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Autore: johngreen    12/03/2012    10 recensioni
Diamo un nome, una vita, una storia alla ragazza dalla faccia volpina e dai capelli rossi, la più intelligente dei settantaquattresimi Hunger Games.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Una debole luce si fa strada attraverso la tenda, ormai vecchia e polverosa. Abigail non è venuta a svegliarmi, starà sicuramente cercando di rimettersi a dormire; si preoccupa troppo per me, quella donna. Eppure quella preoccupata dovrei essere io, il mio nome è presente 9 volte nella boccia di cristallo che deciderà chi sarà la prossima vittima degli Hunger Games. Non il suo, il mio.
Trovo da qualche parte nelle viscere del mio corpo la forza di alzarmi, mi dirigo verso il bagno dall'altra parte del corridoio. E' stranamente tutto più tranquillo in casa; sono scesi a fare colazione o sono veramente ancora a letto?
Comunque sia mi faccio la mia solita lunga doccia e poi spazzolo delicatamente i miei lunghi capelli rossi. Indosso un vecchio abito bianco e scendo in cucina dove trovo Nathaniel che si spalma della marmellata sul pane.
- Hey, Del. La signorina ha deciso finalmente di degnarmi della sua presenza? - Sempre sarcastico, lui. Odio quando mi chiamano Del. Sono Delilah, io.
- Hey, Nath. Non credevo fosse così tardi. Dove sono tutti?
- Melinda e Travis sono andati a fare degli aquisti in città mentre Abigail è andata a fare una passeggiata, ma non penso sia andata molto lontano.
Il mio sguardo cala su una macchia di marmellata finita sulla tovaglia immacolata di Abigail.
- Vedi di mangiare bene e di pulire, lo sai com'è fatta Ab.
Lui fa un sorrisino.
- Credo che sarà felice di avere qualcosa da fare, almeno la smetterà di preoccuparsi per te per un po'.
Nathaniel è un vecchietto di quasi 50 anni, ma non ha mai perso lo spirito da bambino.
Abigail, cara vecchia Abigail. La donna che, da quando me ne sono andata di casa dopo la morte di mio padre, lasciando sola mia madre, alla mia umile età di 14 anni mi ha accolto a braccia aperte nella sua minuscola casetta per non lasciarmi a marcire in strada. Abigail con il cuore d'oro che se non mi vede tornare in tempo da scuola inizia a chiedersi dove sono finita. Abigail che, ad ogni mietitura, si preoccupa ancora più del solito e che cerca sempre qualcosa da fare per non pensarci.
Prendo un bicchiere di latte e mi siedo sul divano in salotto, quando dalla porta sbucano Amanda e Trevis con le loro buste piene di buone cose da mangiare.
- Buongiorno! Era ora! - Dice antipaticamente Travis, lui odia fare la spesa.
- Trav, lasciala stare. Oggi è il giorno della mietituta, tutto le è concesso!
- Per fortuna c'è sempre Melinda che mi difende. Lei è la persona più adorabile e gentile di tutto il pianeta.
Quando sono venuta a vivere in questa casa, due anni fa, lei aveva solo 18 anni e mi ha accolto a braccia aperte. Ma anche lei è stata accolta nello stesso modo e Travis pure, veniamo tutti dalla strada e, se non fosse per Nath e Abigail, nessuno di noi adesso sarebbe qui.
Non mi ricordo abbastanza spesso di ringraziarli per quello che hanno fatto per me, forse non gli sono abbastanza grata, ma io non sono il tipo di persona che va in giro a distribuire affetto, beh, almeno non da quando è morto mio padre.

Avevo 13 anni, io non sapevo che lui stesse per partire.
Era in salotto, seduto con mia madre e le diceva che sarebbe tornato il prima possibile. Io non avrei dovuto sentire quella conversazione, sarei dovuta essere a letto a dormire, e invece mi sono fatta scoprire come una principiante.
- Delilah, che ci fai qui? - sbottò lui.
- Io qui ci vivo, mentre sembra che qualcuno da qui invece vorrebbe andarsene. - Gli urlai contro, gli urlai per davvero! E la cosa mi sorprendeva. Non avevo mai urlato a mio padre, non ci avevo mai litigato in vita mia.
L'unica persona con cui facevo discussioni per ogni cosa era mia madre, che adesso stava guardando l'uomo dai capelli rossi con la compassione negli occhi.
- Delilah, tesoro - iniziò con la sua flebile voce che usava soltanto quando doveva dire qualcosa di davvero importante. - papà se ne dovrà andare per qualche tempo, ma tornerà presto.
Papà se ne deve andare? Dove dovrebbe andare per lasciare la sua famiglia? C'è qualcosa che gli importa più di noi? Per qualche tempo? Quando tempo? Giorni, mesi, anni?
L'odio ribollisce nel mio sangue, me lo sento.
- E dove dovresti andare? - ribatto io.
- Devo svolgere un lavoro molto importante. - abbassa lo sguardo sul pavimento, questa me l'aspettavo: lo fa sempre quando si sente in colpa. - Ma tornerò.
Oh no, questa no. E' la più grande bugia che io abbia mai sentito (e, credetemi, io le bugie le so riconoscere, sono un'esperta), ma una parte di me, nel profondo vuole crederci. Ma il mio cervello mi dice di non farlo, perchè se poi andasse male e lui non tornasse io mi sentirei una stupida per avergli creduto.
- Capisco. - Le mie ultime parole, le ultime parole che mio padre ha mai sentito da me. Dopodichè mi sono chiusa in camera mia a chiedermi per quanto tempo avrebbero continuato a mentirmi e a nascondermi le cose.
Pare per sempre.
Qualche mese dopo, quando ormai avevo perso ogni speranza, le cose sono iniziate a peggiorare drasticamente con mia madre. Litigavamo per ogni minima cosa e io continuavo a darle la colpa per quello che era successo a mio padre, anche se non sapevo cosa fosse accaduto. Le dicevo che se lui era morto era stato perchè lei gli ha permesso di andarsene, non ha cercato in alcun modo di fermarlo.
Ed è andata avanti così fino a quando lei, un giorno, ancora più arrabbiata per il mio comportamento mi disse - Se fosse qui tuo padre si vergognerebbe di averti come figlia!
Fu come un colpo in pieno cuore. Ma era vero. Si vergognerebbe così tanto di me, della sua bambina che è cambiata così tanto negli anni? Sì, lo farebbe. Sono irriconoscibile dalla persona che ero qualche anno fa, ancora più ribelle, mia madre doveva saperlo. Nel nostro distretto le persone con i capelli rossi vengono considerati ribelli o mandati dal diavolo, o io ero proprio una di quelle.
Cerco sempre di non pensare al passato, ma ogni tanto torna e io mi fermo a guardare un punto nel vuoto e a pensare alle ultime parole di mio padre, a come quella notte invece di urlargli conto sarei dovuta andare lì, abbracciarlo e dirgli che gli volevo bene, magari le cose sarebbero andate diversamente.
Ma ormai è troppo tardi ed è inutile rimuginare il passato.
- Del, Del! Ci sei ancora? - la voce di Melinda mi risveglia dal sogno.
- Lasciala stare, nella sua testa sta ancora dormendo. - Travis, lui sa che non è così, ma va bene. Ho imparato ad accettare le sue battutacce da quando è andato fino ai confini del distretto per trovare una qualche specie di medico che mi guardisse la febbre. In fondo gli voglio bene, è come un fratello grande per me. Lui e Melinda hanno solo due anni di differenza, se non sapessi che sono fratelli direi che sono fidanzati, seriamente.
- Gne gne gne, ho fame. Quando si mangia?
- Quando ti deciderai a preparare qualcosa, ovviamente.
- Pff, lascia perdere. Vado a trovare Josh.
Prendo la giacca ed esco sbattendo leggermente la porta. L'aria è calda anche se c'è un po' di vento. Vedo qualche farfalla colorata che svolazza in giro e ogni tanto un fiore che sembra spuntare dal nulla nella folta erba del distretto 5.
Finalmente arrivo, ogni volta rimango sorpresa dalla bellezza di questa casetta. Non è lussuriosa, non è ricoperta di oro e diamanti e non sbrilluccica come quelle di Capitol, ma ha un qualcosa di bello attorno a sè, un'aria che ispira fiducia. E' anche per questo che mi piace venire da lui.
Una volta arrivata alla porta non faccio in tempo a bussare che sua madre viene ad aprirmi.
- Oh Delilah! Che bello rivederti! Era da qualche giorno che non venivi a trovarci.
Essendo una frequentatrice abituale di questa casa il fatto che io non ci venga da 7 giorni crea nostalgia.
- Ciao. Sì, sono stata un po' occupata in questo periodo.
- Oh, non ti preoccupare. Josh è in camera sua.
Anche se ha delle maniere un po' rozze è davvero buona, con tutti.
Salendo le scale sento uno strano profumo di fragole e fiori, staranno cucinando una torta per tenersi impegnati anche loro.
Busso alla camera di Josh e lui la spalanca con un grande sorriso. Apre le braccia e io mi ci getto senza esitare, il suo petto è caldo e le sue mani sono forti.
Lui mi passa la mano fra i capelli e mi dà un bacio sulla fronte.
Non riesco ancora a definire la relazione che c'è fra noi. Non siamo fidanzati ma non siamo neanche semplici amici. Di certo non posso considerarlo un fratello, perchè per me lui è molto di più.
Confidente, amico, è la persona a cui mi rivolgo appena ho un problema o sono preoccupata per qualcosa, lui riesce sempre a tirarmi su il morale e a farmi sentire meglio. Fra le sue braccia mi sento sempre al sicuro.
- Pronta per la mietitura? - mi chiede con il tono più premuroso che possiede.
- Se mi chiedi se sono pronta a vedere quale dei miei amici verrà estratto per essere mandato dritto alla morte no, non lo sono.
Mi fa uno sguardo di compassione, sa di cosa sto parlando: l'anno scorso una delle mie migliori amiche è stata vittima degli Hunger Games.
Hunger Games nel nostro distretto è sinonimo di dolore, paura, rabbia; mentre a Capitol è solo un altro modo di divertirsi e di occupare il loro stupido tempo.
Ma non mi sorprende che i nostri tributi perdano sempre: non siamo gente abituata a combattere, qui nel distretto 5. Il massimo di attività fisica che facciamo è quella durante l'ora di ginnastica, pochi si avventurano nei boschi a camminare per ore - come facciamo io e Josh.
Nel nostro distretto siamo quasi tutti intellettuali, il distretto dell'energia, già. C'è una grande, grande fabbrica giù in piena città, se solo uno dei migliaia di cavi che contiene si rompesse Capitol potrebbe restare al buio per ore.
- Che ne dici di andare in piazza assieme?
Annuisco guardandolo negli occhi, nei suoi profondi verdi occhi. Distolgo subito lo sguardo altrimenti rischierei di perdercimi, mi è già capitato parecchie volte.
Scendiamo le scale, dò un bacio veloce sulla guancia di sua madre e ci dirigiamo verso la piazza dove saluto Abigail e Nath che sono già lì. Prendo posto nello spazio assegnato a noi ragazze sedicenni e mi metto a parlare con qualche altra ragazza.
Dopo una quindicina di minuti la piazza è piena. Miss Clio sale sul palco in fretta e furia con la sua lunga parruca colorata ed estrae subito il foglietto con il nome della ragazza. Non ho il tempo di guardare Josh che lei ha già pronunciato il nome con la sua voce striduta e fastidiosa.
- Delilah Butler.






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Allora, salve a tutti (:
Questa è la prima fanfiction che scrivo ed è basata sulla storia di The Hunger Games, ma dal punto di vista di Faccia di Volpe.
Ho da subito amato questo personaggio e ho pensato che meritasse un po' più di considerazione.
Comunque, grazie a chi la leggera e commenterà, spero che vi piaccia! :D
  
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