Era
uno dei tanti giorni di un inverno
qualunque, più precisamente verso la fine di
Febbraio.
L'Ohio era conosciuto per le ottime
temperature, ma tutti dimenticavano le tragiche e problematiche pioggie
invernali, specialmente quelle di metà stagione.
Mi svegliai presto quella mattina, morivo
dalla voglia di aprire la finestra per vedere le prime luci del giorno.
Le nuvole cariche di pioggia erano
stanziate a pochi metri da casa mia, ma le strade erano già
piene d'acqua,
quasi come ruscelli. I lampioni erano accesi e emanavano una luce fioca
per le
strade, contornate da uno scenario di desolazione totale per via della
pioggia.
Ricordo ancora come il piccolo lucernario sotto la veranda di casa
smise di
funzionare quel giorno.
Indossai
i miei blue jeans sbiaditi,
seguiti dagli stivaletti marcati Timberland. La t-shirt era pronta
lì sul
comodino e per seguire il cardigan di cashmere.
Scesi le scale con un passo pesante,
seguito da uno sbadiglio rumoroso. La sala vicino al sottoscala
presentava
subito una piccola cucina color mogano, seguita da un piccolo tavolo in
legno
d'Acero quasi rossastro e piccole sedie di ferro dove mi era solito
sedere con
le ginocchia. I pavimenti erano rossastri, quasi arancio. Era una
piccola
stanza con le pareti di un verde sbiadito e un intonaco color oro; in
poche
parole, la solita cucina da diciassette anni a questa parte.
Mangiai un yogurt molto lentamente e il
mio piede sembrava muoversi a tempo con il ticchettio della pioggia
sulla
finestra e il ticchettio della piccola lancetta rossa nell'orologio da
sala.
Terminai velocemente di prepararmi le
ultime cose e infilai velocemente l'impermeabile beige; in seguito,
uscii da
casa.
La pioggia aveva i suoi aspetti positivi e
negativi. Gli aspetti positivi erano l'odore che emanavano i prati e
l'aspetto
malinconico del paesaggio, quelli negativi che ti bagnavi e
probabilmente avresti
sentito freddo tutto il giorno.
Tirai fuori l'Ipod verde mela e le cuffie
abbinate. Play, la musica partì con la stessa canzone di
tutte le mattine,
credo fosse Bad Day di Daniel Powter; mai stata così
perfettamente
azzeccata.
Il bus giallo limone sbiadito arrivò
subito e salii molto lentamente, sedendomi al fianco della signora
Jonson,
famosa per i suoi monologhi ad alta voce.
Dopo aver ascoltato circa tre canzoni di
Taylor Swift e una di Matthew Perryman Jones arrivai a scuola.
La pioggia scrosciante aveva creato minuscoli
mulinelli sui tombini e piccole cascate per le scale prima dell'entrata
della
scuola.
La scuola aveva sempre lo stesso
rivestimento di mattoni rosso sbiadito, quasi sul rosa antico. Sotto,
al
parcheggio, c’erano poche macchine, ma con l'abitacolo
riempito da quattro
studenti per ogni macchina. L'uscio della scuola presentava circa
quaranta
studenti, tutti con i loro ombrelli monocromatici.
Giallo, verde, blu, rosso, giallo limone,
bianco vaniglia, marrone terra e.. dannazione! Mi accorsi di aver
dimenticato
il mio.
Le cascate d’acqua per le scale si
alimentarono e i ruscelli per le vie strette che conducono alla scuola
contornavano ambedue i lati.
Il primo richiamo della campanella suonò
stridulo, quasi fastidioso.
Entrai.
Era uno di quei momenti in cui avresti
voluto essere un fantasma, per i corridoi mi capita sempre
così, odio sentirmi
al centro di un folla inferocita che cammina sullo stesso passaggio e
poi si divide
in massa da ogni parte.
I corridoi erano larghi, contornati da
armadietti grandi di volume, ma con cassetti incisi e stretti. C'erano
svariati
simboli di riconoscimento su ognuno di questi: scritte di carta,
piccole
sfumature color giallo, sbavate e altri vari simboli di riconoscimento.
Attraversato il corridoio centrale
imboccai su quello di destra, dove c'erano altri armadietti, poi altri
armadietti e altri armadietti ancora all'infinito.
Altri armadietti, altre scritte: Quinn
Fabray ex Cheerios, Charles Mickelson il migliore, Janet Elizabeth la
regina,
Santana Lopez la stronza ed altri ancora.
Un altro corridoio, altre scritte su gli
armadietti.
Sul corridoio di estrema sinistra
continuavano con scritte difficili da leggere, ma sempre con le proprie
caratteristiche.
Mi chiedevo chi le facesse con il pennarello indelebile. Giurerei di
aver visto
Noah Puckerman scriversi: " Puck sei il più figo " sul
proprio
armadietto, molto modesto da parte sua.
Catturò la mia piena attenzione un
armadietto pieno di scritte rosa incomprensibili dove avvicinandosi si
poteva
afferrare il significato che compariva molto chiaro
sull'armadietto.
"Gay" era la parola scritta
circa una decina di volte; il mio cuore si rammaricò per il
proprietario di
quell'armadietto, la testa mi ricordò che ero proprio
io.
Presi velocemente le mie cose dall'interno
dell'armadietto e mi bastò girarmi per vedere le grandi mani
di Nick Laney
spingermi a terra, facendo volare tutti i miei libri appena presi dal
mio
armadietto.
<< Femminuccia, prendi tutto da
terra mi raccomando! >> Gridò Jacob Devonne,
ridendo verso di me.
Mi rialzai dolorante, mi abbassai per
riprendere la mia roba e lì vidi una grande mano stringere
il mio libro di
biologia a terra.
Quì cominciò il mio sbaglio, lo sbaglio
più bello della mia vita. Avete presente le scene da film in
cui il
protagonista si volge a guardare il volto del suo salvatore e rimane
per
qualche minuto muto e con gli occhi sbarrati? Bene, credo che sia stato
più di
questo.
<< Ti aiuto io! >> sussurrò
David Karofsky con un sorrisino sul viso tondo e apparentemente
delicato.
Ero paralizzato dalla testa ai piedi,
tanto che raccolse lui tutti i libri da terra.
David Karofsky era diventato da qualche
giorno la barzelletta della scuola, Nick Laney giura di averlo visto
dichiarare
il suo amore a Kurt Hummel, il ragazzo di Blaine Anderson.
<< Ti senti bene? >> mormorò
David, guardandomi spaesato.
Dissi che stavo bene, strappando i miei
libri dalle sue braccia grandi.
Iniziai a camminare per il corridoio,
senza voltarmi, lasciandolo lì con la sua faccia stralunata,
probabilmente per
il mio comportamento.
Prima di svoltare l'angolo mi voltai, e
guardandolo masticai delle parole silenziose che simulavano un GRAZIE,
comprensibili solo dal labiale. Lui mi rispose sorridendo, mostrando i
denti
perfettamente bianchi.
Non avrei mai immaginato che da quel
momento David Karofsky avrebbe occupato tutti i miei pensieri.