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Autore: Blacket    04/03/2012    6 recensioni
-Quando chi è spettatore, si trasforma nello stesso induttore del peccato.-
"[...] Debbo infine dire, che considero uno solo, il peccato capitale da confessare al mio Dio:
Feliciano."
|Avarizia|Superbia|Ira|Lussuria|Gola|Accidia|Invidia|
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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7 peccati capitali Nota:  L'ambientazione si destreggia dall'inizio della seconda Guerra Mondiale, alla fine della suddetta. Il punto di vista sarà unicamente di Ludwig.
Non posso garantire dei personaggi perfettamente IC, soprattutto per la trama- ma spero che, comunque, siamo di vostro gradimento :) L'Avarizia, a mio parere, è il peccato che meno mi è piaciuto da descrivere- non sapevo davvero cosa fare. E mi è venuto fuori...un qualcosa (per quanto riguarda l'Avarizia).. Di...noioso, credo.







I 7 Peccati Capitali


[ Quando chi è spettatore, si trasforma nello stesso induttore del peccato. ]











I - Avarizia | L'amore smisurato per il denaro, la radice di tutti i mali.

Era proprio quella Nazione, che riusciva a riscattarsi davanti al mondo assumendo un valore molto più ambito e raro di quello del semplice oro tintinnante- gli era costata un prezzo inestimabile, anche il solo accettare di aver dovuto infine chiedere l'alleanza fra i paesi.
Ma la sua mente malata lavorava ancora veloce, le rotelline nel suo cervello avevano prodotto addirittura scintille; girando persino al contrario, in quella marcia spietata che era la corsa verso il dominio. Si era preparato, premunito in tutti i sensi, ornandosi di ogni qualsivoglia di precauzioni- dalle gigantesche armi ferrigne, un'esercito immenso e illuminato dall'idea della supremazia (del giusto); ed infine della sua fonte di guadagno, tutto il suo denaro, il suo oro materiale e morale.
Ogni sua ricchezza, sbiadiva e si inchinava avvilita davanti all'Italia- ciò che infine lo reggeva, che lo rassicurava proprio perchè dalla sua parte!

Gli occhi chiari e torbidi, lavano e misurano il viso di quel ragazzotto allegro, di quell'italiano pronto a pattuire con la Germania - solo con la Germania, capite?- pronta e fremente, ringhiante e appostata in attacco contro il mondo.
Feliciano gli tende la mano, con un sorriso indeciso, forzato ; ma dedicato solo all'imponente figura ariana davanti a lui.
Eccola! Quella, era divenuta la sua ricchezza, il Sacro Graal da tenere nascosto e protetto da tutti e tutto!- come potevano, quegli stolti oltre-oceano, solamente percepire quanto in realtà valesse?

E tutto ciò -immenso, davvero immenso- era suo.
Totalmente suo.



II - Superbia | Quanto la stima di sè stessi, diventa il disprezzo degli altri.

Non era solo il desiderio di abbassare gli altri - quale ignoranza, vero?- ed apparire immensi ed irraggiungibili, più che un esempio da seguire. Era, più che altro, la sensazione di iniziare finalmente a ragionare, di portare un respiro in quella società vecchia e sporca.
Aveva quella sovrastante sensazione, ogni qualvolta si trovasse innanzi ai campi e luoghi di scontro -la gloria della polvere e del sangue- e gridava ordini, imprimeva il suo valore nella stessa terra  che calpestava.
E questa superbia esplodeva gioiosa, mentre si trovava al fianco di Italia- costretto a scendere in campo con lui, così dannatamente inesperto e timoroso; che si nascondeva dalle armi, dal dare una prova del suo coraggio, e anzi si rintanava vicino a lui, vicino al lupo, cercando aiuto e protezione.
E questo lupo, che era la Germania, pur di risentire il cuore esplodergli in petto per la semplice soddisfazione, si piantava vicino a quell'agnellino; gli insegnava come imbracciare bene il fucile, teneva lui le mani tremanti dell'italiano mentre dava fuoco, lo trascinava stretto a sè quando i sordi fischi delle armi si facevano troppo forti.

Quello che forse non aveva tenuto in conto, era la palese ingenuità di quel ragazzo.
Oltre al fatto che lo confondeva precchio e gli dava da pensare, si dilettava in ciò che lui avrebbe considerato come superfluo.
Alla fine di ogni singola tenzone, si rivolgeva alla Germania con un "Grazie".
Stupido, vero?



III - Ira | La rabbia che scaturisce inutile, e scoppia.

Odiava le imperfezioni.
O meglio, odiava l'imperfetto.
Non riusciva a capacitarsi, di come alcune persone (una in particolare) non riuscissero a terminare un semplice compito impartito dall'alto, impegnarsi fino alla fine per risultare pieni di qualità e degni di fiducia.
Repelleva e aborriva totalmente gli incapaci - loro, che già avevano la fortuna di trovarsi nelle sue stesse schiere, come osavano non prestare l'attenzione dovuta a ciò che doveva -perforza- essere più importante del resto?! Ed era proprio questo miserabile comportamento, che a tratti vedeva nella marmaglia blu degli italiani. 
Ma il punto saliente, era il semplice fatto che Feliciano non reagisse e si limitasse a contare il numero dei caduti; non osava impartire ordini, continuava a tollerare lo sfacelo del suo esercito.
Non poteva certo pretendere, che alla grande Germania non prudessero la mani, e che si trattenesse dall'esprimere il suo schifato disappunto su quell'incresciosa situazione- a volte, quando esplodeva, si sentiva quella sua voce profonda sbraitare sia in italiano che in tedesco; e tutto intorno si faceva silenzio, ogni cosa lasciava che quelle grida prettamente inutili attraversassero muri e finestre.
Eppure Veneziano rimaneva ad ascoltarlo, tentava di ribattere con timore -così potente, era la voce di Ludwig- ma puntualmente un forte colpo alla vecchia scrivania dello studio lo faceva sussultare, e placava le sue repliche.

Accadde che un giorno, dopo un'interminabile ringhio in ogni lingua possibile da parte di Ludwig, Feliciano girò i tacchi in silenzio, nemmeno abbassando il capo come era suo solito fare.
Si fermò poi di colpo davanti alla porta - si, il tedesco se lo ricorda bene- e tornò indietro con calma, senza tremare davanti a lui.
Gli riservò poi probabilmente, quello che Germania interpretò come lo sguardo più affranto e triste che avesse mai visto- si sarebbe forse messo a tacere 100 e 100 volte prima, se solo Feliciano avesse avuto il coraggio di disprezzarlo a quella maniera altre volte.
Si sentì poi avvolgere dalle sue braccia, e velocemente -un po' come scende l'acqua, fluida e trasparente- la sue parole si accostarono all'orecchio sveglio e attento.
"Mi spiace, Ludwig. Mi spiace tanto per te."



IV - Lussuria | Il piacere, fine a sè stesso.

Ah, Feliciano.
L'aveva fra i piedi mattina e sera, gli piroettava attorno durante la giornata e si aggrappava alle sue forti braccia nel pericolo; riusciva in qualche strano modo ad averlo sempre sotto gli occhi, e aveva avuto davvero molto tempo di osservarlo per bene, in tutte le sue sfaccettature.
Ed era davvero impossibile, che Ludwig non avesse pensato solo per un secondo a quel corpo che sotto i vestiti si indovinava asciutto, snello, eppure morbido e malleabile- si, certo, perchè era lui che desiderava plasmarlo a piacimento, sotto le proprie mani.
E mentre la vita si trascorreva fra la polvere da sparo e milioni di documenti da firmare, la frustrazione andava inesorabilmente crescendo.
Desiderava, in un certo qual modo di trovarsi a volte solo con Feliciano, poter letteralmente strappargli i vestiti di dosso, osservarlo con calma mentre lo attende (si, su un ipotetico letto, o magari sul tavolo, rotolandosi nel tappeto vicino al camino, magari addirittura all'aperto) e quei suoi occhi -oddio, oddio, quello sguardo- posati sulla sua figura, intenti a spogliarlo con l'immaginazione.
E Ludwig certo non lo fa attendere: vola via il cappello della divisa, la giacca scivola a terra e persino la canottiera; ma perchè fermarsi qui?
Persino l'italiano nella sua mente è coinvolto ed impaziente; quindi lo raggiunge, con uno strattone leva la cintura e fa il grande errore di sfiorare la sua intimità mentre slaccia frettoloso i pantaloni verdi- qui, il tedesco non ci vede più.
Gli è addosso, peggio di una bestia famelica, morde il suo collo, trascina le proprie labbra fino a giungere al ventre piatto di lui -che nel mentre si lamenta, gli chiede di fare più piano; ed il suo io interiore gioisce: trascina quella situazione nell'oblio, mentre tocca le sue forme, e dà campo libero all'amico che, imprigionato ancora nei boxer grigi, chiede di uscire.

Stranamente, persino nelle sue fantasie Feliciano si snoda, crea uno strano groviglio di gambe e di braccia fino ad invertire le posizioni, fino a sdraiarsi nudo sopra di lui ad intrecciare le labbra con le sue.
Lo fa in un modo così calmo, pacato, come se si trattasse di un incantatore - e pian piano anche Ludwig si calma abbracciandolo, assuefatto dalle sue carezze.
Quella cosa, aveva dell'innaturale.

Quindi si riscosse accorgendosi della sua posizione, si mise meglio seduto per non incorrere nel bisogno di andare in bagno.
Lanciò un'occhiata all'italiano seduto comodamente alla sua destra, in quell'immensa sala, mentre attendeva il suo superiore e nuovi ordini. Ovviamente, appena si accorse del suo sguardo, ricambiò sorridendogli.
Già, solo immaginazione.



V - Gola. | Ovvero, l'incapacità di fermarsi e soddisfare il palato.

La domenica mattina, quando ancora le sentinelle rimanevano in silenzio senza strillare l'allarme, Feliciano aveva l'abitudine di andarlo a trovare -dopo la messa- e di glorificare quel sacro giorno rimanendo in sua compagnia, pianificando ciò che lui definiva come "Speciale".
Aveva impiegato poche frasi, Veneziano, per dirgli quanto fosse importante per lui sentire che la domenica fosse un giorno di riposo,dove finalmente si poteva sorridere davanti ad un bel piatto di pasta fumante e ridere fra amici e parenti, dimenticarsi del puzzo di fumo e sangue che aveva sui vestiti e godersi per 24 ore quel maledetto presente, che troppo spesso sfuggiva spietatamente di mano.
Pretendeva anzi, che lui partecipasse a quella sua festa personale- ma quale modo migliore per costringerlo a svagarsi, se non appostarsi davanti a casa sua, giusto per impedire che altri problemi entrassero, e varcare solo lui la soglia?
Era oramai abituato a quel circolo vizioso, a quell'incatenamento di  situazioni che gli presentava l'italiano. Quell'essere tricolore cucinava sempre un qualcosa di diverso (e non solo quando possedeva idee e materiale necessario: andava ad arraffare ogni singolo ingrediente commestibile e tutto preso dal suo personale stro artistico tirava fuori piatti assurdi da sole tre patate ed un pezzo di carne), ma quando aveva l'occasione di pescare della pasta dall'armadietto di Ludwig, frizzava felice in cucina contento di poterla preparare.
E Germania, che tornava spesso a metà mattina, era impossibilitato dal fermare l'italiano dato che già lo precedeva e aveva preso a cucinare ancora prima che varcasse la soglia.
Se ne stava tranquillo fra i suoi fornelli, concentrato, faceva ciò che gli riusciva meglio senza disturbare.

A dire il vero, a Ludwig piacevano parecchio i piatti italiani -cucinati da Feliciano, poi.
Li mangiava in silenzio, cercava di assaporare e capire ogni singola spezia o aroma. Eppure, tutto quello durava troppo poco! Perchè Feliciano non gli dava più tempo per capire la sua arte?
Forse- forse aveva una strana idea di quelle domeniche con lui, perchè alla fine, sempre dopo pranzo, se ne andava.
Proprio in quei momenti, Ludwig sentiva la fame ritornare feroce, e quel piatto vuoto rigato di rosso pomodoro non poteva certo bastargli. Avrebbe potuto chiedere ad Italia di rimanere lì ancora un poco, e cucinare di nuovo per lui.

"Ecco. Forse, glielo chiedo domenica prossima."




VI - Accidia |  Il desiderio di fuggire da un compito e un dovere.


Non si sarebbe mai definito pigro.
Nessuno avrebbe osato farlo, anche solo guardandolo e sapendo ciò che faceva- gli sarebbe forse venuto da ridere, sentendo quell'epiteto rivolto a lui.

Ma -sempre, sempre c'è un ma- ancora qualcosa lo faceva dubitare sulla parola "Accidia". Se solo avesse potuto, si sarebbe cercato un dizionario su cui trovare la parola incriminata, e riflettere su ciò che stava accadendo, e gli dava parecchio da pensare.
Feliciano, gli stava giusto ricordando quale compito non avesse portato a termine- pur sapendolo, e avendo lasciato il suo ordine quasi come una proposta a vagare a mezz'aria; non obbligando il ligio tedesco a fare ciò che chiedeva, ma pregando in passato che si fosse mosso lui (o almeno, questo poteva essere uno dei pensieri verdi bianchi e rossi).
Feliciano rimaneva sdraiato sulla barella, ed invogliato dalla polvere tossiva secco, lasciando che le mani dei medici lo rivoltassero da capo a piè. Sul fianco portava una decorazione della battagglia -una ferita, rossa ed intensa; un taglio slabbrato e sporco.
Teneva gli occhi chiusi, stringeva forte la mano di Ludwig, rivolgendo il suo sguardo a lui, poi ai medici.
L'italiano unì le proprie mani ad avvolgere quella più grande di Ludwig gemendo, e tentando di nuovo, di ripetere le parole che aveva proferito poco prima; solo con maggiore chiarezza- e quello che disse quella volta suonò come un vero e proprio ordine, perchè il povero Feliciano, sentiva le occasioni venir meno.
" Allora... la prossima volta, ti decici ad uscire con me?"




VII - Invidia | Quel sentimento doloroso, figlio della frustrazione.


Lo sentì gridare il nome di Romano molto prima. Udì nella sua voce, una felicità ed un'incredulità che ancora aveva mancato di sentire nei sui pigolii- quando gli chiedeva un favore, o si sedeva al suo fianco domandando pure il permesso.
L'aveva visto, suo fratello, e ci era corso incontro quasi piangendo, sollevando un polverone davvero inconsueto per la sua persona.  
Lovino fece lo stesso, agrappandosi a Feliciano; e i due si incollarono a quel modo per molto tempo, sussurrandosi quanto si erano mancati, baciandosi rispetivamente sulle guance ed i capelli impolverati.
Parlavano -gesticolavano tanto, davvero tanto- guardandosi e abbracciandosi di nuovo.

Dio, che fastidio.

Infine, Feliciano si volse verso di lui.
Non capì il suo sguardo, ci provò, me nemmeno riuscì a comprenderlo a fondo. Lui, il Generale Tradito, se ne stava ritto in piedi sotto la pioggia; in volto la maschera del freddo e dell'abbandono. Rimase immobile davanti al confine, conscio di essere dall'altra parte del fronte.
Quanto aveva invidiato, gli anni prima del '45.







"Ho imparato, a placare l'egoismo, e la superbia.
Non ho avuto fame di ricchezze, i miei nervi si sono tenuti saldi senza scoppiare. Sono riuscito a fare ciò che dovevo con la diligenza che mi prefiggo, placando i miei istinti.
Con tutta sincerità, ora non ho nulla più da invidiare al passato.
[...] Debbo infine dire, che considero uno solo, il peccato capitale da confessare al mio Dio:
Feliciano."















Blacket's Time:
Okay. Bene, era da un po' di tempo che volevo fare un qualcosa del genere, e finalmente riesco a pubblicarlo.
Ho ben poco da dire, oltre al fatto che adoro questi due personaggi assieme, e mi piace vederli anche in modo differnte da come li dipingono molti.
In ogni caso: grazie a chi leggerà fino in fondo (grazie, grazie davvero), grazie chi aggiungerà la storia nelle preferite, seguite, ricordate.
E ovviamente, un grande grazie a chi recensirà -sempre se ci sarà qualcuno- ma grazie in anticipo, a tutti <3


Baci, Blacket la Babbuina.











  
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