E, lasciate che vi guidi verso una differente trama, che -spero vivamente- sia di vostro gradimento.
Non una semplice lettura.
Ma un modo per far aprire a voi tutti gli occhi, su un argomento che troppo spesso è sottovalutato.
La potenza della mente.
A volte, più pericolosa del Male in se'.
Piano C
Ero
a conoscenza del fatto che
Stefan era andato via. E non avrebbe fatto alcuna apparizione.
Perlomeno non durante la mia
esistenza.
Ma
anche se l’avesse fatto, il
suo cuore sarebbe stato così distante da essere
irraggiungibile da qualsiasi
tipo di amore.
La sua umanità
era protetta da un muro
indistruttibile e invalicabile.
Mi
resi conto di ciò nello stesso
momento in cui detti voce ai miei pensieri.
Realizzai di essere aggrappata al collo di Damon
nell’istante in cui il
calore al contatto delle nostre pelli si fece fastidiosamente scomodo .
Lo stavo stringendo con la stessa forza con la quale stavo
provando a
non far scendere alcuna lacrima sulle mie guance accaldate, rivelando
al
fratello dallo sguardo di ghiaccio la verità.
“Non
avremo mai più Stefan. Lo
sai, vero?” sussurrò, arrendevole.
Aveva
fin troppo ragione.
Io
–noi- lo avevamo perso per
sempre.
“Allora lo
lasceremo andare” annunciai,
assicurandomi della sua reazione.
Sapevo
che gli importava di suo
fratello, ma non avrei mai scommesso che Damon potesse mostrarsi
così chiaramente
vulnerabile, senza quella logorata patina protettiva che indossava ogni
qualvolta si parlasse di sentimenti.
“Okay?Dovremo
lasciarlo andare” la mia voce
uscì distaccata, quasi come
Katherine.
Avrei dovuto essere forte.
Se
non per me.. per Damon. Non
aveva bisogno di accollarsi un altro problema sulle spalle.
.
.
.
“Posso
restare qui per stasera?”
gli domandai nervosamente verso mezzanotte, sebbene sapessi che avesse
già
tirato le sue supposizioni.
Non ero mai rimasta alla
pensione prima d’ora,
non se Stefan non avesse speso la notte con me.
Damon annuì silenziosamente, fingendo
d’essere intento nel versarsi da
bere.
Non
mi andava davvero di tornare
a casa mia, dovendo affrontare il bisogno collettivo di spiegazioni.
Che
codarda.
Damon
venne a sedersi al mio
fianco, fissando distrattamente i giochi di luce che il fuoco ardente
scatenava
bruciando il legno.
Stemmo in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri, fino
a quando non
fu lui a riportarmi alla realtà.
“Come
stai, Elena?”I suoi abissi
celesti non diedero cenno di rilasciare il mio sguardo, bruciando forse
più
ardentemente del focolare nel caminetto.
Come
mi sentivo?
“Come credi che me la
passi?” mugugnai.
Ed
ecco che riapparve il suo
mezzo sorriso amaro.
In una frazione di secondo la mia guancia
ricominciò a bruciare, mentre
le sue dita trassero percorsi immaginari sulla mia pelle.
Cercai di non chiudere gli
occhi.
Lui
rese tutto più facile quando
richiamò la mia attenzione.
“Devi ricordarti
la mia promessa.” Mormorò ,
sicuro delle sue parole.
Sapevo
a cosa si stesse riferendo.
La notte in cui Stefan aveva
bevuto il mio
sangue, quando la sua umanità era stata messa a tacere per
ordini di Klaus,
Damon aveva giurato di non lasciarmi mai più sola.
Ed io gli avevo creduto.
Ma
non erano le stesse cose che
Stefan mi aveva promesso, prima di tutto il casino con gli ibridi?
Prima che si
scoprisse della maledizione del Sole e della Luna?
Perché
ogni volta che qualcuno
pronunciasse quelle parole, ciò che succedeva subito dopo
risultava essere
esattamente l’opposto ?
Fissai il pavimento in
silenzio.
“Guardami”
ordinò severo,
sollevandomi il mento.
Non intenzionalmente i miei
occhi si chiusero.
Damon
sapeva leggermi fin troppo acutamente,
non ero pronta a rivelarmi così fragile in
quel momento.
“Elena” provò di
nuovo. “ Non andrò da nessuna parte”.
E la sincerità di
quelle parole venne emessa
con così tanta potenza che mi ritrovai ad obbedirgli, ed a
fissarlo nelle sue
pozzanghere blu.
“Ti
prego, non farlo mai” pregai
con urgenza, strizzando gli occhi per non far uscire quel dannato
liquido.
E a mio più grande fastidio, Damon era riuscito
a portare via tutta la
forza che avevo provato affannosamente ad accantonare, solamente con
uno
sguardo.
Una lacrima solitaria tracciò un percorso
indefinito sulla mia guancia.
Lui
la fissò compassionevole,
asciugandola.
Come per accentuare la sua
promessa.
Non
se ne sarebbe andato.
.
.
.
Quando
la mattina seguente aprii
gli occhi pigramente ,mi resi conto di essere attorcigliata attorno a
coperte
bianche di seta, fortunatamente ancora nei miei vestiti.
Mi rimproverai vigorosamente
al solo pensiero.
Richiusi
gli occhi, avvertendo i
postumi di una serata fin troppo movimentata.
Quando
i miei polmoni si regalarono un involontario sospiro,
l’odore singolare
della sua colonia arrivò alle mie narici,prepotente.
“Sveglia,
sveglia” la sua voce
arrivò alle mie orecchie, e non mi sfuggì il
fatto che fosse tornato ad usare
il suo solito sarcasmo.
Ovviamente.
Aprii
gli occhi, ben cosciente
che non mi avrebbe lasciata dormire.
“Hai
fame?” sghignazzò Damon, dai piedi del
letto, nel suo solito vestiario scuro.
“Ti
piacerebbe” risposi al
duplice significato della sua domanda, sorprendendomi di quanto fosse
impossibile non sorridere nel vederlo più pacato rispetto al
giorno precedente.
“Probabile”
fece spallucce.
Dopo
una doccia nel suo bagno di
classe, mi ritrovai a girovagare senza meta nel parlatorio.
“Non fai
colazione?” la sua voce mi riportò
alla realtà, essendo stata intenta a leggere i titoli di
alcuni libri sul
piccolo tavolo in legno.
“Non ho
fame” mi giustificai, osservandolo
smanettare il suo cellulare.
Lo
osservai, perplessa.
Il mio stomaco comunque
faceva male, non per
la fame.
Ero
stata troppo impegnata nel
concludere affari evidenti.
Questi erano i postumi dello
stress.
Sobbalzai
quando realizzai Damon
era apparso al mio fianco,ancora una volta indossando quel suo solito
sguardo.
“Devi mangiare. Da
quand’è che non tocchi
cibo,ieri mattina?”
Il
fatto che fosse stato così
attento ai particolari mi lasciò stupita per alcuni secondi.
“Non mi va,
Damon.”
Annuì,
e si avviò verso il
corridoio, lasciandomi sospettosa.
Da quando in qua me ne dava
vinta una?
Ovviamente
mi resi conto di aver
torto quando la sua figura apparve circa trenta secondi dopo, con una
scodella
con latte e cereali.
“Mangia.”
Ordinò parentale, posizionando la
mia colazione sul tavolo di fronte alla mia persona.
Sarebbe
stato uno spreco di forze
obbiettare, perciò decisi di non fulminarlo con lo sguardo
nel mentre
trangugiavo i miei cereali preferiti.
Quando ebbi finito, la sua
espressione mi
ricordò tanto quella di un bambino il giorno di Natale.
.
.
.
“Mi
vado a fare una doccia”
annunciai, scocciata.
Lo vidi sollevare un sopracciglio con la coda
dell’occhio.
“Un’altra?”
“Mi piace il tuo bagno” spiegai,
tagliando corto poiché mi iniziavo a
sentire nauseabonda.
“Non
tenere il broncio troppo a
lungo” mi richiamò Damon, una volta sulle scale.
Mi sporsi per ascoltare il
resto.
“Le rughe non
risparmiano nessuno”
Portai
gli occhi al cielo e
sospirai, ignorandolo.
Una
volta raggiunto il bagno,
lasciai che l’acqua ricadesse rumorosa
dall’esageratamente grande lavandino.
Fissai la mia immagine nello
specchio per
alcuni secondi, e scostandomi i capelli dal viso piegai le ginocchia
fino a
toccare il freddo materiale del pavimento.
Poggiai entrambi i gomiti
sui bordi del
gabinetto, sentendomi totalmente debole e vertiginosa.
Non
pensare Mi suggerii quando feci scorrere due dita sempre
più in fondo alla
gola, fino a quando divenne difficile respirare e trattenere tutto
quando
dentro di me.
Vomitai.
E
odiai ogni secondo di quel
momento.
Non
riuscivo a capire bene il
perché del mio gesto, ma me ne pentii subito.
Rimase
qualcosa,però, nei meandri della mia
mente che mi fece rendere più..
libera.
Quando
riuscii finalmente a
sollevarmi, quasi mi ritrovai sul pavimento a causa dei giramenti di
testa.
Mi aggrappai al lavandino
per trovare
sostegno, lasciando passare alcuni minuti.
Dopo
la sfogata, non avevo più
paura.
Quel sentimento fu
sostituito da
determinazione.
.
.
.
Quando
mezz’ora più tardi riuscii
ad uscire dal bagno in maniera presentabile, Damon era ancora nel
salottino
intento nella sua attività preferita.
Bere.
Avevo
supposto mi fosse rimasto
più con il fiato sul collo dopo gli avvenimenti appena
conclusi. Al contrario,
mi aveva concesso i miei spazi,essendo tenuto all’oscuro che
dentro di me ero
già crollata.
Il
suo cellulare squillò, e lo
vidi accompagnarlo al suo orecchio in maniera svelta.
Percepii fosse un fatto
importante.
“Seriamente,
Katherine?” sputò.
Raddrizzai
le orecchie, attenta.
“Non ho mai
pensato potessi essere così fuori
di testa da ucciderti con le tue stesse mani” le disse Damon,
amaramente
sarcastico.
Stette in silenzio per una
battuta o due.
“Era
con te, quindi?” le parole
erano state scelte attentamente, pronunciate silenziosamente.
Il mio cuore perse un
battito o due. Sapevo
benissimo di chi stesse parlando, sebbene Damon stesse cercando
disperatamente
di evitare la nomina del soggetto.
E
poi un sorriso malefico tracciò
una sospettosa linea sulle labbra del vampiro di fronte a me.
Mi preoccupai.
Qualsiasi
cosa stessero
progettando di mettere in atto, temetti sarebbe costato un grosso
prezzo.