(Rien va plus)
Era quasi Maggio ormai, e le
fresche serate primaverili si stavano
sostituendo a quelle più calde dell’estate.
Roy Mustang camminava stanco per
le vie di East city, la giornata di
lavoro era stata più pesante del solito, e per di
più, non aveva avuto buone
notizie dal suo oculista, che gli aveva raccomandato di fare attenzione
dato
che il suo unico occhio cominciava a non vedere come avrebbe dovuto.
Sospirando rientrò in
casa, poggiando la giacca della divisa sul tavolo
della cucina e allentandosi la stretta camicia. Guardò
annoiato la posta, poi
si levò i pesanti guanti bianchi, facendo finalmente
respirare le mani.
Si avviò verso la
cucina, quando la sua attenzione venne catalizzata
dalla porta che portava nella veranda ch, era stranamente aperta.
Sorrise, incuriosito e
già conscio di chi fosse entrato a casa sua di
soppiatto.
Lentamente, gustandosi passo
dopo passo arrivò nella veranda, dove
trovò la finestra che portava sul tetto appena appannata, ed
un ragazzo al di
fuori che si stava godendo lo spettacolo delle stelle appena spuntate.
L’ormai neo-rientrato
Generale sorrise, raggiungendo il suo giovane
ospite sul tetto.
“Ohi,
Fullmetal”
Il ragazzo dagli occhi dorati
alzò appena il capo, era stesso sulle
scomode tegole del tetto , lo sguardo era rivolto al cielo, sul volto
un’espressione rilassata.
“Mustang…sei
in ritardo, Hawkeye oggi è stata più dura del
solito?”
Il generale rise, mentre con
attenzione gli arrivava accanto,
stendendosi di fianco a lui, facendo attenzione a non sfiorarlo.
“No, dovevo andare ad
una visita.”
Il ragazzo annuì e
continuò a guardare il cielo si era completamente
adombrato, lasciando alle stelle lo spazio per brillare incontrastate.
“Come mai sei venuto
Edward?”
Il più piccolo
sospirò chiudendo gli occhi. Lasciò che il
silenzio lo
avvolgesse per qualche secondo.
“Me lo dica
lei.”
Roy si incupì,
spostando l’attenzione sulle palpebre chiuse del
giovane, sulla bocca appena dischiusa e l’espressione
amareggiata.
“A cosa stai pensando,
Ed?”
Edward sorrise, mentre gli occhi
dorati si riaprivano. Roy si ritrovò a
contemplarli, giudicando che nessuna stella, quella notte, brillava
come quegli
occhi. Si tenne quel pensiero per se, ma con una mano
cominciò ad accarezzare
la sottile capigliatura dorata del giovane, guadagnandosi uno sguardo
dolce e
rapito.
“Cosa sarebbe successo
se lei non fosse mai venuto, quel giorno? Se lei
non avesse mai ricevuto quella lettera…”
Il generale sorrise, vedendo con
quanta semplicità il suo biondino
continuava a parlargli con quella strana forma di cortesia.
Si voltò ancora verso
di lui, incatenando definitivamente a se quegli
occhi dorati, facendoli scontrare con il suo d’onice.
“Saresti andato avanti
lo stesso, avresti studiato e probabilmente alla
fine, saresti diventato comunque un alchimista di stato. Forse non ci
saremo
conosciuti, o forse sì, chi lo sa?”
Edward continuò a
guardare il suo superiore, incapace di staccare gli
occhi dai suoi.
Una certezza gli girava nella
testa, una consapevolezza che non
esprimeva, perché colui che gli era lì accanto
non voleva ammettere la realtà.
Non voleva affrontarla.
Era per quello dopotutto che lui
era lì.
“Altre domande,
Fullmetal?”
Lo disse con tono scherzoso,
come se il peso di quello che stava
vivendo non lo stesse schiacciando.
Fuggiva. Fuggiva come aveva
imparato a fare nel corso degli anni.
Il dolore
si combatte, ma quando si è troppo deboli si finisce per
morire.
“Non lo so, Generale,
me lo dica lei.”
Irriverente.
Quel suo sguardo che non
accennava ad arrendersi lo scrutava, gli
impediva la fuga, gli impediva di reggersi in piedi, quegli occhi
volevano che
ammettesse sconfitta, che crollasse.
Ed a lui bastava così
poco…
“Lo sa, non
è vero?”
Roy si tirò in dietro
alla battaglia di sguardi e guardò ancora le
stelle, protettrici inconsapevoli della sua follia. Edward adesso si
era messo
a sedere e lo fissava dall’alto.
“Lo sa che io non sono
qui, vero?”
E gli vennero le lacrime agli
occhi. Lui non voleva niente. Voleva scappare,
voleva impazzire, rifugiarsi in qualche insano anfratto della sua mente
non ancora
contaminato dal dolore.
“Sì”
La voce era spenta. Edward
sorrise, stanco.
“Sa anche che non
ritornerò?”
“Sì”
Gli vennero i brividi. Non seppe
se per il freddo che aveva cominciato
a farsi sentire o per la situazione.
Edward accanto a lui,
così vivo, così reale, semplicemente non
c’era.
Non esisteva.
“Le mie domande non
sono nient’ altro che le sue. Sono le domande
a cui non sa dare risposta.”
Roy aprì di nuovo gli
occhi, e rincontrò il viso amato di Edward. Lo
guardò, lo studiò, lo amò ancora una
volta, come aveva sempre fatto.
“Questa volta ti ho
risposto”
Il ragazzo rise, una risata
cristallina, felice.
“Le sue, sono sempre
le risposte sbagliate.”
Il moro distolse lo sguardo,
cominciando a guardare le stelle, che gli
sembravano sempre più luminose, sempre più
brillanti. Sembravano scoppiare.
“Fammi
un’altra domanda, Edward.”
Il ragazzo sembrò
riflettere per un poco, prima di parlare di nuovo,
con la sua intonazione calma.
“Riuscirà
mai ad andare avanti?”
Lo chiese sorridendo e quel
sorriso fece accapponare la pelle di Roy,
così come quell’assurdo pensiero che aveva fatto.
“Mai. Ma perfino io so
che questa è un’altra risposta
sbagliata.”
Il ragazzo annuì,
mentre si muoveva di nuovo, stendendosi di nuovo
accanto a Roy, saggiandone il calore, la consistenza.
“Mi amerà
per sempre?”
Glielo soffiò
nell’orecchio, facendolo rabbrividire.
Ma lui rimase in silenzio.
Qualunque fosse stata la sua risposta, aveva
paura che l’altro avrebbe confermato il suo errore.
Perché nel caso in
cui avesse risposto di sì, allora sbagliare
significava perdere tutto, amore, sanità, conforto.
Ma nel caso in cui la risposta
fosse stata no, sbagliare significava, semplicemente,
la condanna.
“Sei malato.”
“Lo so.”
“No, non lo
sai.”
Edward allungò una
mano e accarezzò i capelli del suo generale,
portandoseli alle labbra
per posargli un
dolce bacio.
“Chi ci
sarà domani al mio posto?”
Il militare si voltò.
Erano occhi negli occhi, i volti
vicini, le labbra ancora troppo
lontane.
“Mi basti tu, adesso,
vicino a me.”
Lo sussurrò,
completamente rapito da quella eterea figura.
“Io non
esisto.”
E si chiese se si potesse
innamorare di un riflesso.
Ma si ammonì da solo.
Perché quel riflesso
che adesso stava abbracciando lo aveva creato lui,
ed adesso non poteva separarsene.
Perché
quell’amore non era più sano, e forse non lo era
mai stato.
E lui era lì, a
parlarci, a farsi ripetere quanto tutto fosse
sbagliato.
Eppure non
vi trovava una
condanna.
Era
solo, felicemente ed irrimediabilmente pazzo.
“Hai
altre domande, Fullmetal?”
“Me lo dica lei”
Note:
Nono, forse non avrei dovuto pubblicare, sono secoli che non passo di qui! La fanfiction è ambientata dopo il primo Film, immagino si capisca di cosa parla :) L'ho recentemente modificata, ma risale al 2009, se lo stile non è fluidissimo tenetelo presente. Spero che vi sia piaciuta! Un abbraccio a tutti voi seguaci di quest'anime !