CHOKE.
Sarà
il vento che ulula alla
finestra, sarà il chiacchiericcio insignificante delle
persone ammassate
attorno a lui, le luci al neon, la voglia di fumare che gli sconquassa
la gola.
Sarà che a momenti il cuore gli esplode e macchia i cuscini
bianco avorio del
divano ben ricamato. Chissà. La fame gli contorce lo
stomaco, la sua mente
ulula come un cane dolorante.
"dentro di
te
c'è
così tanto amore
da rifare il
mondo intero
e non si
direbbe (..)”
1999, 25
Dicembre. Nel vento
qualche fiocco di neve
aggredisce la sua pelle debole, dentro il suo ventre una solitudine
infinita e
la certezza d’aver ucciso la propria libertà. La
certezza di non aver alcun
diritto su se stessi. Nell’aria volteggia l’odore
di famiglia che Matt non
riesce a sentire, atrofizzato così
com’è. Nella sua mente qualche pensiero
d’attribuzione
pornografica, qualcun altro musicale; altri ancora son versi di poesie
pescate
un po’ nel vuoto. L’elemento davvero triste
– pensa – è che non ha nulla
di pragmatico di cui rattristarsi,
se non vecchi traumi che dovrebbero essere oramai stati superati. Forse
qualcosa
c’era. C’era una bocca ed una voglia meschina di
spingere con tutta la forza la
propria fronte contro quella d’un altro. La triste
comprensione d’un sentimento
malaticcio di cui ci si dovrebbe solo pentire. Matt non sa cosa fare,
così
immagina il suo profilo d’angelo e quel naso che sarebbe ora
rosso di freddo. Lo
eccita morire.
2002, 21 Marzo. Matt si
sveglia di soprassalto, sudato, le lenzuola
che aderiscono invadenti alla sua pelle lattiginosa. Un singhiozzo
è bloccato
doloroso nella sua gola di plastica, e i polmoni non
s’imbevono d’aria come
dovrebbero. Le dita tremano ed è sfibrante. È
sfibrante essere Matt, vedere le
sue perversioni invadere la mente e i ricordi, quelle labbra agognate
invadergli la mente durante ogni concerto, immaginare di possederle, di
avvolgervisi. Il disperato bisogno di rimanere in silenzio, fronte
contro
fronte, quasi a trasmettere i propri pensieri malati per osmosi
all’altro. Purtroppo
era solo un sogno; lo è da sempre.
2005, 29
Settembre. Tradurre i
propri
pensieri più intimi in canzoni è stato un azzardo
dovuto. È stata onestà
intellettuale, voglia d’assoluzione, di cantargli
“and you never knew”… La
certezza di non essere ancora finito, d’aver qualcosa per cui
combattere. Osservare
i suoi insoddisfatti, acquosi occhi grigi e leggere dentro tanta rabbia
repressa, quanto la tua, ancora oscillante nel tuo petto. Gli anni
passano, i
segreti rimangono ciò che sono e le pulsazioni vengono
malamente represse. Ammalarsi
e piangere l’anima assieme alla debolezza insita, sentire le
proprie vene
lamentarsi e invidiare il bruciare ritmico delle candele che
– lente –
continuano a scaldare; sentirsi ghiaccio in procinto di sciogliersi e
cadere in
un tombino, rotolare via come una foglia inutile, gracchiare qualche
parola di
scusa a se stessi per non averci provato neanche questa volta.
2007, 1°
Giugno. Dentro di
Matt, tutto rivestito di convinzione, un volto che svanisce e la brutta
sensazione
della possibilità di dimenticare. Il senso di smarrimento
nel rendersi conto
che l’amore è morto, lasciando una brutta carcassa
di sentimenti troppo sentiti
accanto al letto, ed una pulsazione repressa di sesso che fa dilatare
lo spazio
tra una costola e l’altra. E lo possiede, alla fine. Matt
prende Dom dietro un
separè d’un locale, il primo giugno, con la puzza
di sudore e d’uomo impressa
sulla pelle. Alla fine, senza niente che fosse rappresentante di
sentimenti, l’ha
fatto: l’ha posseduto. Dentro lui il vuoto più
totale, solo la corsa verso la
tazza del cesso e il vomito che sputa via tutto l’odio. Prima
di morire
definitivamente, Matt, pensa che alla fin fine il cazzo gli fa male.
2010, 4 Maggio. Dentro Matt
il vuoto s’è evoluto in ‘vuoto
organizzato’: come le grandi organizzazioni
mafiose, tutto ha la propria evoluzione. Matt pensa alla neve e a dieci
anni
prima e non ci vede molto bene. Come se uno strato di nebbia
sotterrasse quei
desideri e quelle speranze che prima erano il suo pneuma. Sentirsi
persi è un’opzione
solo per i peggiori; per i migliori c’è una
sensazione molto migliore: l’illusione.
T’entra sottocutanea e s’innesca un po’
ovunque. Il collo di Dom è ben in vista
e Matt vorrebbe dissanguarlo, leccarlo, morderlo, graffiarlo.
Un’erezione si
manifesta. Matt si rende conto della verità, che si nasconde
solamente nelle
sue canzoni, come se fra le righe ci fossero nascosti i suoi fantasmi
interiori, quei falsi-deceduti borghesi timori. Matt beve un cicchetto
e soffoca. E – pensa
– che un tempo poteva
respirare.
2012, 7 Marzo. Diviso da
un muro di cartongesso un bambino che gli somiglia in maniera
incredibile. Ha i
suoi stessi occhi e questo lo preoccupa, perché in quel
colore d’occhi c’è
sempre stata – celata – una maledizione
incredibile. Come se in quel mare non si
riuscisse a nascondere nulla. Matt pensa che glielo dirà,
prima o poi, a quel
bambino, di stare attento ai propri occhi. A non puntarli chiaramente
su cose
che non gli spettano. A proteggere se stesso proteggendo gli altri.
Matt sfoglia
vecchi diari e prova vecchie emozioni sepolte, dentro sè la voglia
d’affondare
lento e caldo in un nido sicuro, di distruggere un separè e
mostrare al mondo
ciò che avrebbe dovuto mostrare per primo a se stesso.
Troppo tardi, troppo
tardi. Troppo tardi.
“Piove sui miei alibi, piove sui rimpianti.
L’acqua
scorre e porta via il tempo che ci resta”