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Autore: DarlingAry     06/03/2012    4 recensioni
Sono passati ormai 80 anni dalla sconfitta di Galbatorix e l'ordine dei Cavalieri di Alagaesia si sta ricostituendo. Nelle Terre di Mezzo dura una meritata pace da ormai 60 anni.
Vediamo come la nuova generazione, 30 anni dopo la sconfitta di Voldemort, sia cresciuta e diplomata ad Hogwarts. Ma siamo sicuri che ognuno viva la propria vita completamente da solo? Non proprio... I Ponti di Nessuno hanno deciso di richiamare a sè nuovi Viaggiatori....
Storia scritta a quattro mani tra me ed evening_star
(Non è l'introduzione definitiva)
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Sorpresa
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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 Eragon parò un fendente piuttosto forte, poi scartò di lato facendo ruotare l’elsa della spada. Murtagh vacillò, stupito dalla rapidità della mossa, poi tentò di colpire di nuovo, questa volta alle ginocchia, dove Eragon era scoperto. Fortunatamente il fratello riuscì a parare, ma l’affondo che aveva in mente andò a vuoto, così cadde a terra. Murtagh sorrise vittorioso. «Devi imparare ad avere più equilibrio, fratellino». Eragon posizionò la spada davanti al volto così da evitare di ricevere un colpo mortale. «Fratellastro, vorrai dire».Murtagh rimase così sorpreso da rimanere imbalsamato con la spada sopra la testa.  Eragon ne approfittò per lanciare la spada in avanti e concludere il duello. I due si voltarono guardando gli studenti davanti a loro. Eragon fu il primo a parlare: «Ricordatevi di non farvi mai e poi mai distrarre da ciò che dice o fa l’avversario». Poi scoppiò a ridere guardando Murtagh: «Giusto,fratellone?!»                                              
Arya fece un passo in avanti sorridendo sorniona e disse «Giusto, mai farsi distrarre. Vero, Eragon?», beccandosi un’occhiata di fuoco da parte del Cavaliere.  Murtagh congedò gli studenti che ora dovevano andare a lezione di Magia, poi si girò verso i due, che continuavano a guardarsi l’uno in cagnesco, l’altra con aria di sfida. «Oh, smettetela. Mi fate venire la nausea » disse.

Il trio si separò: Murtagh si diresse verso le cucine dell’Accademia, mentre marito e moglie si diressero verso la riva del fiume. Eragon aveva scelto un luogo perfetto per i Draghi: una foresta ricca di animali di grossa e media taglia; un fiume congiunto ad un lago dove i Draghi potessero rilassarsi e uno spazio enorme e sopraelevato dove costruire gli edifici, ancor più grandi di quelli di Vroengard. «Hai visto nostra figlia a lezione?» domandò l’elfa calciando un sassolino.                                                              
«Non cominciare…»                                   
«Oh, insomma Eragon! Okay, non è un Cavaliere, ma ciò non la scusa affatto. Deve saper difendersi non solo con la magia, ma anche con la spada!»                                                                                            
«E ne è capace! Lasciala stare, anche perché…»                                                                                           
«Non dirmi quello che devo fare!»                                                                               
«Se mi facessi finire, di grazia» disse sorridendo bonario «potrei dirti che in questo momento si sta allenando» concluse tutto d’un fiato, in modo che l’elfa non potesse interromperlo ancora.

La figlia, Marla, si stava allenando contro un avversario immaginario. Guardandola - come accadeva solitamente -  si incantò, meravigliato di come le cose potessero essere cambiate. Certo, erano passati 20 anni dalla nascita della loro unica figlia, ma 20 anni per un’elfa e per un Cavaliere non erano niente.
Ricordava ancora come fosse ieri quando Arya era arrivata la prima volta all’Accademia.



Si stava allenando con uno dei suoi allievi, quando avvertì la coscienza di tre draghi che sfioravano la sua mente. Ne riconobbe due, ma non riuscì ad identificare il terzo. Il terzetto atterrò con eleganza, tranne il più piccolo dei tre draghi, giallo sole, che era ancora piuttosto goffo. Eragon sgranò gli occhi, ordinando ai suoi due allievi di mettersi in riga presentabili. Loro non fecero domande ed eseguirono gli ordini. Sorrise vedendo arrivare il fratello, un nuovo Cavaliere dei Daghi ed infine lei… Probabilmente, se non avesse acquistato un po’ di auto controllo negli anni, sarebbe corso da lei come un moccioso ai primi amori. Aspettò di venir raggiunto sul piazzale e chinò la testa di fronte alla Regina Arya, che conduceva il gruppo. Poi abbracciò Murtagh, ritornato da un giro di ricognizione attorno all’Accademia; infine si fece presentare il nuovo arrivato da Arya. Era un Urgali, il terzo cavaliere in 60 anni, ed il suo nome era Vrandmur. Il Drago Ihrmun spiccava particolarmente tra gli altri, essendo di un giallo accesissimo. Illuminava con le sue squame tutta la zona, dando un colorito giallognolo a tutta la piazza. Dopo una calorosa accoglienza al primo Cavaliere Urgali gli studenti vennero condotti nella Biblioteca e Murtagh portò il nuovo arrivato a vedere l’Accademia, lasciando un Eragon terrorizzato alle prese con la venuta di Arya.  Si era sempre immaginato quel momento, ma aveva sempre pensato che avrebbe avuto almeno una settimana per prepararsi psicologicamente. Facendosi coraggio la portò a vedere il Lago, cercando di parlare il meno possibile. Temeva quello che avrebbe potuto dirle.

«Tutto bene, Eragon?» chiese l’elfa, a disagio per via del silenzio del Cavaliere.
«Meravigliosamente». Eragon non riuscì a frenare il sarcasmo. «Perché?»
«Di solito sei più loquace, Ammazzatiranni»
«Se avessi qualcosa di cui mi fa piacere parlare…» Vide Arya incassare il colpo senza reagire, o meglio provando la solita indifferenza che lo faceva andare su tutte le furie. «Domani lo sarò di certo comunque. Ora devo andare, avremmo modo di parlare più tardi, Arya Dröttning». Prima che potesse voltarsi, l’elfa lo prese per il polso con parecchia forza per fermarlo.
«Eragon, non sono venuta fin qui per farmi liquidare in questo modo. Mi manchi, molto. Ma conosci meglio di me cosa vuol dire avere delle responsabilità.»
«Bene», sbottò il Cavaliere. «Di cosa vuoi parlare? Le cose qui all’Accademia vanno molto bene. Come puoi vedere sto crescendo degli ottimi Cavalieri. Murtagh è triste, ma si sta riprendendo dalla morte di Nasuada. Saphira non ne vuole sapere di “tradire’’ il tuo drago, quindi non ha ancora covato un uovo. Fortunatamente ne avanziamo ancora molte. Fatto il resoconto, di cos’altro vuoi parlare? Il lago è meraviglioso, particolarmente in primavera. I draghi hanno spazio sufficiente per fare ciò che devono. In fin dei conti è questo quello che ti interessa no? Draghi, responsabilità e ancora Draghi!» Si diede immediatamente dello stupido. Insomma, doveva dare il buon esempio e invece andava su tutte le furie per un niente?
‘Tutto bene piccolo mio?’ Chiese Saphira, che aveva sentito tutte le emozioni del Cavaliere.  Eragon non rispose, troppo impegnato a cercare di rallentare i battiti del cuore.
«Eragon» Arya sospirò, visibilmente triste. «Io mi tratterrò una settimana, spero non ti dispiaccia. Farò in modo di starti distante, se è quel che vuoi». Poi gli porse un fairth con un ritratto. «Questa è Nicae. Ha appena due mesi e Kieriel, il figlio di Roran, ci teneva particolarmente a fartela avere.» Detto questo lasciò da solo il cavaliere a contemplare le immagini della sua pronipote.

Arya non si fece vedere per tutto il giorno, o almeno non si fece vedere da Eragon, che passava le ore libere con Saphira o Murtagh (che gli ricordava immancabilmente quanto stupido ed avventato fosse stato).


Giunse la notte, e nel sonno Arya sentì qualcosa pruderle il naso. Abituata com’era a dormire vigile, si svegliò subito con la lama in pugno. Quel che trovò era solo un messaggio di carta con scritto “Pronta tra dieci minuti con Fìrnen in terrazza.  Eragon”
Certo non capiva quell’uomo, ma non si stupì. Era un umano, quindi cambiava idea facilmente ed era imprevedibile, al contrario degli elfi. Si vestì velocemente e svegliò il suo drago, che dormiva accanto a lei, nell’esatto momento in cui Saphira arrivò con Eragon.
«Saphira Squamediluce, è un piacere vederti!» disse Arya accarezzando il muso della dragonessa.
‘Anche per me, Arya. Piccolo mio,  possiamo andare?’ In tutti quegli anni la dragonessa non aveva perso l’abitudine di chiamare Eragon in quel modo; e ad Eragon la cosa non spiaceva affatto.
«Dove mi porti, Eragon?» chiese curiosa l’elfa. Ma Eragon non rispose, scandendo solo la parola “sorpresa” con le labbra. Lei e Fìrnen seguirono i due, e scesero su una rupe che si trovava sul monte più alto di quelli che circondavano la valle. Qui c’era una sorta di composizione marmorea con molte scritte incise sopra.
«Appena arrivato» esordì Eragon «ho costruito queste due statue. Una di ringraziamento a tutti coloro che hanno aiutato Alagaesia; l’altra a coloro che sono morti per liberarla.» Fece segno all’elfa di avanzare. «Ogni cavaliere può scrivere il nome di un conoscente morto, suppongo quindi che sia giusto che tu veda questo monumento. Mi dispiace solo dirti che quasi tutti gli elfi li abbiamo già scritti…»

Lasciò che Arya guardasse la statua in silenzio, senza interferire con i suoi pensieri. Lei posò una mano su una scritta, una scritta che Eragon aveva inciso con le sue mani. «O-oh! N-non… dovevi.»
«Non sapevo se saresti venuta o meno, quindi ho pensato di scriverlo io Faolin. Insomma, è anche merito suo se ho Saphira, no?» disse imbarazzato.
«Grazie». L’elfa spostò l’attenzione sul nome della madre, ed Eragon con la sua vista acuta notò una lacrima solcarle il viso. L’istinto era quello di raggiungerla, ma sapeva benissimo come la pensasse Arya su quell’argomento, quindi la lasciò da sola, immersa nei suoi pensieri.
«Com’è essere regina?» chiese poi il Cavaliere.
«Leggermente noioso» rispose lei con una leggera risata. «Preferisco l’avventura in buona compagnia». Sorrise girandosi verso Eragon, che rimase in silenzio per un paio di minuti.
«Ti manca?» voleva una risposta. Sapere se lei era tornata per lui. Perché Eragon ricordava cosa gli aveva detto Arya: avrebbero potuto avere un futuro assieme col tempo. Ed Eragon voleva assolutamente sapere cosa l’elfa volesse veramente.
«Sì» rispose, lasciando che la risposta aleggiasse nell’aria. «Ma meno e in maniera diversa». Si sedette per terra, seguita a ruota da Eragon.
«E io, io ti manco?» la risposta era vicina. Quella sarebbe stata l’ultima volta che si sarebbe esposto ed Arya l’aveva capito. Ora o mai più. L’elfa prese la mano di Eragon, quella con il Gedwëy Ignasia, e la strinse.
«Non so se devo darti una risposta, sinceramente.» disse massaggiando la mano del giovane. Passò una mano sopra le nocche artefatte che si era fatto crescere. «Sarebbe stupido negare che le cose sono cambiate, e altrettanto stupido dire di sì per poi andarmene. Cosa vuoi, dunque: verità o bugia?»
«Verità» rispose di getto, fissando l’elfa negli occhi. Era così vicina, sarebbe stato questione di un attimo.
«Mi manchi molto. Potrei anche dire che…» Eragon non ce la fece, e in un momento di coraggio e incoscienza, si spinse in avanti baciando l’elfa. Si staccò immediatamente, rendendosi conto della portata del suo gesto.
«Scusami, davvero! Non so cosa mi è preso, mi dispiace… più o meno» ammise sinceramente, venendo interrotto dalla mano di Arya.

«Non importa, l’avrei fatto io a momenti.» Eragon rimase molto stupito da quella risposta. Sì insomma, aveva capito quel che aveva detto, ma poteva aver frainteso, tanto per cambiare, i messaggi lanciati dall’elfa. Sorrise dolcemente. «Ero già pronto a venir steso da un pugno». Arya inarcò un sopracciglio «Sì, insomma… diventi spaventosa quando socchiudi gli occhi e guardi con odio una persona. Penso siano anche i capelli ad aumentare l’effetto, al buio poi sembri davvero un Raz’ac». gli arrivò un pugno sulla spalla «Scherzavo, scherzavo. Non lo faccio più, giuro» disse ridendo.
«Giuramelo nell’antica lingua allora.»
«Perché? Non ti fidi di me?!» domandò inclinando la testa di lato. «Non ti fidi del tuo maestro, giovane Cavaliere di Draghi?» domandò sorridendo.
«Tu non sei il mio maestro. Ti posso battere quando voglio con la spada, e anche con la magia.»
«Non penso proprio, mia cara. Sono diventato un ottimo spadaccino, e uno stregone fortissimo grazie a tu-sai-cosa. Cosa che tu non conosci», soffiò ad un centimetro dalle orecchie appuntite di Arya, sfidandola.
«Alzati, maestro» disse sarcastica. «voglio, sfidarti, Eragon-elda.»
Si alzarono tutti e due nello stesso momento, sfoderando la spada. Arya era davvero curiosa di vedere quanto Eragon fosse migliorato, e lui voleva dimostrarle quanto bravo fosse diventato. Il duello durò circa cinque minuti, con una vittoria schiacciante da parte di Eragon.
«Ora sono ufficialmente il tuo maestro».
Da lontano si udì un ringhio arrabbiato, sicuramente di Fìrnen, e i due ‘giovani’ risero.
‘Tranquillo, Fìrnen. Non mi permetterò mai più di offendere il tuo cavaliere’.
‘Bene, cavaliere. Altrimenti dovrò mangiarti per colazione’ disse la voce profonda del drago verde. Eragon era abituato alla voce di Castigo, ma quella del Drago Fìrnen era ancora più profonda e gli sembrava di sentirla vibrare fin dentro la sua anima.
‘E poi io dovrò uccidere te. Lo sai, vero?’ domandò Saphira con un pizzico di divertimento.
«Che non scoppi un’altra guerra tra Cavalieri, per carità.» borbottò Arya, lanciando uno sguardo di fuoco ad Eragon, la causa di tutto quel dibattito. «E comunque… è solo perché è da un po’ che non mi alleno con la spada.»
«Certamente,  Arya Dröttning, certamente».


I cinque giorni passarono velocemente, e le loro relazioni decollarono in men che non si dica. Evitavano di parlare di quando Arya sarebbe dovuta partire, passando la maggior parte del tempo assieme. Alla fine arrivò il giorno prima della partenza.
Nessuno dei due sapeva che dire. Lei non gli avrebbe mai chiesto di abbandonare l’Accademia e lui di restare con lui. Ma entrambi sentirono che non poteva finire così. Ad un certo punto Arya gli sussurrò: “Verrai da me stanotte?”. Il cuore di Eragon accelerò improvvisamente, comprendendo il pieno significato di quelle parole. Annuì. Aveva la gola secca. Quella notte i due Cavalieri si aprirono l’uno all’altra in una maniera che non avevano mai sperimentato, senza più barriere, convenzioni o impedimenti a frenarli.

Il giorno dopo non riuscirono a parlarsi, ma era un silenzio diverso: orami erano legati come non lo erano mai stati, e ne erano consapevoli. Si salutarono brevemente, lasciando ai loro sguardi il compito di esprimere tutti i loro sentimenti. Arya e Firnen partirono. “Arrivederci” pensarono insieme Eragon e Saphira.




Passò un anno. Passarono poi altri sei mesi. Eragon evitava di pensare ad Arya: l’argomento era diventato tabù, e perfino gli elfi che vivevano con loro evitavano di nominare la loro regina in presenza del Maestro dei Cavalieri.


Un giorno, mentre sorvolava la zona, una sensazione indecifrabile ma molto potente lo guidò sulla rupe dove svettavano le due statue in memoria della guerra contro Galbatorix.  Arrivato sulla rupe si diede dello stupido, dato che non vide niente, poi ad un certo punto sentì il pianto di un bimbo. Si girò in cerca del rumore e vide una figura slanciata avanzare verso di lui. Subito riconobbe la camminata, ma ciò che più lo incuriosiva era la strana cosa, viva, che aveva in mano.

« Cos'è successo, Arya? Stai bene?» domandò avanzando cautamente. La donna annuì, e finalmente vide cosa aveva in mano. Si trattava di un bambino: poteva vedere il ciuffo di capelli neri che spuntava, e la coperta rosa che copriva il cucciolo d’uomo, come avrebbe detto Saphira. Non ci mise molto a capire che si trattava del figlio o della figlia di Arya, anche perché la donna portava ancora i segni della gravidanza. Sentì il cuore sprofondare nelle viscere del suo corpo. Che avesse avuto un figlio da un altro? Perché allora era venuta da lui, per fargliela benedire? Sarebbe stato un gesto davvero meschino… forse era stata costretta a sposarsi per il suo regno, e dare un’erede al trono degli elfi?
«Eragon, io… mi dispiace. Dovevo venire prima, avvisarti almeno… ma non sapevo che fare, davvero. Scusami.» disse ad Eragon, che ormai era a due passi da lei e vide chiaramente che stava piangendo. «Lei… lei è tua figlia Eragon, nostra figlia. Ti prego di perdonarmi se non te l’ho mai detto, ma non volevo metterti davanti ad una scelta: i Cavalieri o tua figlia.» Ad Eragon cadde la spada di mano a quella rivelazione e coprì la distanza che li separava con un breve salto. Osservò il frugoletto che l’elfa aveva in mano e vide chiaramente quanto fossero simili. La bimba, di cui non conosceva ancora il nome, aveva gli occhi della sua stessa forma, le orecchie non erano a punta come quelle della madre ma più simili alle sue. I capelli, neri come la pece, erano ricci e le coprivano appena la fronte.
«C-come si chiama?» domandò a bassa voce per non disturbare il sonno della figlia. Figlia: strano da dire.
«Pensavo di chiamarla Marla, ma sai… continuavo a dirmi che prima o poi te l’avrei chiesto, così non le ho mai dato un nome ufficiale. La chiamavo solamente “la mia bimba”…» disse prendendo una mano di Eragon.
«E’ bellissima, Arya. Davvero» mormorò mentre gli occhi cominciavano a diventare lucidi. Di norma si vergognava delle sue lacrime, ma in quel momento non gliene importava un fico secco di niente se non prendere in braccio sua figlia. Arya sembrò capire le sue intenzioni e gliela porse.
«Non sei arrabbiato?»
«Non potrei mai esserlo…» accarezzò la sua bambina, e sentì chiaramente un lacrima scivolargli per andare a cadere sulla fronte della bimba, che si svegliò di soprassalto dando piena aria ai polmoni. Eragon si mise a ridere, osservando gli occhioni verdi della figlia, proprio come quelli della madre.
«Non aspettiamo altro tempo... Mi piace molto il nome Marla. Principessa splendente, vero?» domandò, sentendo l’amore per quella creatura crescere in lui. Non riusciva proprio a credere di essere diventato padre.  All’improvviso tuttavia gli sorse un dubbio terribile: «Arya… Arya, lei è un mezz’elfa. E i mezz’elfi sono mortali.» Gli si riempirono gli occhi di lacrime. Non avrebbe potuto sopportare di sopravvivere a sua figlia. La sua ansia si calmò in parte quando vide che Arya non sembrava turbata. «Non preoccuparti, Eragon.» Ripose. «È stata la mia prima preoccupazione, ma ho scoperto che quando un umano diventa Cavaliere l’immortalità diventa parte della sua essenza in maniera tale da essere tramandata i suoi figli.» Eragon tornò a guardare a figlia con sollievo. Sorrise pensando che Brom sarebbe stato fiero di lui…
 




«Eragon, Eragon mi stai ascoltando?» domandò impaziente Arya.
«No, affatto. Che hai detto?»
«A che stavi pensando?»
«Vorrei un’altra figlia… o figlio» affermò guardando l’elfa negli occhi. «Se non è un problema per te… s’intende.»
«Mmmh, mi piacerebbe molto. Ma non penso sia possibile» affermò lei triste.
«E perché?» chiese il cavaliere «E’ vero che per gli elfi la natalità molto bassa, ma potremmo sempre provarci, mal che vada ci divert-ouch! » Altro pugno sulla spalla. Fortuna che non si era fatta crescere le nocche callose! «Smettila di colpirmi! E’ diventata dav-ouch- una pes-ahia-sima abitud-ouch! Basta!» disse ridendo, e tentando di difendersi dai pugni che la donna continuava a dargli. Dopo un po’ in cui la lasciò fare la fermò per i polsi. «Ora basta, ho vinto io…» poi le rubò un bacio e le strizzo un occhio.
«Andiamo a vedere come procede Marla…»





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«Hai capito allora, Eldarion?» Aragorn guardò il figlio sospirando. Si era perso di nuovo nei suoi pensieri, come succedeva ormai da un po’ di tempo. «Eldarion, mi stai ascoltando?» domandò.
«Ehm, certo padre. Scendo giù a controllare come vanno le cose al primo livello, okay?» chiese e, appena il padre annuì rassegnato, poiché non capiva cosa potesse controllare Eldarion in quel momento, si fiondò fuori dalla stanza. Andò nelle stalle, dove fece sellare il cavallo e scese con tutta calma al primo livello.
Da molto tempo provava il desiderio di esplorare le caverne, di cui aveva sentito parlare ma che non aveva mai visto. Sapeva soltanto che erano formate da una serie di gallerie che si snodavano sotto il Mindolluin e che erano in gran parte inesplorate. Non sapeva perché, ma sentiva che non poteva semplicemente chiedere al padre di accompagnarlo, era una cosa che doveva fare da solo. Sapeva dov’era l’ingresso, un antico edificio che era assolutamente vietato agli abitanti della città e, senza essere visto, entrò. Vagò per molto tempo, attento a segnare ad ogni svolta con un pezzo di carbone la direzione da prendere per ritrovare la strada. Notò che le varie caverne sembravano aprirsi su dei corridoi, e che non sembravano naturali, ma nemmeno fatte dall’uomo. Fortunatamente erano abbastanza grandi da passare agevolmente con il cavallo.
‘Come mai quella caverna ha un architrave?’ si chiese. Era il primo vero segno di opera artificiale che vedeva. Decise di entrare a controllare. Sentì prudere l’ombelico, quasi fosse trainato da una forza verso il centro di se stesso. Si disse che  probabilmente era la fame.
‘Beh, sembra innocua… Oh, di là si vede un’uscita. Chissà dove porta. Probabilmente da qualche parte a nord di Minas Tirith.’
Quando uscì però vide un paesaggio che non riconobbe. La zona era completamente assolata e poteva vedere solo sabbia e dei monti in lontananza. 
‘Oh, Valar… Dove sono? Non sembrava così profonda la caverna. In ogni caso, ricordando la mappa, a mezza giornata da qui ci dovrebbe essere una città.” Eldarion tacitò la voce interiore che gli diceva che quel paesaggio era troppo diverso dalla Gondor che lui conosceva e che di certo non poteva essere arrivato così a Sud da essere nello Harad. Un fascino irresistibile lo attraeva verso quelle terre sconosciute.
Sbuffò e spronò il cavallo al galoppo, ma al calar del sole era ancora in viaggio. Cominciò a preoccuparsi. ‘Ho sbagliato strada?’ Sentiva i morsi della fame così decise di accamparsi, quando sopra la sua testa vide un uccello enorme sputare fuoco. ‘Ma quello è un… drago?!’  Sentì il terrore impossessarsi del suo corpo. Da quel che ricordava non esistevano più draghi nella Terra di Mezzo, per lo meno non in grado di sputare fuoco, quindi come diavolo faceva quel Drago a farlo? Perso nei suoi pensieri, si accorse appena che il drago stava cominciando a planare. Era bianco, nelle ali perfino trasparente. Il drago atterrò proprio di fronte a lui. Eldarion sguainò la spada e fece un salto indietro.
‘Salve, straniero. Come hai fatto ad entrare nel nostro territorio?’ domandò una voce nella sua testa. I Draghi parlavano, di questo ne era certo, ma non li aveva mai sentiti nei propri pensieri. Questo lo preoccupò molto.
‘Le terre del Nord e del Sud appartengono a mio padre, Re Aragorn II, quindi non sono uno straniero’ rispose.
‘Spiacente, cucciolo d’uomo…’
‘Io sono un mezz’elfo, drago.’
‘Oh, impossibile. L’unica mezz’elfa oggi vivente è Marla, la figlia del maestro Eragon!’
‘Maestro Eragon, mai sentito… probabilmente è uno dei vostri trucchi per sviare la mente, drago’ disse con disprezzo.
Il drago ruggì e sputò fuoco, spaventando enormemente Eldarion.
‘Forse hai già la mente annacquata, cucciolo d’elfo’ Disse con ironia il drago bianco. Detto ciò lo prese con le fauci e si alzò in volo.
‘Nonostante tu sia antipatico, non lasciamo un uomo a morire in mezzo al deserto. Ti porterò dal mio maestro, e dal mio Cavaliere, forse loro riusciranno a rimetterti un po’ di sale in zucca!’
‘Lasciami! Io sono il principe ereditario, pretendo rispetto!’
‘Principe di nulla, da quel che so… Alagaësia non ha terre del Nord o del Sud. Ci sono solo la Du Weldevarden e il Regno del Surda fuori dal controllo del re Nemurr, figlio di Nasuada’.
















ANGOLO AUTRICI


Allora, passiamo alla zona AUTRICE, anzi... AUTRICI! D Io e una mia amica siamo letteralmente amanti del Fantasy, e così abbiamo deciso di prendere tre colossi e metterli assieme (lo so, lo so... manca Narnia. Nostra Culpa, ma veramente risultava impossibile mettercela dentro.)
Per qualche legge Metafisica di indubbia Natua siamo riuscite a incastrare tutto senza stravolegere le regole e la storia di ogni singolo libro. 
Se avete dubbi/domande o perplessità basta fare un fischio :)
Purtroppo non siamo sicure di aggiornare con costanza ma ci proveremo :) 
Un BACIO dalla sottoscritta e da evening_star 
  
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