Essendo un secondo capitolo, non ci ho
messo molto a scrivere… siamo ancora alle battute iniziali, dove protagoniste
sono le cinque eroine e dei carcerieri particolari che vengono più o meno presentati (voglio lasciare ancora un po’ la cosa
con del mistero =P).
Nel prossimo capitolo mi concentrerò sui
maschi della storia… =) buona lettura ^^
Capitolo due
Lory
aprì stancamente gli occhi. Non aveva più gli occhiali, accartocciati accanto
al suo corpo ferito e inerme. Aveva un taglio con del sangue incrostato sulla
fronte.
Sentì
due mani fredde che le toccavano il volto. Cercò di mettere a fuoco e lo vide.. forse era un’allucinazione?
-Pai..?-
mormorò, piano, spaventata a sentire la sua voce dopo tanto tempo. Era così rauuca?
L’alieno
aggrottò la fronte –No. Non sono il tuo amico.
La
voce era profonda, roca. Lory mise a fuoco. Gli somigliava, ma non era Pai.
Aveva un viso affilato, capelli lunghi fino al mento, scuri, più scuri di Pai e gli occhi erano glaciali… ma gli somigliava tanto
che…
-Chi
sei?- domandò confusa, con un filo di voce.
L’alieno
eluse la domanda e mise una mano sulla fronte –Ringrazia che ci servi viva,
altrimenti saresti già morta giorni fa, con le tue amiche.-
Tu-tum.
Perse
un battito
-Sono…
morte?
L’alieno
annuì –Sta ferma, che devo medicare o s’infetterà. Ci servi viva.
Lory
provò a muoversi ma era incatenata al muro. Era inutile e si sentiva debole. Le
lacrime pizzicavano gli occhi ma decise di non piangere –Non è possibile…
perché fate questo?
-Perché
è così, e basta.
Quell’alieno
non somigliava a Pai solo nell’aspetto, ma anche nella freddezza dei modi. Ma
lei aveva visto un Pai buono, coraggioso, deciso.
Quell’alieno era… inquietante.
-Gli
somiglio? A Ikisatashi Pai.-
domandò il sosia, come se le avesse letto nel pensiero.
Lory
non rispose, abbassando la testa, lasciando che i capelli sporchi le coprissero
il viso. Sentiva la schiena abbassarsi velocemente. Stava per scoppiare.
-Anche
lui è morto.- le scappò un singhiozzo ma l’alieno rimase impassibile. Le prese
il mento con una mano –Allora, gli somiglio?
Lory
tremò di paura. Annuì debolmente mentre una lacrima le rigava il volto.
-Ma
non sei come lui- mormorò piano, ferita. Pai era morto come le sue amiche?
L’alieno
sorrise e gli occhi gli si allumarono di cattiveria –Ti piaceva, eh?
Lory
non rispose neanche questa volta.
Le
era mai piaciuto Pai?
Sì.
Era bello, forte, intelligente. Un po’ come Ryan ma più
esotico, selvaggio nonostante la sua mente calcolatrice e fredda. Era
come il vento, difficile da prendere. E le aveva regalato un sorriso.
Uno
solo.
Un
sorriso che l’aveva fatta tremare dentro l’anima. Per un po’ aveva aspettato il
suo ritorno ma niente… era partito ed era giusto così. Probabilmente, Pai non
l’aveva mai considerata più di tanto sotto l’aspetto femminile perché erano stati
nemici agguerriti. Ma sì, Pai le piaceva. Era
incredibile che la piccola e ingenua Lory si fosse presa una cotta per l’algido
alieno ma si sa: il cuore di una ragazza è volubile quanto sincero.
Rimase
in silenzio, incatenata agli occhi inquisitori dell’alieno glaciale tanto
simile a Pai.
-E
ti piaceva tanto?- chiese ancora, senza però aspettarsi una risposta –Sai,
penso che tu piacessi un po’ a lui. Prima di morire ti ha cercato con tutte le
sue energie. Io lo conosco, lo conosco bene. Eravamo in accademia insieme. È
stato un piacere batterlo.
Lory
sgranò gli occhi. Quell’alieno… non stava asserendo la verità.
-Tu
menti- il suo sesto senso scattò nell’esatto momento in cui l’alieno le aveva
mollato il volto e lei aveva percepito una strana luce negli occhi.
-Tu
menti- ripeté.
L’alieno
si avvicinò e si accostò all’orecchio –Sei graziosa. Potrei
fare tanti bei pensierini su di te. Se ti stanchi delle catene, fammi sapere.
Lory
rabbrividì e si schiacciò contro il muro, lontana dall’essere viscido –Va via!-
mormorò, spaventata e turbata. No, quell’alieno non assomigliava a Pai. Per
nulla al mondo.
Quello,
sorrise –A presto.
Il
dolore che provava, la povera Puddy non poteva paragonarlo a niente.
Era
ferita, una brutta ferita lungo tutta la schiena che le portava brividi e
dolori lancinanti. Una volta al giorno, o almeno così
credeva poiché il trascorrere del tempo non le era molto chiaro, passava un
alieno a medicarle in modo rozzo la ferita e a farle trangugiare un liquido
trasparente e molto dolce.
Più
volte le era stato intimato di fare silenzio ma lei no, lei urlava, chiamava le
ragazze, chiamava il suo Tart e Pai e Gish. Non potevano essere morti, dovevano
essere vivi, lo sentiva! Aveva lottato duramente ed era stata battuta e
impotente aveva visto Strawberry portata via da quei maledetti alieni e anche
le altre… erano state separate… ma lei sapeva che erano lì, vicino a lei. Non
avrebbe mai perso la speranza.
Mai.
Il
carceriere entrò nuovamente e le diede da bere il liquido che la faceva
vomitare, tanto era dolce.
-Dove
sono le mie amiche?- domandò, tremando dalla febbre.
-Sono
morte- disse quello, distaccato – Come faccio a ficcartelo in testa?
-Se
fossero morte, lo sentire…- fece la ragazzina, intristita.
L’alieno
che la curava era anziano, con una barba folta e grigia. Le sopraciglia erano
arruffate, incolte e nascondevano due occhi neri. Sembrava stanco, sempre sul
punto di cadere a terra in mille pezzi
tanto sembrava fragile.
-Cosa
volete da noi?- domandò
Il
vecchio non rispose e Puddy sentì la rabbia montarle addosso –Rispondi!
-Il tuo
amichetto, Tart, mentre moriva ti chiamava.
Un
colpo al cuore. Tart morto? La sua mente lo rifiutava, il suo cuore lo rifiutava –Non è vero- ringhiò, nonostante il dolore fisico
–BUGIARDO!
Il
vecchio la lasciò da sola –A breve, morirai pure tu. Non temere. Li rivedrai
tutti all’Inferno.
Pam
rimase immobile. Assolutamente immobile.
Con
gli occhi chiusi aveva ampliato i suoi sensi al massimo, nella speranza di
cogliere un sospiro, un urlo. Lei poteva farcela.
Ora
che era rimasta sola, ora che le sue compagne erano morte, doveva darsi da
fare.
Combattere.
Ormai
erano ore, forse giorni, che non veniva nessuno a trovarla. Gli ultimi due
carcerieri erano rimasti colpiti
dalla giovane donna: a uno aveva rotto il naso con una testata, l’altro, forse,
non avrebbe più avuto figli.
Le
sanguinavano i polsi ma quasi riusciva a sentire il sangue che scorreva sulla
pelle bianca. Sentiva il sangue pulsare nelle vene, il cuore pomparlo e
portarlo in ogni cellula del suo corpo.
Pam
era seduta, una gamba distesa e un’accovacciata al corpo. Le braccia legate con
pesanti catene al muro e la testa piegata in avanti con i capelli fini e
violacei che le coprivano il viso.
Si
concentrò di più.
Poteva
sentire le guardi parlare tra di loro, una dormiva.
Poteva
quasi vederle… vestite di scuro, con abiti pesanti che appoggiate al muro,
chiacchieravano a bassa voce, temendo di essere visti dai capi.
Sentì
dei passi. Leggeri. Di chi erano?
Qualcuno
aprì la sua porta e una leggera luce ferì gli occhi di Pam, completamente al
buio da un paio di ore.
La
ragazza lupo alzò lo sguardo e quasi scoppiò a ridere. Davanti a lei c’era un
ragazzino, non poteva essere più grande di Puddy.
-Che,
hanno finito i pezzi grossi?- borbottò, con un filo di voce.
Il
bambino era magro, vestito con pantaloncini e maglietta neri senza maniche. I
capelli erano bianchi e gli occhi cerulei.
-Non
sottovalutarmi, Pam Fujiwara.- disse il ragazzino, con voce cristallina –Avrei
alcune domande da farti.
-Non
chiedermi del Mew Power, né dell’Acqua Mew. Non risponderò mai.
Il
bambino si sedette di fronte a lei –Volevo chiederti com’è tornare sola. Perché
ora che sono tutte
morte, sei rimasta l’unica Mew Mew su questo Universo.-
Pam
strinse i pugni –Maledetto.- sapeva cosa volevano fare. Volevano confonderla e
farla crollare. Lei era tosta, era dura. Avevano sbagliato a lasciarla viva per
carpirle delle informazioni perché lei avrebbe portato tutto nella tomba.
-Unisciti
a noi. Sei forte, tu.
Pam
non rispose e il bambino piegò la testa di lato –Mi sarebbe piaciuto combattere
ad armi pari contro di te, sai? Ma così ridotta…
Il
ragazzino si alzò –A presto, Pam.
Mina
provò a far scivolare il polso fuori dalla catena... ecco… sentì la pelle
tirarsi e poi il bruciore della ferita. Strinse i denti. Faceva male ma doveva
libarsi, trasformarsi e.. liberare le altre. O almeno
Strawberry che sapeva essere lì vicino.
La
sua carceriera era una donna molto provocante con capelli blu
scuro che si era fatta sfuggire con un alieno alla guardia della sua
porta che Strawberry era caduta in un assoluto mutismo.
Sciocca...
era così sicura che fosse svenuta che non aveva controllato la sua effettiva
condizione. Riuscì a far scivolare il polso.
“Sì!”
esultò in testa.
Aveva
un’ossatura così delicata e sottile… da vera ballerina classica.
Ora
doveva attendere, aspettare pazientemente.
Era
sicura, anzi no, sicurissima che fossero tutte vive. E che qualcuno le stava
cercando.
Al
100%.
Ryan
si sistemò lo zaino sulle spalle e guardò diritto l’alieno che per mesi avevano combattuto fargli strada verso la navicella.
-Gish, ti
ringraziamo per essere venuto a prenderci- disse Kyle, gentile come sempre ma
con un velo di nervosismo nella voce.
Gish
non diede segno di aver sentito e teletrasportò i due umani nella navicella.
Era
un posto scuro e freddo e Ryan si sentì a disagio ma cercò di non darlo a
vedere. La sua prerogativa erano le ragazze. Doveva lasciar da parte le paure e
affrontare lo spazio con l’alieno di nome Gish che aveva più volte dato segno di instabilità mentale.
-Partiamo
a secondi. Saremo sul mio pianeta a giorni. Due, se non troviamo traffico.
Il
biondo americano decise di non chiedere cosa fosse il “traffico” menzionato con
tanta non curanza da Gish.
-Come
procedono le ricerche?- chiese Kyle, sedendosi su quella che sembrava una poltrona ma l’ambiente era troppo scuro per distinguere
qualche cosa.
Gish
sospirò. Era stanco, si vedeva –Siamo ad un punto
morto. Pai le sta cercando.
Gish
non aggiunse altro, ma Ryan percepì quasi la rassegnazione nella sua voce.
-Sono
vive, lo sento.
Gish
annuì –Lo spero. Con tutto il cuore.