Dance of death
Voglio raccontarvi una storia,
tremenda a tal punto da farvi ghiacciare le ossa.
Una notte
passeggiavo, sempre se così si può dire, nei pressi di un bosco sul pendio di
una collina. Era l’unico posto rimasto ancora intatto: infatti, dall’alto,
riuscivo a scorgere casette, palazzi, grattacieli, auto e persino gente
innocente bruciare, avvolti tutti in grandi lingue di fuoco scarlatte. A breve
della Terra non sarebbe rimasto più nulla, e io, invece, vi domanderete, cosa
facevo? Passeggiavo. Ma non lo facevo
per passare il tempo o scampare alla tremenda furia omicida, presto scoprirete
il perché.
Erravo senza
una meta precisa e lasciavo che i miei occhi beneficiassero della sfolgorante
luce della spettacolare luna piena, presente quella sera; quasi fosse una
testimone di ciò che di lì a poco mi sarebbe successo.
Guardavo
fisso le stelle, brillanti e così piccole, sparse in un’immensa distesa tetra e
oscura; ignaro di una presenza così vicina a me, la quale osservava
attentamente ogni mio più piccolo movimento.
Una lieve
brezza mi accarezzò il collo nudo, procurandomi un orribile brivido di terrore.
Avevo paura; tremavo e mi guardavo intorno, alla ricerca di un qualcuno o qualcosa
che mi rassicurasse. Invece no, successe tutto il contrario. Alzai lo sguardo,
cercando il conforto della luna, e invece vidi solo nero. Le tenebre mi
avvolsero e sentii che non avevo più via di fuga.
In quel
momento percepii un movimento provenire dai pini circostanti, l’istante dopo
qualcosa mi afferrò e per le ginocchia, facendomi cadere. Ero in trappola. Capii che gli arbusti circondavano
velocemente tutti i miei muscoli, stringendomi in una morsa letale e trascinandomi
con forza verso un posto a me sconosciuto. Chiusi gli occhi e attesi. Mi
ricordai le parole della sibilla. “Quello è un luogo maledetto. Non ti assicuro
che troverai quel che cerchi.” Era inutile urlare e dimenarmi, mi accorsi
immediatamente che, così facendo, la presa diveniva ancor più violenta, tanto
da lacerare i primi strati della pelle.
Sentii che
stavo precipitando nel vuoto, in un posto dannato in eterno.
Dopo una
lunga caduta, toccai terra e gli arbusti allentarono la loro presa, lasciandomi
libero. Avevo paura di aprire gli occhi, non sicuro di ciò che mi attendeva.
Restai alcuni minuti in piedi, in guardia e con lo sguardo chino.
Presi coraggio.
Tante piccole lingue di fuoco sparse qua e là illuminavano il
posto, che pareva non aver fine. Era buio, costellato da tante lucine rosse,
della tonalità intensa del sangue. Quello nelle mie vene, credo, si fosse
ghiacciato a quella vista. Ero ancora nello stesso posto di prima.
Quando i miei occhi azzurri iniziarono ad abituarsi a quella
luce, cominciai a distinguere tante sagome, parevano esseri umani. La cosa che
mi terrorizzò era il fatto che non possedevano una pelle.
Vidi vene, arterie, bulbi oculari, fegati, cuori … ovunque,
intorno a me. Percepii che si stavano avvicinando a me. Provai a correre, ma,
nel giro di qualche secondo, fui circondato.
Ebbi un moto di disgusto quando mi accorsi che c’era gente
che conoscevo, avevano i crani spaccati e ridotti a brandelli; tutt’ora tremo
al solo pensiero. Dai gesti delle loro mani intesi che mi stavano invitando a
fare qualcosa, ma non compresi cosa. Però qualcosa mi colpì: nessuno di loro si
era avvicinato al punto di sfiorarmi.
Una fitta al cuore mi fece trasalire.
Riuscii a distinguere la muscolosa figura di Gohan, il mio
maestro fra tutti loro. Provai ad avvicinarmi a lui, ma ad ogni mio passo in
avanti, tutti gli altri arretravano. Mi guardai intorno e poco più distante fui
capace di distinguere una figura, un uomo per l’esattezza, seduto su una
roccia. Se ne stava a braccia conserte, aveva gli occhi neri e profondi, dai quali
traspariva severità mista a malinconia. Era l’unico a stare lì da solo, chiuso
in se stesso. Un impulso che nemmeno io saprei definire mi spinse a muovermi
verso quell’anima. Questa, diversamente dalle altre, non si mosse e non mi
degnò di uno sguardo.
Devo ammettere che sentii qualcosa di familiare quando fui
vicino. In quel momento qualcosa mi afferrò per i polsi e mi fece voltare, era
qualcosa coperto da una tunica nera e, con mio sommo rammarico, scoprii che era
qualcosa di scheletrico. “Vieni con noi.”Disse in un sussurro. Poco dopo mi
lasciò un braccio e con l’arto mi mostrò una cosa particolare che avveniva
dietro di lui. “Vieni.” Ripeté severo.
Aveva una voce metallica se non ricordo male. Mi sospinse e mi fece
attraversare una barriera interamente divorata dalle fiamme.
Avevo paura, paura di morire. Pensai a mia madre, che mi
aveva pregato di non andare lì perché non avrei mai potuto incontrare mio
padre. Ahimè, aveva ragione.
Superai la barriera e, con grande sbigottimento, notai che
non mi ero fatto nulla, nemmeno una bruciatura.
Alzai lo sguardo dai miei vestiti e davanti a me vidi le
anime accingersi in una specie di ballo. Erano tutti in cerchio, un cerchio
fatto di fuoco però. Per terra notai dei simboli particolari:
Dance of death.
Non
capii che dicessero e che significassero. Una voce di donna mi distrasse dal
mio intento di decifrazione. “Unisciti a noi. O morirai.”
Il
tempo pareva essersi bloccato, ero terrorizzato, ma una parte di me voleva
andare, lo stesso. Contro ogni ragione. Ero scalzo, e camminai sui carboni
ardenti, stupendomi di nuovo per il fatto che le fiamme ardenti non bruciassero
la mia pelle. Entrai nel cerchio che le
anime disegnavano, io ero proprio nel mezzo. Una forte luce mi colpì,
cancellando quasi tutti di me. Sentii come una forza superiore avventarsi su di
me, avida di prendersi la mia anima. Non mi crederete ma, prima che la mia
anima, forse, ancora non so dirlo, fosse prelevata, volsi lo sguardo in
direzione di quella che se ne stava ancora seduta su un masso, triste, severa e
solitaria. Capii che era mio padre.
Non
ci fu tempo di dire nulla che avvertii la mia anima staccarsi dalle membra con
forza, anche se io non percepii dolore. Ero come in uno stato di trance. Ah, se
solo qualcuno avesse avuto la possibilità di testimoniare ciò che mi accadeva,
purtroppo anche la luna mi aveva abbandonato.
Sì,
ho ballato, mi sono agitato e ho cantato con loro, in un unico canto di morte.
Lessi
i loro sguardi, non c’era nient’altro che morte e dolore, erano iniettati di
sangue. Erano tutti morti e contemporaneamente vivi, erano ascesi dalla viscere
dell’inferno. Non esisteva il paradiso nel mio mondo, tutti destinati a
bruciare nelle vampate dell’inferno.
Mentre
il mio corpo esanime, ballava nel cerchio dei morti e cantava con quelle figure
infernali, il mio spirito, in quel momento libero e privo di catene che lo
unissero alle spoglia, rideva e si beffeggiava di me. Non appena venne il
tempo, una campana suonò, facendo bloccare tutti di scatto. La mia anima tornò
a legarsi al mio corpo. Non sapevo nemmeno se fossi vivo o morto, ero
semplicemente in bilico fra la vita e la morte. Un passo falso e sarei
bruciato, un passo giusto e mi sarei salvato.
Però
quella volta fui io a iniziare le danze e tutti, compresa quella anima
solitaria si unirono a me, disegnando di nuovo un cerchio, ma non mi sfuggì un
importante particolare.
Erano
tutti impegnati, quello era il modo per tornare nel mondo dei vivi, non come
uomini comuni, bensì come demoni. Io ero la loro unica via di salvezza. Un
canto di diffuse rapido e riecheggiò sinistro. L’attenzione era lontana da me.
Una scritta
si marchiò a fuoco sulla parete:
Friend and foe will meet again, those
who died because of men hate.
Capii
che quello era il momento perfetto per fuggire, non avrei più avuto altra
possibilità. Erano tutti concentrati sulle scritte che apparivano e scorrevano
rapide sulla parete, quando all’improvviso si voltarono e mi osservarono con
occhi assenti, in procinto di fermarmi.
Corsi
come l’inferno, veloce come il vento; non avevo altra possibilità. “Ora o mai
più.” Urlai con le lacrime agli occhi. Mi portai un dito per cancellarle dal
mio volto, ma scoprii che piangevo sangue. Decisi che non era quello il
momento, così continuai la mia corsa sfrenata, senza guardarmi indietro; una
cosa non osai. Non osai alzare lo sguardo e vedere cosa avevo dinnanzi.
Tutt’oggi
mi domando cosa li spinse a lasciarmi andare … forse, mi concedetti, capirono
che ero l’unico che avrebbe salvato i loro cari ancora vivi e li avrebbe resi
liberi. Ricordo di mio padre. Non sono sicuro, ma sento che era lui.
Non
ho mai raccontato a nessuno questa storia, solo a mia madre, la quale non mi ha
creduto, dicendomi che è solo un sogno … spero solo che voi possiate credermi.
Angolo autrice:
So che non ha senso xD Ma boh, l’idea mi piaceva tantissimo xD
Avviso che ho preso molto spunto da una bellissima canzone degli Iron Maiden (Dance of death) con le giuste
modifiche. Ho tradotto da sola la canzone e l’ho arricchita con particolari
inventati da me, come le scritte. La dedico a LadyInDark che ha recensito tante mie storie. Non so ma
mi ha fatto pensare a te xD
Baci,
Fanny.