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Autore: Lovelesswish    05/03/2012    1 recensioni
Hibari era la discrepanza più bella che potesse mai germogliare nella mente di Dino, così esile e sottile, come i fiori di sakura che tanto esecrava.
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Dino Cavallone, Kyoya Hibari
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Demonia alaudae
Kyoya stringeva tra le dita quel frutto con estrema curiosità, gli occhi fissi sulla superficie rossiccia, in alcuni punti più chiara e aveva indubbiamente paragonato quella piccola sfera a una stella media come il sole e le macchie solari sembravano corrispondere perfettamente con le parti più scure di essa.
Il corpo sottile che fungeva come forziere delle curiose espressioni di Hibari si estendeva su delle lenzuola di un letto perennemente disfatto, un letto occupato per la maggior parte da due persone.
Aveva pensato più volte che lui non fosse l’unico a subire quei trattamenti.
La cosa lo spazientiva non poco e con un gesto solitario ritirò appena una delle gambe scoperte dalle bianche coperte verso di sé, piegando il ginocchio esiguamente.
La schiena –scoperta anch’essa- si addossava contro lo schienale freddo con tanta facilità che pareva essere una cosa naturale e spontanea, addirittura una dipendenza.
Le dita si protendevano alla base della mela, un frutto così semplice quanto dato per ovvio nelle sue curve. Con la tensione scattare tra le dita, strinse il pollice contro la mela, corrucciando la fronte di poco. Ci rinunciò dopo, quando il braccio si piegò, la fronte si distese di nuovo, le palpebre si schiusero silenziose e le labbra si schiantarono con noncuranza sulla superficie di quel giocattolo tra le mani di un diavolo coperto da bianche lenzuola.
«Cosa trovi di tanto interessante in un frutto così peccaminoso?».

Asserì la voce dall’accento mediterraneo che si insediò tra le labbra chiare coperte dall’involucro di quel frutto. Dino decimo boss della famiglia Cavallone.

Le iridi scure si dischiusero e la mano scivolò pigramente; la mela rotolò con la stessa intenzione della mela procurata dalla dea della discordia che scivolò sul banchetto degli dei: “Alla più dea più bella.”
Hibari era la discrepanza più bella che potesse mai germogliare nella mente di Dino, così esile e sottile, come i fiori di sakura che tanto esecrava.
Dino tramontò nella trappola dei suoi capelli corvini, nelle iridi torve e la pelle tenue.
Catturò nel palmo della mano il frutto caduto, poggiò lo sguardo intriso d’
ilarità sul nuovo oggetto basato sulla mano, scivolò subito dopo senza interesse verso le lenzuola in negligenza e solo attimi dopo captò i polpastrelli distesi col dorso della mano appoggiato sul tessuto.
Tanto puro pareva incoronato dalla luce sottile, fievole, che tra le nuvole si spazia poggiandosi sulla pelle cerea.
Lo sguardo beato si trasformò in gelosia, un tormento.
Eppure la fronte di Dino era distesa, rilassata.
Il braccio si piegò in una mossa copiosa e in un modico attimo perpetuo le rosee si adagiarono alla parte già perita da labbra proibite.

Inaccessibili.

Solo dopo Dino aveva capito quanto un oggetto così banale potesse risultare singolare tra le mani minute di quell’ameno demonio consumato da tormenti nulli.
Anch’esso lasciò sfuggire il frutto tra le dita con profonda trascuratezza;
gli occhi irremovibili esploravano, frugavano curiosi sulla sua pelle nuda martire.

La mela morì sul pavimento, così come le titubanze dissimulate tra le ciocche d’oro.
I passi si mossero da soli come dettati dal vento.
Kyoya socchiuse le palpebre al vento provocato dagli scatti troppo veloci di Dino e al riaprirsi lo sguardo senza alcun velo era vicino, collocato lì vicino, come una sentinella che dovesse vegliare a tutti i costi sul sonno tranquillo di cotante tenebre.
Kyoya decise di sorreggere quello sguardo con il proprio, vago e desolato.
Dino avrebbe fatto qualsiasi cosa per avere quegl’occhi solo su di te.

Impenetrabili.
«Non spostare mai i tuoi occhi da me».
La sua voce fu nuova e i suoi polpastrelli fremevano.
Prese apatico il polso stretto, esile, donato da pelle chiara di Hibari, sostenne la mano con la propria, poggiando il dorso dell’altro nel suo palmo e le labbra si asciugarono all’incontrare le vene fin troppo visibili al polso.
Mie.
Risalì l’intero avambraccio con estrema cautela, lasciando il segno di sé sulla pelle non più vergine.
Dino sarebbe andato all’inferno solo per sentire il profumo della sua pelle.
Solo per sentirlo suo.
Sii il mio carillon fatale.”

  
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