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Autore: Artemisia89    02/10/2006    7 recensioni
Dunque... è la mia prima shot su House. Molto ingenua forse, ma mi è cara. Allison siede nel suo studio, fuori la pioggia, dentro tanta, tanta cenere grigia, resti di un fuoco che l'ha divorata.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Allison Cameron, Greg House
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era solo stata un’altra giornata come tante.

E Allison Cameron riposava con gli occhi chiusi nel suo studio, dove le vetrate le offrivano un paesaggio di cupa angoscia e freddo distacco.

Era stata una giornata come tante altre, benedetta forse, perché carica di lavoro e il lavoro, si, era la sua medicina, la sua droga, il suo inibitore preferito.

Un’altra giornata, ancora, passata fianco a fianco, spalla a spalla, come solo due perfetti sconosciuti potrebbero fare.

 

Allison aprì gli occhi, si alzò e socchiuse la finestra.

Nell’aria c’era odore di pioggia e di vento, le nubi nere si addensavano in quella fredda giornata autunnale.

L’inverno era alle porte e il buio scendeva presto e più fitto.

 

Si era insinuato nella sua vita come un fulmine, come energia pura l’aveva scossa e lei ne era rimasta abbagliata, cieca, spaventata e desiderosa, supplichevole quasi, come una mendicante.

Ne voleva altro, e ancora.

Di quell’eccitazione pura che aveva provato quel giorno, quel giorno in cui si era resa conto veramente di ciò che provava, del suo corpo, del suo spirito che venivano attratti, che chiedevano, che urlavano.

 

Come il primo fulmine che si scaricò a terra, lei si scrollò di dosso la volontà di ricordare, di annullare l’effetto della sua droga.

L’unica cosa che voleva era  riposare.

Non dormire, non voleva annullarsi, lei voleva sonnecchiare, cullarsi nel buio, nella pace di quella terribile giornata, dimenticare il volto della bambina che era morta tenendole le mani, dell’uomo a cui aveva dovuto dare la notizia della morte del figlio, come un fulmine che infiamma il cielo e che poi sparisce, lei voleva restare in silenzio.

Solo fragore, poi niente.

 

Vetro freddo, gelido specchio, aria tonante che strepita, occhi scuri che hanno smesso di aspettare, una coperta che cade, un corpo che precipita, un respiro che si ferma, un cuore che cammina lentamente.

 

La pioggia cominciò a ticchettare al suolo nello stesso momento in cui lei mosse ritmicamente le sue dita sulla scrivania.

 

Non aveva voglia di tornare a casa, nonostante ormai si facesse tardi e l’orario di termine si stesse avvicinando paurosamente, non ne aveva la minima voglia: voleva solo rimanere lì, perché sapeva che quello che possedeva in quel momento non l’avrebbe riavuto mai più, quindi, noncurante e totalmente indifferente alle occhiate dei colleghi sorpresi di vederla ancora seduta nel suo studio, si abbandonò totalmente allo schienale della sedia e aspettò, gustando ogni particolare istante, nel modo più minuzioso, fregandosene di ogni altra cosa.

 

Bambole di pezza, fiori neri su lapidi linde, una candela che si accende trasformandosi in incendio, fili di perle che precipitano al suolo, rumori secchi, foglie al vento, mulinelli di acqua sporca, capelli come cenere grigia.

 

Trattenne un sorriso sprezzante, voleva urlare al mondo che lei stava bene nonostante tutto.

Ma che bene, ottimamente!

Niente era il marito morto, il suo tradimento, la sua bellezza maledetta, il suo corpo da impudica e ammiccante vergine, niente! Solo tanta cenere sporca, fili di paglia strappati a morbide mani, terra battuta e arida come il corpo piagato di un vecchio.

Avrebbe brindato se solo avesse avuto un bicchiere e del vino, alla sua vita, alla sua bravura nel restare ancora viva, ai suoi occhi blu che la beffeggiavano, alla sua follia di donna, oh, se solo avesse potuto, sarebbe corsa da lui e gli avrebbe riso in faccia il suo disprezzo.

 

Ah, fulmine! Che trasforma ogni cosa in cenere grigia, in polvere morta, in ricordi di inutile memoria, accendi il buio e dannami, sembrava chiedere, dannami, per quanto io non possa già esserlo.

 

Allison chiuse gli occhi, ma la mano andava ancora, respirava l’aria dello studio, e si accorse che c’era odore di fiori che stavano appassendo.

Doveva cambiarli, si disse.

L’avrebbe fatto, si rispose.

Forse domani, o la prossima settimana, un altro giorno ancora, chissà.

 

Tornò a scrutare fuori, raffinata spettatrice a tragedia di profondo sentimento.

Il cielo ruggiva e l’aria fremeva.

 

E lui, lui era buio cielo e lei era fulmine.

Appena lei cercava di aprire un varco nel buio, lottando per spargere la luce e ottenerne il dominio, il suo bagliore non durava che un attimo, non era che un frettoloso amplesso, che un intenso secondo di piacere, di esultanza, , di eccessivo orgoglio, di fasulla vittoria, perché lui, imperturbabile, senza alcuna paura, senza alcuna passione che gli sfigurasse il volto, lui era lì e la riavvolgeva.

Buio, come buio che si richiudeva sul fulmine, guardandolo con pietà quasi, come solo un uomo più grande può fare con la ragazza che si è appena innamorata di lui.

 

Le labbra di lei si piegarono in una smorfia di disappunto, non si era forse ripromessa che non avrebbe cercato di riportare a galla i suoi sentimenti?

Le giornate dovevano scorrere senza cambiamento alcuno, senza che il cielo cambiasse, lei era solo una donna che si era innamorata del suo capo, una come tante altre, un giorno come tanti altri.

 

Eppure, le sue dita sulla scrivania si fermarono, forse ancor prima che il suo orecchio percepisse il passo zoppicante che silenziosamente era entrato nello studio.

Al buio.

Nel buio.

Un altro fulmine.

 

Sorriso di bimba, lacrime di paura, carta da lettere che deva andare lontano, mano tremante che saluta l’uomo della nave, una visita al vecchio faro della città, il disegno a matita di un fulmine che squarcia la notte, una risposta amorevole per un gesto di carità.

 

Quando lei girò sulla sua sedia, inizialmente pensò che il buio della stanza le avesse giocato dei bruti tiri mancini.

D’altro canto non poteva essere Gregory House quello che, alto, le appariva con il suo bastone, mentre richiudeva la porta dello studio, abbassando le tendine, immergendola ancora con il suo buio cielo.

 

Lui rimase lì, come in attesa, lei si maledisse per aver lasciato la porta aperta in quella sera di follia.

Cercò in se stessa il suo controllo e lo trovò, ma era quello più ridicolo.

 

Fece per alzarsi, sorridendo nervosamente, girò attorno alla scrivania e si poggiò con i fianchi a questa.

E anche lei, come lui, aspettava il momento giusto.

 

Bisognava solo che i giusti elettroni si combinassero e dessero vita ancora alle scritture di luce.

 

Ma il miracolo non avvenne, lei e lui si scrutarono semplicemente per qualche tempo, lui in mezzo alla stanza stava avanzando, lentamente, inesorabilmente si sarebbe detto e lei, con le pupille dilatate si raccoglieva in se.

 

La sfrontatezza della pazzia se ne stava andando, il temporale si stava calmando, lei stava tornando la Allison di sempre.

E aveva paura, nonostante desiderasse, come una vertigine, la bocca di lui sul suo corpo, come la notte, il buio calore della solitudine che gli avrebbe saputo dare.

 

 

 

 

 

 

-          Allison guardami.

Lei non lo fece.

-          Allison non mi ripeterò.

Lei alzò lo sguardo inchiodandolo su di lui.

-          Non mi importa se mi odi, io sono quello che sono adesso, non ho speranza di cambiare, non adesso, non da solo e questo lo sai. Quindi odiami se vuoi, sono come un malato terminale infinitamente sulla soglia della morte. Vuoi che ti dica che sei importante per me? Ebbene lo farò. Vuoi che ti dica che perché sono qui?

Lei annuì.

-          Sono qui perché mi sono detto che avrei potuto farlo solo in questa sera.

Lui avanzò e lei, dolorosamente, non si mosse.

Lui sembrò capire, si fermò a pochi soffi dal suo viso.

-          Sei abbastanza intelligente da aver compreso ogni mossa che ho fatto, ogni mio inutile tentativo di allontanarti da me, e sai bene cosa io provi se ti ho solo fatto del male in tutto questo tempo.

Lei tacque.

-          Solo l’uomo più innamorato può mettere da parte i suoi rimorsi e le sue volontà per tentare di salvare la persona che più è per lui importante.

 

 

Allison chiuse gli occhi davanti a lui e Gregory lo prese come un brutto segno, ma mantenne il sangue freddo.

Si era ripromesso che lo avrebbe fatto solo quella volta e solo per lei.

 

-          Sei uno stronzo.

Lui alzò appena un sopracciglio.

-          Non hai mai capito niente di me.

Lui strinse più forte il manico del suo bastone.

-          Non sono mai stata tanto male per un uomo.

Lui raccolse le sue forze e il suo cuore.

-          E soprattutto ti amo come mai nessun altro.

Lui stava ormai per andarsene quando sentì quelle parole.

-          Quindi vieni qui – disse lei afferrandolo delicatamente per le maniche della giacca – vieni da me e fa cadere questo bastone, sarò io a sostenerti, sarò io la tua luce, lasciami essere sole che può spazzare queste nubi nere di grigia cenere che offuscano entrambi i nostri occhi, lasciami essere per più di qualche secondo, lasciami essere per sempre e non importa quanto tempo mai potremmo impiegarci a guarire, ognuno dalle nostre personali malattie, dai nostri demoni, ma ti prego, io…io sono qui.

Lui la guardò un attimo, poi appoggiò le sue labbra alla fronte di lei e si accorse che bruciava, bruciava di una qualche febbre che solo lui poteva guarire, scese ancora, chinandosi, mentre lasciava andare avanti il bastone, mentre le sue mani si sostenevano con il corpo di lei, mentre la sua anima si sosteneva con la febbre di luce che l’aveva posseduta.

La guardò bene negli occhi, le punte dei loro nasi che si toccavano, il corpo di lei appoggiato alla scrivania, la guardò bene, con i suoi occhi come acqua di sacra verità ricordandole la vita che stava per accettare e lei, annuì, senza paura, senza timore, sapendo, ogni, ogni cosa.

E lui si chinò ancora, chiudendo gli occhi insieme a lei e la baciò, lei si sedette sulla scrivania, il corpo di lui vacillò appena, lei lo accolse tra le braccia.

Quanta misteriosa fragilità nel corpo di un uomo.

 

 

 

Piano piano il cielo sembrò stranamente rassenerarsi, durante la notte la pioggia era caduta fitta e aveva lavato via quella brutta cenere grigia che durante il giorno aveva confuso le menti e i sensi.

La luce, quella benedetta e dolce, andò ad accarezzare due corpi, l’uno stretto nell’altro, l’uno protetto nell’altro, l’uno protetto dall’altro.

 

 

Fine

  
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