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Autore: Doralice    02/03/2012    2 recensioni
Piccola, azzurra aleggia
una farfalla, il vento la agita,
un brivido di madreperla
scintilla, tremola, trapassa.
Così nello sfavillio d'un momento,
così nel fugace alitare,
vidi la felicità farmi un cenno
scintillare, tremolare, trapassare.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson , Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: Mpreg, Tematiche delicate
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Tante domande e la struggente consapevolezza di non poter rispondere a nessuna di esse... non nei commenti, per lo meno. Ma nei capitoli sì, e spero che almeno questo inizi a dissipare un po' dei vostri dubbi.







Quattro

~

Di bivi ed altre scelte più o meno consapevoli


Anche se non lo sai,

tra proseguire dritto o deviare

spesso si gioca la tua esistenza,

quella di chi ti sta vicino.

Susanna Tamaro –



C'erano voci attorno a John. Mycroft poneva domande, la dottoressa Stapleton parlava, Sherlock commentava. Lui faceva finta di ascoltare. La parte analitica del suo cervello di medico prestava attenzione, la parte emotiva se ne stava rincantucciata a piagnucolare e leccarsi le ferite, odiando il resto dell'universo attorno a sé.

Era riuscito a scindersi in due, John, proprio come faceva durante gli scontri a fuoco nelle campagne desolate dell'Afghanistan. Devi imparare a mettere da parte il tuo lato più sensibile, proteggerlo dalle brutture del mondo, se non vuoi rischiare che resti ucciso.

Quello che per John era drammatico, era il fatto che non aveva preventivato, una volta tornato alla vita civile, di dover ricorrere a certi trucchetti di sopravvivenza. Non aveva preventivato di ritrovarsi, un bel giorno d'autunno, nel centro di ricerca più avanzato – e sinistro – del Regno Unito, ad ascoltare da una dottoressa in ingegneria genetica come lui fosse riuscito a mettere incinto il suo coinquilino. Non aveva preventivato niente di tutto ciò, John. E proprio per questo preferiva rinchiudere in un angolino quella parte emotiva di sé che non avrebbe fatto altro che asfissiarlo con domande tipo “come cazzo fa questo pezzo d'idiota a prendere tutto come una cosa normale?”.

La sperimentazione sui topi e i conigli ha dato risultati positivi, ma siamo solo all'inizio. – la dottoressa aprì una paio di schermate sul computer, mostrando loro grafici a torta e altre statistiche del genere, di cui a John fregava tanto quanto – L'applicazione sull'uomo è ben lontana. –

Sherlock alzò le sopracciglia nel leggere i dati: – Due anni? Be', a quanto pare le circostanze hanno accorciato i tempi. –

Ed è possibile che con una sola somministrazione avvenga la mutazione? – intervenne Mycroft.

Parrebbe di sì. –

– “Parrebbe”? –

Le ricordo che è tutto ancora in fase di sperimentazione. – ribatté la Stapleton, punta sul vivo – Posso fornirvi i dati completi dei test preliminari sui roditori, ma dubito che vi sarebbero di una qualche utilità. –

Quindi come... agisce? Che cosa fa, insomma? –

Era la prima volta che John parlava da quando aveva rimesso piede nel laboratorio. Mycroft lo osservò incuriosito, Sherlock non lo degnò di uno sguardo, apparentemente concentrato sui dati che quelle diavolerie tecnologiche stavano sputando fuori.

La Stapleton non si fece pregare. Iniziò ad aprire schermate a raffica, illustrando con una fiumana di parole tecniche tutto il progetto, la storia completa, dalla teorizzazione alle prime applicazioni sperimentali fino ad oggi. Spiegò come ormai da dieci anni i limiti per una gravidanza maschile fossero già superati, almeno da un punto di vista teorico: quello che mancava era una seria applicazione pratica. E dopo lunghi studi, si era giunti alla conclusione che indurre una momentanea intersessualità in un essere umano di cariotipo maschile fosse la soluzione migliore. Il grosso del lavoro, fino ad allora, era stato riuscire a sintetizzare un ormone in grado di creare una simile mutazione. Partirono quindi dagli ormoni prodotti dalla Lymantria Dispar, un lepidottero che durante il suo ciclo vitale presentava delle caratteristiche intersessuali.

John chiese cortesemente di specificare cosa intendesse per intersessualità e ignorò il sospiro di sufficienza di Sherlock. Era un medico, sì. E proprio per questo non poteva restare sul vago, aveva la necessità di chiarire nei dettagli tutta quella faccenda.

È molto semplice. – spiegò lei – La mutazione è portata dal citoplasma e implica la coesistenza in uno stesso individuo di caratteri maschili e femminili. Una sorta di ermafroditismo temporaneo, ma privo del difetto della sterilità. –

Mycroft fece una domanda, ma John non l'afferrò. Stava elaborando quelle informazioni al fine di fare in modo che il suo cervello riuscisse ad accettarle. Come medico, tutto quadrava, e la dottoressa era stata più che chiara. Eppure... eppure era difficile ingoiare quel concetto come se niente fosse.

Sta dicendo che in quel... momento lui era... – John si umettò le labbra e saettò lo sguardo verso Sherlock – un maschio ma anche una femmina? –

La Stapleton annuì: – Qualcosa del genere, sì. –

Puoi riprendere a respirare, John. – fece Sherlock con blanda ironia – La tua virilità è salva. –

Suo malgrado, John si accorse di aver effettivamente trattenuto il respiro. E arrossì. Ma no, non era quello. Non del tutto, per lo meno. Oh, al diavolo! Sì, era quello. Ma non per i motivi che credeva Sherlock.

Non aveva capito niente, tutto impegnato com'era a dedurre dettagli salienti senza tuttavia riuscire a collocarli nella trama emotiva in cui era intrappolato John. Era questa la più grande mancanza di Sherlock: cercava di sciogliere i nodi dell'anima nello stesso modo analitico con cui risolveva i suoi amati enigmi. E se falliva – come accadeva sempre in quei casi – non imputava l'errore a sé stesso, ma all'irrazionalità dei sentimenti.

John si appuntò mentalmente di fargli un discorsetto, più tardi.


Era definitivo: John soffriva di una permanente deficienza di ironia quando si trattava di certi argomenti. Sherlock decise di fare finta di niente e aspettare il manifestarsi del suo sfogo, che presto o tardi si sarebbe certamente abbattuto su di lui. Anche i nervi d'acciaio di un soldato hanno un limite, dopotutto. Ma per il momento, fortunatamente, John non l'aveva ancora raggiunto.

Sherlock si alzò dalla sedia e si mise un po' discosto dal gruppo, in riflessione. Non che riuscisse nel suo intento. Captava quei vaghi frammenti della fitta conversazione tra la dottoressa e Mycroft. Erano un continuo, fastidioso ronzio di sottofondo che lo distraeva dai suoi ragionamenti.

Ed è bastato che per una volta... oh, è stupefacente! –

Se non hanno usato metodi contraccettivi... –

Naturalmente. –

Che avevano tanto da parlare? Insomma, cosa mai c'era di così interessante sul momento del concepimento? Le cause per cui si era verificato erano già state abbondantemente sviscerate, e con ricchezza di particolari. Perché adesso si dovevano soffermare proprio su quell'insignificante dettaglio?

E Mycroft – santo cielo. Immaginava che non si sarebbe fatto gli affari suoi, ma non fino a quel punto. Secondo quali presupposti, poi, si lanciava in ipotesi sulla sua vita sessuale? Era alquanto fastidioso.

Non si aspettavano che potessero esserci conseguenze. –

Ma le malattie... dottor Watson, da lei mi aspettato un maggiore riguardo, visto il suo ruolo. –

Sherlock alzò gli occhi al cielo. Come facevano a non arrivarci? Era così lampante! Oltretutto conoscevano nel dettaglio gli avvenimenti riguardanti il caso HOUND.

La goccia che fece traboccare il vaso fu l'imbarazzato balbettio di John, che con un impacciato “Noi non...” tentava di iniziare a spiegare l'ovvio. Sherlock sospirò tra sé, ormai pienamente seccato da quel teatrino.

I ricordi del momento del concepimento sono alquanto... confusi. –

I tre si voltarono verso di lui.

Le tossine che avete inalato, senza alcun dubbio. – considerò con banalità la Stapleton – Magari avete anche bevuto dell'alcol. –

Sherlock alzò le sopracciglia in un'espressione di ovvietà. Mycroft appariva alquanto concentrato sull'analisi del linguaggio corporeo di John. John sembrava alquanto concentrato su una qualche riflessione interiore che aveva la capacità di provocargli, contemporaneamente, un feroce aggrondamento della fronte, un diffuso rossore su tutto il viso e una innaturale rigidità degli arti che lo tramutavano in una statua fatta di agitazione allo stato puro. Sherlock si ritrovò, del tutto inaspettatamente, a concentrarsi sul come e quando John avrebbe tirato fuori Il Discorso e sull'enorme peso che la sola idea rappresentava.

Come volete procedere? –

Sherlock batté le palpebre e rivolse la sua attenzione alla dottoressa. Domanda più che insidiosa. E poi perché parlava al plurale ma si rivolgeva solo a lui?

Guardò John. John guardò lui, la dottoressa, di nuovo lui, Mycroft e infine i propri piedi.

Come vogliamo procedere? –

John aveva appena passato la patata bollente a Sherlock.

Voglio proseguire. –

Sherlock era certo che Mycroft se lo fosse aspettato, mentre John, be', lui già era stato informato della sua decisione. Eppure furono i loro respiri strozzati che interruppero il silenzio del laboratorio seguito alla sua affermazione. La dottoressa appariva molto meno turbata da quella risposta.

Dunque, lei come procederebbe? – le chiese francamente.

Sherlock conosceva la direzione in cui voleva andare, ma non sapeva come arrivarci.

Il rischio di aborto spontaneo aumenta esponenzialmente ogni giorno. – lo informò cautamente.

Ci stava girando attorno, neanche se volesse evitargli trauma. Che tedio. Insomma, non era una madre in trepidante attesa che voleva scongiurare il rischio di perdere il tanto agognato pargolo. Lo volevano capire che tutto questo era molto di più?

Trovo eccezionale che l'embrione sia sopravvissuto fino a questo stadio, è un vero miracolo. –

Questa, poi!

Oh, per favore! – Sherlock sbuffò una risata – Mi era sembrato di capire che lei fosse una scienziata. –

Esattamente. – la sua espressione si fece seria – So identificare un miracolo quando lo vedo. –

Perfetto. –

Sherlock si avvicinò, prese una sedia e la ruotò, sedendocisi a cavalcioni. Era stufo di quel ciarlare.

Come gestirebbe questo particolare miracolo, dottoressa? – le chiese direttamente, sperando che non ricominciasse con i suoi voli pindarici, né che Mycroft o John s'intromettessero.

Ormoni. Un cocktail di gonadotropina corionica, progesterone, estrogeni e prolattina, per iniziare. Ne conviene, dottor Watson? –

Le labbra di Sherlock s'incresparono nel primo sorriso spontaneo di quella giornata, se non dell'intero mese. Finalmente si parlava di cose serie.


Ed ecco un'altra cosa che non era prevista. Ma John era un dottore e per conseguire la laurea in medicina aveva studiato anche tutta quella roba là e ricordava persino di quella volta, durante tirocinio, che gli era toccato fare un mese in pronto soccorso e una sera che c'era casino si era ritrovato a dover far partorire una donna lì, su un divanetto dell'accettazione dell'ospedale più sfigato di Kingston. Aveva appena ventitré anni e il solo ricordo gli faceva tremare le mani al pari degli incubi sull'Afghanistan.

Non sono un ginecologo, ma... – si schiarì la voce e annuì – sì, credo che sarebbe... uhm... adeguato. –

Sherlock si rivolse alla dottoressa: – Quando inizio? –

Lei allargò le mani: – Sono necessarie ulteriori analisi per calcolare il giusto dosaggio, a quel punto... –

Bene, me le faccia. – disse saltando su dalla sedia e parandosi davanti a lei.

La Stapleton lanciò uno sguardo interrogativo a John. Lui strinse le labbra e sospirò, preparandosi mentalmente il discorso che avrebbe stroncato parecchio dell'entusiasmo di Sherlock e che di conseguenza avrebbe provocato una catastrofe a livello globale.

Non è tutto qui. –

Sherlock si volse verso di lui con aria interrogativa. Sarebbe stato ancora più difficile spiegargli tutto con i suoi occhi puntati addosso, ma John aveva dato notizie peggiori a pazienti incontrollabili quasi quanto lui, per cui... per cui sarebbe stata una catastrofe e basta. Cazzo.

Una gravidanza extrauterina... e la tua è decisamente extrauterina... be', non ha lunga vita. –

Mio Dio, non poteva credere che stava seriamente parlando di questo.

Cercò aiuto nella dottoressa: – È esatto? –

Difficilmente l'embrione raggiungerà lo stadio di feto. – confermò lei – E se anche dovesse riuscirci, nei mesi successivi la sua conformazione fisica e i suoi tessuti non sarebbero in grado di adeguarsi per contenere la sua crescita. –

Dunque? – incalzò Sherlock.

Dunque verrà il momento in cui sarà necessario espiantarlo e... –

Espiantarlo? –

John non si accorse di aver parlato finché tutti, dopo la sua esternazione, non si voltarono verso di lui con sguardi attoniti. Forse la catastrofe non sarebbe arrivata da Sherlock, dopotutto.

Espiantarlo, sì. – ripeté la Stapleton.

Gli bastava l'immagine di ferri chirurgici associata al ventre di Sherlock e a ciò che conteneva per fargli salire un fiotto di nausea.

E per metterlo dove, scusi? – annaspò.

Incubatrice? – suggerì Mycroft.

La dottoressa fece un sorrisetto e andò al computer.

Qualcosa di meglio. – annunciò mentre cercava tra i files.


Tenersi da parte il piattoforte per sfoderarlo all'ultimo momento. Era così prevedibile. Chissà da quanto stava pregustando l'idea delle loro espressioni ammirate?

BAW? –

La Stapleton aprì la bocca per spiegare a John l'acronimo. Sherlock la batté sul tempo.

Biomechanical Artificial Womb. (*) – tradusse immediatamente.

Dall'espressione infastidita della dottoressa si poteva intuire come ci avesse preso in pieno. Che altro poteva voler significare, dopotutto?

È ancora in fase di sperimentazione, ma i risultati con embrioni di coniglio e di capra sono stati eccellenti. – stava illustrano, aprendo varie schermate.

Con tutto il rispetto, – intervenne John – ma qui non si tratta dell'embrione di un coniglio... o di una capra. –

Abbiamo appena ricevuto il via ufficiale per i test sui primati. – ribatté lei.

E nemmeno di scimpanzé. – si ostinò lui – Questo è un bambino. –

Oh, John, John, John...

Sherlock già prevedeva con drammatica precisione come si sarebbe sempre, sistematicamente, rifiutato di vedere tutto ciò per quello che realmente era: un brillante, irripetibile esperimento. Era una bella grana e se la sarebbe dovuta gestire interamente lui. Ah, quali sacrifici non era in grado di fare per amore della scienza!

Ne sono consapevole, dottor Watson. –

Davvero? Perché a me non sembra. – replicò con crescente irritazione – Abbiamo qualche... insomma, quali garanzie abbiamo che funzionerà? –

Silenzio.

Nessuna. –

Altro silenzio.

Il volto di John s'indurì in quella che Sherlock aveva ribattezzato l'espressione da “ecco-purtroppo-lo-sapevo”.

Grandioso. – batté un paio di volte le ciglia, scosse la testa, si umettò le labbra – E allora perché mai dovremmo rischiare? –

Perché non avete altra scelta. –

Sherlock intercettò l'espressione di Mycroft. Non gradiva quella sfumatura di compita consapevolezza. Adesso aveva la netta – spiacevolissima – sensazione che prima, quando aveva valuto parlare con la Stapleton, non l'avesse fatto solo per uno dei suoi giochetti psicologici.

Parliamoci chiaro. – la dottoressa si sporse dalla scrivania – Non c'è dubbio che sia fisiologicamente impossibile portare a termine questa gravidanza in maniera naturale. Anche mantenendo un dosaggio ormonale perfetto e monitorando lo stato del signor Holmes ventiquattro ore al giorno... non supererebbe la sedicesima settimana. –

Al pesante silenzio che seguì, Sherlock decise che non era certamente il caso di contribuire troppo. C'era già abbastanza inutile pathos in quella stanza, senza che fosse necessario aggravarlo ulteriormente.

Grazie per l'esaustiva spiegazione, dottoressa. – disse, cercando di mettere in quella frase di circostanza quanta più gentilezza possibile – Se adesso vogliamo procedere... –

La Stapleton fece un gesto come a dire “siete voi che comandate”.

Ci vorrà un po'. – li avvertì mentre preparava gli strumenti per le analisi.

– “Un po'”? – fece John, osservando le sue mosse con aria vagamente allarmata – In che senso “un po'”? –

Vi conviene prenotare una stanza. –

John abbassò la testa con aria sconfitta: – Chiamo l'albergo. –

Mi duole, ma non posso trattenermi oltre. – Mycroft aveva indossato il soprabito e ripreso possesso del suo ombrello – D'altra parte mi sembra di lasciarvi in ottime mani. –

Soddisfatto per la prima volta nella giornata, Sherlock si disfò del cappotto e prese ad arrotolare le maniche della camicia.

Addio Mycroft. –

Ci era voluto un intero pomeriggio di bla bla bla, ma per lo meno adesso, con suo fratello fuori dai piedi, sarebbe riuscito a fare qualcosa di utile.


La porta del laboratorio si richiuse alle loro spalle. Il corridoio vuoto, con le sue luci fredde che si riflettevano sulle pareti chiare, faceva da cornice alle due figure così diverse di Mycroft e John.

Dottor Watson. –

John fece finta di essere del tutto assorbito nella ricerca del numero dell'albergo sulla rubrica del cellulare. Ma sapeva che un Holmes non si può fregare facilmente, per cui, quando comprese che Mycroft non si sarebbe schiodato di lì finché lui non gli avesse prestato attenzione, si decise ad alzare lo sguardo su di lui.

Comprendo il suo disagio in questa... –

No. Non lo comprende, no. –

Si guardarono a lungo. O meglio, John lo guardò, mentre Mycroft aveva per lo meno il buongusto di abbassare il capo in segno di umiltà.

Mi dica cosa ha da dirmi, per favore. –

Mycroft rialzò la testa, la fronte corrugata in segno di preoccupazione, e si schiarì la voce.

Sia paziente con lui. – suggerì cautamente – Cerchi di comprendere che non ha a che fare semplicemente con una persona normale in una situazione anormale. –

Questo ha la premura di ricordarmelo ogni giorno suo fratello. – ribatté con una punta di triste ironia.

Quello che voglio dire... – Mycroft si accigliò ulteriormente nella ricerca delle parole, poi il suo volto s'illuminò – è che Sherlock non è dotato dello stesso spettro emotivo di una persona qualsiasi. –

Ma che novità! Sherlock non era dotato di spettro emotivo. E basta.

Immagino che parli per esperienza. – commentò, sondando il suo sguardo.

Mycroft inclinò la testa e inarcò le sopracciglia: – Diretta esperienza, dottor Watson. –

Non era normale, no. Non più di quanto lo fosse Sherlock. Gli Holmes erano questo e John ormai doveva averlo capito. O, se non altro, doveva essersi messo l'anima in pace, visto che a suo tempo aveva fatto una scelta consapevole. Nessuno lo stava obbligando con una pistola puntata alla testa. Eppure non pensava nemmeno lontanamente di andarsene, di lasciarsi alle spalle Sherlock. Neanche adesso – sopratutto adesso.

E cosa dovrei fare? – chiese, sinceramente stufo di dover scendere a compromessi e camminare sui vetri rotti quando si trattava di Sherlock – Come dovrei comportarmi? –

In nessun modo, se non come ha sempre fatto. Ovvero seguendo ciò che le dice il suo cuore. – Mycroft chiuse il cappotto – Mi creda, è la cosa migliore per tutti. In particolare per mio fratello. –

John sgranò gli occhi. Lo prendeva per il culo?

Non sto facendo dell'ironia. – lo avvertì con un tenue sorriso – Per quel che mi è dato sapere, lei lavora meglio col cuore che con il cervello. Ed è un complimento, nel caso se lo stesse chiedendo. –

E John non trovò nulla da replicare. Solo, seguì con lo sguardo la sua alta figura mentre si avviava lungo il corridoio.

Arrivederci, dottor Watson. – lo sentì salutare, prima di svanire dietro un angolo.


Il sangue avanzava denso, sotto l'aspirazione dello stantuffo, riempiendo lentamente la fialetta del suo rosso intenso, unica macchia di colore in mezzo a quel bianco asettico.

E questa è l'ultima. –

La Stapleton gli premette un batuffolo di cotone imbevuto di disinfettante sull'incavo del braccio e sfilò l'ago. Sherlock tenne una mano sul punto e piegò l'arto. La osservò attento mentre inseriva ogni fialetta in un diverso tester e avviava le analisi inserendo i codici nel computer.

Quanto ci vorrà? –

Domani mattina avrete i risultati. –

Sherlock si accigliò: – Avremo? –

La Stapleton alzò appena lo sguardo dal computer a lui.

Lei e il dottor Watson. – disse in tono ovvio.

Ah, ma certo. – borbottò ironico.

La dottoressa aveva già dimostrato, con i suoi commenti precedenti, di possedere un'inopportuna vena sentimentale, del tutto antitetica al suo lavoro.

Non siamo due sposini in trepida attesa. – le fece presente.

Possibile che dovesse ricordarlo a tutti?

Questo non cambia la realtà dei fatti, signor Holmes. – disse con aria pratica – Aspettate un bambino. –

Sherlock reclinò la testa sulla spalliera della sedia e sospirò nervosamente tra sé. E adesso cosa avrebbe dovuto fare? Distruggere le sue tenere convinzioni dicendole senza troppi giri di parole che quel “bambino” altro non era che un'irripetibile occasione? Una persona simile non era minimamente affidabile: come avrebbe gestito il tutto? Avrebbe certamente tentato d'interferire.

Non ho intenzione di cambiare linea solo per le sue discutibili convinzioni etiche. – le disse francamente.

Chi le dice che ho intenzione d'imporle le mie convinzioni? – ribatté lei – Sono una scienziata. Non sarei qui, adesso, se non avessi la capacità di scindere il mio personale concetto di etica dal lavoro che faccio. –

Sherlock inarcò le sopracciglia, sinceramente stupito. Con una frase era riuscita a ribaltare completamente le idee che si era fatto su di lei. Dopotutto, forse sarebbe stata affidabile.

E lei? –

Il momentaneo rilassamento che l'aveva colto, svanì immediatamente.

Lei ne è capace? – gli chiese.

Di fare cosa? –

La Stapleton ammiccò: – Lo sa. –

Sì, Sherlock lo sapeva. Aveva anche lui qualcosa da scindere, se voleva portare avanti quell'esperimento.

John capirà. – sentenziò con sicurezza, pur sentendosi progressivamente meno sicuro.

Oh, certamente. – commentò lei – Come ha sempre fatto, d'altra parte, no? –

Come aveva sempre fatto, già. Era inquietante il modo in cui la dottoressa aveva inquadrato il loro rapporto. Sherlock si morse l'interno della guancia, reprimendo quella debolezza che lo spingeva a chiederle un parere su come avrebbe dovuto comportarsi con lui.

Non lo illuda. – dimostrando un'empatia sovrumana, la Stapleton gli risparmiò l'umiliazione di esporsi con una domanda diretta – Se proprio deve essere sé stesso, che lo sia fino in fondo. –

Le labbra di Sherlock si strinsero impercettibilmente.

Lui non era più del tutto sé stesso da quando aveva conosciuto John. Sarebbe stata un'imperdonabile mancanza di logica ignorare il lento cambiamento che s'era inesorabilmente fatto strada in lui dal momento in cui il dottor John Hamish Watson aveva accettato di condividere l'appartamento – e la sua intera vita – assieme a lui. Qualcosa che non aveva previsto, ma che stava accadendo e basta. E come avrebbe potuto prevedere quanti e quali altri cambiamenti stavano già avvenendo o sarebbero avvenuti in lui? Come poteva mantenere fede al sacrosanto avvertimento della Stapleton?






(*) Utero Artificiale Biomeccanico

   
 
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