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Autore: TonyCocchi    09/03/2012    3 recensioni
Un generale valoroso ha vinto l’ennesima battaglia; un soldato si trascina ferito nella canicola; una camicia rossa smette di inneggiare per osservare i suoi ultimi istanti.
Lui non era suo figlio, ma aveva scelto di considerarlo tale; non fu ne il primo né l’ultimo genitore ad andarsene tormentato dal rimpianto e nell’ingratitudine, né il primo né l’ultimo a non poter fare a meno di perdonare.
[Personaggi: Romano Vargas (Sud Italia), Regno delle Due Sicilie]
Genere: Angst, Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Hetalia - Due Sicilie

2 Ottobre 1860, nei pressi di Capua

 

L’autunno era cominciato ma non si sentiva: il sole era a picco e faceva un gran caldo. Da quelle parti la bella stagione non finiva anche quando finiva: una terra meravigliosa.

Sotto il ponte, il fiume Volturno, dalle alberate rive, scorreva lento come sempre, lavando via le ultime gocce di sangue versate in nome di uno stato neonato: per chi ci aveva creduto era arrivato il momento di festeggiare, e chi invece no doveva semplicemente star zitto e prendere atto.

La storia aveva fatto la sua scelta.

Sopra il ponte, un soldato dalla divisa lacera si trascinava con una mano al fianco, e la spada nell’altra disegnava una striscia nella polvere.
Esausto per il calore, straziato dalla ferita e debole per il sangue perso cascò pesantemente a sedere, riuscendo faticosamente ad appoggiarsi con la schiena al parapetto di pietra del ponte, mentre gli squilli di tromba si avvicinavano.

Eccoli passare dinanzi a lui, tra mille grida entusiaste e coi fucili alti sopra la testa, i suoi nemici, che correvano all’inseguimento dei resti sbandati della sua ultima armata, felici come i contadini alla fine della lunga giornata di lavoro, come i sognatori alla fine della lunga marcia verso la realtà, che da Marsala li aveva condotti fin lì.

Nessuno badava a lui. Quei giovanotti, idealisti dal gran cuore, illusi della prima ora, lo oltrepassavano senza né schernirlo né soccorrerlo.

L’uomo aveva molti nomi: Mezzogiorno, Due Sicilie, per qualcuno ancora, Napoli.

Si stringeva il fianco, sentendosi sempre più debole, ma tutto sommato sorretto da un’istintiva voglia di rialzarsi, di mettersi in salvo, anche se tutto era perduto.

Da quel ruscello di camice rosse zampillò una goccia che si diresse verso di lui.

Una goccia del suo stesso sangue, che ora gli macchiava la mano al fianco.

Un bel giovanotto, coi capelli castano scuri e un buffo ricciolo sul lato destro.

Non appena lo vide, Due Sicilie lasciò che i talloni privi di forza rinunciassero a quell’ultimo tentativo di sollevarlo; scivolando, lo riportarono giù.

Alle trombe si unirono le grida.

“Viva!”
“Viva l’Italia!”
“Viva Garibaldi!”
“Evviva!”

Giubilo, da un lato e dall’altro del ponte.

Romano Vargas era come lui, sporco di polvere, sudato, sanguinante da una fasciatura intorno al braccio, ma era vincitore, a testa alta come mai, colmo di speranze in un momento glorioso che tanto aveva sognato.
Se lì per terra non ci fosse stato l’altro avrebbe anche potuto goderselo.

“Perché?” -domandò l’uomo con le lacrime agli occhi.

Erano simili loro due: contadini, uomini alla vecchia maniera, abituati a “tirare avanti” dinanzi le difficoltà come pochi altri popoli. Poche cose non riuscivano a sopportare, davanti le quali crollavano, e, tra queste l’ingratitudine, specie quella di coloro che si era amato.

“Perché?” –domandò di nuovo.

Romano si morse un labbro.

“Ti volevo bene comm’ a nu figlio! Ti ho dato da mangiare, ti ho fatto studiare, ti ho dato la prima ferrovia d’Italia, il primo ponte di ferro d’Europa, una marina di cui andare fiero, ti ho dato pure la costituzione… Ti volevo far diventare bello, ricco e felice! Perché?”

Che dolore, dopo averlo immaginato con una bella e pulita divisa, coi bottoni dorati, i gradi sulle spalline e la sciabola al fianco, vedergli addosso quella camicia. Così semplice, tessuta di promesse e tarmata dai dubbi, ma che aveva preferito a tutto quello che aveva e avrebbe potuto dargli.

“Ti voglio bene.” –gli rispose- “Mi sarebbe piaciuto tanto diventare finalmente qualcuno importante insieme a te. Bello. Ricco. Felice.” –gustò ogni parola, con un malinconico sorriso- “Davvero, mi sarebbe piaciuto. Ma io non voglio essere bello, ricco e felice da solo. Io e mio fratello siamo sempre stati separati, ora possiamo finalmente essere un’unica nazione, uniti, non divisi ad aspettare il prossimo che venga da fuori a comandare a bacchetta. Io voglio stare con lui, voglio essere bello, ricco e felice insieme a lui, vogliamo finalmente essere una Italia e basta. Ti voglio bene, Napoli. Ma ho deciso. Vedremo come andrà.”

Romano si incamminò sulle orme delle altre camice rosse, oltre il ponte, verso nord, da dove stava arrivando il suo amato fratello, per gioire insieme, prima di rimboccarsi di nuovo le maniche.
Due Sicilie lo guardò andare via; la sensazione di dolore al fianco spariva, come tutto il resto.

Malgrado tutto, non riuscì a maledirlo. Tanto valeva augurargli buona fortuna, ma non aveva la forza per far raggiungere le proprie parole a quelle orecchie già distanti.

Sospirò e prese un sorso d’aria, rinfrescando almeno un poco la gola chiusa dal pianto.

“I figli so’ piezz’ e’ core…”

Senza cuore non si vive, e il suo se n’era andato, verso un destino che avrebbe finalmente condiviso con chi desiderava da tanto tempo.

Fu così, tra il frinire delle cicale dalle rive e le grida di gioia degli italiani, che spirò.

 

 

 

Angolo dell’autore

 

Eccomi qui! Mentre sono ancora all’opera con la mia fic sulla vita di Russia (“Historia Russiae – Così divenni grande”, se non l’avete ancora beccata correte a leggerla ^__°), ecco qui che torno alle mie prime brevi one-shot hetaliane “serie”.

Questa fic, il cui titolo è un popolare detto napoletano (il dialetto che parla appunto Due Sicilie), mi riguarda molto da vicino perché sono di Santa Maria Capua Vetere, una delle città presso cui si combatté la Battaglia del Volturno, l’ultima della spedizione garibaldina, e, sebbene sia convinto del valore dell’unità italiana, ho sempre visto con simpatia lo stato preunitario che qui ho fatto morire.

Il Regno delle Due Sicilie non era certo uno degli stati più democratici e felici di allora, con larga analfabetizzazione e arretratezza in vari settori, ma in altri campi era invece molto all’avanguardia e il cammino di rinnovamento e riforme, anche se procedeva a rilento, era stato intrapreso. Tra i suoi successi ci sono la citata prima linea ferroviaria della penisola e il primo ponte sospeso in ferro d’Europa; era inoltre, al momento dell’Unità, lo stato italiano più ricco (prima che i piemontesi rubassero la riserva aurea del banco di Napoli lasciando il sud nella povertà, ma vabbé…).

Se avesse voluto, forse in seguito avrebbe avuto lui, e non il Piemonte, le carte in regola per riunificare l’Italia, ma ormai la storia era stata scritta, e, da prima ancora che lo vedesse morire, Romano aveva fatto la sua scelta di riunirsi al fratello, rivelatasi poi a tratti felice, a tratti rimpianta…

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