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Autore: Ria-chan    04/03/2012    5 recensioni
Misaki è geloso, confuso e incredulo.
Quando l'editrice si presenta a casa, conversando con Usami-san come fossero amici intimi, Misaki esce di fretta diretto all'università.
Calmarsi è impossibile e quando poi chiarisce vagamente quello che prova e vorrebbe chiedere scusa ad Usami-san per il suo comportamento, ecco che non trova il cellulare...
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Akihiko Usami, Misaki Takahashi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Autore (sia sul forum che su efp se diversi, specificando):  Ria-chan (su entrambi)
Titolo: Innamorato?
Fandom e Pairing: Usami-san/Misaki
Raiting: Arancione
Genere: Sentimentale, malinconico
Avvertimenti: Yaoi, one shot
Pacchetto scelto: Pacchetto blu
Note dell'autore/autrice:
(1) frase ripresa dal manga
(2) pensiero di Misaki non espresso
(3) Ho deciso di non aggiungere le parole poiché così mi sembrava più comico e in stile con la storia.

La storia partecipa al: "
Junjou Romantica & Sekai-ichi Hatsukoi Contest" di Rosalie_ e Liena90. 
Il mio pacchetto prevedeva un luogo e un oggetto, in questo caso università e cellulare. Purtroppo questo è il massimo che sono riuscita a fare non avendo mai scritto nulla su questo fandom XD

 
“Usa-Usami-san, sm-smett- woooah! Che stai…? Do-dove tocchi?? La-lasciamiii”
Ancora una volta, lode al cielo e alla tempestività del citofono che suonava imperterrito, Misaki era riuscito a sgattaiolare via dalle “torture” che Usami-san, preso da uno dei suoi momenti di noia –o di estrema imprevedibilità-, era solito dedicargli.
A quanto pareva, in quella casa starsene stesi su un divano a sonnecchiare comodamente era più pericoloso che fare un safari nel Sahara senza fucile né attrezzatura e ormai Misaki si era perfino abituato alle “particolari” attenzioni che il suo “tutore” gli offriva ma mai, si sarebbe abituato, ai sussulti del suo cuore quando questo avveniva.
-Buon giorno! Sono l’editrice Aikawa della casa Murukawa! Usami-sensei! Spero vivamente che lei abbia completato il manoscritto!-(1)
Ci vollero un paio di minuti buoni prima che Misaki riuscisse a mettere a fuoco la sagoma della donna e che sgattaiolasse via dalla pressione che il corpo di Usami-san esercitava sul suo.
La porta si era spalancata senza preavviso e lui si era sentito morire per la posizione equivoca in cui si trovava ma, soprattutto, per la bellezza della donna quando era riuscito finalmente a scorgere i suoi tratti in modo lucido e preciso.
Gli ci volle comunque un po’ per allontanarsi effettivamente dal divano sul quale era steso fino a poco prima con Usami-san, ma non così tanto gli ci volle per sentire il tono confidenziale dei due e avvertire chiaramente il suono cristallino del suo cuore che andava in frantumi.
Fu doloroso, terribilmente doloroso.
Come uno pugno in pieno stomaco o uno schiaffo inaspettato.
Fu talmente doloroso che il ragazzo stesso si dette dell’idiota per essersela presa tanto; erano due uomini infondo e di certo, la gelosia, non era qualcosa di normalmente contemplabile in un rapporto simile.
Rapporto poi… erano semplicemente coinquilini e se finivano spesso in situazioni fraintendibili era solo per colpa di Usami-san che lo costringeva, o lo prendeva alla sprovvista e non certo sua che, non riuscendo a districarsi o liberarsi, finiva col cedere.
Già, non riuscendo –o volendo- districarsi…
Con un moto di stizza e ancora di sofferenza, Misaki si diresse allora verso il lavabo, regalando le spalle ai due che, seduti su quello stesso divano, discutevano del manoscritto sì, ma quasi come intimi amici o forse di più…
Misaki strinse allora il piatto che reggeva tra le mani che, ancora bagnato dopo il lavaggio, gocciolava facendo ricadere, al suolo, lacrime d’acqua e sapone. Lo stinse tanto forte da non rendersene conto, da non avvertire il dolore alle nocche ormai lattee delle mani e avvertendo invece solo l’assordante, quanto doloroso, tamburo che suonava e vibrava nel suo petto.
La conversazione tra i due continuava indisturbata e gettando rapide occhiate alle sue spalle Misaki poté constatare che mai, mai aveva visto Usami-san tanto affabile con qualcuno e questo, più di tutto, gli costò una nuova, forte, dolorosa fitta, al centro del petto.
All’improvviso gli parve che il piatto gocciolante non fosse l’unico a “piangere”; il desiderio di lasciarsi andare, benché soffocato dalla sua razionalità, si fece prontamente spazio in lui tanto da annebbiargli la vista e costringerlo ad asciugarsi, rapidamente e con la manica della maglia, la prima goccia diamantina che prepotente iniziava a scorrere all’angolo del suo occhio.
Soffocò nuovamente l’istinto di singhiozzare, di darsi del cretino per quel comportamento infantile ma allo stesso tempo non riuscì a mantenersi calmo come voleva apparire e abbandonato il piatto, con mano tremante nel lavabo, afferrò la cartella a mano e la giacca nell’ingresso e, dopo uno sbrigativo –vado all’università- uscì di corsa. Non si voltò. Non si voltò per paura di scorgere il disappunto o peggio l’indifferenza sul volto di Usami-san.
Non si voltò e tirò dritto: il passo rapido, la testa china e le lacrime ancora trattenute ed ingabbiate.
I pugni dolorosamente stretti fino a far diventare le nocche lattee e la testa stracolma di pensieri e tormenti.
Misaki percorse gran parte del tragitto che lo separava dall’edificio studentesco, come fosse un treno inarrestabile: testa china, passo spedito, falcate larghe e testa fumante; l’unica cosa che stonava, forse, era proprio quel viso addolorato, tremendamente sofferente e confuso, perso, spaventato.
Era geloso e questo non poteva negarlo; o meglio, poteva e non esitava a farlo nella sua mente, ma nel profondo del suo animo, del suo cuore e perfino delle sue viscere, non poteva mentire a se stesso.
Il sentimento poi di abbandono, di perdita, era stato sostituito con quello da una rabbia fastidiosa e da un’ira cieca:
perché? Perché, si chiedeva, doveva fargli quelle cose, torturarlo in quel modo se poi, com’era evidente, non gli importava nulla di lui? Ma soprattutto perché ora stava pensando a cose tanto assurde?
Erano due uomini e no, non era possibile che lui si stesse…
-i-i-innamorando? Andiamo no-non è possibile.” La risata nervosa che seguì servì a sciogliergli, almeno momentaneamente, i nervi ed il volto teso; -ma che vado a pensare! Devo essere impazzito!-
Nella foga dei suoi ragionamenti, o meglio dire tormenti e stupri mentali, finì perfino con il tirarsi in viso un sonoro “facepalm” attirando l’attenzione dei passanti che assistevano al siparietto messo su dal ragazzo che, oltre ad “auto-picchiarsi”, continuava a sbraitare da solo muovendo la testa con forza, agitandola prima a destra e poi a sinistra, nel tentativo di negare –a chi poi?- il pensiero inconcepibile che gli aveva attraversato la mente poco tempo prima.
-NON E’ POSSIBILEEEE!!-
Ignorando, o almeno provandoci, gli sguardi adesso ancora più insistenti della gente, tirò dritto fino all’università ed una volta dentro tirò un sonoro sospiro cercando, a fatica, di recuperare senno e controllo.
In parte vi riuscì: il viso si distese ed i pugni si sciolsero ma, la terribile sensazione che gli soffocava il petto ed il cuore, non scomparve affatto. Tentò di seguire le lezioni meglio che poté, ma Usami-san era sempre lì, presente nella sua mente come fosse un tarlo, un picchio che non voleva saperne di lasciarlo in pace o quanto meno… spostarsi su di un altro albero. La sua immagine rimaneva fissa, nitida e chiara quasi in modo innaturale, inumano: il suo volto spesso inespressivo, quasi da sembrare annoiato, altre volte invece concentrato, altre ancora rabbuiato, tutte le sue espressioni scorrevano come un film nella mente di Misaki finché, come per dispetto, una ribellione del cuore e dell’anima, la diapositiva scelta fu quella del volto di Usami-san in QUEI momenti: gli attimi in cui lo accarezza sulla testa, scompigliandogli i capelli castani portati un po’ lunghi sul collo, gli istanti in cui lo fissa negli occhi prima di annullare le distanze tra le loro labbra e accarezzarlo con la sua lingua calda e gentile al sapore di sigaretta, quei momenti in cui, steso su di lui, lo tocca scorrendo tutto il suo corpo, accarezzandolo non solo sulla palle ma principalmente nell’anima…
-Ba-ba-ba-basta!-
Misaki scattò in piedi facendo voltare, una volta ancora, lo sguardo dell’intela aula su di lui: –ah ah ah- rise nervosamente grattandosi la nuca e, contemporaneamente, si piegò più volte in avanti, tentando di scusarsi o almeno di dare quell’impressione; infine rassegnato e accompagnato da un sospiro roco abbandonò l’aula per cercare un minimo di sollievo psicologico e mentale, nella calma e nel silenzio della biblioteca.
Si accomodò nel primo posto libero che gli si presentò davanti e fu anche fortunato che questo fosse affiancato da una finestra ampia, quasi una vetrata, che dava sul cortile e gli permetteva di vagare liberamente col pensiero, di rilassarsi un po’ e di svagarsi per quanto possibile. Osservò le nuvole attraversare lente il cielo e per un attimo gli venne in mente la notte di neve, quella in cui fiocchi leggeri di ghiaccio ricoprivano di freddo la città ma che, tra le braccia di Usami-san, non erano riusciti invece a raggiungerlo. Sulla sua spalla Usami-san aveva pianto calde lacrime che, sotto la luce del lampione, rilucevano come piccoli diamanti e l’aveva stretto come lui fosse la sua unica ancora di salvezza: come si sentisse abbandonato nel mare. Un mare nero ed una notte infinita attraverso cui non scorgeva nulla. Sarebbe andato a fondo, sarebbe potuto morire senza fiato né lotta se Misaki non lo avesse sostenuto, se non lo avesse tenuto in vita permettendogli di respirare ancora, di non annegare nell’oceano della disperazione e della solitudine per la perdita di un amore. Usami-san si era affidato a lui completamente e aveva rinunciato alla sua lotta e Misaki non ci aveva mai davvero riflettuto; aveva considerato solo di essere un ripiego, un sostituto di suo fratello e quindi un gioco per Usami-san che cercava di guarire il suo cuore distrutto, ma mai, prima di quel momento, davanti ad una finestra spalancata, aveva considerato il gesto di quella notte.
Usami-san si era affidato a lui completamente e aveva rinunciato alla sua lotta e se Misaki lo avesse rifiutato, lo avesse lasciato, lo avesse privato del suo unico sostegno, Usami-san sarebbe andato a fondo, senza più aria nei polmoni e sarebbe morto; spiritualmente certo, ma sempre di morte si tratta.
Misaki rivalutò allora l’idea di essersi sbagliato, di aver agito frettolosamente e di avere, come un ragazzino immaturo e frettoloso, travisato tutto.
Cercò allora nelle tasche del jeans, abbastanza stresso da fasciargli splendidamente le gambe, il cellulare per mandare un messaggio a quell’impiastro del suo chiodo fisso.
Lo cercò vagando da una tasca all’altra ma, in nessuna, riuscì a trovarlo.
Sospirò allora una volta ancora, alzandosi dalla sedia ed accostandola vicino al tavolo per rimetterla al suo posto.
Evidentemente lo aveva dimenticato a casa e forse quello altri non era che un segno che doveva tornare, affrontare Usami-san, in qualche modo che poi avrebbe pianificato e mettere fine a quell’assurdo tormento che gli stava rodendo l’anima. Si voltò allora di spalle alla finestra nel tentativo di avviarsi vero l’uscita e fu solo un attimo, un rapido, immediato, velocissimo istante, in cui si ritrovò coinvolto in un abbraccio senza capire chi, effettivamente, ne fosse il padrone.
-Non andare più via da me come hai fatto oggi, Misaki-.
La voce calda, bassa, quasi triste.
-U-U-Usami-san? Che-che ci fai qui?-.
-Non lasciarmi mai più solo in questo modo, hai capito?-.
Un sussurro, caldo e soave che accarezzò il viso di Misaki facendolo vibrare come una corda di violino. Arrossì violentemente prima di recuperare un minimo di senno e staccarsi dall’uomo che lo aveva imprigionato nell’abbraccio:
-e-eri occupato. Cos’altro dovevo fare? E poi sembrava piacerti stare con la signorina Aikawa...-
-Ah?-
Usami-san lo squadrò con aria di sufficienza, lo sguardo duro ed una mano poggiata sul fianco.
-Puoi dirlo se ti piace. E’ una bella donna è normale che tu preferisca lei a me, insomma, io sono un ragazzo e noi non possiamo fare certe cose; che c’è di strano infondo se tu ci abbia ripensato? Io sto bene non preoccuparti per me anzi starò anche meglio senza essere più molestato… ah ah ah. E poi ho tanto a cui pensare ora che sono all’università e-e-e…-
Le lacrime sgorgarono violente, come un fiume in piena che, rotti gli argini, non incontra più ostacoli lungo il suo percorso. Anche le parole pronunciate poco prima, vomitate come uno scoppio di lava da un vulcano, irruppero fuori dalla bocca di Misaki senza controllo alcuno; senza che il ragazzo potesse controllarle o fermarle e senza che, si rendesse conto, di quanto nascondessero nei loro significati più profondi.
Quando le lacrime cominciano a sgorgare, a gocciolare al suolo infrangendosi sul pavimento della biblioteca a quell’ora vuota, Usami-san non poté far altro che attirare ancora una volta Misaki a sé, stringerlo come fosse lui, questa volta, l’unico modo che il ragazzo aveva per respirare, per non affondare o perdersi nel buio della solitudine. Lo strinse più forte che gli fu possibile, attento sempre a non fargli male e prendendo a carezzargli gentile i capelli arruffati:
-smettila di parlare a vanvera, quante volte devo ripeterti che amo solo te. Sei l’unico, te l’ho detto. E non ti perderò per sciocchezze simili. Ho bisogno di te, Misaki.-
Misaki sussultò e si lasciò andare a quel caldo abbraccio, sollevato in parte, ma sempre leggermente confuso e ancora un po’ titubante.
-Ti amo-.
Il soffio, il sussurro, arrivò questa volta direttamente nell’orecchio di Misaki in modo terribilmente dolce, sensuale e meraviglioso. Fu come il sole dopo la tempesta, il calore di una tazza di cioccolata calda tra le mani dopo una giornata al gelo tormentati dal vento ululante; fu qualcosa di così caldo da asciugare le lacrime e scaldare il cuore di Misaki fino a donargli la pace. Sentire la voce di Usami-san tanto sicura, sincera, bassa e profonda, fu un toccasana per le sue preoccupazioni e paure che furono sciolte in un attimo quando, sciolto anche l’abbraccio, le labbra del maggiore si posarono delicate su quelle del ragazzo.
-Potresti dirmelo anche tu, ogni tanto-
-Co-cosa?-
-Che mi ami-
-AHHHH???-
Il volto rosso dal mento alla punta dei capelli, la risata nervosa, l’espressione imbarazzata a morte e un sorriso, che di contro, spuntava invece sulle labbra di Usami-san.
-Ok, ok. Ti lascio in pace per adesso. Sono venuto solo a portarti il cellulare che hai dimenticato a casa.-
Misaki lo guardò allungando la mano verso l’oggetto e meravigliandosi che, proprio quello che lui stava andando a recuperare, gli era stato invece portato dall’uomo di cui si stava
“i-i-innamorando…”? (2)
Fu una fatica non indifferente lottare contro il vapore che fuoriusciva dalla sua testa fumante e il rossore incombente a causa di quel pensiero imbarazzante; ma piano piano, Misaki cominciava ad accettare anche quell’idea.
-G-grazie-.
-Figurati-.
-Ti vengo a prendere a fine lezioni- lo salutò Usami-san allontanandosi di qualche passo per poi, poco dopo, raggiungerlo nuovamente:
-la prossima volta levalo dalla tasca del jeans,-
-mh?-
-Quando facciamo…*bip* e *biiip* e *bi- (3)
-AAAAH! Smettila smettila!!-
Misaki spinse via l’uomo che ridacchiava divertito e si stupì, poco dopo, di essersi incantato a fissare quella risata leggera e quel sorriso nuovo. Era così raro veder ridere Usami-san! E pensare che era per lui, solo per lui, che adesso stava sorridendo felice, gli riempì il cuore come il sole che, dalla finestra, inondava di luce l’intera biblioteca.
Forse poteva accettare di essere innamorato di lui, infondo; che male c’era?
Continuò a chiederselo mentre Usami-san si allontanava di spalle, dirigendosi verso l’uscita.
Continuò a chiederselo anche quando Usami-san era ormai del tutto sparito alla vista.
Che c’era di male? Probabilmente nulla; sicuramente nulla.
Misaki strinse allora il cellulare al petto sorridendo nuovamente, pronto a ritornare il ragazzo solare e ottimista che era sempre stato. Pronto a-“driin-driin”.
Lo schermo del cellulare si illuminò facendo suonare e vibrare l’oggetto e Misaki lo spense il più rapidamente possibile nel tentativo di non infastidire, ancora una volta, l’intero mondo studentesco e in quel caso la pace della biblioteca.
Quando sbloccò il cellulare e scorse la cartella per individuare il nuovo messaggio, di cui non immaginava neanche il mittente prima appunto di leggerne il numero, arrossì una volta ancora.
Avvampò violaceo e addirittura paonazzo quando, sullo schermo, comparvero le parole:
“Quando torni a casa dobbiamo riprendere da dove abbiamo lasciato. Devo ancora farti biip e poi biiiiiip e dopo biip biip…”
“IO LO AMMAZZOOOO!”
Questa volta Misaki non poté proprio evitare di urlarlo al mondo intero e poi fuggire, imbarazzatissimo e affannato, dalla biblioteca prima che, invece, lo cacciassero a calci come giusto che fosse.
Rallentò il passo solo lungo il corridoio che dava accesso alle aule e riportandosi il cellulare davanti al viso, continuò la lettura:

“Quando torniamo a casa dobbiamo riprendere da dove abbiamo lasciato. Devo ancora biip e poi biiiiiip…
 
 
 
 
Ti amo, Misaki.”

 

 

   
 
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