso, poi
abbassò lo sguardo e, avvicinandosi ancora, andò a sfiorare con il naso la
pelle del suo collo.
“Qui
è ancora meglio...” mormorò.
Thad trattenne il fiato. Tutto ciò non era naturale.
Non andava bene... non riusciva proprio a far coincidere la sua idea di Sebastian con quella sua
nuova personalità. Poi si rese conto che Sebastian stava sorridendo e capì: lo
stava provocando.
“Smythe...” riuscì a sussurrare mentre l’altro muoveva
leggermente le labbra contro il suo pomo d’Adamo.
“Siamo
ritornati ai cognomi?”
Sì,
lo stava decisamente provocando.
Thad deglutì ma non rispose, e la sua
reazione fece scoppiare a ridere Sebastian, che si allontanò appena per
guardarlo negli occhi.
“A
cosa stai pensando, Harwood?”
Thad deglutì di nuovo e si schiarì la gola.
Ogni volta che quel ragazzo lo guardava così
il suo cervello si spegneva. E pensare che fino a pochi giorni prima evitava
perfino di parlarci. Jeff aveva ragione, era proprio senza speranze.
“Se
mi guardi così, Smythe,
non riesco a pensare proprio a niente...”
Sebastian
sbatté le palpebre a quella risposta, poi si aprì in un sorriso. “Davvero?”
Thad si sentì arrossire e si maledì per
essere così ovvio e soprattutto perché non era riuscito a rimanersene zitto. Ma
tanto era incapace di dire bugie, quindi si sarebbe tradito lo stesso in un
modo o nell’altro.
Sebastian
non distolse lo sguardo e rimase in silenzio, aspettando una sua reazione, a
gesti o a parole.
“E
va bene, Sebastian” sbottò alla fine Thad. “Sarò
sincero. Se continui a guardarmi così potrei non rispondere più delle mie
azioni.”
Cazzo. L’aveva
detto. Perché non si era cucito la bocca? Complimenti, Harwood.
Sebastian
sbatté le palpebre, mentre nei suoi occhi si accendeva una nuova fiammella.
Senza attendere oltre si avvicinò quel tanto che bastava perché le loro labbra
si sfiorassero, sperando con tutto il cuore che Thad
non si ritraesse.
“E
cosa potresti fare?” sussurrò.
Thad deglutì. “Io...”
“Sì?”
“Oh,
al diavolo!” e con quelle parole, Thad annullò la
distanza che c’era tra i due e lo baciò.
Sentì
subito le mani di Sebastian chiudersi a coppa sul suo viso, mentre le loro bocche,
ancora sconosciute, si sfioravano leggere, timide quasi.
Ma
per Sebastian non era abbastanza. Con un sospiro fece scivolare la punta della
lingua contro le labbra di Thad, come a chiedergli il
permesso. Thad sentì un brivido corrergli lungo la
schiena alla dolcezza di quel gesto, che mai avrebbe pensato potesse
appartenere a uno come Sebastian.
E
quando le loro lingue si sfiorarono, tutto sembrò andare a posto. Nel cuore di Thad e in quello di Sebastian. Non si era reso conto di
quanto gli fosse mancato un contatto simile, di quanto ne avesse bisogno,
perché Thad non era come i soliti ragazzi che
incontrava allo Scandals o negli altri locali in cui
andava.
Thad non cercava una birra e sesso a buon
mercato. Cercava una persona a cui voler bene, a cui aggrapparsi nelle
difficoltà. Per un istante Sebastian si chiese se fosse all’altezza.
Quando
il bisogno di respirare divenne troppo forse si separarono e riaprirono gli
occhi. Si guardarono per un momento che parve infinito, finché Sebastian non
diede voce ai suoi dubbi.
“Thad, io...” si schiarì la voce che dopo il bacio era
diventata improvvisamente più roca. “Io non volevo... cioè... se tu...”
Thad alzò un sopracciglio.
“Se
io cosa?”
Sebastian
sospirò.
“Non
so se sono io quello di cui tu hai
bisogno...”
L’altro
lo fissò senza capire. Come poteva dire una cosa del genere? Come poteva anche
solo pensarla? Poi Sebastian si alzò e cominciò a fare avanti e indietro per la
stanza, nervoso.
“Io
non sono così” disse, guardando
ovunque tranne che verso il letto. “Voglio dire... sì, sono così, ma ho ancora
tanto da lavorare. Cioè, tu mi conosci, cazzo. Sono un imbecille che vuole
stare al centro dell’attenzione, che non guarda in faccia a nessuno per
ottenere ciò che vuole, che...”
Thad si era alzato e l’aveva raggiunto,
posandogli due dita sulle labbra per farlo stare zitto. Sebastian si limitò a
sbattere le palpebre, sorpreso.
“Cosa
vuoi, Sebastian?” chiese.
Lui
lo fissò senza capire. Thad sospirò e ci riprovò.
“Cos’è
che vuoi adesso?”
Sebastian
si perse per un secondo nei suoi grandi occhi scuri, mentre una sola e semplice
parola si formava nella sua testa. Oh.
Thad ritrasse le dita ma non si allontanò,
aspettando una risposta. Sebastian, invece sollevò una mano e la posò sulla sua
guancia, mentre un altro tassello del puzzle andava al suo posto.
“Te”
sussurrò, colpito dalla verità di quello che stava dicendo.
Thad rabbrividì, ma si riprese subito.
“Cosa?”
“Voglio
te” ripeté Sebastian mentre un
sorriso nasceva sulle sue labbra.
Anche
Thad sorrise, mentre sentiva uno strano calore salire
sul suo viso e colorargli le guance.
“E
allora dov’è il problema?” sussurrò facendo un passo avanti.
Sebastian
spostò la mano tra i suoi capelli, mentre abbassava lo sguardo sulla sua bocca.
“Non
c’è nessun problema...” mormorò mentre Thad si alzava
sulle punte per baciarlo di nuovo.
Writer’s corner:
Ok,
è finita. Niente di che, davvero, magari è anche piena di cliché, ma mi è
piaciuto scriverla e ho assolutamente adorato quel Sebastian (non il mio eh,
quello della 3x14), così ho solo cercato di psicanalizzarlo.
Come sempre critiche positive/costruttive sono sempre ben accette!
SereILU