Le calende di marzo
Vorrei stringerti
forte, dirti che non è niente
Posso solo ripeterti
ancora: sono solo parole
È il primo di
marzo. È una bella giornata, inaspettatamente calda dopo la neve delle
ultime settimane. Eppure la parte più remota di me, quella che si vergogna
di star qui di fronte a una casa piena di sconosciuti e di silenzio, in mano un
mazzo di giunchiglie avvolto da un nastro viola, forse desidera di vedere il cielo annuvolarsi e gonfiarsi di
pioggia. La pioggia nasconde, la pioggia cancella.
È triste
venire a trovarti dopo così tanto tempo, e in questa maledetta
circostanza. E per un tempo che mi sembra infinito me ne sto qui a vergognarmi,
a macerarmi nell’imbarazzo di aver perduto ogni contatto con te, a rimpiangere
gli anni che sono passati senza che ci vedessimo o ci sentissimo mai. Abbiamo
vissuto così tante cose insieme. E tu sei sempre stato così
speciale... Il miglior amico che abbia mai avuto.
Ti guardo da
lontano: chino con le spalle curve e le mani strette alla balaustra, mentre
parli con una persona che non conosco. Nel silenzio alcune parole viaggiano
fino a me e mi corrodono ancora un po’. Cinque del mattino. Pelle fredda.
Non respirava più. Ma la tua
voce non si rompe mai, ha la stessa sfumatura allegra che mi ricordo. Ai miei
occhi sei forte, bello. Unico.
Com’è
successo, Eli? Quand’è che ci siamo
allontanati?
Quand’è
che siamo cresciuti?
Mi stringo nel cappotto
nero che non riesce a scaldarmi – neanche il sole può farlo –
e salgo lentamente quei gradini che portano alla tua veranda. Mi vedi arrivare,
e mi riconosci, e la sorpresa nel tuo sguardo mi stringe il cuore.
« Chloe...? »
Tento un sorriso, ma
non ce la faccio. Probabilmente non ce l’ho mai fatta a ingannarti.
Mi odio mentre ti
abbraccio, perché è da troppo
tempo che non lo facevo più.
« Mi dispiace.
Davvero. »
La tua stretta
è familiare e tranquilla. Non mi rispondi e so che rispetti il mio dolore, prima ancora che il tuo. Sei
un uomo ormai, ma non sei cambiato. Difatti, scostandomi, vedo che il tuo
è un sorriso vero, pur se incredulo.
« Come... Come
l’hai saputo? »
Abbasso lo sguardo,
concentrandomi sui fiori. « Rush. Mi ha... contattata lui. Lo sai, da
quando siamo tornati ti ha sempre tenuto d’occhio. »
Sorridi ancora,
ridacchi addirittura. Ma come fai?
« Non deve
aver digerito il mio rifiuto di specializzarmi nel settore. »
« Beh,
lassù tu ci hai salvati tutti. La sua era una richiesta legittima. »
« Lo so. Ma non
avrei sopportato di lasciare di nuovo la mamma. »
Alzo gli occhi. Non riesco
a impedirmelo. Mi aspetto di trovare nei tuoi la pena, anche solo un millesimo
della tristezza che sento io per te – e invece, se c’è,
è così ben nascosta da farmi ammutolire.
Mi sfili le
giunchiglie dalle dita e vedo la donna con cui parlavi poco fa allontanarsi con
discrezione, rientrare in casa. Chissà se ha capito da quanto tempo non
ci vediamo, noi due. Chissà se ha visto la mia vergogna.
« Non dovevi. »
« Non ci
pensare. »
Ci guardiamo per
qualche istante in silenzio. Non succedeva mai, un tempo. Sulla Destiny non abbiamo mai smesso di parlare, mai, neppure quando
sceglievamo strade diverse, neppure per Rush, neppure per Matt... Non avrei mai
immaginato che condividere un silenzio con te
potesse fare tanto male.
Per l’ennesima
volta, il più forte tra noi sei tu.
« Allora... Come
vanno le cose? »
Mi stringo nelle
spalle. Odio la sincerità del tuo interesse, la odio e l’adoro
insieme. « Avanti. Ho ripreso il mio lavoro, e c’è aria di
promozione. »
« Grande! »
Fai un cenno di vittoria. « Tuo padre sarebbe fiero di te. »
La tua
capacità sempiterna di disarmarmi
mi farà sempre sorridere; questo no, non è cambiato. « E
tu? »
« Oh... »
Minimizzi. « Niente di che. La solita vita. Gioco ai videogame. Cazzeggio.
Mi sono laureato. »
Capisco di aver
cambiato espressione dal modo nuovo in cui mi sorridi.
« Davvero? »
« Davvero! »
« Ma
è... è bellissimo, Eli. »
« Già,
e la mia tesi era sul cinema di fantascienza, pensa un po’. »
« Tua madre
deve essere stata fiera di te. »
Vorrei mordermi le
labbra a sangue, ma tu non mi guardi
in modo diverso. E dopotutto è ciò che penso. È la
verità.
« Sì.
Lo è stata. »
Non sei cambiato, Eli. Abbiamo svoltato in direzioni diverse, quel giorno in
cui attraversammo per l’ultima volta uno Stargate,
ma il tempo e le cose non ti hanno cambiato: riesci ancora a sorridermi come se
non avessi mai sofferto in vita tua. E riesci anche – sempre – a non farmi capire se menti o no.
La tua forza acuisce
il mio senso di colpa. Avrei voluto
esserci, Eli. Non meritavi di stare solo, non l’hai
mai meritato.
Distolgo ancora una
volta lo sguardo; è tempo di fare onore alla mia presenza qui. Mi volto,
punto verso la porta di casa tua. Mi sarebbe piaciuto venire a trovarti in un
giorno in cui il sole fosse caldo per davvero...
Fendo gli
sconosciuti, ma il silenzio lo lascio intatto. Sento che mi segui, ti fermi con
me.
Tua madre è
bella. Ha i tratti distesi come se dormisse, serena, felice di andarsene in un
momento in cui ha davvero potuto dire di essere fiera di suo figlio.
Sento la tua
presenza. È l’aura di sicurezza, fiducia e forza che ti ha sempre
contraddistinto, in tutti i giorni più bui, in cielo o in terra che
fosse.
Vorrei prenderti la
mano, ma non ne ho il coraggio.
*
Nei film, ai
funerali piove sempre. Probabilmente gli autori accarezzano il poetico simbolismo
dell’acqua che si mescola alle lacrime e depura il mondo dalla tristezza
di una perdita, aggiungendo freddo a freddo e annullandolo. Ma oggi non piove. Oggi
il sole è impietoso, anche se io, nel mio cappotto nero, ancora non
sento alcun calore.
Sono venuti in tanti,
anche dalla Destiny. Matt e Greer:
un po’ in disparte, incapaci di mescolarsi ai tuoi conoscenti ignari. Matt
mi ha rivolto un cenno di saluto, poi è tornato a fissare il sacerdote. È passato tanto tempo. Non ho
avvertito nessun vuoto – nessuno che superasse quello che è calato
su di me al rivedere te. Camile: si è battuta così tanto, all’epoca,
quando vedeva che non riuscivi più a soffocare la disperazione, che
volevi stare accanto a tua madre. Non
è una sorpresa vederla piangere oggi ancora una volta, per l’implacabilità
della vita. TJ e Young. Lisa. Vanessa. Persino Rush, laggiù, ai margini
della scena e del cimitero. Il lupo battuto dall’agnello che viene a
condividere una parte del suo dolore.
Io ti sono accanto,
ma non mi sei mai parso più lontano. Hai ancora quello sguardo sereno,
asciutto. Non sei cambiato. Magari
stanotte, quando resterai solo nella tua casa vuota e silenziosa, allora
scoprirai che non puoi più continuare a ingannarti e scoppierai in
lacrime – ma adesso no. Forse perché ti sta più a cuore
rassicurare gli altri che te stesso. Non sei
cambiato.
Ti ho perso, Eli?
È per questo
che non riesco a toccarti? È per questo che non riesco a dirti che mi
dispiace da morire, che so cosa significhi perdere un genitore, un punto di
riferimento, che sono imperdonabile per essermi concentrata così tanto sulla
mia vita dopo la Destiny e aver quasi dimenticato la
persona meravigliosa che sei sempre stata per me? Ti ho perso davvero, così?
Ma tu mi guardi e mi
sorridi, e io mi dico che, no, è solo che sono una stupida. Una fottuta
stupida. Una cui ci è voluta una tragedia silenziosa per ricordarsi di
fare una visita al suo migliore amico, a quello che tante volte, in tanti modi,
l’ha salvata. Una debole.
Potrei dire a me
stessa che a volte la vita è così, ma non mi farebbe sentire meno
in colpa.
Il sacerdote recita
le ultime preghiere. La bara viene calata nella terra. Tu ti fai avanti, getti
delle rose rosse sul legno scuro, ti ritrai ancora. La lasci andare.
Il funerale è
finito.
La gente si accalca,
viene da te a offrire una parola, una stretta di mano, un abbraccio fugace. Povero ragazzo. Devi andare avanti. Non
lasciarti abbattere. Non esitare a chiamarmi, se hai bisogno di me. Sii forte.
Devo reprimere il riso, una risata sprezzante e disperata, perché mi
chiedo: ma tutti questi esseri umani ce l’avranno un’idea di quanto tu sia forte? No. Non ti
conoscono neanche. Ti buttano addosso parole di cui non hai bisogno. Non vedono
che, col tuo solo viso asciutto, sei tu a far forza a tutti noi.
È sempre
stato così, anche a miliardi di anni luce da qui.
Forse mi rendo conto
soltanto adesso di quanto tu mi sia mancato, Eli.
Quando ti volti un’ultima
volta verso di me, e io trovo da qualche parte la forza di chiederti scusa con
un abbraccio senza parole, di colpo vedo le tue lacrime. Ma non sono ancora in
bella vista. Ce le hai dentro, al buio, nel posto che hai scelto di seppellire insieme
al corpo di tua madre.
Mi abbracci forte,
come non hai mai fatto. Hai visto che le ho viste?
« Sono felice
che tu sia venuta, Chloe. Davvero. »
Era un singhiozzo,
ne sono sicura. E mi viene in mente che allora non avevi problemi a mostrare le
tue debolezze a chiunque non fossi
io, mentre oggi è stato sul mio nome che hai singhiozzato. Era un
singhiozzo, ne sono sicura.
Ti prego, ti prego, lascia la porta aperta. Perdonami.
Mi sei
mancato, Eli.
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Spazio
dell’autrice
(La lyric in incipit è tratta da Sono solo parole di Noemi. Il contesto
è successivo alla serie Stargate Universe e riprende il tema della malattia della
signora Wallace affrontata nell’episodio 2x04.)
Non c’è
molto da dire.
È brutto,
è orrendo quando senza un vero motivo ti allontani dal tuo migliore amico,
e poi riesci a riavvicinarti a lui solo nel giorno del suo lutto più
grande.
Ho scelto i volti di
Eli e di Chloe
perché erano quelli che maggiormente ci avrebbero rappresentato, un po’
per carattere e un po’ per contesto – ma... se stai leggendo...
anche se non sono riuscita a dirtelo... avrei voluto tenerti per mano. Avrei
voluto esserci sempre. Davvero.
Fabi ~