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Autore: e m m e    10/03/2012    6 recensioni
Molly chiude gli occhi e pensa all'ultima volta che l'ha visto.
[Partecipa all'iniziativa 1K, su SherlockFest_it]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Molly Hooper
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Autore: emme
Titolo: Il coraggio di un vaso di terra cotta

Fandom:
Sherlock BBC
Personaggi:
Molly Hooper
Coppie: Nessuna (Ma velati accenni a Sherlock/John)
Riassunto: Molly chiude gli occhi e pensa all'ultima volta che l'ha visto.
Rating: G
Word: 1000 (FDP)
Avvisi: Un po’ di Angst, ma nemmeno troppo.
Note: Scritta per il 1K fest dello Sherlockfest_ita. Massimo mille parole e nel limite sono rimasta.
Beta: La mia Gy. Stavolta i nostri voli pindarici sul titolo hanno raggiunto livelli mai visti. <3

Il coraggio di un vaso di terra cotta(1)

Molly si rigira nel proprio letto, incapace di prendere sonno.
Le ombre create dalle luci della strada artigliano il muro come respiri di fantasmi.

Mycroft ha detto che Sherlock è partito per l’Europa. Starà via parecchio, a quanto pare.
Molly e lui sono gli unici a sapere che è ancora vivo.

Si sente fortunata: lei non muore ogni giorno dentro, come John.
Tuttavia il senso di colpa è enorme e la sta divorando, come un mostro dai denti acuminati appollaiato sulle spalle.

Ogni tanto lo vede, John: è bianco come un cadavere, ha perso peso, non dorme bene.
Molly fa del suo meglio, davvero. Lei ci prova con tutta se stessa.
Ma non è a lei che spetterebbe il compito di aiutarlo.

Una volta – due mesi dopo il funerale – era andata nel nascondiglio di Sherlock per portargli la spesa. Era stata l’ultima volta che l’aveva visto.

Molly aggroviglia le coperte attorno alle proprie gambe, senza riuscire a dormire, tentando di non pensare a John, o a Sherlock, o a tutta quella maledetta storia che nessuno sembra riuscire a concludere.

Ha riflettuto molto su tante cose, su se stessa, sui suoi sentimenti, ma soprattutto su Sherlock. Molly chiude gli occhi e pensa all’ultima volta che l’ha visto.

« Io so che cosa vuol dire perdere la persona a cui più si tiene al mondo, Sherlock. Per quanto tu possa essere intelligente non puoi capire che cosa sta provando John in questo momento.
Dimmi: ti sei mai fermato a chiedere,
una sola volta, a qualcuna delle persone che ti amano qualcosa della loro vita? Non so, della loro infanzia? »

« È irrilevante. »

« Lo è per te Sherlock! Acquisisci le informazioni necessarie e getti via il resto, ma è di quel resto che la gente vive! »

« Devo stare qui ad ascoltarti? »

« Sì! Sì, devi! Con quel trucchetto hai salvato i tuoi amici, Mrs. Hudson, Greg e John. È stato un gesto molto altruista, certo. Ma, Sherlock, dimmi la verità: quanta parte di te stesso ha organizzato tutto ciò solo per poter salvare chi ti ama e crede in te? »

Sherlock le lancia uno sguardo, immobile: è seduto sul letto, oppure su una poltrona. La stanza è spoglia, pochi oggetti, poca mobilia, il latte dovrebbe essere messo in frigo, ma Molly è troppo presa dalle proprie parole per badarci.
« Quanta parte di te stesso si è divertita in questo gioco, in questa partita? Hai voluto vincere la competizione. Dimostrare qualcosa. »

« A chi? » la sua voce gronda di sarcasmo, o ironia, oppure è indifferente, fredda come sempre, priva di un’inflessione particolare « Moriarty? »

Molly gli lancia uno sguardo triste, forse arrabbiato, ma più probabilmente triste. Incredibile come sia facile confondere i sentimenti, le sensazioni non sono mai quelle vere fino a che non si provano sulla propria pelle, ma immagina che in quello sguardo ci sia anche un po’ di commiserazione.
 « No. No, Sherlock » fa un sospiro, forse si siede, si porta la mano al volto o la stringe lungo la manica del maglione grigio che indossa. « È tutta la vita che sei in competizione con te stesso, è a te stesso che cerchi costantemente di dimostrare qualcosa. »

(Oh sì, una bella frase, come se lo conoscesse da sempre, come se avesse capito tutto di Sherlock Holmes, come se riuscisse davvero a trovare il coraggio di dirglielo.)

« Stai cercando di psicanalizzarmi? Oh, cielo, dimmi quali sono i miei problemi... un trauma infantile? Sono stato ignorato dai miei genitori? Non ho mai conosciuto il vero amore? Ti prego: scadiamo ancora di più bella banalità. Non aspetto altro. »

(Lo direbbe...? È una cosa che Sherlock potrebbe dire?)

Molly si alza per uscire.
Un’uscita come quelle dei romanzi, l’eroina che se ne va a testa alta da un duello che non può vincere e che comunque ha già vinto. « Non ti rendi conto di quello che stai facendo a John. »

« Ti preoccupi tanto per John... e Lestrade? Mrs. Hudson? Mio fratello? »

Lo stupore si dipinge a grandi tratti sul suo volto pallido, ha già la mano sul pomello della porta quando chiede: « Mi stai facendo davvero questa domanda, oppure è ancora sarcasmo? »

Si guardano, per un lungo attimo Molly non distoglie lo sguardo dagli occhi congelati di Sherlock.

(Dio, non ce la farebbe mai.)

« Cristo, Sherlock, l’uomo più intelligente del mondo è così cieco a volte. E, Mycroft... John mi ha detto che cosa ha fatto. »

(Dopotutto Molly ancora non ha parlato con Mycroft.)

« Ha fatto ciò che doveva fare. »

« “Doveva”. Sempre il dovere. Arriverà mai il momento in cui uno di voi Holmes si deciderà a tirare fuori il cuore dalla scatola in cui l’ha nascosto? »

(Questo è davvero perfetto, un tocco di classe.)

Molly chiude la porta e se ne va, non si guarda indietro, non prova rimorso per le parole che gli ha rivolto. È forte Molly, ha detto quello che pensa senza balbettare, si è fatta valere, ha chiuso i suoi sentimenti dentro il suo cuore per permettere al cervello di parlare in sua vece.

(NON ACCADREBBE MAI!)

Sherlock fissa la porta chiusa, là dove pochi attimi prima Molly si era fermata per l’ultima sferzante frase ad effetto. Le sue parole potrebbero essere pronunciate ad alta voce, o sussurrate, o solo pensate. Non lo sa.

« Io l’ho già tirato fuori. È ad aspettarmi a Baker Street. »

Molly spalanca gli occhi nel buio spettrale della sua camera.
Oh, è sempre stata molto brava a immaginare lo svolgersi alternativo della propria vita.
È facile pensare al passato e cambiare ciò che è accaduto.
È comodo mettere nella bocca di qualcuno parole che non ha mai detto e che mai direbbe.

È semplice sognare di parlare con Sherlock con il cuore in mano, senza paura, senza che un suo semplice sguardo la metta a tacere.
È facile stare distesa a letto e pensare ad un uomo che ha lasciato a lei il compito di occuparsi del proprio cuore.
Ma in verità non è di Molly che John ha bisogno.
E ora tutto sta nel capire di chi, o di che cosa, Sherlock abbia bisogno.

(1) Ok. Vi risparmio il come siamo arrivare (io e la mia beta) a trovare questo titolo, ma una minima spiegazione temo sia necessaria.
Il tutto deriva da una citazione dotta (ehm) di Manzoni, che tutti conoscono: “Era come un vaso di terra cotta costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro” riferita ovviamente a Don Abbondio.
Molly è, in questo caso, il vaso di terra cotta, ma come sappiamo tutti lei è una ragazza in grado di tirare fuori tutto il proprio coraggio e la propria determinazione quando vuole.
In questo caso non ha voluto, è rimasta in silenzio, sognando ad occhi aperti una conversazione che non sarebbe mai stata in grado di portare avanti. Non con Sherlock, almeno.

  
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